In occasione dei novant’anni di Sylvano Bussotti (Firenze 1931), compositore, regista, scenografo, costumista, poeta fra i più innovativi e geniali della scena artistica contemporanea, il musicologo Renzo Cresti, fra i più autorevoli militanti della musicologia contemporanea, ha dato alle stampe un ricercato volume cartografico per conto dell’Editore Maschietto di Firenze. Il volume che rifugge il taglio celebrativo di circostanza, ma che rappresenta una lucida indagine compositiva e di pensiero del multiforme e complesso fenomeno Bussotti, ha trovato una sua prima presentazione nella prestigiosa cornice del Festival Pucciniano di Torre del Lago nelle scorse settimane, mentre Firenze, la città natale del compositore, ospiterà una prossima iniziativa di presentazione nell’ambito del Maggio Musicale Fiorentino il prossimo 25 settembre.
Sylvano Bussotti, oltre l’opera aperta
di Renzo Cresti
L’opera aperta di Bussotti
rende di fatto obbligatoria
l’interpretazione.
(I. Stoianova, Elogio all’apertura)
A me stesso frequentemente capita
di scoprire cose inaspettate.
(S. Bussotti, Da una conversazione con Bortolotto)
I fatti non esistono isolatamente,
nel senso che il tessuto della storia
è quello che chiameremmo un intreccio,
una mescolanza molto umana e poco scientifica,
di cause materiali, di fini e casualità.
(P. Veyne, Comment on écrit l’histoire)
Sentire il corpo stesso
come modello ancestrale
per tutte le arti.
(S. Bussotti, Disordine alfabetico)
Bussotti dilata il concetto di ‘opera aperta’,1 con una sorprendente operazione inclusiva di tutto ciò che va oltre la scrittura tradizionale: la grafia di sua invenzione, la gestualità, la danza, la performance, lo spettacolo sperimentale e il teatro vero e proprio, la scenografia e le luci, la costumistica etc., ciò che lui chiama extra, al fine di “scoprire cose inaspettate”. La forma dell’opera diventa un campo di possibilità, un intreccio “molto umano”2 fra la volontà del compositore, quella dell’interprete e l’intervento del caso, voluto e cercato, in quanto portatore di vita, di ciò che precipita nell’esistenza e nell’opera.
La grafia, sia quella più personale e sperimentale degli anni Cinquanta e Sessanta, sia quella che recupera un parziale ricorso al pentagramma, senza peraltro lasciar perdere i grafismi precedenti, rimanda costantemente al gesto, a volte anche non direttamente dipendente dalla musica, e sottintende, anche nelle opere strumentali, una drammaturgia che via via diverrà esplicita nella messa in scena della danza, con tutti i suoi costumi, e della performance teatrale, con i molteplici riferimenti letterari. Si crea così quell’intreccio “poco scientifico” fra le varie arti, una trama visionaria che va seguita prima nei particolari e poi nella sua totalità, oppure, al contrario, un labirinto di suoni e immagini che va percorso interamente per scoprirne le esclusive e minute caratteristiche. Bussotti ha trovato in sé stesso ancor prima che nella sua arte l’equilibrio perfetto su come e quanto le arti possono convivere, questo gli ha permesso di abitare la creatività in modo totale.
L’estetica in Bussotti si tramuta in una poetica dell’esistenza ignuda e come tale disponibile ad accogliere le vesti del caso, che altro non sono che l’(ac)cadere della vita, un palesarsi di quel segreto e fatalità che l’opera d’arte reca in dono all’artista, il quale è tale in ragione dell’opera. «Possiamo caratterizzare il fare artistico come un lasciar-venir-fuori-qualcosa».3
Il divenire-opera dell’opera si realizza grazie a un’invenzione di una grafia che si lascia guidare dal divenire stesso. Seguire ciò che nello scrivere si profila è determinante a comprendere in che maniera la pagina si faccia subito gesto e la gestualità porti naturalmente alla danza e al teatro.
Al di là della sapienza grafica, appresa nella ‘bottega rinascimentale’ dello zio Tono Zancanaro4 e dal fratello Renzo, dell’indiscutibile talento musicale e di quello drammaturgico, ciò che è eccezionale in Bussotti è il suo intuito, il possedere un sesto senso naturale che gli permette di unire arti differenti, riuscendo sempre a realizzare una forma sferica, dinamica e vitale, omogenea seppur eccentrica. Intuizione e grafia fan tutt’uno, Bussotti non fa mai brutte copie. Il gesto diventa segno e il segno ridiventa gesto, questo passaggio a doppia freccia è direttamente mostrato in bella ed è subito versione definitiva. Conclusiva nella scrittura ma provvisoria in quanto sempre aperta a nuove interpretazioni. È un’eccezione fra i suoi colleghi compositori europei perché, prima di loro, intuisce l’opera aperta, la musica grafica e gestuale, la stratificazione degli elementi che sfocia in una narratività a più livelli, decantando la storia della musica e della cultura e trasfigurandola in un fenomenale work in progress che va sotto il nome di BUSSOTTIOPERABALLET, una sorta di mega composizione che prende vita dall’aggregazione di altre composizioni che vanno a formare un insieme, dove ripetizioni e differenze segnano una cifra stilistica unica, con un segno libertino.
Il corpo, la carne e i sensi rappresentano la fenomenologia artistica. Tutto questo va interpretato, in primis dallo stesso Bussotti, il quale non può sapere perfettamente come la sua opera suonerà, perché a ogni interpretazione vi saranno sempre delle differenze. Il ruolo dell’esecutore è fondamentale, tanto da assumere spesso quello di co-autore. Anche per questo Bussotti, in prima persona, si rende interprete delle sue opere sotto forma di pianista, regista, attore, lettore, costumista e scenografo.
L’esegesi musicologica non può che appoggiarsi sull’ermeneutica, assumendo delle prospettive variabili di spiegazione dei numerosi e sfaccettati aspetti che compongono l’opera bussottiana. Il senso verrà fuori da tutti i commenti che andranno a costituire integralmente l’essenza dell’opera.
Il senso del testo è legato ai commentari.
Lo scrivere di musica è sempre uno scrivere attorno a, occorre fare esperienza del suono perché un conto è procurarsi nozioni e descrivere la musica e ben altro è farne pratica. Bussotti si lascia guidare dalla consuetudine col suono, la quale nel farsi conduce sempre più al cuore dell’opera. Esperienza che è esercizio mentale e manuale ma che soprattutto deflagra nell’evento sonoro, che prorompe con tutta la sua energia esplosiva. Occorre dimorare nel suono, solo abitandolo capiamo l’origine del suo manifestarsi e il suo eclissarsi nel silenzio che non è uno sparire ma un modo per rendere vivo il silenzio e tornare alla genesi, una nascita che è gesto. Un grande compositore come Bussotti vive il gesto/suono come una vocazione, come un’ossessione che sempre lo chiama a sé. Se non si risponde a questa chiamata si tradisce l’opera. Solo accettando l’assillo e il felice tormento del richiamo si è ispirati da esso e si può dar luogo al gesto creativo.
Bisogna essere predisposti ad abitare l’opera, Bussotti è stato eletto a questo fin dalla sua nascita e il maestro ne è orgogliosamente consapevole, tanto da creare una mitologia della sua infanzia. Fondamentale è l’esperienza dell’abitare, che ti permette di conoscere ogni aspetto dell’opera. È anche la sola che consente la testimonianza, la quale è solo diretta, l’unica a rendere atto e che fa fede di verità. Formidabile è la metafora che Heidegger espone nello scritto dal titolo esplicito di Sentieri interrotti: chi può collegare vie che sembrano portare da nessuna parte se non chi conosce bene quei sentieri? E chi ne individua subito le tracce enigmatiche se non chi ha abitato ed abita quei percorsi?5
La pagina grafica di Bussotti è un sentiero interrotto, con i suoi dimezzati pentagrammi, con note accennate e notine (s)fuggenti, con ‘note ballerine’ e a ‘zampa di ragno’,6 con (di)segni allusivi e frasi enigmatiche; cenni e schizzi che rimandano al concetto di frammento espresso da Theodor W. Adorno. Chi può collegare questi frammenti dando loro un senso globale complessivo se non chi è entrato ed è stato ammesso ai loro segreti? L’opera di Bussotti è rituale e quindi è un po’ misteriosa e un po’ per iniziati.
Un atteggiamento esperienziale, intuitivo ed empirico, è necessario assai più di quello cerebrale e formalistico che porta a una mera mappatura, ma la mappa è cosa ben diversa dal vivo territorio. La mappa è statica e definita, mentre il territorio è in movimento e quindi discontinuo.
Si deve mettere in risalto quanto la creatività sia debitrice della vitalità, ossia quanto l’opera stessa, con il suo accadere nell’operare di Bussotti, lo condizioni; quindi è lecito parlare di genialità dell’opera più che di genialità dell’artista. Fermo restando che le due genialità si devono inevitabilmente sovrapporre e che per metabolizzare l’accadere bisogna avere una predisposizione al lasciarsi andare, all’accoglienza dei casi della vita, mente aperta e cuore generoso. Si chiede Bussotti: «Cos’è la ‘genialità’? Un dono divino, una grazia, una condanna? Una forza che avvince e logora, illumina? […] Questa genialità, donata a santi, a demoni. […] Uomini grandi».7
Stabilire cosa sia l’opera d’arte è fondamentale per capire quanto e come Bussotti abbia ampliato lo statuto della musica novecentesca, il concetto di arte e le sue prassi. Allargamento della carta costituzionale di ogni arte, non solo della musica e della sua grafia, ma anche della drammaturgia e della danza e del loro rapporto con gli extra. Uscire dalla banalità del comune intendere l’arte è necessario per capire l’importanza di ciò che Bussotti ha realizzato e in qual misura egli abbia anticipato i musicisti suoi coetanei e in che modo si possa collocare la sua figura all’interno dello svolgersi della storia della composizione e dell’interpretazione del secondo Novecento. Ma anche all’interno della storia dell’arte figurativa, della scenografia e costumistica, della regia teatrale, della coreografia assieme a Rocco Quaglia e perfino della letteratura di stampo autobiografico e polemistico.8
Note
1. Cfr. UMBERTO ECO, Opera aperta, Bompiani, Milano 1962. Le riflessioni di Eco non sono premonitrici ma a posteriori, il libro esce qualche anno dopo le esperienze ‘aperte’ di Stockhausen, Boulez, Pousseur e ovviamente di Bussotti.
2. Facendo riferimento all’epigrafe, PAUL VEYNE, Comment on écrit l’histoire, Seuil, Paris 1971, pag. 46. In qualche modo l’arte è sempre un pensiero sulla forma, la quale però deve mostrare pienezza di contenuti tanto da non poter distinguere l’aspetto formale da quello contenutistico, qualcosa di simile a quello che Göthe intendeva per Lebendige Form.
3. «Il divenir-opera dell’opera è una maniera del divenire e dello storicizzarsi della verità. […] Attingere all’interno del rapporto col non-esser-nascosto. […] Quasi che la verità fosse una pura disascosità disfattasi di ogni nascosto», in MARTIN HEIDEGGER, Sentieri interrotti, Milano 1994, pp. 45, 47. L’artista che «Produce l’aprimento», il «Traente fuori», riceve il dono di un progettare che è la «Liberazione di un gettamento. […] Il dire progettante è Poesia, la quale è la saga del non-essere-nascosto. […] Racchiude in sé la pienezza del prodigioso e perciò lotta contro l’ordinario», pp. 57, 60. Ancora Heidegger, In cammino verso il linguaggio, Mursia, Milano 1993, pag. 200: «Quale che sia il modo con cui ascoltiamo, ogni qual volta ascoltiamo qualcosa, sempre l’ascoltatore è quel lasciarsi dire che già racchiude ogni percepire e rappresentare», pag. 200.
4. SYLVANO BUSSOTTI, I miei teatri, un profilo autocritico, in «Civiltà musicale», anno 4, n. 2, giugno 1990, pag. 42: «Sotto l’influenza naturale di mio fratello Renzo, maggiore di sei anni, e dello zio Tono Zancanaro. […] Una sorta di bottega familiare, questa sì, rinascimentale, con prevalenza netta del disegno sul colore, ma senza escluderlo affatto, giungendo nell’ultimo ventennio a concentrare su tecniche di collage una vasta produzione che però è rimasta fino a oggi rigorosamente privata». Cfr. SYLVANO BUSSOTTI, La pittura di Renzo, in Renzo Bussotti, Humanitas, Padova, settembre 2002. Idem, Ritorno a Tono e Una nota per Tono incisore, ne I miei teatri, cit. Idem, Disordine alfabetico, Spirali, Milano 2002, pp. 103, 104: «Va detto come mio fratello Renzo ed io insieme a Tono Zancanaro – zio materno – non solo, ma così come il padre, poi la madre, e tutto un tessuto intimo familiare, praticavamo fanciulli qualcosa di antistorico, di tanto antiquato come un artigianato di bottega». Inoltre, http://www.tonozancanaro.it Le figure dello zio e del fratello furono decisive non solo per l’apprendimento dell’arte grafica e pittorica ma anche dal punto di vista esistenziale.
5. MARTIN HEIDEGGER, Sentieri interrotti, cit., in epigrafe: «Holz è un antico nome che designa la foresta. Nello Holz vi sono dei Wege, dei sentieri, che, il più delle volte, finiscono improvvisamente, coperti di erbe, in cammini non battuti. Sono Holzwege. […] Legnaioli e guardaboschi conoscono questi sentieri» ossia coloro che abitano la zona e solo coloro che vi dimorano sono in grado di addentrarvisi e procedere senza perdersi, così come chi vuole interpretare l’opera di Bussotti deve in essa albergare.
6. ‘Note ballerine’ le definisce Luigi Esposito riferendosi al raggruppamento di due o più note in un unico gambo, mentre ‘zampe di ragno’ fu una definizione di Cesare Brandi quando vide una disposizione di due note su un gambo che assomigliava a una Y.
7. SYLVANO BUSSOTTI, Genialità, in Un male incontenibile, cit., pag. 13.
8. Testo tratto dal capitolo introduttivo del libro di Renzo Cresti, Sylvano Bussotti e l’opera geniale, Maschietto editore, Firenze 2021 www.maschiettoeditore.com
Renzo Cresti, Sylvano Bussotti e l’opera geniale
di Maurizio Arena
Il libro è pubblicato in occasione del novantesimo compleanno (1° ottobre 2021) di Sylvano Bussotti, una delle figure più interessanti del panorama musicale e artistico contemporaneo. Compositore e interprete, pittore, scenografo, costumista, scrittore, regista, attore, mobilissimo nella sua vicenda umana e artistica, Sylvano Bussotti dà vita a uno strepitoso “dialogo tra le arti” nel segno della libertà e dell’eros. Renzo Cresti individua nell’infanzia fiorentina del piccolo Silvano e nel suo rapporto con lo zio Tono Zancanaro e il fratello Renzo, entrambi pittori, i semi che lo porteranno, grazie agli incontri con personaggi come Alberto Arbasino, Aldo Braibanti, John Cage e Carmelo Bene, Umberto Eco e Pier Paolo Pasolini, a diventare il Sylvano conosciuto in tutto il mondo. Oltre a un’iconografia familiare e artistica, coreografica, teatrale e musicale, il libro contiene una selezione delle partiture di Bussotti, vere e proprie opere d’arte, nelle quali la tradizionale notazione si alterna a un’esperienza pittografica, che rende l’esecuzione aleatoria e ogni volta diversa, tanto che gli interpreti si trasformano, assumendo il ruolo di co-autori.
Arricchiscono il volume uno scritto autografo inedito di Sylvano Bussotti sull’ideazione di Bussottioperaballett, sigla che raccoglie tutta una serie di partiture e che diventa anche Casa editrice e Festival a Genazzano. Inoltre, un’intervista a Rocco Quaglia, coreografo e ballerino, compagno e collaboratore di Sylvano dagli anni ’70 a oggi. Infine, un CD con brani di Sylvano Bussotti interpretati dalla cantante Monica Benvenuti e da Francesco Giomi, musicista elettronico e Direttore dello Studio Tempo Reale di Firenze, fondato da Luciano Berio nel 1986.
Libro bellissimo sia nella sua parte grafica sia nel testo di Renzo Cresti, forse il maggiore studioso della musica dei nostri giorni; non a caso gli è stata consegnata la tessera di Socio Onorario da parte della Società Italiana di Musica Contemporanea (la più antica e prestigiosa associazione fondata da Casella negli anni Venti del secolo scorso). Inoltre, per il suo impegno per la diffusione e approfondimento della musica di oggi gli è stato assegnato il Premio ASOLAPO, sotto l’egida dell’UNESCO. Cresti nel suo testo ci fa capire come Bussotti abbia allargato il concetto stesso di scrivere e fare musica e ci illustra un percorso artistico straordinario mettendolo in relazione ai movimenti artistici del secondo Novecento.
La prima presentazione si è svolta al Pucciniano di Torre del Lago con interventi di Giorgio Battistelli e Rocco Quaglia, inoltre, Paolo Carlini al fagotto che ha suonato due brani di Bussotti e Mauro Corbani, pittore allievo di Tono Zancanaro, che ha realizzato estemporaneamente un disegno in omaggio a Sylvano e Renzo Bussotti. Pubblico numerosissimo. La presentazione successiva sarà al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino il 25 settembre, ore 17.
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Renzo Cresti già Direttore e Docente di Storia della Musica presso l’ISSM Boccherini di Lucca. Come musicologo ha scritto o curato oltre 40 libri, molti dei quali dedicati alla musica del Novecento e ai compositori contemporanei. Suoi testi sono stati tradotti in inglese, tedesco, francese, portoghese, spagnolo e giapponese. Ha scritto e scrive su numerose riviste, di cui è stato anche Direttore. È stato Consulente artistico del teatro del Giglio di Lucca, ideando, fra l’altro, Anfiteatro jazz. Attivo conferenziere, è direttore artistico o consulente musicale di Associazioni, Rassegne e Orchestre (è stato Direttore artistico del progetto della Comunità europea Sonata di Mare). Ha scritto l’imponente monografia wagneriana, Richard Wagner, la poetica del puro umano (Libreria Musicale italiana, Lucca, seconda edizione 2016), pubblicata contemporaneamente anche in edizione inglese. Per la LIM ha pubblicato anche Ragioni e sentimenti nelle musiche europee dall’inizio del Novecento a oggi (seconda ed. 2017) e il volume sulla musica degli ultimi anni, Musica presente, tendenze e compositori, (seconda ed. 2021); nello stesso anno ha ricevuto il Premio ASOLAPO Italia, sotto l’egida dell’UNESCO, per il suo impegno nell’ambito della musica odierna. Per la stessa ragione la SIMC, Società Italiana per la Musica Contemporanea, gli ha consegnato la tessera di Socio Onorario. Con lo stesso titolo Musica Presente Records dirige la Collana di incisioni musicali, presenti sulle maggiori piattaforme on line di tutto il mondo. Il suo ultimo libro è la monografia su Sylvano Bussotti e l’opera geniale, Maschietto editore, Firenze 2021. Il suo sito web è www.renzocresti.com
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Maurizio Arena, clarinettista, è stato allievo di Camillo Togni per la composizione. Svolge attività di strumentista ed esordisce come autore nella seconda metà degli anni Ottanta con un pezzo rigoroso Flow(ers). Nel decennio successivo scrive diverse composizioni, fra cui Promenade, e alcune trascrizioni. A Budapest studia il Metodo Kodály e diviene Presidente dell’Associazione Italiana Kodály. Recentemente si dedica soprattutto alla didattica.
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