«L’Inganno», recensione critica di Elena Furlanetto
Nella Virginia del 1864, durante la Guerra Civile americana, un soldato ferito (Colin Farrell) trova rifugio in un collegio femminile. Allieve e insegnanti fanno del loro meglio per mantenere una signorile compostezza, nascondendo il loro turbamento sotto maniere impeccabili, ma l’arrivo del soldato provoca non poco scompiglio. Proprio quando il caporale John farà breccia nell’algido decoro delle sette miss e diventerà parte della quotidianità del collegio, un piccolo dramma scatenerà l’irreparabile. L’Inganno prende le mosse dal film di Don Siegel datato 1971, La Notte Brava del Soldato Jonathan, ispirato a sua volta al romanzo di Thomas Cullinan (tutti intitolati The Beguiled nelle versioni inglesi). L’adattamento di Coppola è una versione edulcorata dell’originale, in cui incontravamo pedofilia e incesto già nei primi minuti, e una buona dose di turpiloquio.
L’Inganno è un omaggio, senza dubbio nostalgico, alla leggendaria sofisticatezza del Sud dell’anteguerra: Coppola cede al fascino gotico di un mondo scomparso, e si impegna a ricostruire gli echi delle sue magioni semivuote. Emerge tuttavia un’assenza, quella della storia. Le vicende narrate avvengono al di fuori di essa, in spazi ovattati rispetto a cui ogni cosa è altrove. Nonostante il film si collochi diligentemente nel 1864, tre anni dopo l’inizio della Guerra Civile, il conflitto appare solo tramite simboli: il fumo in lontananza proveniente, si suppone, dal fronte, o le truppe di passaggio con cui Miss Martha (Nicole Kidman) scambia parole e oggetti attraverso un cancello chiuso. C’è la storia, che è altrove, in un punto imprecisato da qui all’orizzonte, e poi ci sono i turbinii della seta, la carta da lettere, gli svolazzi della scrittura, gli intrichi di trecce, i verbi francesi, i motivi floreali e tutto ciò che conta davvero nell’universo de L’Inganno.
E c’è una seconda, più inquietante assenza. The slaves left: con tre parole Miss Martha spazza via la popolazione afroamericana dai presupposti della narrazione, facendo degli Stati Confederati una tabula rasa, una tabula alba, per le storie di sette donne bianche. Non si lasci ingannare lo spettatore, invece, nel pensare che gli schiavi potessero semplicemente andarsene.1 Il Proclama di Emancipazione emanato da Lincoln nel 1862, che dichiarava liberi gli schiavi negli Stati Confederati, in molti casi non si tradusse nella possibilità effettiva di lasciare le piantagioni, e tantomeno nella fine delle brutalità perpetrate nei confronti degli afroamericani. La filmografia di Sofia Coppola presenta una familiarità con la decontestualizzazione storica e l’espulsione arbitraria di personaggi di colore, come accade in questo caso alla schiava Hallie (Mae Mercer), di cui non c’è traccia nel film di Coppola. Quando “BuzzFeed News” le chiese le ragioni della scelta di affidare il personaggio di Edwina, mulatta nel romanzo, a Kirsten Dunst, Coppola rispose di non voler «trattare con leggerezza un argomento così importante».2
«Relegare la schiavitù ai margini della trama», aggiunge Coppola, «sarebbe stato offensivo». Vale la pena chiedersi, a questo punto, se ignorarla del tutto sia preferibile, e se raccontare la storia del Sud degli Stati Uniti come se la schiavitù non esistesse sia un’alternativa percorribile. È chiaro e legittimo che il piacere estetico, e non l’impegno politico, sia al centro della filmografia di Coppola, ma l’assenza della storia, della politica, dell’ideologia, si trasforma automaticamente in storia, politica e ideologia. Raccontare il Sud senza gli afroamericani non è una scelta estetica, è una scelta politica che riflette dolorosamente un periodo storico in cui pochi rispondono al grido di Black Lives Matter, e in cui l’America bianca del privilegio e della ricchezza pretende ed ottiene il ruolo di protagonista.
Elena Furlanetto
© riproduzione riservata
Note
1 Cf Corey Atad, “Lost in Adaptation,” Slate (July 2017) http://www.slate.com/articles/arts/culturebox/2017/06 sofia_coppola_s_whitewashed_new_movie_the_beguiled.html
2 Testo originale: “I didn’t want to brush over such an important topic in a light way. Young girls watch my films and this was not the depiction of an African-American character I would want to show them.” In Alana Bennett, “Sofia Coppola Says ‘The Beguiled’ Is About The Gender Dynamics Of The Confederacy, Not The Racial Ones,” Buzzfeed (June 2017)
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