RIVISTA DI CULTURA MEDITERRANEA

Panni sporchi e scarpe del dì di festa

[Tempo di Lettura: 3 minuti]

di Antonio Costa

C’è stato un tempo in cui, nelle campagne venete, i contadini per andare alla messa della domenica, dismettevano le “sgalmare” di legno usate al lavoro e calzavano le scarpe del dì di festa, mantenute lucide grazie a un prodotto in voga negli anni del dopoguerra, la cera per scarpe FILA. O almeno questo è il racconto che fa un’informazione pubblicitaria leggibile sul sito on line di Nord Est Economia.

FILA, acronimo di Fabbrica Italiana Lucidi e Affini, è il nome di un’azienda fondata nel 1943 a San Martino di Lupari (Pd) dai gemelli Guido e Pietro Pettenon. Un’azienda che nel corso dei decenni si è ampliata e ha raggiunto dimensioni da multinazionale. Ora il suo nome completo è Fila Surface Care Solutions che sancisce la trasformazione da impresa artigianale a multinazionale che offre soluzioni per la detergenza e la protezione delle superfici, tanto quelle domestiche a misura della nostra vita quotidiana quanto quelle futuristiche delle nuove metropoli.

In occasione dell’ottantesimo compleanno che ricorre quest’anno, l’azienda di San Martino di Lupari ha rilanciato il proprio museo d’impresa, secondo una strategia che ha sempre dedicato la massima cura alla documentazione della propria company image. 

Un autentico gioiello nel quale s’imbatte il visitatore del museo è un filmato dal titolo Il re degli Sciuscià, posto al punto d’incrocio tra archeologia industriale e storia del cinema. Lo ha girato nel 1953 Luigi M. Giachino per la Orion Film. 

Nel filmato è ben riconoscibile il luogo delle riprese: siamo davanti alla stazione di Milano. E vediamo all’opera dei lustrascarpe che offrono i loro servigi ai viaggiatori in transito. Il mestiere di lustrascarpe era stato reso famoso da Sciuscià (1946), titolo di un film di De Sica che altro non era che un adattamento alla parlata napoletana dell’inglese shoe-shine (to shine = lucidare e shoes = scarpe). De Sica con quel film aveva conquistato un Oscar per il migliore film straniero. E Giachino nel suo filmato ripropone la figura di un piccolo lustrascarpe che, a differenza del poetico eroe di De Sica, non sogna fughe su un cavallo bianco, ma si dà da fare per sgominare la concorrenza quanto mai agguerrita. E ci riesce perfettamente facendo ricorso al lucido per scarpe prodotto dalla Fila e gelosamente custodito nella cassetta degli attrezzi.

Nonostante il successo internazionale, il film di De Sica aveva suscitato infinite polemiche, come del resto altri capolavori della «scuola italiana della Liberazione», come veniva definito in Francia il neorealismo. In sostanza si rimproverava a De Sica di aver diffuso un’immagine deprimente della realtà italiana e gli si ricordava che «I panni sporchi vanno lavati in famiglia»; frase abitualmente attribuita a Giulio Andreotti, all’epoca giovane sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega allo Spettacolo, il quale però ha sempre negato di averla mai pronunciata. 

In attesa che politici e cineasti si mettessero d’accordo su dove e, magari, quando lavare i panni sporchi, la Fila suggeriva di tenere almeno le scarpe lucide. Può apparire singolare che un’icona del neorealismo, il cinema che rappresentò la situazione di miseria e abbandono in cui versava l’Italia dell’immediato dopoguerra, venga associato ad un brand del decoro perbenista. Ma basterà leggere la motivazione del premio conferito dall’Academy al film di De Sica per cogliere il senso del collegamento: «L’alta qualità di questo film, mostrato con eloquenza in un paese ferito dalla guerra, è la prova per il mondo che lo spirito creativo può trionfare sulle avversità». Il film viene associato al brand del lucido da scarpe non per i suoi contenuti né per la novità del suo stile, ma per le sue proprietà di prodotto di alta qualità che, per quanto realizzato con mezzi di fortuna, si è dimostrato capace di affermarsi sul mercato internazionale. Esattamente come la piccola impresa artigianale di San Martino di Lupari.

Immagine di copertina

Maria Campi, Rinaldo Smordoni e Franco Interlenghi in una scena del film italiano Sciuscià (1946), di Vittorio De Sica (Wikimedia Commons)

Riferimenti
Per visionare Il re degli Sciuscià (Luigi M. Giachino, Orion Film 1953), cliccare qui:

Su Fila e il suo museo d’impresa (Fila Industria Chimica S.P.A. Via Garibaldi, 58, San Martino di Lupari, PD), si veda
https://nordesteconomia.gelocal.it/imprese/2020/12/21/news/il-museo-fila-dalle-scarpe-della-festa-ai-marmi-del-palazzo-presidenziale-di-abu-dhabi-una-storia-di-lucentezza-1.39686974 e inoltre

https://www.padovaoggi.it/eventi/fila-museo-impresa-san-martino-di-lupari-4-dicembre-2020.html

Su neorealismo e società italiana del dopoguerra, si veda:
Stefania Parigi, Neorealismo. Il nuovo cinema del dopoguerra, Marsilio, Venezia 2014.

  • Antonio Costa

    Antonio Costa (Feltre, 1942), saggista e storico del cinema. È stato a lungo collega di Giuliano Scabia all’Università di Bologna dove ha insegnato Storia del cinema e dove ha diretto il Dipartimento di Musica e Spettacolo dal 1995 al 1998. Successivamente è passato all’Università IUAV di Venezia dove ha insegnato Cinema e arti visive presso la Facoltà di Arti e Design. Tra i suoi libri più recenti, La mela di Cézanne e l’accendino di Hitchcock (Einaudi 2014, Premio Efebo d’oro) e Il richiamo dell’ombra (Einaudi 2020) e Il cinema italiano (Il Mulino/Farsi un’idea, 2021).

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