Make the Vatican Great Again: The Young Pope e la Chiesa secondo Sorrentino
di Elena Furlanetto
Con un budget di 45 milioni di dollari, The Young Pope (di Paolo Sorrentino) è la serie più costosa della storia della televisione italiana. Il cast stellare include Jude Law nei panni di Lenny Belardo/Pio XII, Diane Keaton in quelli della sua tutrice e confidente, Sister Mary e Javier Cámara, stella del cinema spagnolo conosciuto in Italia soprattutto per i suoi ruoli in Parla con Lei e La Mala Educación (entrambi di Pedro Almodóvar). Riunitisi per eleggere un nuovo papa, i cardinali scelgono di affidare la guida della Chiesa a Lenny Belardo, improbabile americano di bell’aspetto e personalità indecifrabile. Una volta eletto, Lenny adotterà il nome di Pio XIII e scatenerà l’inferno. Invece di un papa insicuro e facilmente manipolabile, i cardinali dovranno imparare a gestire un fondamentalista dal cuore di ghiaccio e pugno d’acciaio. Il personaggio del giovane papa prende forma lentamente: all’inizio del terzo episodio Jude Law apre con uno scioccante monologo notturno, infondendo terrore e sconforto nel suo interlocutore, il timido Don Tommaso, che finalmente realizza la portata dell’incubo che è Pio XIII. Questo giovane papa, che per due interi episodi si era rigirato pigro e sfocato nella sua ambiguità, si sveglia, si alza, distende i muscoli di predatore.
Lenny/Pio XIII è la più recente personificazione della formula sorrentiniana che ha procurato un Oscar a La Grande Bellezza e che ora pare ripetersi ad oltranza, come lo furono Jep Gambardella (Toni Servillo) e Fred e Mick (Michael Caine e Harvey Keitel) in La Giovinezza. Lenny è cinico oltre misura e coriaceo nella sua indifferenza verso il prossimo, eccezion fatta per la goffa tenerezza mista a compassione che prova per alcuni fortunati individui. Essenzialmente è ciò che definiremmo una brutta persona, ed al contempo, per l’esattezza (percepita) con cui decifra il contesto in cui si trova a vivere e regnare, un eroe contemporaneo. Come Jep Gambardella, non è chiaro se Pio XIII debba essere oggetto del nostro disprezzo o della nostra stima, non è chiaro quanto vulnerabili i due uomini siano in realtà, o chi siano in realtà, o se ci debba importare. Ci si chiede se si senta davvero il bisogno dell’ennesima Chanson de Geste dell’uomo bianco, seppure in chiave postmoderna e sofferente. Stavolta, purtroppo, la risposta è sì. Quando Pio il terribile tiene il suo primo discorso di fronte alla folla festante e ignara di Piazza San Pietro, è difficile trattenersi dal paragonare il Papa immaginario di Sorrentino con il ben più reale Donald Trump: due incubi contemporanei fattisi realtà. Non per niente la sigla introduttiva raffigura il giovane papa mentre cammina lungo una galleria di quadri, nei quali sembra riflettersi in forma di un meteorite infuocato che metaforicamente percorre la storia della Cristianità per abbattersi su una statua di Giovanni Paolo II, distruggendola. The Young Pope ci introduce in un’era di leader ambigui e diabolici, eletti democraticamente seppure nell’incredulità generale, leader che si propongono di porre fine ad un’era dominata dall’imperativo morale della tolleranza.
Un’altra caratteristica che rende The Young Pope un prodotto dell’era Trump è il disinteresse per l’universo femminile, o per lo meno l’indifferenza nei confronti della parità di genere nell’immaginario mediatico. Quando Pio XIII le spiegherà come fare il proprio lavoro, l’avvenente responsabile del marketing Sofia (Cécile de France) si lascerà persuadere con entusiasmo, “not only am I beginning to get (your point), I am beginning to like it”. Obbligata a tenere una conferenza stampa al posto di Pio XIII, che rimane fedele al suo proposito di non mostrarsi in pubblico, Sister Mary (Diane Keaton) ripeterà parola per parola ciò che il Papa ha dettato, rivelandosi insicura, incapace, inadatta all’obiettivo che le è stato assegnato. La serie è la perfetta rappresentazione del ruolo subalterno delle donne nella chiesa, ruolo che tristemente ricalca a perfezione l’immaginario sorrentiniano, come ampiamente dimostrato in La Grande Bellezza. Le donne del clero sono le uniche ad interpretare la religione come pensiero magico, a credere ciecamente ai miracoli, mentre gli uomini godono delle gioie del pensiero filosofico, del brivido proibito della miscredenza, delle sottigliezze della diplomazia. La complessità di pensiero viene negata persino a Diane Keaton, troppo grande per il piccolo ruolo di surrogato materno che Sorrentino le riserva. I pochi casi contrari, come quello del Cardinale Guitierrez (Cámara), soggetto a costanti epifanie della Madonna, sottolineano come le divinità cristiane, qualora inclini a manifestarsi, prediligano interlocutori maschili, meglio se lievemente disturbati. Come Jep, che in La Grande Bellezza rincorre il sogno intatto e lontanissimo del suo primo amore, Lenny combatte con la figura irrisolta di sua madre, colpevole di averlo abbandonato in un orfanotrofio. La serie delude quando suggerisce che la deplorevole visione del mondo di Lenny sia conseguenza diretta dell’abbandono, e che molto sia da imputare al peccato originale della madre (e del padre, che tuttavia gioca un ruolo minore nel disastro emotivo che è Lenny). Delude quando ripropone gli stereotipi femminili della grande bellezza: la santa, la madre, la donna in carriera, la tentatrice, la bellezza stilnovista. I personaggi femminili più complessi aspirano a mescolare due o più delle categorie di cui sopra: ad esempio Esther (Ludivine Sagnier), un po’ santa, un po’ tentatrice, un po’ bellezza stilnovista, o Sister Mary, un po’ madre e un po’ santa.
In The Young Pope, come pure in La Grande Bellezza, le donne esistono solo in quanto proiezioni dell’immaginario maschile e superfici riflettenti. In entrambi, sebbene tutti parlino alle donne, nessuno parla con le donne. Ci si chiede, per quanto inutilmente, se Sorrentino lo faccia apposta e con quale grado di compiacimento. La prima ministra groenlandese in visita al Vaticano omaggia Pio XIII con un singolo di una cantante italo-groenlandese, il cui testo è piuttosto eloquente: “Lei non parla mai/ Lei non dice mai niente/ Non c’è niente di meglio che star ferma dentro uno specchio/ Com’è giusto che sia”.
Elena Furlanetto
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