RIVISTA DI CULTURA MEDITERRANEA

Traversamenti e intrecci. L’arte di Italo Lanfredini, di Stefano Iori

[Tempo di Lettura: 6 minuti]

 

Villa Medici del Vascello dopo il restauro, 2015

 

Villa Medici del Vascello, splendido palazzo-castello a San Giovanni in Croce (Cremona), ha ospitato nella primavera scorsa la mostra di Italo Lanfredini “Traversamenti”. Le opere esposte nel parco e negli interni di quella che fu la dimora di Cecilia Gallerani hanno testimoniato il lavoro profuso dall’artista mantovano nell’arco degli ultimi quarant’anni. La possibilità di abbracciare l’arte di Lanfredini in modo pieno e ampio è un dono prezioso. Offre altresì il piacere di gustare la sua coerenza artistica nelle pieghe di un’evoluzione segnata dal filo rosso di una potente creatività.

 

Italo Lanfredini, Nidi, 1993-94

Materia ed energia sono gli elementi costitutivi di tutte le opere di Italo Lanfredini.
Nidi” (1993-1994) è un’installazione composta da dodici tripodi disposti, in occasione della mostra, lungo l’antico percorso che porta alla villa. Dodici sentinelle alte quasi sei metri, dodici esili guardiani del tempo e della natura o forse il segno ripetuto dodici volte dell’accoglienza: un nido, alla sommità delle costruzioni in legno, è pronto a ospitare uccelli, sogni, idee portate dal vento.

Materiali semplici: pali di castagno, corda, terracotta… e tanta energia verticale, forza ascendente. La sostanza è campestre, contadina, naturale, ma il messaggio che trasuda dai tripodi è profondo, così come lo è la memoria che si stratifica nei secoli, foriera di minuscoli ma continui mutamenti. I ricordi plasmano il presente e danno chiare indicazioni sul futuro, sicché “Nidi” è un insieme intenso che proietta l’equilibrio della ripetizione, la somma dei giorni che compongono un anno e gli anni che costituiscono un secolo, nella dimensione di una danza statica e dinamica assieme. Basta decidere da che parte stare: osservatori fermi a meditare sul passato ma con occhio ben vigile rivolto al futuro, oppure ballerini scatenati che inseguono l’ascesi verticale dei nidi, sperando di sollevarsi al cielo, lungo il percorso scandito dal numero dodici, che in numerologia rappresenta creatività e immaginazione. Dodici sono i mesi dell’anno; dodici i segni zodiacali. Questo numero è connesso alle prove da superare, fisiche o mentali, che portano il neofita, l’apprendista stregone, a rischiare per migliorarsi. Ritmo del processo creativo, con il cuore aperto alla natura e la mente che attraversa la complessità del mondo.

 

Italo Lanfredini, Soglia del viandante smarrito, 2011-2012 – Quercia e olmo, cm 388x330x230, Villa Medici del Vascello, San Giovanni in Croce (CR)

La soglia del viandante smarrito” (2011-2012), con i suoi quattro metri d’altezza, trova spazio in una corte interna della villa. Tronchi di quercia e olmo, intrecciati tra loro, rendono “fragile” il pur maestoso portale. Sfasamenti e proiezioni ne fanno un varco misterioso, vibrante, fors’anche magico. In quale dimensione ci troveremo dopo averlo traversato? Continueremo a camminare diritti o saremo obbligati a volgere lo sguardo un po’ a destra e un po’ a sinistra, sbirciando nelle fessure tra una trave e l’altra, quasi a setacciare la realtà, a mo’ di animali circospetti, per carpire qualche segreto o scongiurare malìe in agguato. L’icona multipla di un portale è sviluppata anche nell’opera “Soglia precaria”, costruzione in olmo sbiancato dalle forme più esili del primo, grande manufatto, ma pur sempre una costruzione alta tre metri. Spettrale, spaesante. Anche in questo caso il viandante può smarrirsi, dopo il simbolico traversamento che conduce ad altre dimensioni. Un tuffo nella diversità. Un arricchimento nell’ulteriorità. Nessuna paura dopo la fuggevole ansia del trapasso.
Lungo il percorso espositivo, qua e là ci si imbatte in nicchie e gusci, forme concave, come la poesia. Mantelli di legno o scudi rovesciati in cui celarsi, perdersi o magari ritrovarsi nelle braccia di madre natura, sotto la sua protezione. Vuoto e pieno giocano tra loro all’infinito nel cavo di enormi tronchi svuotati. Zero e uno, luce e notte.

 

Italo Lanfredini, Frangisole, 2016-17, Legno di quercia e larice, cm 275x128x130

Lanfredini lavora con il legno, che ritroviamo in sghembi intrecci come “Oltre la siepe” e “Approdo”, o nell’opera “Frangisole” in quercia e gelso, ma utilizza anche la terracotta.
Grembo del seme” è un’installazione composta da tredici uova-volti, che rotolano, candidi, fuori da un nido caduto da chissà quale albero. 

Kouros e Korai” è un’altra teatralizzazione in terracotta dove la forma fallica è abbinata all’icona-simbolo della colonna. Alcune di tali forme sono mozzate, a simboleggiare un’archeologia interiore, potente e complessa, tanto forte da far esplodere i vertici di alcuni dei quattordici totem che spuntano dall’erba.

E veniamo, infine, all’opera più recente di Italo Lanfredini. Una piroga scavata in un enorme tronco abbattuto dal vento. A terra un mare di trucioli e schegge asportati dallo scalpello nell’atto dello scavo stesso. Piccole onde che gracchiano al passaggio del visitatore. L’imbarcazione, antica nelle fattezze, porta nel proprio grembo un tesoro: poesie raccolte in un’arca dorata. Tanti fogli con tante poesie. Questo il frutto di un lungo, certosino lavoro avviato dall’artista mantovano anni fa. Egli ha raccolto cinquantacinque poesie di altrettanti poeti di tutto il mondo. Tema: il mare.

 

Italo Lanfredini, Piroghe-Mari, 2019-2021, n. 2 pezzi pioppo e dorature trucioli, cm 55x140x82, Villa Medici del Vascello, San Giovanni in Croce (Cremona)

I componimenti sono diventati fogli d’artista: le parole sono state deposte su carte lavorate e colorate una per una in modo differente. Poeti da Arabia, Stati Uniti, Australia, Giappone, India, Paesi dell’America del Sud, Cina, Egitto, Turchia, Israele, Russia, Regno Unito, Europa tutta, compresa naturalmente l’Italia.
A merito dell’artista va rilevato che il progetto non celava un intento antologico ossessivo, non era necessario avere tutti i migliori poeti del mondo. Domandare è lecito, rispondere è cortesia. Importante era, oltre alla qualità dei testi, la diversa provenienza, la differente lingua in cui erano scritti, per evidenziare l’ampio respiro del progetto. Un fiato universale. Decisiva è stata l’accoglienza alla chiamata che proveniva dalla voce dell’artista: «A lei poeta, chiedo un componimento inedito che canti il mare, che aliti di mare». Mare che evoca da sempre distanze e contatti, euforia e paure, vita e morte, profondità abissali e schiumose superfici da cui sprizzano parole e idee.

 

Italo Lanfredini


Di seguito riporto i nomi dei poeti italiani che hanno aderito alla chiamata di Lanfredini e che volontariamente rappresentano, in questa selezione-non selezione, l’ars poetica del nostro Paese: Franco Buffoni, Maria Grazia Calandrone, Maurizio Casagrande, Pasquale Di Palmo, Anna Maria Farabbi, Laura Garavaglia, Elio Grasso, Giovanna Iorio, Marco Munaro, Nina Nasilli, Giancarlo Pontiggia, Maria Pia Quintavalla, Giuliano Scabia, Graziella Sidoli, Carlo Alberto Sitta, Stefano Strazzabosco, Isabella Vicentini.
Grazie a loro la poesia si è intrecciata con l’arte della carta e del legno.

__________________________


Immagine di copertina

Silenti, 1993 – Terracotta, dimensioni variabili

*

Italo Lanfredini nasce a Sabbioneta nel 1948. Diplomato all’Accademia di Brera, a partire dalla metà degli anni Settanta la sua scultura acquista una dimensione più ampia, non più opere oggettive, ma che dialogano col luogo e la sua Aura. Opere da attraversare, da abitare, da vivere: le Soglie, i Labirinti, i Giardini. Nel 1987 il Labirinto Arianna vince il Concorso Internazionale di Scultura indetto da Antonio Presti – ideatore della Fiumara d’Arte –; l’opera viene realizzata nel 1988-89 sull’alto promontorio dei Monti Nebrodi a Castel di Lucio (Messina). Nel 1996-97 realizza a Pradello di Villimpenta Il Giardino delle Forze Rigeneratrici. Negli stessi anni apre la casa-studio “La Silenziosa”, sorta di museo permanente, dove sono installate opere quali il Grande raggio, Terra della terra o giardino dell’anima, Origine, I nidi, Grembo del Seme e tante altre. “La Silenziosa” vuole anche essere un luogo aperto, di scambio, d’incontro, di interazione.
Vive e lavora a “La Silenziosa” (Commessaggio, Mn).

*

Stefano Iori è nato a Mantova nel 1951. Dal 1979 al 1985 ha svolto un’intensa attività teatrale e televisiva, in Italia e all’estero, come attore e regista. Debuttò come saggista nel 1992, firmando il volume Scritture del teatro (Edizioni Provincia di Mantova). Iscritto all’Albo dei Giornalisti Professionisti, è stato redattore del quotidiano La Voce di Mantova dal 1992 al 1999. Si è rivelato al pubblico e alla critica con la filmografia ragionata I Grandi del cinema – Tinto Brass (Gremese Editore, 2000). Ha collaborato con vari editori in qualità di curatore, fra questi anche Editoriale Giorgio Mondadori. Ha firmato quattro libri di poesia: Gocce scalze (Albatros Il Filo, 2011), Sottopelle (Kolibris, 2013, con prefazione di Gio Ferri), L’anima aggiunta (Edizioni SEAM, 2014, con prefazione di Beppe Costa e traduzione in inglese a fronte – ristampa per i tipi Pellicano, 2017), Lascia la tua terra – Sinfonia del congedo (Fara Editore, 2017, con note critiche di Flavio Ermini, Gio Ferri, Rosa Pierno, Ida Travi). Ha pubblicato nel 2015 il romanzo La giovinezza di Shlomo (Gilgamesh Edizioni). Sono seguiti il saggio Animali fantastici dell’ebraismo, Terra d’ulivi Edizioni, 2020) e il volume I semi dell’incanto. Racconti 1972 – 2020 (Gilgamesh Edizioni, 2021). È direttore responsabile della rivista letteraria Menabò, nonché direttore artistico del Festival Mantova Poesia. Coordina il Premio Nazionale di Poesia Terra di Virgilio. È curatore della collana Pensiero Poetico edita da Terra d’ulivi. Cura tutte le pubblicazioni dell’associazione La Corte dei Poeti, ad oggi una trentina. Sue poesie sono state tradotte in romeno, polacco, spagnolo, inglese, lituano. In collaborazione con artisti italiani e stranieri realizza libri d’artista. È studioso di cultura ebraica.


© finnegans. Tutti i diritti riservati