Incolpabile amica, austera figlia d’amore, se la vita oggi t’esiglia, con la musica ancora vieni a me. Geloso sono non di don José, non d’Escamillo; di chi prima un canto sciolse alla tua purezza ed al tuo santo coraggio incontro alla tua verità. Umberto Saba, Carmen, 12-18
In La scrittura come un coltello Annie Erneaux scrive:
Sono pochi i testi in cui non evoco canzoni, e questo perché mi hanno sempre segnato la vita: ognuna restituisce immagini, sensazioni, una catena proliferante di ricordi, nonché il contesto di un anno, come la Lambada per l’estate 1989, I will survive per il 1978, Mexico e Voyage à Cuba, per il 1952. Sono tutte delle «madeleine» al tempo stesso personali e collettive1.
La scrittrice francese, premio Nobel nel 2022, nel raccontare un aspetto di sé e del proprio lavoro, indica qualche cosa di ben più ampio, che coinvolge moltissimi suoi colleghi: nella narrativa contemporanea c’è una presenza costante e ubiquitaria della musica (intesa nella sua forma soltanto sonora ed anche in quella composta di canzone). Che sia un tratto d’atmosfera, oppure di sviluppo narrativo; che sia un inserto metatestuale o l’aspetto caratterizzante di uno o più dei personaggi; che sia, infine, una digressione autoriale o un elemento paratestuale: la musica è un ospite voluto e mostrato da molti romanzieri, tanto da rendere opportuno e significativo il rivolgersi a questa dinamica con gli occhi dell’indagine scientifica.
Ed è quello che Elena Porciani fa con questo suo libro, recentemente uscito per la collana Lingue e Letterature di Carocci editore, incrociando gli strumenti della critica letteraria, degli studi culturali e della ricerca sull’intermedialità. Lo spettro temporale della ricerca occupa circa settant’anni di narrativa passando in rassegna le colonne sonore, più o meno nutrite, che si avvicendano nelle pagine di alcuni romanzi presi a campione.
I capitoli nei quali si articola il libro sono sei, a cui fanno seguito alcune pagine conclusive che al contempo aprono a possibili futuri scenari di ricerca.

I primi due pongono la cornice teorica di riferimento e sono quelli più tecnici e specifici; il fenomeno della rappresentazione della popular music, da un lato, deriva dalla diffusione enorme della musica che filtra sempre più nel tessuto della nostra quotidianità; dall’altro, ha fatto nascere un vero e proprio sottogenere letterario, definito litpop, entro il quale le trame ruotano attorno agli atti del fare o ascoltare musica, con esempi che spaziano dalla letteratura di consumo a quella più alta. Dopo aver definito (e dimostrato con sommari esempi dagli anni Sessanta in poi) la diffusione di una vera musicofilia negli scrittori contemporanei, che riversano questo affetto nelle trame dei propri romanzi, l’autrice definisce l’oggetto della ricerca, spiegando cosa si celi dietro alla definizione di popular music (che non ha dunque un’efficace alternativa in italiano) e perché sia preferibile ad altre, più parziali o più generiche:
… adotteremo la soluzione di continuare a parlare di popular music in quanto locuzione non meno sintetica che poliedrica, ma offrendone una declinazione pop con la quale ci si riferirà da un lato alla dimensione mediatica ed economica della produzione su vasta scala di canzoni, dall’atro alla filiazione dei vari generi musicali e della rivoluzione culturale legata all’avvento del rock’n’roll degli anni Cinquanta, che a sua volta discende dal ryhthm’n’blues di matrice afroamericana.
Soprattutto il capitolo permette di affrontare il tema della intermedialità – cardine dell’indagine dei capitoli successivi – e, sulla scorta degli studi di Jens Schröter, individuare nella intermedialità trasformazionale il concetto guida nel rapporto tra popular music e letteratura, nella misura in cui il medium musicale è coscientemente e significativamente rappresentato come traslazione ficta nell’incedere del racconto.
Il secondo capitolo esplora più nel dettaglio le forme assunte da questa intermedialità trasformazionale, additandole in quelle che lo studioso Werner Wolf ha indicato come riferimento esplicito (tematizzazione) ed implicito (riproduzione, evocazione, imitazione).
E cioè: la rappresentazione della musica accade o perché qualcuno degli attori crea, gestisce o ascolta musica; ovvero perché la musica/canzone è trascritta, o ha effetti emotivi che dovrebbero ripercuotersi in quelli del lettore; oppure ancora, ed è il caso estremo e davvero implicito, l’autore adotta uno stile narrativo che rimanda a quello musicale.
Il fatto che i riferimenti popular musicali si distribuiscano sui due versanti della produzione e della ricezione delle canzoni costituisce la grande costante di base che si può individuare nell’architettura complessiva della rete tematica della popular music nella narrativa contemporanea. Anzi, più precisamente, possiamo definire produzione e ricezione come le due macrocostanti trasversali ai vari tipi di riferimenti intermediali messi in atto da autrici e autori, senza che ciò significhi, comunque, sminuire le differenze legate alla tipologia della rappresentazione.
Il libro, nella parte centrale, si sviluppa quindi con un’indagine che coordina diversi criteri, intrecciando quanto è relativo al mondo delle canzoni – sia nel versante di chi le fa, sia in quello di chi le ascolta – a quanto pertiene alle questioni tipologiche che discendono dagli studi sui rapporti tra media diversi e su questioni musico-letterarie.

Il punto di partenza è l’analisi dell’influenza che la musica Jazz ha sulla letteratura occidentale fin dagli anni Venti del Novecento, coi racconti di Fitzgerald, e che culmina con i romanzi e le poesie della beat generation, di cui On the road di Jack Kerouac fornisce l’esempio più chiaro:
On the road offre un’ottima commistione dell’entusiasmo e dell’esotismo con cui la letteratura ha guardato al jazz in cerca di nuova linfa ispirativa, nonché una rinnovata grammatica esistenziale alle rappresentazioni narrative della popular music.
Su questa direzione, particolarmente interessante e fertile, l’autrice ha modo di approfondire un’analisi che mette in evidenza aspetti di studio socio-culturale; sono i paragrafi dedicati al romanzo Absolute beginners (1959) del giornalista e scrittore Colin MacInnes e la sceneggiatura, rimasta poi inutilizzata e inedita fino al 2013, Nebbiosa (1959) di Pier Paolo Pasolini. Il primo, un cult book uscito come secondo capitolo di una trilogia incentrata sui sommovimenti sociali della Londra degli anni Cinquanta, permette di affrontare la nascita di una nuova categoria sociale a cui il mercato musicale (e non solo) si rivolge come a un fruttuoso bacino: i teen-agers, di cui il protagonista del romanzo è esponente; la seconda, di ambientazione urbana milanese, mette al centro non tanto le dinamiche di una industria musicale o quelle del nuovo assetto giovanile, quanto il ruolo che le canzoni e la musica in generale rivestono nella vita di alcuni giovani borghesi, veri teddy boys, colti in alcune scorribande teppistiche.
Le parole e il ritmo delle canzoni sostituiscono la decodifica delle proprie emozioni: più che dare vita alla loro interiorità, le canzoni costituiscono una sorta di risposta irriflessa dei personaggi alle situazioni che vivono, che distoglie dall’introspezione attraverso un’adesione emotiva immediata e in definitiva compulsiva.

Il capitolo successivo ci porta nei più che caotici anni Settanta e l’interazione tra narrativa e musica è capace, in questo caso, di dare conto dell’alleanza che si viene a creare tra il mondo turbolento del dissenso giovanile e la popular music nella sua accezione più ristretta di musica d’autore, o musica impegnata e cioè quell’insieme di canzoni composte e interpretate da quelli che, ispirandosi a modelli francesi e soprattutto americani, si iniziò a chiamare cantautori.
Se Bob Dylan è il nume tutelare di questa schiera, molti sono i nomi che vengono citati, direttamente o attraverso la presenza di loro locandine/immagini, o grazie all’uso dei loro testi all’interno della pagina narrativa: De Gregori, De Andrè, Guccini, Stevens, ecc. La musica emerge nella sua funzione aggregante e come elemento distintivo e di reciproco riconoscimento, pur nella specificità narrativa e poetica di ciascuno dei romanzi che Porciani analizza: Ore perse; Porci con le ali; Boccalone. Storia vera piena di bugie; Inverno. Un amore inventato e perduto in una città stretta fra una primavera e l’altra; Casa di nessuno; Altri libertini.
Il quinto capitolo ci porta dentro alla dinamica del riferimento esplicito, analizzando come nei testi di narrativa si rappresenti la ricezione della musica; Alta fedeltà di Nick Hornby, è il viatico d’accesso che permette all’autrice di sottolineare ancora una volta come la diffusione della musica narrata derivi imprescindibilmente dalle innovazioni tecnologiche e si leghi, dunque, alla benjaminiana nozione di riproducibilità dell’opera d’arte. È un aspetto col quale Porciani aveva aperto il libro: la musica è un fenomeno ubiquitario e quotidiano, e la natura stessa del romanzo lo porta a farne elemento narrativo e poetico, permettendo di costruire mappe che appartengono ai personaggi, certo, ma che dicono qualcosa dell’autore stesso e muovono, infine, qualcosa nel lettore. La musica narrata è dunque una sorta di membrana attraverso la quale qualcosa filtra e crea effetti di lettura. Un aspetto, questo, che mette a tema la necessità di una enciclopedia condivisa tra autore e lettore, come si vedrà anche nella intervista all’autrice sotto riportata. Allo stesso modo, il sesto e ultimo capitolo affronta l’altra parte del movimento musicale, concentrandosi su alcuni romanzi che hanno per protagonisti dei music makers (dal musicista al discografico, dal manager al compositore), a partire da Great Street Jones, di Don DeLillo, che permette anche di esplicitare il carico simbolico (maledetto, diabolico) che la figura del cantante si presta ad assumere.

Non solo canzonette è uno studio che si inserisce nel più generale filone di studi di critica letteraria e di intermedialità, ma che si posiziona in uno spazio ancora libero; la musica come prodotto (artistico o di consumo) e come esperienza, appartenendo alla esistenza di ciascuno, entra nella narrativa come elemento esterno e interno assieme; permette così di definire sia un’epoca o un’atmosfera, sia una struttura finzionale e verosimile qual è il personaggio; e assieme, crea effetti di lettura che rimandano costantemente alle conoscenze del lettore suscitando reazioni che portano in direzioni anche lontane o contrarie a quelle proprie dell’intenzione autoriale.
INTERVISTA A ELENA PORCIANI, di
Alberto Trentin

Il titolo del suo libro è “Non solo canzonette. La popular music nella narrativa contemporanea”. Anche un orecchio non troppo esperto riconosce il riferimento alla canzone di Edoardo Bennato e questo ci porta subito al nocciolo della questione, come da lei sottolineato nella premessa e che riguarda l’origine di un simile studio. Da un lato, la nostra vita procede anche per continue citazioni di canzoni e musiche, dall’altro un certo vuoto critico nel sondare il risvolto letterario di queste pratiche citazionistiche. È così?
«Sì, senza dubbio: stupisce il numero esiguo di studi sull’argomento, specie in Italia, a fronte dell’ubiquità delle canzoni nella narrativa contemporanea. Forse pesa ancora il pregiudizio colto sulla ‘musica gastronomica’, come la chiamava Umberto Eco – che comunque l’ha studiata –, ma anche indirizzi di studio più recenti, come quelli sull’intermedialità, focalizzati sulle relazioni culturali tra media diversi, hanno privilegiato altri percorsi, incentrati sul visual turn degli ultimi decenni. Spero che Non solo canzonette. La popular music nella narrativa contemporanea contribuisca a far crescere l’attenzione nei confronti di questo ambito di studio ancora troppo marginalizzato».
Non è così semplice districarsi tra le varie nomenclature che si sentono usare, a seconda di tempi e luoghi e registri, quando si parla di musica: canzone d’autore, musica leggera, musica indie, canzonette, canzone impegnata, pop, musica pop e musica popolare, ecc. Cosa s’intende, dunque, in questo libro per popular music?
«Varie pagine del primo capitolo sono dedicate a mostrare la parzialità di tutte queste definizioni, ma anche di musica rock, rispetto a popular music, che andrà intesa, seguendo lo storico Paolo Carusi, come «“musica popolare nell’epoca della riproducibilità e della comunicazione di massa”. Qualcosa di diverso, dunque, dalla musica colta – che viaggia nel tempo scritta sulle righe di una partitura – e dalla musica folk e tradizionale, che si tramanda per via orale; una musica, invece, concepita per essere venduta (su spartito, disco e poi altri supporti) sul mercato». In particolare – e qui ci guida invece lo studioso inglese Richard Middleton –, al centro del mio libro è la popular music degli ultimi settanta anni, quella che, diffusasi negli Stati Uniti nei primi anni Cinquanta, a lungo è stata a trazione pop/rock: pop nella dimensione commerciale e rock nella filiazione dei generi dal rock’n’roll e dal rhythm’n’blues».

In vari punti del suo libro si possono leggere considerazioni riguardo al rapporto che si instaura tra autore, testo e lettore che spingono a fare una considerazione tanto importante quanto spesso sottovalutata: la necessità che ci sia una enciclopedia condivisa affinché l’intenzione dell’autore, che passa per il testo, arrivi e venga oltre che recepita anche compresa dal ricevente. È così anche per le colonne sonore presenti nei romanzi, in forma di titoli, citazioni, allusioni, rimandi ecc.?
«È vero che la teoria della letteratura ci ha insegnato a diffidare dell’intenzione dell’autore, che non è detto abbia sempre un pieno controllo su ciò che scrive; tuttavia, è evidente che, anche nel caso della popular music, l’autore – o l’autrice – mette in scena la sua grammatica culturale, pensando a un lettore modello, generalmente suo coetaneo, che condivide le sue conoscenze ed è in grado di riconoscere citazioni e allusioni. Ciò significa che a una nuova generazione di lettori i riferimenti musicali potranno risultare non immediati se non proprio oscuri, come succede, ad esempio, quando faccio leggere Pier Vittorio Tondelli ai miei studenti. Non è però solo una questione generazionale; è anche una questione più ampia di educazione culturale: i revival e le retromanie mediatiche, specie in Italia, presentano la popular music degli scorsi decenni come un calderone indistinto oppure secondo una selezione fissata su alcuni nomi che ne ha impietosamente cancellati altri – pensiamo a cantautori dimenticati come Lolli o Rocchi, all’oblio caduto sul progressive rock nostrano, agli anni Ottanta presentati come una parata di pop colorato e bizzarro…».

Capitolo dopo capitolo si fa sempre più chiara l’idea che la canzone o il brano musicale, resi prevalentemente parola da leggere (quindi citati o descritti o raccontati), abbiano una funzione narrativa vera e propria; un po’ come accade quando lo scrittore immagina e racconta un sogno accaduto a uno dei personaggi. Entrambi sono strumenti che aiutano a dire senza dire. Ma, almeno per i sogni trovo che sia così, il rischio è quello di rendere evidente l’artificiosità dell’operazione: pensa sia così anche per gli inserti musicali?
«Mi pare senz’altro interessante l’accostamento di sogni e canzoni, ma non vedo l’artificiosità di per sé come un problema: sogni, canzoni e altri possibili dispositivi narrativi fanno parte di quel sistema finzionale che costituisce il romanzo o il racconto in cui essi appaiono. Tale sistema finzionale può essere più o meno esibito: se un’opera di fiction esibisce la finzione su cui si basa – la sua ‘artificiosità –, ciò non è un difetto, altrimenti saremmo prigionieri di un realismo che fa presto a essere banalizzato nella retorica della storia vera, come non esistessero i procedimenti e i filtri della rappresentazione. Ben vengano, anzi, le storie finte, da non confondersi con le storie false, le fake news: è un segno di salute della letteratura. In particolare, il mio libro si chiude nell’auspicio di una ricerca sulle rappresentazioni non realistiche e invece stranianti, distopiche o allegoriche, della popular music, sulla scia già del Pasto nudo di Burroughs e poi della narrativa postmodernista».
Il suo volume si presta a letture differenti, e quindi a incontrare l’interesse di lettori differenti, perché si propone un’indagine che guarda, ad un tempo, alla critica letteraria, alla ricognizione sociologica e culturale, alla definizione dei possibili vari rapporti tra media diversi. Come si tengono assieme questi fuochi e quali sono le future possibilità di ricerca?
«Spero vivamente che il libro non sia letto solo da addetti ai lavori, ma da chiunque abbia interesse per i rapporti fra narrativa e popular music. È un libro che può essere letto nell’ordine e nella modalità che ognuno preferisce, anche se, chiaramente, è un libro di ricerca, con note e citazioni, e che cerca di tenere insieme metodi e approcci diversi ma complementari per uno studio della relazione tra la letteratura e un prodotto culturale – la canzone e il suo mondo – di per sé ibrido e stratificato. Importante sarà, a mio avviso, come già anticipavo prima, che nel futuro di questi che possiamo definire studi popular musico-letterari non ci si limiti solo alle canzoni come colonna sonora realistica della vita dei personaggi, ma si esplorino anche modi di rappresentazione più stranianti e originali».
Alberto Trentin, poeta e critico letterario
Note
- Annie Ernaux, La scrittura come un coltello, Trad. di Lorenzo Flabbi, L’Orma editore, Roma 2024, p. 41 ↩︎
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