RIVISTA DI CULTURA MEDITERRANEA

Beck: nell’iperspazio di un (iper) moderno musicista americano, di Antonio D’Este (seconda parte)

[Tempo di Lettura: 4 minuti]

 

Beck performing at Sydney City Limits, 24/02/2018 (Wikimedia Commons)

 

All’indomani della pubblicazione e della ampia diffusione di Guero, il lavoro che aveva fatto emergere la personalità e l’indiscutibile talento del giovane autore californiano, Beck non indugiò troppo.
Già l’anno successivo consolidò lo status raggiunto con un lavoro – The Information – che nella struttura e nello schema ricalcava lo stesso spirito, le direzioni e le versatilità evidenziate in Guero.
Ancora vi fu modo di dare ampio spazio alla diversità di fonti, ispirazioni e riferimenti elettroacustici di diversa estrazione.
E con la medesima predisposizione caratterizzerà anche le composizioni del nuovo lavoro con raffinati tocchi elettronici e fantasiosi arrangiamenti senza indulgere in ovvietà o inutili orpelli.
Due anni trascorreranno invece prima della pubblicazione di Modern Guilt.


Il decennio è prossimo alla sua conclusione e nel 2008 Beck fa ancora appello alle sue personali inclinazioni per il rock’n’roll old style, alle sue timbriche e ai suoi suoni primigeni in gustoso stile anni ‘60 con un lavoro che, come era già parzialmente emerso in più di uno dei suoi episodi passati, reinterpreta e in quache modo reinventa il R’n’r made in U.S.A. “à la Beck”.
È un tratto del suo percorso che tuttavia non incontrerà particolari favori nè susciterà entusiasmi tra pubblico e critica e rimarrà in una sorta di  limbo per diverso tempo.
Sulla scia delle incertezze e degli echi relativi a questo capitolo, Beck rimarrà in silenzio per quasi cinque anni.
Ricomparirà, un po’ a sorpresa, solo nel 2013.
Supportato da una enorme struttura circolare rotante, una nutrita orchestra, cori e una band elettrica per un totale di oltre 150 elementi, in uno studio della 20th Century Fox a Los Angeles, il musicista darà una potente e originalissima rilettura personalizzata di un classico che David Bowie aveva inciso nell’album Low del 1977.
Ne risulterà una affascinante, sperimentale e dilatata versione della celeberrima Sound & Vision.
Ne parleranno ampiamente le riviste del settore dando grande risalto all’evento. L’episodio è reperibile su You Tube.

Inaspettatamente, senza particolare clamore pubblicitario e dopo un considerevole intervallo, l’autore californiano si ripresenterà verso la fine del 2014 con Morning Phase, opera profondamente intrisa delle mai sopite passioni per i climi “unplugged” e concepita quasi esclusivamente per la proposizione di semplici canzoni composte con il solo ausilio di voce, chitarre acustiche e fascinosi e melodiosi cori.
Nel lavoro compare a tratti anche una sezione d’archi a sottolineare i momenti più intensi ed intimi. Gli aspetti ritmici in questa occasione verranno posti in secondo piano e nel mix finale risulteranno meno preponderanti e di basso profilo.
È un segno che non rimarrà isolato. Quasi dieci anni più tardi, Beck tornerà ancora su quella traccia umorale ed in modo ancora più significativo.

Dovranno trascorrere ancora tre anni prima del rientro dell’autore sulle scene.
E quando accadrà, per l’ennesima volta con un nuovo cambio di indirizzo stilistico, Beck riconvergerà ancora verso una nuova forma della già sperimentata Intelligent Dance Music.
Colors, del 2017, riprende le tematiche e lo stile lasciato in sospeso con The Information nel 2006, ed il linguaggio e l’approccio si semplificano in modi ancora più diretti ed epidermici.
È sì musica che si può anche ballare, ma con quel tocco di genio e stile che la distingue da dozzine di proposte apparentemente simili.

La freschezza e l’originalità delle idee, della scrittura e delle esecuzioni è palese fin dal primo ascolto. È un Beck frizzante, allegro e che sa come muoversi anche in partiture che potrebbero sembrare a prima vista banalmente “easy”. La produzione è eccellente e l’immagine globale del suono che ne risulta è di grande impatto.
Due anni ancora e il biondo californiano riappare con Hyperspace.
Ora il seguito e l’interesse del pubblico alle sue tournée e i suoi show è costante in tutto il mondo, come i riscontri di vendita dei suoi lavori.
In Italia invece, al solito, il Signor Hansen rimane un Signor Nessuno.
L’unica data live da ricordare, dopo 17 anni di assenza , rimane quella al Vittoriale di Gardone Riviera nel Giugno 2022. L’unica.
Qui, un link relativo all’evento. Forse l’unica recensione. E per chi scrive qui, meritevole.
https://www.sentireascoltare.com/recensioni/beck-allanfiteatro-del-vittoriale-il-concerto-perfetto-in-una-perfetta-giornata-estiva/

Il nuovo lavoro Hyperspace si muove su spazi più liquidi e talora sognanti.
L’uso di echi elettronici vagamente “ambient” e sonorità spaziali talvolta dilatate ad arte incontrano le abituali e ben collaudate e strutturate ritmiche sposando le inconfondibili armonie già comparse in molti dei suoi lavori precedenti, ma con una diversa prospettiva ed incisiva profondità.
È ancora un lavoro semplice, in fondo, ma attraente nella sua immediatezza e semplicità di linguaggio.
Rimane a tutt’oggi la sua ultima opera, come recente testimonianza di una attività che ha coperto un periodo temporale di oltre trent’anni ormai.

 

Beck, concerto acustico al Moody Theatre, 19 marzo 2022, ph Phil Whitehouse (Wikimedia Commons)

Dopo aver eseguito dal vivo nel 2018 a Denver, Colorado, una versione di Harvest Moon di Neil Young, nel Settembre 2022 Beck Hansen compare in studio in una clip in b/n armato di sola chitarra acustica e voce.
Esegue una sentita e riuscita versione della celeberrima Old Man che il cantautore canadese Neil Young aveva pubblicato nel suo album Harvest del 1972, ed eseguita dal vivo anche da Bob Dylan nel 2002 e Natalie Cole nel 2006. Anche in questo caso, il documento è reperibile su Youtube.
La “cover” del pezzo è stata candidata alla recente assegnazione del 65° Grammy Award nel Febbraio 2023.

Dotato di una personalità ricca, elastica ed eclettica, Beck, negli anni, continua a mostrare un centro di gravità imprevedibilmente variabile e ostinatamente impermanente ed indipendente.
Il che non è necessariamente un difetto, permettendogli anzi di spaziare in questo modo in una varietà espressiva piuttosto singolare e rara a trovarsi nelle musiche “popolari” del XXI° secolo.
E pur continuando ad attirare l’interesse e la curiosità di un pubblico diversificato sia per età che per gusti ed orientamenti.
Non è poco se si considera che storicamente la settorialità in ambito musicale ha spesso impedito le contaminazioni nei generi tra loro diversi o lontani. E così facendo – e sempre nel suo spirito “indie” – dando origine a nuovi, stimolanti impulsi e nuove direzioni sonore.
Beh, lui, a modo suo, c’è riuscito.
Almeno fino ad oggi.
E avendo a 53 anni già al suo attivo 7 Grammy Awards, 3 Brit Awards e 4 dischi d’oro.
E diversi dischi di platino e doppio platino.
E il pubblico italiano?
Dopo più di trent’anni non si è ancora naturalmente accorto di nulla.

 

Immagine di copertina
Beck esegue Nobody’s Fault But My Own in uno spettacolo semi-acustico all’Irving Plaza di New York City il 9 novembre 2021. Alle tastiere c’è Roger Joseph Manning Jr. e alla chitarra c’è Smokey Hormel (Wikimedia Commons)

 

Antonio D’Este
Musicista / musicologo

 

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