ROBIN MYERS, una nuova e fresca voce poetica in terra messicana – Sette poesie
Versioni e nota di Stefano Strazzabosco
Non mi ricordo come è stato nascere.
Però mi ricordo altre cose.
I primi oceani attraversati,
poi i deserti,
un’altalena nel buio,
un termometro in vetro,
una neve impossibile,
una ragazza,
e il volto di mia madre,
aperto come un’acqua
mentre mi abbottonava le tutine
ogni giorno della mia vita,
nel senso in cui l’infanzia
è una vita.
*
Parlo sempre col fruttivendolo,
che è esausto,
e la cui lingua è esausta, privata,
e che gesticola compunto,
quasi stesse dirigendo un’orchestrina di paese,
con l’uomo che gli scarica le angurie dal furgone.
A volte ci sediamo sui gradini
e risolviamo problemi
prima che torni a casa.
Taglia una fetta da ogni frutto,
mostrandomi la polpa,
e poi la mette in cima alla piramide
che ha fatto per mostrare quant’è buona.
*
Un tempo volevo trascrivere ogni cosa:
gli uccelli che vedevo camminando,
i pasti condivisi o solitari,
i miei romanzi con le orecchie,
i resti di animali spappolati
sull’asfalto,
i nomi,
le cose che passavano sul
volto di mio padre nei mesi
della sua malattia,
i miei vicini e ciò che li sentivo
gridare ai loro figli,
gli imprevisti del tempo,
che giorno era,
che ora.
Era sfiancante.
Non finiva mai.
Tutto è soltanto un cazzo di catalogo, ho sbottato
col mio amico biologo,
quasi intendessi insultare sua madre.
Ha alzato lo sguardo su di me, dal suo giardino,
sorridendo, sporco di terra.
Tutto,
mi ha detto.
*
Pensa che roba
se i pini dei boschi
fossero fatti,
come tante altre cose
al giorno d’oggi,
di metallo
o di plastica
o di plastica simile al metallo,
qualcosa d’inspiegabile
per me.
Pensa al clangore
che produrrebbero se il vento
passasse il suo setaccio su quegli aghi,
l’immenso picchiettio dei loro
infinitesimi diti,
il rumore, il rumore,
il fracasso di ciò che inutilmente
abbiamo disegnato
perché annunci se stesso
continuamente.
Cércati un bosco
per stare lì a pensarci
e pensaci.
Accetta
la grazia
di ritrovarti circondato
d’alberi fatti ancora
d’albero,
che è sempre stato qualcosa di vivo
e perlopiù di silenzioso.
*
Al crepuscolo,
getto ritagli
di carne fresca appena
scaduta in cortile
per i gatti
e le donnole,
che mi conoscono.
Fanno a turni
per mangiare. I gatti
mangiano sempre per primi,
gli occhi delle donnole
brillano tra i cespugli.
Chi può sapere
se fra di loro esiste
una tregua ogni volta
rinnovata,
una precisa
catena di comando,
se è oppressione
o quello che si chiama
pace,
tra questi animali che hanno fame
e non parlano mai.
*
Non mi interessa bandire il desiderio.
Se guardo il biancospino
e la sua urgenza di riuscire all’aria,
non ho nessuna idea se la sua brama
assomigli alla mia.
Ma lo vorrei,
è questo il punto.
*
E quando
in un mio sogno ho chiesto
a una donna più saggia di me
qual è il senso di tutto
questo, lei mi ha risposto
l’amore, e ho detto Oh
però se poi
tutto finisce,
e siamo fatti d’acqua,
viviamo in una macchia
d’olio, diamo baci
al mondo attraverso un fazzoletto,
abbiamo inventato
pallottole di gomma,
dev’esserci qualcosa
di più. E ho visto
che non mi avrebbe più
risposto niente altro
mai.
Robin Myers (New York, 1987) vive a Città del Messico, dove lavora come traduttrice. Ha pubblicato le raccolte bilingui Amalgama / Conflations (Ediciones Antílope, Messico 2016) e Lo demás / Else (Zindo & Gafuri, Argentina 2016; Kriller71 Ediciones, Spagna 2016).
La poesia di Robin Myers è fatta di piccoli accadimenti quotidiani che non vogliono restare slegati ma aspirano a un senso comune: non certo una pienezza di significato, che sarebbe impossibile; semplicemente un filo, anche esile, che leghi tra loro ciò che avviene nel presente e ciò che è stato il passato, l’individuo e la specie, la prosa di ogni giorno e la poesia che ammicca da lontano.
Robin Myers ha il dono della semplicità, della concentrazione e dell’autentico, ed è anche un’attenta lettrice di esperienze sia in inglese, la sua lingua madre, sia in spagnolo, che parla così bene da non sembrare “gringa”. La sua è insieme una poesia “giovane”, per motivi anagrafici, e antica: perché sapiente nel suo dirsi ignorante, necessaria nel suo pensarsi inutile. Da qui la bellezza stropicciata che ne avvolge le parole, l’intensità che l’accompagna fedelmente ovunque.
Stefano Strazzabosco
(c) riproduzione riservata
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