RIVISTA DI CULTURA MEDITERRANEA

“ELSA” di Angela Bubba. Commento critico di Annarosa Tonin

[Tempo di Lettura: 5 minuti]
Elsa Morante con i suoi amati gatti

 

“Più si rivela un segreto e più la vita, il primo segreto, perde splendore. Più si condivide il dolore e più il dolore allarga la propria macchia nel mondo, come infettando, indebolendo ogni cosa”.

 

Sola, forte e sofferente, con il suo «senso disperato dell’epica», come afferma Alberto Moravia, la scrittura di Elsa Morante è sostanza viva e, al tempo stesso, impalpabile del romanzo biografico ELSA, opera di Angela Bubba, edita da Ponte alle Grazie, candidata al Premio Strega e al Premio Comisso.

 

 

I capitoli ripercorrono gli anni più significativi della vita della scrittrice, dal 1922 al 1985, insieme ad alcune confessioni di Elsa-Io narrante, in particolari momenti di cui l’autrice ha raccontato in precedenza. In realtà, al lettore appare chiaro che l’Io narrante è sempre presente, poiché la scrittura di Angela Bubba è la scrittura di Elsa Morante, «tragica e familiare», mai disgiunta dalle metafore, fra paura e immaginazione, forza e sofferenza.

ELSA è una mappa geografica di relazioni, a iniziare dalla famiglia d’origine della scrittrice, saggista, poetessa e traduttrice, nata nel 1912. La madre Irma, i fratelli, il vero padre Fancesco e Augusto, colui che lei crede suo padre fino a un certo punto della vita, quando la madre le rivela la verità.

 

Alberto Moravia ed Elsa Morante a Capri negli anni quaranta

Da questo momento Elsa indaga la verità, chiedendosi il perché della sua nascita e della nascita di ciascuno di noi.

«Il sangue non si cambia. Accettalo».

Così le dice Alberto Moravia, che lamenta la scelta rabbiosa di Elsa di non parlare alla madre, di non confidarsi mai con il marito fino in fondo. I ventisei anni della loro relazione e gli eventi che li terranno comunque vicini, anche dopo la separazione, compongono un’altra mappa, fatta di parole sgarbate di lei, e di lui che le rinfaccia il demone che la spinge alla sgradevolezza.

«Cosa vuoi da me?», le chiede e lei risponde, guardandosi allo specchio: «Pugnalare, quello che fanno tutti i riflessi».

La rabbia della scrittrice si scaglia contro Moravia e il suo essere borghese, ma al tempo stesso lei ne è attratta, nella costante ricerca di riconoscimento, nella comune origine in parte ebraica.

ELSA è anche la mappa di una lotta per l’anonimato; la scrittrice si nega ripetutamente alle frequentazioni, o le distingue per dovere o per gusto.

 

 

Tra queste Natalia Ginzburg che nel 1948 le dice: «Non è un periodo facile, è vero. Questo però non c’entra nulla con la bellezza che hai creato, bellezza che quanto prima ti sarà riconosciuta. Ne sono sicura».

Elsa si recherà da sola, nove anni dopo, a ricevere il Premio Strega per L’isola di Arturo.

Il libro di Angela Bubba custodisce, dipana e riavvolge la matassa dello sguardo di Elsa Morante che incolla il lettore fin dalla copertina.

Attraverso citazioni e rimaneggiamenti delle opere e dell’epistolario, oltre a saggi dedicati alla scrittrice, l’autrice scava nello sguardo meravigliato, che è verità, la verità dell’infelicità. In una lettera a sé stessa, datata 1961, Elsa scrive che tutte le vite sono, in un certo senso o nell’altro, delle vite mancate: l’arte è lì per sanare a queste mancanze.

Ed è per sanare la mancanza reale dell’amore di madre per il figlio abortito che Angela Bubba li immagina, l’amore e il figlio. Ecco, dunque, che la felice scrittura dell’autrice scende in profondità e al tempo stesso si lascia cullare dall’azzurro del mare per restituire a Elsa e al figlio mai nato l’incontro, le parole, gli sguardi, la vita nel dirsi perenne dolore, nel darsi perenne amore.

 

 

All’amore di una madre come quello di Ida per Useppe ne La Storia. Uno scandalo che dura da diecimila anni, per esempio, Elsa sente di appartenere. Angela Bubba ci dona l’immagine della scrittrice sul divano della sua stanchezza, lo stesso divano nel quale Elsa ha immaginato Ida e la violenza subìta.

Devo attraversare il territorio del diavolo per poter raggiungere il suo opposto.

Angela Bubba fa incontrare Elsa e il figlio mai nato-Arturo nel 1957 e nel 1982, Elsa è malata, quando Arturo si chiama Manuel, è un uomo di quarantatre anni e vive nelle pagine dell’ultimo romanzo, Aracoeli.

Elsa, immobile a letto, continua a porre e porsi domande e vede la malattia come un castigo, nella convinzione che il destino faccia pagare il conto.

«Anche tu hai ucciso il figlio!», la giudica il dito accusatore di Medea-Maria Callas, quando Elsa Morante si reca sul set del film diretto da Pier Paolo Pasolini, al quale la accomunano opinioni arroganti e assolute.

 

Luchino Visconti, 1972, foto di Marisa Rastellini (Mondadori Editore)

E in questo crinale la fine, intesa come suicidio, è vista come saluto, come soluzione elegante, nel ricordo lacerante di Bill Morrow, il giovane pittore americano da lei amato e morto suicida.

Ecco, dunque, un’altra mappa, quella degli amori, Moravia, Visconti, Morrow, che si intreccia con la mappa del tempo storico, l’Italia fascista e la figura di Pietro Zecchi Venturi, il gesuita che sposerà Elsa e Alberto, l’Italia in guerra, post-fascista e della ricostruzione.

Elsa è consapevole del suo tempo storico tra inettitudine e eroismo, lo vive nelle case che abita, comprendendone l’essere minuscole o troppo grandi, la loro necessità di accogliere prima i libri di sé stessa e del cibo, con cui ha un rapporto molto spesso di rifiuto.

 

Il rosso e il nero, edizione del 1854


Di cosa si ciba Elsa? Dell’ambizione e della speranza di Julien Sorel, luminoso e tragico, di Proust e dei poemi omerici, che ritroviamo nella mappa dei viaggi, di un pranzo davanti al porto del Pireo, in quel mare della Grecia che è riverbero millenario che luccica di continuo, come luogo in cui Elsa fa pace col suo nome germanico, la sua spada, scelto dalla madre Irma e fa pace con la madre stessa, alla quale non ha mai detto Ti ho voluto bene.

Il viaggio dei viaggi in Elsa è quello ad Anacapri, dove immagina una Via dell’Infanzia, luogo uterino dell’esistenza, dove c’è il sole anche di notte.  

Il romanzo di Angela Bubba, dunque, è offerto al lettore come la percezione che esiste un mondo segreto, “altro” da noi, ma che abita in noi, lo stesso della forte Antonietta, l’intrepido Pietro e il pauroso Giovanni, i trascurati fratelli del racconto Il gioco segreto (1941). Uniti, scoprono la verità della vita come immaginazione, che non può sfuggire al dolore e alla sofferenza, dopo aver incontrato i libri e inseguito, rendendolo reale, il sogno di una Storia di eroi ed eroine nell’angolo più dimenticato e proibito della loro grande e fatiscente dimora.  

 

Immagine di copertina
Anacapri, Villa San Michele, veduta di Marina Grande. Foto di Berthold Werner

 

Autrice: Angela Bubba
Titolo: Elsa
Casa editrice: Ponte alle Grazie
Collana: Scrittori
Anno di pubblicazione: 2022
Pagine: 432 – euro 16,80

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Angela Bubba è nata nel 1989 a Catanzaro. Col suo primo romanzo La casa (Elliott, 2009), è entrata nella rosa dei dodici del Premio Strega. La sua prima opera saggistica, Elsa Morante, madre e fanciullo (Carabba, 2016), ha vinto il Premio Morante per la critica. Per Bompiani ha pubblicato MaliNati (2012), Via degli Angeli (con Giorgio Ghiotti, 2016) e Preghiera d’acciaio (2017). Suoi scritti sono apparsi su “Nazione Indiana” e “Nuovi Argomenti”. Vive a Roma, dove si occupa anche di ricerca nel campo dell’italianistica.

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Annarosa Maria Tonin è nata a Vittorio Veneto nel 1969. Laureata in Lettere moderne all’Università Ca’ Foscari di Venezia con una tesi sugli inviati veneti alla corte di Rodolfo II d’Asburgo, è stata docente di Materie Letterarie e Storia dell’Arte nelle scuole medie e superiori. Curatrice di eventi culturali, collabora con la rivista trimestrale Digressioni e la libreria Tralerighe di Conegliano. Autrice di racconti, romanzi e saggi, ha pubblicato per Digressioni editore la raccolta di saggi “L’uomo nell’ombra. Storie d’arte, potere e società” (2019) e il romanzo “Anatolia” (2020).

 

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