RIVISTA DI CULTURA MEDITERRANEA

Oltre il Velo: il nuovo cinema iraniano tra resistenza e verità, di Reza Rashidy

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Introduzione

Negli anni ’60 il cinema iraniano era dominato dal cosiddetto film-farsi: opere di intrattenimento popolare lontane dalla riflessione sociale. In questo scenario, un gruppo di registi – molti formatisi in Italia e in Francia – introdusse una visione innovativa ispirata alla Nouvelle Vague francese e al neorealismo italiano. Nacque così la Nuova Ondata del cinema iraniano.

Se quella stagione fu il primo grande movimento di rottura, oggi possiamo parlare di una seconda stagione altrettanto potente. È il cinema underground, nato nell’ombra ma dotato di una voce autorevole: quella della resistenza al regime teocratico che impone il velo come simbolo di sottomissione ideologica e religiosa, velo che per ordine del governo le donne devono portare ovunque: a letto, a tavola, mentre fanno il bagno o partecipano alle Olimpiadi. Una mistica del controllo totalizzante che trova nel velo il proprio emblema.

Le donne hanno avuto un ruolo importante nella rivoluzione islamica del 1979 (Wikimedia Commons)

1. La prima ondata e la “rivoluzione islamica” del 1979

La prima ondata si affermò grazie a giovani cineasti formatisi nelle accademie europee. Essi scardinarono il cinema commerciale con opere moderne e realistiche: i loro film, influenzati dal modernismo e dal realismo socialista, davano voce a una società in fermento, portando sullo schermo le ombre della realtà iraniana.

Tutto cambiò con la rivoluzione islamica del 1979. Pur essendo spesso oppositori dello Scià, questi registi si trovarono subito in rotta con la nuova Repubblica Islamica, che impose una rigida censura. Alcuni si ritirarono, altri cercarono di operare dentro il sistema, talvolta come “opposizione controllata”. Il nuovo cinema ufficiale si costruì su un ambiguo miscuglio di simbolismo religioso e celebrazione eroica dei Pasdaran nella guerra Iran-Iraq.

Fu presto chiaro che la fine della monarchia non aveva portato maggiore libertà, anzi, la repressione si intensificò. Il Festival di Fajr, principale vetrina cinematografica nazionale, si trasformò in un salotto del regime, premiando solo i film allineati e censurando quelli critici.

Il cerchio, film di Jafar Panahi, 2000, vincitore del Leone d’Oro quale migliore film alla 57° Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia (Wikimedia Commons)

2. La rivoluzione digitale e il cinema clandestino

L’avvento del digitale fu un punto di svolta: liberati dai costi e dai limiti della pellicola, molti registi iniziarono a girare film clandestini, fuori dal controllo statale. Nacque così il cinema underground.

Il cerchio di Jafar Panahi e Tehran vendesi di Granaz Moussavi sono tra le prime opere significative di questo nuovo corso. Il primo racconta la condizione delle donne in una società patriarcale; il secondo, attraverso lo sguardo di una giovane donna, esplora l’angoscia collettiva. Bahman Ghobadi con Nessuno sa nulla dei gatti persiani ha dato voce ai musicisti perseguitati. Dopo il film, è stato costretto all’esilio.

Se la prima ondata aveva liberato il cinema dalla retorica del filmfarsi, questa seconda affronta l’ossessione del velo, la discriminazione di genere, la repressione quotidiana. È un cinema che si rifiuta di aderire alla finzione imposta dal regime e si rivolge alla realtà con sguardo crudo, diretto, privo di compromessi. Nonostante le censure, questi film riescono a raggiungere i festival internazionali, dove vengono accolti con interesse e ammirazione.

Fino al 2021, registi come Mohammad Rasoulof, Nader Saeivar, Samira Makhmalbaf e Jafar Panahi stesso, hanno contribuito a consolidare il prestigio del cinema iraniano nel mondo.

Alì Ahmadzadeh, Critical zone, fotogramma dal film (W-Film.de)

3. Donna, Vita, Libertà: lo spartiacque del 2022

La vera svolta arriva nel 2022 con la protesta esplosa dopo l’uccisione di Mahsa Amini. Lo slogan “Donna, Vita, Libertà” ha unito le piazze e commosso il mondo, trasformando l’opposizione al velo in un simbolo di lotta più ampia: contro il patriarcato, la repressione, la falsificazione della verità.

Anche i cineasti si sono interrogati: quanto il velo ha distorto l’immagine della donna nel cinema? Quanto ha condizionato corpi, storie, verità?

Da allora il cinema underground è diventato più esplicito. Secondo alcune fonti, oltre 70 film clandestini sono stati inviati all’ultima edizione del Festival di Cannes. Critical Zone di Alì Ahmadzadeh, girato senza permessi, è stato il primo film post-rivolta a imporsi: ambientato in una società immersa nella notte, tra miseria, droga e paura, ha vinto il Pardo d’Oro a Locarno.

Nel 2024 La mia torta preferita di Behtash Sanaeeha e Maryam Moghadam ha partecipato alla Berlinale, raccontando la vita quotidiana di una donna senza veli né filtri. Ma l’opera più attesa è Il seme del fico sacro di Mohammad Rasoulof, selezionato a Cannes 2024: un film che ha costretto il regista alla fuga dall’Iran per evitare otto anni prigione. Il film, ambientato nel pieno delle proteste di “Donna, Vita, Libertà”, segue la vicenda di un giudice del Tribunale Rivoluzionario di Teheran.

Ogni film girato senza censura, ogni scena realizzata sfidando i divieti, conserva la memoria di chi è morto per un Iran libero. È un cinema di resistenza, bellezza e verità.

Jafar Panahi, Taxi Teheran, screenshot (Wikimedia Commons)

4. Jafar Panahi: apogeo del cinema clandestino

Jafar Panahi, pioniere del cinema underground iraniano, ha raggiunto l’apice della carriera nonostante anni di persecuzioni. Dopo il Leone d’Oro a Venezia nel 2000 con Il cerchio, l’Orso d’Oro a Berlino nel 2015 con Taxi Tehran e la Camera d’Or a Cannes nel 1995, Panahi è tornato sulla Croisette dove tutto era cominciato, occupando simbolicamente la sedia rimasta vuota durante la sua prigionia e il divieto di espatrio.

Negli ultimi anni, i suoi film Tre volti e Gli orsi non esistono – girati in clandestinità – sono stati acclamati ai festival europei. Dopo la detenzione conclusasi nel febbraio 2022 e il ritrovato permesso di viaggio nel 2023, Panahi ha potuto finalmente partecipare di persona alla proiezione del suo ultimo film, A Simple Accident, sempre prodotto in clandestinità e fuori dall’occhio del regime, all’edizione 2025 del Festival di Cannes dove, al di là di ogni pronostico, ha vinto la Palma d’Oro.

Jafar Panahi premiato al 78° festival di Cannes, 2025, con la Palma d’Oro per il film A simple Accident

Con coraggio e ingegno ha continuato a girare da casa con mezzi di fortuna, diffondendo i suoi film grazie al sostegno della comunità internazionale. Il suo esempio rappresenta l’essenza stessa del nuovo cinema iraniano: libero, resistente, senza paura.

Questo cinema non chiede né indulgenza né compassione, ma chiede di essere guardato perché esso racconta ciò che il potere teme: la verità di chi non ha più paura.


Reza Rashidy, giornalista, scrittore e attivista dei diritti umani


Immagine di copertina
Maryam Moghaddam e Betash Sanaeeha, My Favorite Cake, 2024, screenshot dal trailer (Wikimedia Commons)

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