Ho incontrato a più riprese Luciana Romoli, donna che irradia energia, rispetto per le Istituzioni, per la Storia e la Memoria, per i Diritti Civili, per i giovani, per gli ultimi.
L’appellativo “Luce”, nome di battaglia attribuitole durante la Resistenza, le calza a pennello, soprattutto quando Luciana fa testimonianza nelle scuole e racconta ai ragazzi la sua esperienza di staffetta partigiana, parlando indefessamente, facendosi chiamare “nonna Luce”. I suoi aneddoti, non lasciano nulla al caso, non trasudano di patina nostalgica, sono proiettati nel reale, nella nuda vita, se si “ragiona” di donne, di lavoro, di Razzismo, di Costituzione e di ambiente.
Durante i nostri incontri Luciana emanava quel fervore raro che sprigiona dagli occhi delle donne combattenti, che penetra e irrompe tanto negli “animi” dei più cinici rassegnati al “progresso scorsoio”, quanto in quelli dei sognatori.
***
Luciana, potresti descrivere brevemente il ruolo che le donne hanno avuto durante la Resistenza?
Le guerre, purtroppo, sono sempre degli eventi che accelerano i cambiamenti.
Quando tutti gli uomini furono chiamati alle armi, le donne che fino a quel momento erano state solo mogli e madri presero il loro posto nelle fabbriche e negli uffici.
Per la prima volta poterono comunicare ed incontrarsi, non solo le donne colte intellettuali, ma anche le operaie e le impiegate. Per la maggioranza delle donne fu evidente che il fascismo ci aveva trascinato in una guerra ingiusta.
Dopo l’8 settembre le donne si organizzarono per salvare i soldati dai rastrellamenti tedeschi, li facevano entrare in casa per farli mangiare e cambiare la divisa con abiti borghesi.
I comandanti dell’esercito scapparono a Brindisi insieme al Re, lasciando i soldati allo sbando, 650.000 soldati furono deportati in Germania ai lavori forzati, morti di fame e di freddo, pochissimi sono ritornati.
Di fronte all’ingiustizia e alla ferocia le donne italiane fecero tutte la loro scelta con coraggio e consapevolezza, con l’inizio della Resistenza entrano da protagoniste nella storia d’Italia, a testa alta. Un fattore decisivo fu la creazione di una specifica organizzazione di lotta: i “gruppi di difesa della donna” che riunirono le militanti dei partiti democratici e le antifasciste di ogni ceto. Esse, si può ben dire, sono state l’anima e il cuore della Resistenza; senza la loro ampia partecipazione, senza la loro solidarietà, il movimento partigiano non avrebbe potuto avere lo slancio e la solidità che ebbe.
Accanto all’operaia e alla contadina, troviamo l’intellettuale e la casalinga, l’artigiana e la bottegaia, la maestra e l’impiegata: diversi sono per ciascuna, la mentalità, l’educazione, diverso è il modo in cui sono giunte alla Resistenza.
Dopo la liberazione si vide subito il significato ed il peso dell’intervento femminile nella vita democratica: le donne hanno conquistato il diritto al voto, ma è nelle battaglie per la Repubblica e la Costituente, nelle lotte per il lavoro e la casa, che si rilevò pienamente il nuovo spirito delle masse femminili, frutto e continuazione della Resistenza.
Resta il problema dell’uguaglianza dei diritti in ogni campo della vita del Paese, anzitutto nelle scuole, perché il diritto allo studio non diventa possibilità reale di diritto al lavoro. C’è il compito di dare vita ad una società diversa, capace d’accogliere le esigenze dei giovani, delle donne e delle nuove famiglie.
Cosa pensi della frase di Simone de Beauvoir, la “femminilità è ancor una trappola”?
La femminilità è stata sicuramente una trappola in passato, molto è stato fatto per cambiare nel corso degli ultimi anni. Sono stata testimone di grandi lotte collettive e di incredibile coraggio personale di alcune donne eccezionali. Oggi le donne e le ragazze hanno molti strumenti per portare avanti le loro rivendicazioni, purtroppo ancora necessarie per raggiungere piena soddisfazione dei diritti che dovrebbero essere ormai acquisiti. C’è sempre il pericolo di tornare indietro, e ogni conquista non è mai per sempre, soprattutto quando si tratta di competere con le forze reazionarie del patriarcato. Io confido nelle giovani ragazze che ho incontrato nelle piazze e con le quali ho stabilito immediatamente un rapporto di grande vicinanza e solidarietà. Sanno riconoscere il contributo delle donne che le hanno precedute, ma sanno anche contare su sé stesse per continuare il cammino verso la libertà, e penso che questo percorso si possa fare tutte insieme, in ogni parte del mondo.
Qual è il tuo pensiero sui Diritti delle donne?
La Conferenza di Pechino è stato un appuntamento estremamente importante che ha permesso alle donne negli anni successivi e a livello globale di seguire un’agenda su tutti i temi che le riguardano.
Da Pechino ad oggi successivi appuntamenti come quello di New York, hanno permesso di fare il punto nel corso degli anni grazie al confronto di donne provenienti da tutti i paesi coinvolti.
Purtroppo, nonostante la grande ricchezza di contenuti, non sempre i governi hanno sostenuto le analisi sulle condizioni delle donne, né sono state realizzate le azioni necessarie per migliorarle.
Si pensi al recente caso della Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne, ratificata dall’Italia, ma non da altri paesi.
Nel nostro paese, considerato il numero di femminicidi, le condizioni delle donne che lavorano e il loro esiguo numero, per citare solo i problemi più eclatanti, i temi della Conferenza di Pechino dovrebbero essere al centro del dibattito politico, in tutto gli schieramenti, e soprattutto a sinistra.
Nonostante non sia così, le donne, le associazioni, i centri antiviolenza, i movimenti non interrompono mai le loro battaglie. Se fossero ascoltate di più si realizzerebbero prima e pienamente gli obiettivi fissati in sede internazionale ormai 26 anni fa.
Ogni anno indefessamente racconti la nostra storia nelle scuole, in ogni occasione ti prodighi nel parlare di Diritti e Costituzione. Cosa vorresti dire ai giovani?
È da poco tempo che ci si occupa del pericolo che sta vivendo il Pianeta, le rovine che hanno provocato e continuano a provocare gli uomini nei confronti dell’ambiente.
Intere foreste date alle fiamme, ghiacciai che stanno sciogliendosi, eventi atmosferici estremi che provocano alluvioni e minacciano città e villaggi, sono tutti eventi che dimostrano cambiamenti climatici a lungo negati.
Il pericolo più grande, ieri come oggi, è l’indifferenza, non solo nei confronti di altri esseri umani ma anche sofferenze della natura della quale facciamo parte.
Il futuro della nostra casa comune, casa che, come ha scritto una vostra coetanea, Greta Thunberg, oggi è una casa che brucia, dipende da noi.
Ci sono parole che non hanno stagioni: pace, libertà ed equità sociale, rispetto dell’universo e del pianeta. Ogni generazione deve trovare la sua strada perché questi valori sono accessibili e veri per tutti. Non ci sono bacchette magiche o soluzioni facili. Ma perdere di vista i principi fondamentali lascia lo spazio a compromessi al ribasso, a distinguo che fanno diventare più ricchi i ricchi e più povero il resto del Mondo.
Il mio messaggio ai giovani è semplice: “Non perdete di vista quello che davvero conta, ricordatevi che bisogna sempre pensare agli interessi di tutti, questo significa partire dagli interessi dei più fragili e più a rischio. Ricordatevi che i doveri sono più importanti ed utili dei diritti, che gli uni non esistono senza gli altri. La vostra vita ha senso se vivete con gli altri e per gli altri, se non è così, è una vita sprecata.
Non dimenticate il compito che vi affido, proseguite verso un mondo che sarà migliore solo con il vostro impegno. Studiate, studiate ed un’altra volta studiate”.
Che cosa significa per te la parola libertà?
La libertà è come l’aria.
Se la libertà ci viene a mancare noi sprofondiamo nel mare dell’ingiustizia, della sopraffazione.
Allora bisogna risalire in superficie, respirare e lottare, nuotare.
E lottare ancora, verso l’avvenire.
Quindi per questo noi dobbiamo insegnare ai ragazzi, ai bambini cos’è la libertà.
La Libertà è fondamentale.
Se non c’è la libertà non puoi studiare, se non c’è la libertà non puoi lavorare.
Se non c’è la libertà non puoi nemmeno amare, perché come fai ad amare se non hai un posto di lavoro? Abbiamo combattuto per questo.
La Costituzione italiana al primo articolo recita che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro.
La Costituzione sono le regole che ogni cittadino deve conoscere, perché sono le regole della convivenza civile.
La Costituzione i ragazzi la devono imparare, imparare a memoria.
Ogni articolo lo devono sviluppare, lo devono studiare, commentare.
La Costituzione non si legge, non è un romanzo.
La Costituzione non è una macchina che cammina da sola, la dobbiamo far camminare noi, la dobbiamo portare noi nelle nostre famiglie, nelle scuole, fra gli studenti, fra gli operai, fra i contadini, perché devono conoscere quali sono i loro doveri – prima i doveri – e poi i loro diritti.
Perché non è possibile che tu possa avere il diritto senza avere il dovere. Diritti e doveri sono due termini che devono camminare insieme; se non camminano insieme, manca uno o manca l’altro, viene la schiavitù.
E non c’è più la libertà.
***
OMAGGIO DI LUCIANA ROMOLI A GIANNI RODARI (estratto)
Rodari è stato il mio maestro, ho imparato tanto da lui: soprattutto ad ascoltare
le persone che mi parlano, a riflettere sulle cose che mi dicono,
prima di dare la risposta attesa.
Il mio primo ricordo di Rodari risale al 1948 quando lavoravo nell’Associazione Pionieri d’Italia a Roma in Via Piemonte 40 con Gianni Rodari, Dina Rinaldi, Carlo Pagliari ed altri. Ero addetta alla spedizione delle copie del “Pioniere” in tutta l’Italia. Rodari mi chiamava continuamente voleva stessi sempre con lui, diceva: “Mi sei utile, mi aiuti nel mio lavoro di scrittore”. Protestavo, come potevo essergli utile se a 8 anni in terza elementare ero stata espulsa da tutte le scuole del Regno e solo a 16 anni avevo preso la licenza elementare? Non sapevo come potevo essergli utile! Rispondeva: “Proprio perché sei fresca delle elementari ti ritengo la mia collaboratrice”. Io rispondevo che non avevo sei anni ma 18.
Lo seguivo nelle città dove si aprivano le sedi dell’ANPI. In treno facevamo lunghe discussioni, era paziente, sereno, comprensivo, io sempre polemica, in contrasto con le sue argomentazioni, quando non comprendevo cosa stava scrivendo ridevo, ridevo come una pazza, per esempio quando scrisse due parole, cane e armadio, che per me non avevano senso. Allora lui mi spiegava che era un “binomio fantastico”, una scoperta, un’invenzione, uno stimolo eccitante per scrivere racconti, poesie e testi teatrali.
Una volta per 12 giorni sono stata assente dal lavoro. La Costituzione era stata già promulgata, l’articolo 21, recita: “Tutti hanno diritto di manifestare il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni mezzo di diffusione…”, ma io fui arrestata per aver scritto sul muro al – muro torto –.
Vogliamo pace, lavoro e libertà. I compagni mi avvisarono con un fischio dell’arrivo della polizia, ma io mi trattenni fino all’ultimo perché ci tenevo a mettere l’accento sulla A. E così mi arrestarono. Mi dovetti fare 12 giorni in custodia alle suore Mantellate. Telefonai a mia madre dicendo che partivo per Napoli per una campagna elettorale. Quando mia madre riferì la notizia a Rodari, lui intuì la bugia e, al mio ritorno, mi chieste di spiegargli cosa fosse veramente accaduto. Gli raccontai tutto e nacque la filastrocca “l’accento sull’ A”.
L’accento sull’A di Gianni Rodari
“O fattorino in bicicletta
dove corri con tanta fretta?”
“Corro a portare una lettera espresso
arrivata proprio adesso”.
“O fattorino, corri diritto,
nell’espresso cosa c’è scritto?”
“C’è scritto: Mamma non stare in pena
se non rientro per cena,
in prigione mi hanno messo
perché sui muri ho scritto col gesso.
Con un pezzetto di gesso in mano
quel che scrivevo era buon italiano,
ho scritto sui muri della città
“Vogliamo pace e libertà”.
Ma di una cosa mi rammento,
che sull’-a- non ho messo l’accento.
Perciò ti prego per favore,
va’ tu a correggere quell’errore,
e un’altra volta, mammina mia,
studierò meglio l’ortografia”.
***
LUCIANA ROMOLI
Sono nata il 14.12.1930 a Roma, nel quartiere periferico di Casalbertone. Mio padre funzionario delle FFSS, era stato ufficiale degli alpini, mutilato e decorato nella guerra ‘15-’18; mia madre apparteneva ad una famiglia popolare “sovversiva”, la nonna materna viveva con noi ed ha avuto un grande ruolo nella mia formazione. Sono la terza di dieci figli. La prima azione politica l’ho compiuta a 8 anni, difendendo una compagna di classe ebrea, così da essere espulsa anch’io da tutte le scuole. Giovanissima ho iniziato a lavorare come operaia in una fabbrica di sacchi di carta a San Lorenzo; in un bombardamento ho visto morire il mio primo amore.
In quegli anni nella nostra casa si stampava l’Unità clandestina. Sono stata – 14enne – staffetta partigiana portando le comunicazioni, la stampa e le armi dei gappisti garibaldini. Ho partecipato all’assalto ai forni che le donne romane hanno fatto durante l’occupazione tedesca. Per le difficili condizioni del dopoguerra non ho ripreso gli studi. Entrata in una fabbrica tessile, sono stata licenziata nel 1945 perché attivista sindacale e processata per aver modificato la data di nascita nei miei documenti, dal 1930 al 1928, al fine di andare a lavorare prima dei 14 anni stabiliti dalla legge; il mio avvocato è stato Umberto Terracini, che mi ha fatto assolvere perché avevo cominciato il lavoro spinta dalle necessità familiari, in un’età in cui le coetanee ancora giocano.
Nel 1946 mi sono trasferita a Siena, ospite nel convento dove una zia era suora economa. Ho lavorato come operaia alla Sclavo e presso una famiglia di contadini. Tornata a Roma nel 1948, sono stata dirigente delle ragazze comuniste delle borgate. In quegli anni ho preso parte alle raccolte stagionali del riso e delle ulive, perché come figlia di ferroviere potevo viaggiare gratis.
Dal 1949 sono stata impiegata, dapprima nell’Associazione Pionieri d’Italia, dove ho lavorato con Gianni Rodari; sono poi passata alla Direzione Nazionale del PCI, segretaria in varie sezioni di lavoro, in particolare dal 1959 al 1963 alla Commissione di Organizzazione diretta da Giorgio Amendola e poi da Enrico Berlinguer. Nel 1957 ho ripreso gli studi frequentando i corsi serali, conseguendo in tre anni il diploma di ragioneria. Mi sono sposata a settembre del 1960; mio marito è medico. Sono madre di tre figli e nonna di due nipoti.
Nel 1963 dopo concorso sono passata a lavorare presso l’ACEA di Roma. Ho proseguito gli studi universitari, laureandomi in Biologia e conseguendo molti master post-laurea. Ho istituito e diretto il Laboratorio di Idro-biologia per la qualità delle acque potabili, in particolare vigilando sugli acquedotti dell’Azienda comunale, l’ambiente idrico, i laghi e gli impianti di depurazione. Sono in pensione dal dicembre 1995. Ho sempre svolto attività politica, militando nelle sezioni del PCI e per alcuni anni nel PD.
Dal 1999 partecipo ad ASSOLEI, associazione femminile che tutela le donne dalle discriminazioni e dalle violenze sessuali nei luoghi di lavoro ed a difesa delle immigrate. Dal 2007 al 2009 sono stata presidente del Circolo ANPI di Casal Bertone “Donne della Resistenza”. Da diversi anni, a Roma ed in molte parti d’Italia, porto la mia testimonianza sulla Resistenza e in difesa della Costituzione, sia agli studenti, dalla scuola primaria all’università sia ai Comuni e circoli dell’ANPI, a volte con altre partigiane. Ho scelto questo come principale compito della mia vita politica.
_____________________________________________
Alessandra Pellizzari, storica dell’arte vive e lavora a Venezia. Ha svolto attività di volontariato presso il Comitato 180 (legge Basaglia) di Bassano del Grappa, ha collaborato con varie istituzioni museali, gallerie e riviste. Attualmente insegna presso le scuole medie a Venezia, città lagunare che ama da sempre.
Ha pubblicato le seguenti raccolte di poesia: Lettere a cera persa, Lietocolle 2006, con prefazione di Andrea Zanzotto; Intermittenze, libro d’artista, con una partitura di Saverio Tasca; Mutamenti, Campanotto Editore 2012; Faglie, Puntoacapo 2017, prefazione di Elio Grasso; Nodi parlati, Nem 2019, traduzione inglese di Patrick Williamson.
Nel 2019 è uscito per i tipi della casa editrice El squero, il libro per bambini “Sos Venezia e la laguna, filastrocche di Otto il bassotto”, illustrato dai ragazzi partecipanti all’atelier di disegno e pittura della Fondazione Martin Egge Onlus, condotto da Chiara Mangiarotti e Cristiano Vettore.
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.