MICHELE Fake! Come le bugie hanno cambiato il mondo è il nuovo storytelling di Miki Rosco, presentato il 10 novembre al Museo Archeologico Provinciale di Salerno nell’ambito della rassegna “Domeniche d’Arte 2023”. Rosco ha utilizzato il consueto sguardo dello storico integrandolo con la pluridecennale esperienza da uomo di marketing supportata da una consolidata sapienza narrativa di parole scritte e dette. Ha così guidato per mano il pubblico a scoprire come il fenomeno delle “bugie” – che noi tutti, influenzati dall’anglismo fake oggi prevalente, crediamo abbastanza recente – abbia in realtà radici profonde ed antiche e non solo nell’ambito della narrazione ma anche in quello musicale, cinematografico e pubblicitario. Al termine dell’incontro, l’autore – il cui racconto è stato accompagnato dalla trama musicale della valente soprano Annalisa D’Agosto e della chitarra e voce di Enrico Siniscalchi – ci ha dedicato qualche minuto per una breve intervista.
Buongiorno Miki e grazie per aver accettato il mio invito a dedicarci un po’ di tempo a chiusura del tuo Storytelling di stamattina nel suggestivo scenario di questo antico chiostro della Salerno medievale che oggi ospita il Museo Archeologico Provinciale. Fake! Come le bugie hanno cambiato il mondo. Ci racconti come nasce l’idea di dedicare a questo fenomeno che noi tutti, influenzati dal termine inglese, crediamo recente e che, invece, come ci hai raccontato ha radici storiche profondissime?
MIKI Le “fake”, come abbiamo imparato a chiamarle, sono quelle falsificazioni della realtà che girano specialmente sulla rete diffondendo interpretazioni della realtà bizzarre, non verificate, qualche volta manipolatorie. Io, che mi occupo da sempre di comunicazione, non posso che essere interessato a questo mondo. Ma quello che ho voluto fare nel mio spettacolo – ricordo che è uno spettacolo, non una dotta conferenza – è stato da un lato cercare di individuare la presenza di “bugie” che diventano senso comune in tutta la storia dell’umanità, dall’altro di rivalutarle in qualche modo, di rivelare che senza le bugie la nostra vita sarebbe più triste, più noiosa. Mi rendo conto che è una strada scivolosa, quella che ho tentato, perché si rischia di promuovere o tollerare la falsificazione maligna della realtà. Ma ho comunque scelto di percorrerla, nell’idea che la verità è importante, ma delle bugie non possiamo fare a meno.
MICHELE Già, delle bugie non possiamo fare a meno. E di fake e bugie è piena la storia o, se vuoi, l’immaginario storico collettivo. Nel tuo spettacolo ce ne hai raccontate tante. Alcune ci hanno fatto sorridere: penso all’iconografia più nota dei Vichinghi o alla consolidata opinione che Napoleone fosse di bassa statura, come peraltro l’agiografia pittorica lo ritrae sempre. Altre, pur dimostrate false dagli storici – come la donazione di Costantino, o i più recenti Protocolli dei Savi di Sion – ci hanno fatto riflettere perché restano comunque verità collettive consolidate nella versione “fake”.
MIKI Questo delle bugie che diventano senso comune, e non si sa come e perché, è il primo aspetto che ho voluto evidenziare. Ci sono leggende che nascono senza radici e senza riferimenti e diventano senso comune. Tra quelle che ho presentato stamattina, tu ne hai indicato alcune, strane, buffe, che si diffondono legandosi a qualche pregiudizio, o a qualche malignità. Alcune di queste sono innocue e, appunto, buffe, come la storia dei vichinghi con le corna sugli elmi, cosa non verificata né storicamente né archeologicamente, ma che diventa senso comune. Altre sono cattive e pericolose. I Protocolli dei Savi di Sion è il documento fabbricato dai servizi segreti zaristi che dimostrerebbe un complotto per dominare il mondo da parte degli Ebrei. Una fake fabbricata ad arte, ma che gira anche dopo che è stata dimostrata la sua falsità. Pensa che il Protocolli sono ancora diffusi in tutto il Medio Oriente arabo, e sono citati nello statuto di Hamas. Qui occorrerebbe fare un discorso sulla verità e sulla sua manipolazione, però non è su questo che ho voluto concentrare la mia attenzione. Ma è un tema chiave della nostra convivenza, e su questo occorrerebbe riflettere, ma lo deve fare qualcuno più attrezzato di me e in un altro contesto.
MICHELE Nella tua esposizione, hai dedicato un ampio spazio alla rilevanza dei “fake” nel mondo del marketing che tu hai frequentato, per professione, molto a lungo. Mi piacerebbe che tu raccontassi anche ai nostri lettori il caso del dentifricio con l’ingrediente segreto inesistente, il Colgate con Gardol nei Caroselli della nostra infanzia. Ma anche quanto il “fake” contribuisca alla creazione collettiva di sogni e speranze; ci hai citato la famosa frase di Revlon “non vendo prodotti cosmetici, vendo speranza” …
MIKI Il “marketing” è il regno della realtà parallela, mirante a persuadere, a farci comprare. Il caso della Colgate che tra anni Cinquanta e Sessanta del Novecento pubblicizza un componente inesistente – appunto il Gardol – è eclatante. Oggi ciò non sarebbe più possibile, sia per ragioni legali, sia perché ci siamo fatti più smaliziati, e allora si adottano altre strategie, lo “storytelling”. Ma il principio è lo stesso: il “marketing” costruisce mondi di valori nei quali noi tendiamo a vivere una realtà alternativa alla nostra vita modesta e noiosa. Ci illudiamo, comprando un prodotto o un servizio, di condividere un universo di valori: l’innovazione, l’avventura, la bellezza, il calore degli affetti. Per fare questo il “marketing” usa la comunicazione, una comunicazione che non mira a spiegare, a dimostrare, ma appunto a persuadere, e per farlo deve inevitabilmente esagerare, abbellire, edulcorare. Deve narrare storie in cui possiamo identificarci. Il “marketing” non crea bisogni, come spesso è accusato di fare, il “marketing” soddisfa il nostro bisogno inestirpabile di ascoltare storie e di immedesimarci, Perché di storie, di “bugie”, di miti, noi abbiamo bisogno come di verità. Il “marketing” sfrutta questo bisogno, ma, se ci si riflette, è lo stesso bisogno soddisfatto dalla letteratura, dalla religione, dalla poesia: costruire miti in cui vivere una vita migliore, una vita con un senso. Di “fake”, abbiamo bisogno. C’è un grande storico israeliano, Harari, che dice che la civiltà è stata possibile perché l’homo sapiens è capace di credere in cose che non esistono. Solo credendo in queste cose – lo spirito del fiume, il totem della tribù, e poi il Grande Re, lo Stato, la Patria, la religione – l’umanità è in grado di coordinarsi, di mettere insieme persone che non si conoscono e di orientarle verso uno scopo comune. Il “marketing” traduce questo in ambito di persuasione all’acquisto. Questo non vuol dire consentire alle aziende di raccontarci qualsiasi cosa, o di venderci prestazioni inesistenti: ma se io con un nuovo maglione mi sento di appartenere a un mondo migliore, se guidando la nuova auto mi sento libero e realizzato, è un’illusione che mi deve essere lasciata, un’illusione che mi rende più piacevole la vita.
MICHELE E, ultimo ma non meno importante, alcune curiosità che alla ricerca del fake nel mondo della musica e della canzone napoletana hai scoperto. Ci racconti il caso di “Bella Ciao”, o della più famosa delle canzoni napoletane “O’ sole mio”? Ma anche del come mai la notissima “Torna a Surriento” avesse, in realtà, un destinatario ed una motivazione molto meno romantica di quanto il testo lasci trasparire.
MIKI La storia di “Bella Ciao” fa parte di quello che possiamo chiamare la costruzione del mito. La canzone quasi sicuramente è nata dopo la Resistenza, non ci sono prove di un suo uso tra i veri partigiani. Ma il motivo trascinante e orecchiabile, nato probabilmente all’inizio degli anni Sessanta del secolo scorso, è diventato l’inno della ribellione e della libertà in tutto il mondo, fino ad arrivare alla cultura pop attraverso una serie tv come la Casa di Carta. Quindi a che serve stabilire la realtà? È meglio usare questa canzone entrata nel mito per esprimere la propria voglia di libertà, che negarla perché “non vera”. Io mi entusiasmo a sentirla cantare, mi unisco, con la mia voce stonata, al coro e la vivo come mia esigenza di libertà. Che poi i partigiani veri non l’abbiano cantata poco importa. Se la leggenda contraddice la realtà – si dice in un film western – prevale la leggenda. E questo vale non solo nel selvaggio “West”. Per quel che riguarda “Torna a Surriento”, c’è una storia legata alla canzone, che, nata per parlare di un amore perduto, fu usata per convincere il ministro Zanardelli a rispettare una promessa non mantenuta. E “O’ sole mio”, invece, è stata musicata a Odessa, dove risiedeva Eduardo Di Capua, l’autore, e quindi il sole a cui si è ispirato illuminava il Mar Nero e non il Golfo di Napoli.
MICHELE Siamo così arrivati al termine della narrazione e del tempo concesso. Il Museo sta per chiudere, ma io ho ancora due domande. Una sulla riflessione finale del tuo spettacolo. Ci hai parlato di “fake” e di metafore: in cosa si assomigliano e quanto la metafora costruisce una realtà immaginaria di secondo livello. E quali accortezze possiamo suggerire a chi oggi, sempre più inondato di informazioni, non sa più bene a quali fonti fare affidamento?
MIKI Le metafore, come tutte le figure retoriche, sono elementi di falsificazione del linguaggio di grado zero, quel linguaggio puramente denotativo, la lingua senza artifici che riporta fedelmente – e piattamente – la realtà. Se uso una metafora, o un’iperbole, un’endiadi, e così via, sto aggiungendo informazioni non necessarie alla mia comunicazione. Ma sto rendendo il discorso più bello più interessante, più persuasivo. È quello che ho detto finora: noi abbiamo bisogno di storie che non ci raccontino semplicemente la realtà per quella che è, che non ci dicano semplicemente la verità, ma anche di storie che migliorino la nostra vita. È quel che diceva quel grande filosofo che è stato Leopardi: senza le illusioni la nostra vita è insopportabile. Ma qui veniamo alla seconda parte della tua domanda, che traduco così: allora la verità non serve? La verità serve, perché noi abbiamo bisogno di “mythos” ma anche di “logos”, abbiamo bisogno di storie in cui indentificarci, ma anche di distinguere la verità dalla falsità. Oggi alcune filosofie tendono a negare l’esistenza stessa della verità, sostituita dall’infinita e libera interpretazione. Invece, della verità non possiamo fare a meno, sapendo che oggi la verità, nel nostro mondo disincantato, è infinitamente più incerta e insicura. Dopo Einstein e Heisenberg anche il mondo della fisica è relativo e indeterminato. Ma, se la verità è difficile e incerta, la ricerca della verità non ci deve mai abbandonare. Dare spazio alla libertà di interpretazione, avere un’idea laica della verità, non deve significare che ogni verità è buona, che la verità non esiste. La costante ricerca della verità deve esserci da guida. Ma questo è un altro discorso. Consoliamoci con le storie, ricerchiamo la verità, di questo parleremo nel prossimo spettacolo.
MICHELE Allora, Miki, arrivederci al prossimo spettacolo. E grazie per il tempo che mi hai dedicato e per le riflessioni che hai voluto condividere con i nostri lettori.
Immagine di copertina: Corrado Zeni, Do not go gentle into that good night, collezione privata
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