Ogni tempo e ogni luogo hanno una loro specifica e particolare ragione d’essere. Eppure ci sono corrispondenze sull’identità del tempo e dello spazio che possono esprimersi con calendari e segni differenti. Ad esempio, l’anno nel quale viviamo è il 2020 Anno Domini, dopo Cristo, mentre, secondo il computo del calendario islamico è il 1441 dall’emigrazione del messaggero dell’Islam, il profeta Muhammad, in fuga dalle persecuzioni dei suoi stessi familiari delle tribù pagane, dalla città di Makkah all’oasi di Yathrib dove sorgerà la città di Madinah, prima capitale della civiltà islamica che poi svilupperà una sequela di capitali e di califfati a Damasco, Bagdad, Il Cairo fino a Istanbul.
La Mecca o Makkah, a seconda dell’italianizzazione o della traslitterazione del nome arabo della città santa dell’Islam, non è mai stata una capitale di un sistema temporale, bensì è il centro spirituale dove è discesa buona parte della Rivelazione del Sacro Corano (o Qur’an), il luogo di nascita dell’ultimo profeta Muhammad del monoteismo di Abramo, il centro dove convergono le cinque preghiere quotidiane dei musulmani, il luogo di visita e pellegrinaggio dei musulmani, la sede della presenza spirituale e della residenza immanente di Allah.
Da 14 secoli Makkah rappresenta il centro rituale del culto dei musulmani osservanti. Lo spazio rituale (haram) si estende con al centro un tempio al Dio Unico edificato dal profeta Abramo con il suo figlio primogenito Ismaele. Da 14 secoli i pellegrini musulmani salutano e compiono le circoambulazioni di questo tempio ogni giorno dell’anno, un flusso incessante e crescente di visitatori musulmani da tutte le regioni del mondo che, nei primi dieci giorni dell’ultimo mese del calendario islamico (dhu-l-hijjah, il mese del pellegrinaggio), compiono a Makkah e dintorni una serie di riti previsti per il compimento del pellegrinaggio, il quinto pilastro del culto islamico.
Eppure questo flusso di fedeli, quest’anno 2020/1441 è stato interrotto e drasticamente limitato a causa delle disposizioni che il Governo del Regno Saudita ha adottato in linea con l’emergenza sanitaria provocata dalla pandemia. Contrariamente a quanto si potesse immaginare, il governo saudita ha disposto la chiusura dei luoghi di culto, il divieto di accesso al tempio sacro di Makkah, l’annullamento di visti per il pellegrinaggio e, solo in un secondo tempo, ha tollerato che vi fosse una rappresentanza simbolica di pellegrini in buona salute e di origine regionale ridotta da oltre due milioni a poche migliaia di fedeli.
Le considerazioni che desideriamo presentare si pongono su due piani nettamente differenti, il primo di ordine politico-socio-culturale, il secondo di ordine spirituale. Nel primo caso, occorre almeno registrare che a Makkah e in tutto il mondo islamico, il timore di una gestione della crisi per il coronavirus che fosse differente o non allineata alle indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità non si è verificata. Il pregiudizio secondo cui il mondo islamico avrebbe abbandonato l’umanità al castigo della pandemia è stato smentito dai fatti. Altri Paesi, invece, hanno promosso dapprima l’immunità di gregge o hanno minacciato di tagliare i finanziamenti proprio all’OMS pur di mantenere la macchina produttiva a pieno regime e sfruttare la crisi solo per qualche dialettica di propaganda geopolitica contro la Cina.
In generale, possiamo forse affermare che nella maggioranza dei Paesi in Oriente come in Occidente dove la cultura politica mantiene un sano rapporto con la sensibilità religiosa, di qualsiasi identità confessionale, l’urgenza della salute dei cittadini ha prevalso sull’arroganza commerciale e sull’orgoglio nazionale, mettendo, almeno per qualche mese, in seria crisi l’impulso del sovranismo o del populismo antitetico alla natura umana e all’universalità della creazione. Questa interessante “conversione” politica è stata forse possibile alla luce della paura evidente dovuta all’ignoranza sul male della pandemia che non conosce confini. Una “conversione” che, almeno per qualche mese, ha costretto il sistema della società occidentale a frenarsi e rivedere la propria gerarchia di valori. Cosa che neanche le conseguenze catastrofiche dell’inquinamento atmosferico erano riuscite a fare. I richiami sull’abuso della natura e dell’intelligenza a discapito dell’equilibrio e dell’armonia del cosmo si ritrovano già a partire dagli insegnamenti profondi degli antichi maestri cinesi, degli scienziati musulmani, dei teologi ebrei e dei padri della Chiesa.
Sul piano spirituale, Makkah rappresenta un centro attorno e verso il quale trovano il loro orientamento le vite religiose di milioni di musulmani da 14 secoli, quotidianamente. La corrispondenza simbolica di questo rito nella circolazione delle benedizioni è incommensurabile come, per fare un altro esempio, l’arte della cerimonia del tè il cui gusto non si limita al momento della degustazione ma partecipa dell’integralità di tutto il processo spirituale, interiore ed esteriore. L’interruzione, l’alterazione o il ritiro di un solo elemento può provocare un’alienazione spirituale che destabilizza l’equilibrio del credente proprio come questo nuovo virus provoca la sofferenza del respiro, l’eccesso di temperatura, la scomparsa del gusto e la morte fisica.
È quindi sempre più necessario tutelare il fondamento del rito come occasione benedetta di comunicazione spirituale e, in circostanze eccezionali, sostenere la funzione dei sacerdoti e dei contemplativi a rappresentare l’unità della comunità a pregare per la salute interiore dei popoli e per la saggia azione nel tempo e nello spazio delle rispettive responsabilità e famiglie.
Ridurre il flusso di oltre due milioni di pellegrini non è solo una scelta antieconomica per il bilancio nazionale, ma è una decisione che richiama alla priorità dell’economia spirituale e alle proporzioni da aggiornare e adattare tra la necessità di mantenere una ritualità e la facoltà di accogliere e salvaguardare la salute dei cittadini e dei credenti a Makkah e nel mondo. Questa saggezza è la stessa che i maestri musulmani, cristiani ed ebrei ma anche indù, taoisti e buddhisti hanno sempre insegnato ai loro discepoli e studenti e consigliato ai governanti, almeno a coloro che hanno mantenuto una sensibilità per questo ascolto di qualità, nel discernimento tra segni di crisi e simboli di vita tradizionale.
Quest’anno 2020/1441, la grande festa di fine del pellegrinaggio chiamata la “festa del sacrificio” in commemorazione dell’obbedienza del profeta Abramo che, secondo la tradizione islamica, viene elevato alla stazione di pace dell’amico di Dio, questa festa celebrata venerdì 31 luglio ha visto i musulmani festeggiare la continuità miracolosa del rito realizzato da poche migliaia di pellegrini in lenta processione e con distanziamento sociale a Makkah. Sembra quasi che il ritmo rallentato e la distanza di due metri tra un fedele e l’altro potessero essere colmate almeno dall’intenzione di ogni musulmano di chiedere ad Allah il conforto spirituale per superare la crisi interiore ed esteriore e tornare alla propria città e occupazione seguendo una nuova rinascita religiosa.
Sophia Perennis
Poco meno di un secolo fa, nel 1924, il mondo musulmano e l’Occidente hanno assistito alla caduta del califfato come sistema di governo islamico della dinastia ottomana. Lotte di potere interne, provincialismi regionali, la decadenza intellettuale e la mancanza di ascolto e comunicazione tra giuristi, teologi, membri delle confraternite contemplative e le nuove generazioni di fedeli musulmani sembravano lasciare il posto alla demogogia di nuove soluzioni quali indipendenza, secolarizzazione e democrazia. Questi concetti che in Occidente sono stati il frutto di un complesso processo di sviluppo filosofico, sociale e politico sembravano costituire una soluzione “universale” alla crisi dell’Oriente. Così non è stato e gli stessi orientali hanno dovuto ammettere, chi più, chi meno, che le vecchie crisi non sono mai state risolte semplicemente perché non sono mai state affrontate nell’animo umano con intelligenza e onestà e coraggio o timore di Dio.
Con intelligenza, onestà, coraggio e fede alcune maestranze cristiane seppero costruire nell’arco di due secoli una magnifica cattedrale dedicata a Sophia, alla santità della sapienza di Dio. Questa cattedrale sarebbe diventata la sede del patriarcato cristiano ortodosso a Costantinopoli per quasi mille anni ospitando cerimonie di incoronazione di imperatori bizantini per secoli. Dopo questo primo millennio di vita, la giurisdizione politica dove questa cattedrale si trova ha cambiato amministrazione passando sotto la conduzione dell’impero musulmano intorno al 1453.
Per secoli, la guerra e la conquista territoriale sembravano essere le forme e i simboli più diffusi per pretendere la legittimità della propria forza contro l’altro. Per secoli si sono combattuti mongoli, bizantini, persiani, crociati o arabi, tutti al servizio di un potere che avrebbe dovuto prevalere come autorità esclusiva, con la forza della sottomissione militare. Un ideale di globalizzazione caratterizzava gli avidi consiglieri dei vari imperatori nei loro complotti sulle successioni dinastiche, nei loro intrighi di vanagloria commerciale e nelle loro distrazioni di intrattenimento etnico-culturale. La religione o l’arte o la scienza sono così spesso stati corrotti da questi interessi di suggestione e di lottizzazione di poteri personali dove l’orgoglio del conquistatore di turno si affermava nella edificazione o nella distruzione di un tempio o di una icona.
I maestri musulmani ricordano il rispetto che il profeta Muhammad ha mostrato verso l’immagine della vergine Maria e come il Corano inviti al rispetto della libertà religiosa per ebrei e cristiani menzionando espressamente i monasteri abitati da credenti che praticano con sincerità l’invocazione al Signore, Misericordioso. Lo stesso califfo ben guidato Umar nel suo ingresso a Gerusalemme rifiutò di pregare in una chiesa per evitare che i suoi compagni la trasformassero in un luogo di culto islamico. Infatti, se Dio è Uno e lo Stesso per i credenti, le ritualità e i luoghi di culto devono corrispondere al linguaggio e alla grammatica della specifica dottrina e comunità e non possono essere oggetto di sincretismo e tantomeno di conversione o cambio di destinazione d’uso.
Pretesti o alibi legati alle testimonianze di come alcuni spazi e persino alcuni vescovi o ministri di culto, di varie confessioni religiose, si siano prestati a promesse o indulgenze, incoronazioni o maledizioni contro l’avversario inteso non più come il demonio, il vero nemico di tutti, ma come il nemico oltre il confine, non possono giustificare ritorsioni o vendette che con il sentimento religioso islamico, cristiano o ebraico non trovano alcun fondamento.
Per i discepoli e i discendenti degli antichi maestri ebrei, cristiani e musulmani sarebbe comprensibile identificare l’odio come sfogo di un’anima che ha perso la fede e che cerca nella prevaricazione la legittimità della propria ignoranza. Gli eredi di quei maestri musulmani non esiterebbero a consigliare i governanti a rispettare la storia, l’arte e le corrispondenze simboliche e rituali specifiche di ogni spazio e di ogni tempo preservando la politica da strumentalizzazioni identitarie anacronistiche e il popolo da sentimenti di lealtà idolatrica. Immagino che questi discepoli dei maestri antichi non avrebbero mai barattato un tempio ispirato alla Santità della Conoscenza per un museo.
È imbarazzante la trasformazione di Hagia Sophia in una nuova moschea da parte del Presidente della Repubblica della Turchia del 2020/1441, soprattutto quando, a pochi metri, sorge la magnifica Jami Sultan Ahmet, la moschea blu. In questa moschea, così come nelle altre bellissime moschee di Istanbul, le visite dei turisti si alternano ai cinque momenti di preghiera che i musulmani compiono quotidianamente. Il Sultano Sulayman “il magnifico” e l’architetto turco Sinan collaborarono nella ricerca della “sophia” della bellezza traendo beneficio da scambi interculturali e interreligiosi con l’arte del Rinascimento in Veneto.
Ci sembra che se il Governatore di Istanbul avesse veramente voluto dare una testimonianza universale di sensibilità per la Sophia per come la insegnano persino i maestri musulmani da secoli avrebbe potuto concedere a questa cattedrale di “rinascere” per come era stata edificata in origine dalle maestranze cristiane, riconoscendo e rispettando la loro nobile intenzione che è il reale fondamento di quello spazio rituale e di un simbolo di arte sacra tuttora attuale soprattutto per i cittadini cristiani ortodossi che vivono e che visitano Istanbul per adorare il Signore Misericordioso. La Sultan Ahmet Jami è orientata verso Makkah, mentre la cattedrale Hagia Sophia è orientata verso Gerusalemme. Istanbul avrebbe l’opportunità di ospitare e rispettare questi due orizzonti e rappresentare un simbolo di dialogo e fratellanza verso la santità della Conoscenza.
Srebrenica
L’anno 2020 non è soltanto l’anno della pandemia, ma è il 25° anniversario del genocidio di Srebrenica. Oltre 8.000 musulmani bosniaci sono stati uccisi in modo premeditato, organizzato e orrendo nella incredulità e ignoranza, indifferenza e complicità, internazionale e istituzionale.
Alle famiglie dell’Islam Europeo che nei Balcani ancora vivono per costruire la rinascita delle radici interculturali e interreligiose del popolo bosniaco, questo articolo vuole esprimere la vicinanza e la solidarietà fraterna con l’augurio per una grande festa del sacrificio, eid al-adha 1441, che porti salute dalla pandemia e sollievo dalla propaganda dell’odio e dal boicottaggio della guerriglia politica che cavilla e calunnia sui dettagli storici per mitigare colpe ed errori evidenti, di metodo e di sostanza.
Come per la propaganda di odio antisemita, così il negazionismo del genocidio dei musulmani bosniaci da parte di alcune lobby sembra trovare un tacito compromesso con alcuni ingenui colleghi dell’Europa Occidentale. Un Islam Europeo nel centro dei Balcani o nella regione dei tatari che abbia saputo concorrere storicamente allo sviluppo dell’identità occidentale sul piano della formazione alla cittadinanza e sul piano del dibattito filosofico sui valori universali entrando in dialogo con il cristianesimo ortodosso con il quale condivide una simile sensibilità per la dottrina del sacro, per la liturgia e per la ritualità, per il quadro della famiglia, ha dovuto, proprio come la comunità ebraica europea, essere oggetto di una incredibile persecuzione di massa e pulizia etnico-religiosa da parte di una setta oltranzista che ha saputo influenzare vescovi e governatori prima di ingannare le Istituzioni occidentali e ritardare l’intervento delle Nazioni Unite a Srebrenica.
Oggi, come 25 anni fa, un aggettivo significativo di questo genocidio è “incredibile”. Infatti, ora come allora, la mentalità occidentale non riesce a “credere” che una tale operazione abbia potuto compiersi, senza alcuna ragione, in modo scientifico e orribile. Eppure 50 anni prima, sempre in Europa, leggi razziali e campi di concentramento avevano “permesso” e “ospitato” un olocausto dalle proporzioni maggiori e su una estensione di territorio che andava dalla Polonia all’Italia e che è durato oltre un decennio in Germania.
Un caro amico e collega rabbino olandese mi ha scritto per invitarmi a organizzare una delegazione europea di ebrei e musulmani che possano andare insieme a Sarajevo per rendere onore ai defunti a Srebrenica. Tra le motivazioni personali che mi ha voluto confidare c’era la consapevolezza del fallimento del battaglione delle Nazioni Unite coordinato proprio dai comandanti olandesi nell’opera di prevenzione assegnata, permettendo, di conseguenza, l’occupazione e il massacro dei musulmani bosniaci da parte dei guerriglieri del generale Mladic.
Analisi burocratiche e battaglie giuridiche si sono susseguite per cercare di chiarire i fatti nella loro oggettività, ma con scarsi risultati. Prevale una sofisticata capacità di manipolare la comunicazione e l’interpretazione e manca una seria intenzione di comprensione e di pentimento e di perdono e di riconciliazione. Pretendere la simmetria del comportamento onesto quando continua dopo 25 anni il gioco del moralismo contro quello del nazionalismo è distante dai nostri interessi.
Per riprendere l’invito dell’amico rabbino olandese, possiamo almeno prendere atto che alcune barbarie di degenerazione del comportamento umano che partecipano di odio e violenza partono dalla falsità ad un livello tale che le Istituzioni preposte per la prevenzione, la giustizia e la pace, il coordinamento nelle comunicazioni militari e le forze dell’ordine e di controllo vengano tutti raggirati e suggestionati in un immobilismo che si manifesta nella totale assenza di azione.
E tutto questo perché mentre sta succedendo non si riesce a credere che possa succedere, non si riesce a credere che l’uomo possa compiere una tale operazione contro la Giustizia e contro la Verità. Non si riesce a credere che un uomo possa nominare il Dio dei serbi ed essere fuori dalla Sua grazia, proprio come Caino contro Abele o i demoni contro Abramo o Faraone contro Mosè o Pilato contro Gesù o i fratelli contro Giuseppe o le genti contro Giobbe o il gigante contro Davide o il popolo contro Aronne o i familiari idolatri e politeisti e ipocriti contro Muhammad.
Non si riesce a credere che si possano scatenare forze sottili che si oppongono alla vera fede e alla profezia e che operino per la destabilizzazione del quadro tradizionale e dell’unità delle comunità nel rispetto delle specifiche identità di forma e funzione provvidenziale. E non si riesce a credere che si debba, senza eroismi o idealismi o missioni di buonismo o di giustizialismo, reagire alla passività complice per sostenere il quadro naturale della religione rispetto all’anarchia del caos quando quest’ultima si traveste da rivoluzionari e puritani.
Lo sforzo spirituale della jihad al-akbar, il combattimento del cuore
Ma se è più facile credere a tutto eccetto che alla Verità, come possiamo aiutarci a ricercare il Bene Comune?
Forse la “conversione” dovuta alla pandemia ci ha fatto scoprire che il “combattimento” vero non è quello della società dei consumi: combattere per arrivare, combattere per ottenere, scatenando così solo ambizione, opportunismo, possesso e avarizia, oppure, al contrario, falsa modestia, vittimismo, miseria intellettuale e volontariato sentimentale. Il vero combattimento è quello che eleva i limiti umani verso la dignità dello spirito e la nobiltà dell’animo.
Makkah, Istanbul, Srebrenica sono città con identità particolari che in quest’anno di crisi ed emergenza da pandemia possono forse rappresentare una meditazione per una rinascita culturale, una responsabilità storica e civile e una testimonianza spirituale. Senza perdersi nelle analisi sulle corrispondenze che restano diverse per ogni persona, si tratta di cercare e scoprire insieme la fede e il coraggio di affrontare il male per riconoscere i segni del bene nei tempi e nello spazio che la vita ci concede di vedere durante il nostro pellegrinaggio verso la Santa Sofia.
Milano, 2020/1441
Imam Yahya Pallavicini
Dichiarazione di Istanbul, 15 febbraio 2010: il nostro impegno per la giustizia,
l’uguaglianza e la condivisione
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Yahya Sergio Yahe Pallavicini è Presidente della Comunità Religiosa Islamica Italiana (CO.RE.IS) e Imam della Moschea al-Wahid di Milano.
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