RIVISTA DI CULTURA MEDITERRANEA

SERRA SAN BRUNO – OMAGGIO A SILVANO ONDA, ARTISTA, DOCENTE E STORICO DELL’ARTE

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SILVANO ONDA, VISSI D’ARTE
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alla nostra Redazione

Dal 12 al 19 agosto 2017 il comune di Serra San Bruno, luogo di particolare valenza storica della Sila per la presenza della monumentale Certosa del XI° sec., ha celebrato con una mostra antologica Silvano Onda (Serra San Bruno 1949 – Venezia 2010), artista (pittore dedito negli anni ottanta a riconosciute ricerche sperimentali di videoarte) e storico dell’arte e del paesaggio di origine serrese, formatosi a Roma e che ha operato per gran parte della vita professionale a Venezia, come artista, storico e docente per l’intera sua carriera presso il Liceo “G.B. Benedetti”.

Il legame tra Silvano Onda e il suo luogo calabrese di origine è andato oltre il vincolo anagrafico ed emotivo, poiché, oltre che come artista, ha dedicato molti dei suoi studi al patrimonio artistico presente nella Certosa e in diverse chiese del circondario, ma anche perché nel 1975, da poco diplomato presso l’Accademia di Belle Arti di Roma, assieme ad altri due giovani artisti serresi, Salvatore Dominelli e Antonio Amato – in un momento particolarmente critico per le vocazioni dell’Ordine certosino che stava costringendo la casa madre all’estrema decisione di chiudere la storica Certosa calabrese – occuparono simbolicamente il luogo con una tenda, iniziando uno sciopero della fame che portò ad una piena presa di coscienza dell’imminente perdita per il territorio, così da indurre le gerarchie dell’Ordine a mantenere, anche se con solo due frati, l’apertura della Certosa, che da allora ha vissuto un graduale processo di rinascita e restauro.
Altro legame suggestivo con il celebre monumento, per quanto misteriosa possa sembrare la testimonianza diretta e documentata (che pubblichiamo) dell’incontro di Onda nel 1970 con uno strano personaggio, frate Antonio, una testimonianza che darebbe forti indizi alla tesi sostenuta da Leonardo Sciascia nel suo celebre testo La scomparsa di Majorana del 1975, nel quale, ribaltando tutte le teorie e congetture di suicidio sulla misteriosa scomparsa del grande fisico catanese nel 1938, si ipotizza con fondate considerazioni, il suo ritiro proprio fra le mura della Certosa di Serra San Bruno.

Certosa di Serra San Bruno (Vibo Valentia – Calabria)

Ultimo intreccio ancora, in ordine di tempo, con il celebre monumento monastico certosino, nell’estate del 2009, con una suggestiva per quanto possa apparire stravagante, intuizione di Silvano Onda storico, sul richiamo ad un possibile disegno di Leonardo preso a modello dai costruttori dei resti della facciata dell’antica chiesa della Certosa di S. Stefano in Bosco. Una intuizione ad alta probabilità documentale come confermò il prof. Carlo Pedretti, fra i maggiori studiosi del vinciano, che se confermata storiograficamente, rappresenterebbe un primo significativo rimando a Leonardo da Vinci in area meridionale, una ipotesi ampiamente descritta e documentata nel catalogo Leonardo da Vinci L’uomo universale (Ed. Giunti 2013) di Annalisa Perissa Torrini, curatrice del Gabinetto scientifico dei disegni di Leonardo presso le Gallerie dell’Accademia di Venezia. E proprio a Venezia il lavoro di storico di Silvano Onda ha lasciato un prezioso e corposo contributo con la realizzazione di una guida e di un volume di ampia trattazione sulla Chiesa di San Francesco della Vigna e sul ruolo di frate Francesco Zorzi (autore cinquecentesco del celebre De harmonia mundi totius cantica tria) nella sua concezione neopitagorica dell’architettura del monumento.

La mostra di Serra San Bruno, fortemente voluta da Fiorella Carchidi Onda e Silvia Onda, moglie e figlia dell’artista, sostenute dalla collaborazione di Raffaele Macrì, è stata ospitata presso il Palazzo Chimirri nel centro storico del paese ed è stata promossa dal Comune, dalla Pro Loco e da una rete di associazioni locali nell’ambito di un ricco programma estivo di iniziative culturali nel territorio “SerreinFestival”. All’apertura della mostra sono intervenuti alcuni artisti e critici che hanno condiviso con Silvano Onda esperienze e ricerche comuni, da Tonino Sicoli (critico d’arte e direttore del MAON Museo di Rende, CS) a Silvio Cattani (artista, Direttore Accademia Spoleto e Moderatore ), Nicola Cisternino (compositore, Accademia di Belle Arti di Venezia), Anna Lorenzetti (Storica dell’Arte), Maurizio Onda (docente ). Franco Pivetti (direttore della CasArtisti di Canale di Tenno, TN) e Salvatore Dominelli (artista, Accademia di Belle Arti di Roma) sono intervenuti con testimonianze video. Il giovane sindaco Luigi Tassone ha raccolto e si è impegnato a promuovere l’intestazione di una via o piazza all’artista e lo studio per la realizzabilità di una Casa degli artisti “Silvano Onda” nell’altopiano della Sila, sul modello di CasArtisti di Tenno sul Garda. Il miglior lascito ereditario in questo difficile ed orgoglioso territorio calabro di una vita, quella di Silvano Onda, dedicata all’avventura intellettuale e umana dell’arte ad ampio spettro.

SILVANO ONDA A SERRA SAN BRUNO
di Anna Lorenzetti

Come noi altri amici. Tutti a raggiungere questo paese di montagna sulla Serra tra la Sila e l’Aspromonte. Il luogo natale di Silvano Onda, un artista eclettico, curioso e schivo, un amico che ci ha lasciato una grande eredità di ricerca indefessa ed un grande esempio morale.

Innamorato della vita, pittore e disegnatore abilissimo volto a tutte le tecniche classiche, era tanto accondiscendente con il prossimo quanto rigoroso con sé stesso. Non si perdonava quelli che intendeva come errori di gioventù, fino a ricoprire di biacca olii bellissimi, complicati ed astrusi come lui sapeva concepire. Non si è mai voluto dire malato fino a quel Febbraio di freddo del 2010, quando la “nera Signora” lo ha portato via, lasciando nell’acuto rimpianto noi amici e nel profondo dolore Fiorella ed i suoi figli. Ora proprio l’amore di questa moglie tenera ed attenta, la riconoscenza del suo paese natale, Serra San Bruno, e quella degli amici tutti hanno voluto dedicare a questo uomo che aveva fatto dell’arte la sua bandiera, una bella Mostra nella sala di palazzo Chimirri. Era esposta una nutrita serie di capolavori dall’età giovanile fino ai maturi anni ottanta quando il Nostro si dedicherà alle sperimentazioni multimediali/video; una gran bella carrellata volta a far comprendere l’animo e gli intendimenti di questo artista che ha respirato ed ha fatto sue le istanze delle Avanguardie storiche e le nuove pulsioni creative venute da oltreoceano.

Silvano Onda, I due ambasciatori – Omaggio a Holbaei

Erano esposte tutte le sue pubblicazioni, le rassegne stampa dei suoi interventi nel mondo della socialità. Sì, perché Silvano Onda non è stato mai avulso dal sociale. Uomo colto, studioso, docente sensibile ed attento, aveva da sempre coltivato un amore vivo per le cose del mondo e una vera passione per la giustizia. Molti amici sul palco, in una tavola rotonda a ricordare le tante sfaccettature di un’anima bella che molto ci manca. Ma è stato l’affetto di tutto un paese il vero momento entusiasmante di questa manifestazione. Sia quelli che avevano conosciuto Onda, sia quelli che non lo avevano incontrato, hanno dimostrato un afflato intenso con le sue opere e con la sua poetica; ma soprattutto tutti hanno compreso l’enorme valore del suo stile di vita, tanto che, anche le autorità presenti si sono espresse in favore di un approfondimento e di una sicura prosecuzione di manifestazioni volte a far conoscere l’opera di questo artista che come un poliedrico autore romantico, aveva saputo fondere l’Arte con la Vita.

Serra San Bruno, Certosa e boschi circostanti

ONDA VIRTUALE
di Tonino Sicoli

A volte i nomi coincidono con una identità eziologica, come se portassero il segno di un DNA semantico. Silvano Onda, di nome e di fatto, rimanda alla selva di Serra San Bruno, accoglitrice di certosini, come all’onda elettromagnetica della fisica e alle frequenze della luce, portatrice di colori. Una “natura elettronica” è racchiusa nel suo connotato onomastico ma anche nel sua biografia condivisa con la nostra trentennale collaborazione ed amicizia. Un ricordo antico, infatti, va a “La Natura Elettronica”, che nel 1988 curai nell’ambito della rassegna di videostallazioni Pianeta Azzurro, a Cropani Marina (Cz).

Eravamo agli albori della Computer Art, che entrava nelle ricerche del linguaggio, fra visione metafisica e post-realista, provocatoria e fascinosa. Il computer era ancora un hardware ingombrante con software poveri e rudimentali, la definizione delle immagini era basata sui pixel e sugli effetti di un geometrismo semplice ed elementare. La creatività, di fronte ai limiti del nuovo mezzo, si impennava fino a caricare di curiosità ed innovazione un repertorio genuino, primitivo, discreto, non sopraffatto dagli effetti di una tecnologia ruffiana e prepotente.

Silvano Onda, Il Cielo di Galilei – video computerart, 1986 (fotogramma)

Una pittura visionaria già apparteneva ai trascorsi artistici “tradizionali” di Onda, ondeggianti fra post-futurismo, surrealismo fantastico, astrazione plastica e ricca di tracciati. Figure con assemblaggi di parti dalle sembianze naturali e tecnologiche, costruite in una spazialità metafisica, si preparavano ad occupare un diverso ruolo nelle schermate elettroniche, diventando esercizi di un linguaggio digitale, basato su algoritmi paleo-grafici ma rivolti ad un’evoluzione verso forme sempre più dettagliate e dinamiche.
C’erano problemi di modalità e di mezzi piuttosto che di temi e significati, l’analogico si convertiva in digitale spostando l’attenzione sulle possibilità che questi “graffiti” elettronici diventassero – come poi è stato ed è – un vero e proprio universo indistinto fra reale e immaginario. Una contraddizione in termini, un ossimoro percettivo, che col tempo e la conseguente invasione informatico-telematica, è diventata una condizione esistenziale, in cui tutti siamo immersi e che ha portato ad una cultura visiva di massa, livellata su standard di globalizzazione della rete e della comunicazione televisiva e telematica, omogeneizzata, virale.
Gli esperimenti di Silvano Onda rappresentavano negli anni Ottanta un tentativo intelligente, d’avanguardia nel panorama della ricerca artistica ancora, legata alla manualità, alla tangibilità, all’oggetto. Al di là dei suoi video sperimentali, di Onda mi intrigava la sua ipotesi di realizzare una creazione a distanza, con l’autore, che ideava un’opera al computer oltre oceano per essere poi trasmessa e stampata da un plotter qui, in Italia. O viceversa. Anche la telematica però era in gestazione e s’era pensato al sistema delle telecomunicazioni, ai primi satelliti geostazionari usati dai servizi militari e dalle reti televisive. Ma se l’idea era avveniristica, i tempi erano ancora prematuri.

Silvano Onda, La spiaggia (1990)

In questo clima di grandi fermenti e di aperture alle innovazioni tecnologiche e linguistiche, che coinvolgevano anche le poetiche e la creatività, si poteva cogliere il lascito ereditario di un pensiero certamente avviato dalle avanguardia storiche e soprattutto dai futuristi, quando agli inizi del Novecento venivano messi in discussione il tempo e lo spazio, l’assolutezza della conoscenza anche scientifica, per far strada alle nuove frontiere del sapere dialetticamente stimolato dal dubbio metodologico, per porre fine ad ogni pregiudizio e chiusura mentale.
Ci soffermavamo complici alla Peggy Guggenheim Collection di Venezia, davanti alla Materia di Umberto Boccioni, che scoprivamo fortemente immateriale nella sua interiorità per la mater; o sulle opere sempre boccioniane ma pre-futuriste, vibranti di luce e filamentose di colori, della Collezione Chiattone al Museo d‘Arte di Lugano, in occasione di una mostra da me curata con Bruno Corà e Cristina Sonderegger, nel 2009, un anno prima che il “virtuoso” Silvano morisse.
Se l’avvento dell’elettricità aveva in qualche modo anche influenzato il dinamismo futurista e l’emanazione di energia, l’avvento dell’elettronica ha dato origine probabilmente a quel neo-futurismo fatto di visioni incorporee e complesse, impossibili e saettanti, fantasmatiche e intrecciate, iperboliche e impertinenti. Di una virtualità, che si propone come reale. Ma alla ricerca ancora di una virtù.

IL CIELO DI GALILEI – Opera video in computergraphics di Silvano Onda (1986) – Musiche di Nicola Cisternino dai Tre  Ideoframmenti, Piccolo carteggio per violoncello solo. Violoncello: Cristine Lacoste, Testo di Silvano Onda, Vocalist performer: Piero Olmeda

                                                                                                              

Accademia Galileiana di Scienze Lettere ed Arti in Padova

Appuntamenti culturali straordinari
(28 Marzo 2006 – Archivio Antico ore 10)

 « Giornata di studio sulla figura e l’opera di Ettore Majorana»

Il misterioso frate Antonio che tra le mura della Certosa parlava di arte e scienza
di Silvano Onda

Negli ultimi anni diversi libri sono stati pubblicati sui possibili e più autentici retroscena della scomparsa di Ettore Majorana, famoso fisico nucleare siciliano, avvenuta in un momento storico turbato dai fermenti dell’imminente conflitto mondiale. Alla questione non sono mai stato interessato particolarmente, e ne sapevo più o meno quanto la maggioranza delle persone a me vicine. Avevo letto il libro di Sciascia La scomparsa di Majorana (1973), perché nell’ultima parte, lo scrittore suppone che lo scienziato si sia ritirato nella Certosa di Serra San Bruno per fuggire dal mondo e dedicarsi a vita contemplativa. Nel corso di questi ultimi anni, misi insieme una serie di ricordi relativi ai miei periodi trascorsi a Serra, soprattutto nei mesi estivi, quando rientravo da Roma dove frequentavo l’ Accademia di Belle Arti. Ho esitato a lungo prima di decidermi a far conoscere questi miei lontani ricordi perché l’argomento di cui riferirò è molto delicato e riguarda il sospetto di aver incontrato e parlato con Ettore Majorana, conosciuto nei panni di frate Antonio. La decisione di rendere pubblici questi ricordi è dovuta all’amore che nutro per la Verità – o se si preferisce per la ricerca di essa –. Lo stesso Cristo diceva: «conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi» ( Giovanni, 8 : 32).

La Certosa di Serra San Bruno

Era l’ anno 1970 quando, nel mese di luglio, chiesi il permesso al Priore della certosa Villibrordo Pjnenburg di poter dipingere i ruderi dell’antica chiesa distrutta dal terremoto del 1783. Ottenuto il permesso, di buon’ora, un mattino… mi recai in certosa dove ero atteso dal guardiano: un certosino di origine tedesca che mi aprì il pesante e alto portone. Appena dentro posizionai il mio cavalletto davanti ai ruderi e poggiai tutte le mie cose su di un basso muretto vicino all’antico chiostro. Sistemai la tela preparata il giorno prima e con un carboncino iniziai a tracciare il disegno. Poco distante mi accorsi della presenza di un monaco che, tra due pilastri di un chiostro, seminascosto, mi faceva cenno con la mano come se volesse salutare; gli risposi e con fare guardingo mi venne incontro. Quando fu vicino mi strinse la mano e si presentò come frate Antonio. Si appoggiò al muretto e, divertito, osservava il procedere dei tratti del mio disegno. Notò che la superficie della tela non era liscia ma presentava delle striature irregolari a rilievi. Precisai che preparare la tela in quel modo era una mia scelta e che in seguito avrei steso il colore con l’uso di spatole a diversa grandezza. Curioso mi chiese la composizione di quella imprimitura; risposi che si trattava di un mestico a base di cementite solida di colore bianco mista ad un collante tipo vinavil. Rimase in silenzio per alcuni minuti, poi mi chiese se conoscevo il De diversis artibus del monaco Teofilo. Con imbarazzo risposi di no e lui aggiunse che si trattava di un testo scritto nel XII secolo sulle tecniche artistiche. Gli dissi, per giustificare le mie lacune, che ero iscritto al primo anno dell’Accademia di Belle Arti di Roma e che ero troppo giovane per certe letture specifiche. In effetti quel monaco mi metteva un po’ di soggezione. Aveva un’età di circa sessant’anni, lo sguardo penetrante, magro dai capelli cortissimi, orecchie un po’ grandi, labbra carnose e una lunga barba nera a tratti brizzolata. Fui colpito da un particolare; aveva la mano sinistra coperta da un guanto. Di colpo scappò via senza neanche salutare; per un breve tratto lo seguii con lo sguardo, poi sparì dietro alcuni vigneti.

Interno della Certosa di Serra San Bruno con laghetto

Dall’altro lato della strada vidi sopraggiungere il Priore e quindi capii che non voleva farsi sorprendere in mia compagnia. Questi si era accorto della sua presenza e, avvicinandosi, mi chiese di cosa stavamo parlando; risposi: del modo di come si preparano le tele. Il Religioso, uomo dalla natura molto timida, abbozzò un sorriso e… allontanandosi disse: «forse si vuole mettere a dipingere». Il giorno dopo alla stessa ora ritornai in certosa per continuare il lavoro e con mia grande sorpresa trovai già sul posto frate Antonio sorridente e contento di rivedermi. Notai che era più calmo e meno guardingo del giorno precedente. Misi la tela sul cavalletto e lui, ansioso di osservarla, si piazzò subito di fronte e senza indugi disse: «bene! bene!, adesso capisco la funzione di quella superficie scabra; in realtà produce, graffiando con la spatola sulla tela, un effetto gradevole e interessante – complimenti! –». Lo ringraziai e provai come un senso di rivincita sull’ignorato monaco Teofilo del giorno prima. Mi chiese quali discipline si studiavano all’Accademia di Roma, città che lui conosceva molto bene; risposi che oltre alla Pittura si studiava Anatomia artistica, Incisione e Storia dell’arte, ma si potevano seguire anche lezioni di psicologia tenute a Magistero dal prof. Ferrarotti.

Mentre io seguitavo a dipingere, lui fece una serie di riflessioni sull’arte che trovai molto interessanti, al punto che per non dimenticarle, giunto a casa, li riportai su un quaderno che ancora conservo. Diceva, ad esempio, che non c’era esistenza e non c’era durata nelle opere d’arte moderna, ma soltanto “atti deliberati” che restituivano forme casuali senza legami con il mondo circostante. Si riferiva, forse, all’arte astratta, oppure ai surrealisti. Sosteneva che l’uomo d’oggi ha una coscienza sfaccettata, che le cose non hanno più forma stabile nella coscienza, che l’arte contemporanea, per le sue forme straziate corrispondeva alla realtà straziata e quindi allo strazio della coscienza. Timidamente risposi che l’ artista partecipa al suo tempo e ad esso corrisponde con la propria arte. Il frate ribadì che l’ artista – oggi – rappresenta forme atomizzate, crea delle forme disfatte, come se egli si sentisse a suo agio nella distruzione, al di là di rendere alle cose la loro essenza invece che deformarle. Aggiunse che in un’opera deve emergere sempre qualche cosa che rinnova e risana e che, per opera sua, le cose debbono acquistare la loro integrità. Il fenomeno del disfacimento, precisò, produce consunzione che oltrepassa di gran lunga l’oggetto disfatto. Poi, con espressione molto triste, concluse: «in fondo al disfacimento sta la bomba atomica che non tollera accanto a sé cosa che non sia spezzata».

Cosciente di non essere all’altezza di quel dialogo, per non essere obbligato a rispondere, provai a fargli il ritratto dietro la copertina di un libro che avevo con me nella borsa. Ma ad un tratto mi disse che doveva rientrare nella sua cella perché, da lì a poco, il Priore sarebbe ritornato da Catanzaro dove si era recato in macchina con il suo autista. Mi confidò che il Superiore più di una volta gli aveva raccomandato di non parlare con gli estranei. Promisi che sarei tornato a finire il suo ritratto e ad ascoltare ancora le sue interessanti riflessioni sull’arte, ma lui mi salutò con aria triste dicendomi: «non so se tutto ciò sarà possibile». In seguito, quando ebbi occasione di tornare in certosa, di frate Antonio nessuno serbava ricordo…; mi si rispondeva: «ma chi è ‘sto frate Antonio?». Appunto, me lo sono sempre chiesto anch’io. Chi era quel frate Antonio che parlava di arte e scienza tra le mura della certosa?

Silvano Onda
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