
Dare voce ai temi sociali attraverso le arti è un atto di libertà e di restituzione alla storia contemporanea che l’artista compie quando si emancipa dalle dinamiche di committenza per perseguire una comunicazione autentica di valori umani.
Paola Samoggia, la cui formazione musicale si affianca per un lungo periodo all’attività lavorativa nell’ambiente informatico, è una compositrice che si è rivolta all’esplorazione di un’ampia dimensione del mondo musicale, dalla musica classica al jazz e all’elettronica. Con gli anni, la sua attività compositiva e di sperimentazione si è sempre maggiormente intrecciata alle arti visive collaborando con importanti artisti per i quali ha creato i generi di Fotogramma Musicale e di Scenografia Sonora.
Ho incontrato Paola in occasione di una tavola rotonda presso il Conservatorio G. Rossini di Pesaro, dove moderavo gli interventi di diversi relatori nel contesto dell’evento “C’è del nuovo” e dove partecipai in qualità di compositrice ad una discussione sui linguaggi del presente in relazione alle tematiche sociali e della comunicazione musicale, nel 2023. Ci siamo rincontrate in occasione del “LabRetMus 2025”, XI edizione del Convegno “Laboratorio di Retorica Musicale”, organizzato dal Conservatorio A. Boito di Parma presso la Casa della Musica di Parma, dove il coordinatore e organizzatore Carlo Del Prete mi aveva invitato a partecipare con una relazione intorno al tema con Musica e sport, dove scelsi di parlare della sua opera, per la dimensione esplorata tra musica e sport e l’importanza dei temi sociali da lei toccati. Il corpo umano, nella produzione artistica di Paola, diventa un punto di frontiera tra forma e linguaggio, centro e periferia, conscio e inconscio, protagonista delle produzioni raccolte sotto l’egida di “Arte e/è Lavoro, una questione di accenti”.
Cara Paola, di che progetto si tratta?
«“Arte e/è Lavoro, una questione di accenti” è il progetto che abbiamo creato – con il plurale intendo “Imagem”, la piccola società di produzioni multimediali fondata con mio marito Carlo Magrì, architetto, che cura la parte visiva delle produzioni – per racchiudere la nostra ricerca artistica legata alla sensibilizzazione rispetto ai temi sociali che riguardano il mondo del lavoro, che sono i goal 1, 8, 10 dell’agenda 2030».
L’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile è un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità sottoscritto il 25 settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri delle Nazioni Unite, e approvata dall’Assemblea Generale dell’ONU. Ci ricordi il contenuto dei punti citati?
«Il primo è “Sconfiggere la povertà”, l’ottavo è “Lavoro dignitoso e crescita economica” e il decimo è “ridurre le disuguaglianze”».
A quando risale la genesi del primo progetto di Imagem?
«Al 2009, in occasione di un Master in Composizione Coreutica con il Maestro Fabio Vacchi, presso l’Opera Academy di Verona, quando noi partecipanti fummo invitati a creare un progetto ed io manifestai la volontà di portare in musica – una produzione di musica acustica, per un organico orchestrale – un balletto scritto un anno prima sull’incidente della ThyssenKrupp del 2007, dove erano morti numerosi lavoratori in un incendio orribile. Fu un incidente che stimolò una forte risposta soprattutto da parte delle arti impegnate nel campo visivo, come il teatro, il cinema, le installazioni artistiche. Nel nostro linguaggio, nell’ambito della musica, sentii un vuoto che decisi di colmare».

Il mondo dell’industria è una dimensione che s’intreccia alle tue radici. In che modo?
«Mio padre aveva una fabbrica e noi abitavamo sopra di essa! Da piccolina, il mio ambiente di gioco era la stessa fabbrica, il magazzino, gli uffici delle impiegate e tutti questi suoni – dalle macchine da scrivere alle macchine produttive, come l’impastatrice di inchiostri. Quei suoni rappresentavano per me un mondo felice. Quando da adulta ho iniziato a sentire dei disastri e delle morti ingiuste nel mondo del lavoro, dentro di me ho sentito risuonare – con la memoria dei suoni e degli odori della mia infanzia – l’urgenza di fare qualcosa e decisi di dedicare il mio primo lavoro nell’ambito dell’Accademia a questo tema».
Nasce così “Burning boxes”, un balletto dove il tema dell’immigrazione illegale e degli incidenti sul lavoro – le morti bianche – percorrono la genesi del progetto.
«“Burning boxes” s’ispira all’incendio nella fabbrica di ThyssenKrupp e nasce per l’orchestra dell’Accademia di Verona. Purtroppo il progetto viene sospeso a causa di un taglio dei fondi destinati all’allestimento. Successivamente, Fabio Vacchi mi invita a creare un progetto di opera lirica nell’ambito del Master. In quel periodo stavo leggendo “Il banchiere dei poveri”, il primo libro di Muhammad Yunus, Premio Nobel per la Pace nel 2006 e ideatore del microcredito, ed ero affascinata dalla sua idea sulla dignità del lavoro. Proposi a Vacchi di lavorare sulla pubblicazione di Yunus e sebbene apprezzasse l’idea – Quirino Principe visionò, poi, il libretto – riscontrai l’incredulità rispetto ad un progetto che argomentasse una tematica così delicata e importante. Oggi, i teatri d’opera tendono a evitare la produzione di creazioni intorno a temi difficili come la povertà.
Una sceneggiatrice e cara amica, Rita Forlani, con alle spalle una parziale educazione musicale affiancata ad una ottima formazione in scrittura per teatro, trasformò il libro di Yunus in un libretto, affrontando la storia di Yunus sul perché avesse creato il microcredito e l’insieme di regole alla base di una così rivoluzionaria teoria. Si tratta di un racconto dove emerge anche l’immensa forza delle donne. Rita trovò una chiave poetica e non retorica per narrare i contenuti, con una visione positiva che permetteva di attraversare la realtà drammatica di donne che perdevano i figli a causa della fame e della discriminazione nei loro confronti rispetto al lavoro, in un contesto sociale, soprattutto musulmano, dove i diritti della donna non erano riconosciuti e alla donna non era data l’opportunità di svolgere un lavoro dignitoso, tanto meno di avere accesso al credito».



Dove s’incontrano l’indagine e l’espressione artistica con la testimonianza e la denuncia di violazioni nell’ambito sociale?
«Nella dimensione del sogno di cui è capace l’essere umano. Il sogno di Yunus è di segregare la povertà nei musei entro il 2050, come monito per l’umanità, per ricordarci che in un mondo civile la povertà estrema non deve esistere».
Prende forma da quest’idea l’opera “27 dollari”, una multimedia chamber opera, dove esplori l’incontro tra proposta artistica e discipline socio-economiche.
«L’opera si svolge nel 2080, nel Museo della Povertà, in un futuro dove l’umanità è riuscita a realizzare il sogno di Yunus, e ripercorre la storia a ritroso».
Composta l’opera, nasce l’incontro con Yunus. Come avviene?
«Terminata la composizione dell’opera, ho scritto a Yunus per informarlo del mio progetto e chiedergli se potevo esplicitare che era dedicato a lui, alla sua ricerca, al suo libro, visto che il libretto era liberamente ispirato alla sua pubblicazione. La sua risposta mi emozionò moltissimo, poiché Yunus è amante dell’opera lirica e mi scrisse di essere onorato che un compositore italiano si fosse ispirato al suo libro per comporre un’opera lirica, esprimendo il suo sostegno al progetto».
E inizia così la collaborazione con Yunus.
«Sì, che tutt’ora continua, anche se è ora molto impegnato nel creare una svolta democratica per il suo paese, il Bangladesh, di cui l’estate scorsa è improvvisamente diventato Primo Ministro, mentre era in esilio a Parigi. Sono morti moltissimi giovani per scalzare la dittatura nel suo paese e proprio i leader del movimento studentesco gli hanno chiesto di aiutarli nel lavoro di ricostruzione e di identificazione della strada per elezioni democratiche e per la rinascita economica del loro paese.
La Rete degli “Yunus Centre”, con la quale collaboro regolarmente da diversi anni, è molto attiva in Italia e all’estero ed è una continua fonte di ispirazione per i miei progetti».

Quando venne allestita l’opera “27 dollar”, una multimedia chamber opera, per la prima esecuzione assoluta?
«L’opera è andata in scena, grazie alla preziosa collaborazione con l’Associazione Nazionale Italiana Cantanti, a Fano il 20 maggio 2019, al Teatro della Fortuna, alla presenza del Premio Nobel per la Pace Yunus, in platea, che si commosse moltissimo! Yunus stesso aprì l’evento con un discorso inaugurale toccante e partecipò con noi al saluto finale rivolgendosi con grande calore al pubblico presente».
Come emerge nell’opera il tema dell’identità – religiosa e geografica – e come lo avete affrontato?
«Con il regista e la sceneggiatrice ne abbiamo discusso a lungo, non volendo prendere posizioni scontate. Abbiamo scelto di incarnare i protagonisti della storia, Yunus e la sua prima assistente nei ruoli dei cantanti e del coro femminile che venivano accompagnati dall’ensemble, affidando loro la narrazione della storia stessa e ogni tipo di trasfigurazione poetica di essa. Trattandosi di una multimedia opera con scenografie solo virtuali, abbiamo rappresentato gli “oppositori” – i “cattivi” della storia – solo in video, con la partecipazione di Matteo Belli, che nello stile della commedia dell’arte, caratterizza ogni oppositore: coloro che erano citati nel libro di Yunus, con le parole da Yunus adoperate per descrivere i contenuti dei loro dialoghi con le donne coinvolte nella storia. Gli oppositori sono cinque, di cui i primi tre sono grotteschi: il fornitore, colui che vendeva le materie prime a prezzi altissimi e comprava il prodotto finito senza concedere margini di guadagno; l’usuraio, che prestava i soldi alle donne per acquistare le materie prime; il banchiere, che in modo freddo e distaccato rifiutava qualsiasi contatto con le donne non accompagnate dal marito; il marito, che non vuole nel modo più assoluto l’indipendenza della moglie; il Mullà, il capo della comunità religiosa islamica, che condanna le donne che vogliono intraprendere nuove strade a contatto con il mondo del lavoro e del commercio».
Yunus ispirerà anche i tuoi lavori successivi?
«Nel periodo successivo alla prima esecuzione dell’opera, il Covid interruppe ogni opportunità di replica dell’opera che la prima assoluta aveva creato, ma nella drammaticità di quel momento Yunus introduce le riflessioni su un nuovo tema, che hanno dato inizio ad una campagna educativa sulla dignità dell’essere umano (che rischiava di essere calpestata a causa dell’emergenza sanitaria e delle crisi economica e lavorativa conseguenti). A me è piaciuto rivedere il progetto di danza che avevo scritto per Verona, “Burning Boxes”, con questo tema e declinarlo nell’ambito della Dignità e Sicurezza sul Lavoro. L’attenzione si rivolge alle regole del lavoro, cioè sulla tutela dei diritti acquisiti dai lavoratori, perché in periodo di Covid, con l’improvvisa carenza di lavoro, molte persone manifestarono di essere disponibili a tutto pur di poter lavorare».
Il rischio di incidenti e morti sul lavoro diventa un tema importante per tutti noi, un messaggio che tu decidi di accogliere.
«Sì, poiché in tutti i paesi del mondo stava aumentando il rischio di incidenti e morti sul lavoro e, volendo cogliere il suo messaggio e raccogliere la mia precedente esperienza nell’esplorare il tema durante la composizione di “Burning boxes”, scelgo di produrre un cortometraggio di due minuti, con musica elettronica – strumento che durante il covid mi dava più possibilità di attivare il progetto – e attraverso il lavoro della nostra società che, producendo video, poteva acquisire i permessi per girare la città nonostante le restrizioni del momento, inclusi quelli per coinvolgere un danzatore».

Nasce nel 2020 “NO CRASH, spaziorisonante”, che narra di uno spazio che potrebbe rappresentare una qualsiasi periferia del mondo, degradato e pericolante, che diventa scenario per urlare al mondo il desiderio di liberarsi dalle schiavitù di un lavoro senza diritti. Ma, ne seguono altri. Ce ne puoi parlare?
«A “NO CRASH, spaziorisonante” – che ha un’atmosfera scura che denuncia il periodo che stavamo attraversando con il Covid, curato dal coreografo e danzatore Giuseppe Spinelli – seguono altre quattro produzioni, sempre cortometraggi dedicati alla dignità e alla sicurezza sul lavoro».
Che vorrei qui ricordare. Nel 2021 presenti “HOPE, apertamente”, dove si denuncia una condizione della mente, quando oppressa da un lavoro non sicuro e non dignitoso. Nel video la mente si aggrappa alla speranza, incarnando un racconto verso la libertà dagli ingranaggi che costringono il corpo e uccidono la mente.
«Si allude al mobbing, alle molestie sul lavoro, si denunciano gli ambienti insani dove si lavora. La protagonista è femminile, la coreografa e danzatrice è Lucia Vergnano, che abbiamo invitato per una sfida difficilissima. Per rappresentare dell’essere umano un ambiente interiore opprimente, l’abbiamo chiusa in un cubo nero di dieci centimetri più alto di lei, dove l’ambiente di lavoro è una fabbrica, a sua volta rappresentata dal disegno a gesso realizzato da un graffitista, che su richiesta del regista, Carlo Magrì, disegna tre tipologie di fabbriche: con i movimenti la danzatrice cancella il gesso, fino a lasciare la scritta “hope”… Il suono cancella quest’immagine di speranza: suoni campionati da ambienti edili ed elaborati con spazializzazioni oniriche cedono al suono di una pallina che termina la sua corsa in una roulette, a denunciare che in Italia è una questione di fortuna incontrare un ambiente di lavoro sano».

La statistica annovera circa tre morti al giorno per incidenti sul lavoro, una percentuale che da dieci anni sembra non diminuire. Infatti, il vostro lavoro non si ferma, anche il progetto 2026 sarà dedicato a questo tema.
Nel 2022 riesci a produrre “Daydream”, che si lega all’opera dedicata a Yunus.
«Nel 2022, grazie al supporto del Comune di Bologna, abbiamo collaborato con la Fondazione del Teatro Comunale della nostra città che ci ha messo a disposizione la sua orchestra e la Scuola dell’Opera, mentre per la danza abbiamo coinvolto nuovamente il Nuovo Balletto Classico di Reggio Emilia, registrando un cortometraggio di undici minuti estrapolato dall’opera “27 dollari”, una “multimedia chamber opera”, dando vita a “Daydream”».
Che vince la Menzione d’onore al festival Italia Green Film Festival nel 2023, anno in cui presentate “gEARS, a factory fairy tale”, una favola che trasfigura uno spazio di lavoro nel luogo più bello, in fondo una nota autobiografica nel tuo percorso artistico. Infatti, al centro del cortometraggio c’è una fabbrica: se sicura, essa si può trasformare in un luogo “incantevole”; il frastuono dei macchinari diventa, per la piccola protagonista, vera e propria musica e il movimento degli ingranaggi le suggerisce leggeri passi di danza.
«“gEARS” è nato dall’idea della Responsabile della Sicurezza di Knauf, Valentina Barzizza, durante un corso di aggiornamento in cui ho presentato il nostro lavoro. Lei ha capito subito il potere della comunicazione emotiva dei cortometraggi e ha voluto coinvolgere i suoi colleghi.
La protagonista è di nuovo femminile, la danzatrice è Martina Dall’Asta, sempre del Nuovo Balletto Classico di Reggio Emilia.
Le riprese sono state fatte in una fabbrica vera, la Knauf di Pisa – dove si producono cartongessi, nella quale abbiamo interagito con i capireparto. Ogni suono è registrato ed elaborato dalle macchine, come il rullo essiccatore del cartongesso che evocava nella mia immaginazione il rumore del mare».

Giungiamo al 2024, lo scorso anno, con “LYMPH, Dance for the Planet Reach out to the Nature”, che si ispira all’ultimo libro di Yunus, “Un mondo a 3 zeri: come eliminare definitivamente povertà, disoccupazione e inquinamento”. In che modo?
«L’idea nasce in occasione di una presentazione di “gEars” in Malesia in occasione del 13° Social Business Day della rete degli Yunus Centre nel 2023. In questo contesto decisi di proporre una collaborazione al referente dell’Uganda per creare assieme un nuovo progetto. Lui ci chiese di parlare del difficile rapporto tra Uomo e Natura e è nato “LYMPH”, che narra del legame e della sintonia con l’ambiente attraverso un elemento in comune tra il corpo umano e la natura, come la linfa, che allude al tema della deforestazione.
“LYMPH, Dance for the Planet Reach out to the Nature” esorta all’azione energica per recuperare il rapporto tra Uomo e Natura, puntando sull’elemento fluido che scorre in tutti gli esseri viventi e che è sinonimo stesso di vita».

Nel 2024 nasce anche un progetto-pilota con l’Università di Bologna in rapporto alla Terza Missione universitaria (introdotta dalla legge 240/2010 – Riforma Gelmini – che mira a stabilire un legame diretto e proficuo tra l’università e la società civile. In sostanza, l’università non si limita più a svolgere le tradizionali funzioni di insegnamento e ricerca, ma si impegna a condividere le proprie conoscenze e competenze con il mondo esterno, coinvolgendo attivamente la società civile). Si tratta di una campagna di sensibilizzazione su tematiche sociali attraverso le arti, “Diffondere la cultura della sicurezza attraverso l’arte: una metodologia innovativa per la condivisione dei risultati della ricerca con la collettività”, coordinato da Emanuela Carbonara (Dipartimento di Sociologia e Diritto dell’Economia), dove viene presentato e proiettato il cortometraggio “Red Ribbon”, puoi introdurcelo?
«Avevo collaborato già nel 2022 con l’Università di Bologna in occasione di un evento dedicato alla musica contemporanea, su invito dell’Associazione delle Donne Docenti Universitarie, in rapporto al messaggio su temi sociali che la musica può donare. Il progetto ci condusse anche nell’ambito di una classe terza di una scuola superiore tecnica, dove rilevammo il grande timore rispetto ai temi proposti, in particolare gli incidenti e le morti sul lavoro, espresso nelle attività di progettazione coreografiche e musicali in cui furono coinvolti. Fu proprio da un’idea proposta dagli studenti che ebbe inizio la nostra indagine attraverso l’uso della ginnastica artistica – l’idea investigava i tracciati del filo rosso nell’aria di una ginnasta – rispetto ad un linguaggio che abitasse la frontiera tra lo sport e le arti. Ne nacque “Red ribbon”, un cortometraggio sulla “Sicurezza sul Lavoro” realizzato sempre da “Imagem” – regia, fotografia e montaggio video di Carlo Magrì, realizzato con il contributo della Classe 3A (elettronica) dell’Istituto Belluzzi-Fioravanti di Bologna e dell’A.S.D. Pontevecchio, in collaborazione con Associazione Amici del Museo del Patrimonio Industriale, l’Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi del Lavoro, il “Bologna Unesco City of Music”, il Comune di Bologna, Fiera Ambiente Lavoro, la Fondazione Aldini Valeriani, la Praxis Consulting e Think Safe, oltre alla Regione Emilia-Romagna. “Red Ribbon” è ispirato all’idea che l’arte sia un efficace e ancora poco esplorato complemento ai sistemi di gestione della sicurezza aziendali per promuovere la cultura della salute e della sicurezza del lavoro, che rimane ancora una pressante criticità in Italia e nel mondo».

La produzione di cortometraggi, a tuo nome e di Carlo Magrì, tuo marito, nasce da un’esigenza artistica?
«Carlo, architetto, ha descritto in modo molto chiaro il sentire della nostra ricerca artistica, definendola “arte edificante”. “Edificante” è in architettura colui che costruisce, mentre la parola, in un ambito artistico, si porta il significato di ciò che trasmette dei valori. Il sensibilizzare è pari all’esigenza di creare un prodotto artistico!».
Dove vengono proiettati i vostri cortometraggi?
«In “Film Festival” nazionali e internazionali, dove la nostra campagna di sensibilizzazione comunica la possibilità di creare cortometraggi artistici anche su temi sociali del mondo del lavoro, abbracciando così un pubblico diretto e indiretto, cioè un pubblico che viene a conoscere indirettamente dei temi. I miei maestri sono stati i primi spettatori con cui ho testato questa modalità – Fabio Vacchi e Azio Corghi hanno apprezzato le proposte tematiche nell’analisi dei miei lavori e ne hanno condiviso la potenza comunicativa. In questi anni abbiamo avuto più di 240 proiezioni; oltre ai Film Festival sicuramente importanti, abbiamo partecipato a moltissimi convegni di tecnici del settore e non, e a tante collaborazioni con associazioni musicali e artistiche in genere».

Tu hai a cuore il coinvolgimento di altri artisti, perché?
«Perché ogni artista possa scoprire la potenzialità del mezzo artistico e comunicativo di cui dispone per promuovere valori umani nella società.
Il mondo dell’arte può portare il Valore delle Emozioni in contesti molto tecnici per supportare una comunicazione diversa e più articolata in modo molto efficiente. Si apre, per chi lo sa vedere, un nuovo mercato per le produzioni artistiche».
Quali altri ambiti di condivisione artistica esplori?
«Eventi di ogni ambito, anche convegni di professionisti come l’associazione dei commercialisti o dell’ordine degli psicologi, che possano dedicare uno spazio per introdurre il nostro progetto e proiettare un cortometraggio. Per eventi si intendono le cose più disparate! Abbiamo ad esempio una costante collaborazione con l’Emilia Romagna Festival, dove prima dei concerti presentiamo la “prima” di un cortometraggio, ma anche con tante altre associazioni.
Mi è anche capitato di essere io promotrice di un tema: in occasione di commissioni come compositrice, propongo spesso argomenti che trattano i temi a me cari.
Anche questo può essere un modo per sensibilizzare e stimolare una riflessione su un tema specifico».
Quali nuovi progetti per questo 2025 o per il prossimo 2026?
«Nei prossimi mesi mi aspettano alcune sfide piuttosto impegnative.
Stiamo finendo il cortometraggio in collaborazione con l’Università di Bologna che quest’anno vede protagonista una terza Triennale di Sociologia. Ovviamente, per il progetto dobbiamo anche gestire gli eventi di presentazione del lavoro e, per il momento, abbiamo un paio di date programmate entro settembre. Stiamo anche pianificando una iniziativa in collaborazione con la Rete Museale Europea NEMO (Network of European Museum Organisations) che inizierebbe per la Settimana Europea della “Salute e Sicurezza sul Lavoro” (fine ottobre) e che dovrebbe sviluppare attività fino al 16 febbraio del 2026, Giornata Nazionale del Risparmio energetico e degli stili di vita sostenibili (“M’Illumino di Meno”, che presto diventerà Giornata Europea).
Nel mentre, procediamo nell’iter – burocratico e artistico – per realizzare il cortometraggio del 2026, che vedrà coinvolto nuovamente lo sport sul tema della sicurezza sul lavoro e che dobbiamo girare a inizio ottobre.
A tutto questo si aggiungono due importanti commissioni di musica acustica e alcune sonorizzazioni di eventi di arte contemporanea da realizzare con musica elettronica… Non mi annoierò sicuramente!».
Delilah Gutman, cantante, compositrice, docente
Immagine di copertina “27dollari DAYDREAM”, fotogramma dal video, ©imagem
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.