C’è chi nella terra entra e chi nella terra esce […]
L’essere umano, più che dal bisogno, è mosso dal desiderio di significato.
Quale significato dare a un incontro che sembra non avere alcuna spiegazione e trae origine da un luogo che con i morti ha sempre fatto i conti?
Fra le radici del Bosch Negher, il Bosco Nero, e il Triòl dei Mòrc, la Via dei Morti, si innesta “La stanza delle mele”, il romanzo di Matteo Righetto, edito da Feltrinelli.
È un romanzo ancestrale, dove la ritualità pagana e la legge della natura si mescolano all’accettazione del destino e dell’inesorabile volontà di Dio, ma anche alla verità che ogni storia umana reca con e dentro sé e alla volontà di seguire la propria strada, conquistare la libertà dalle ingiustizie senza apparente spiegazione.
A Daghè, minuscola frazione di Livinallongo, vive, con i nonni Angelo e Frida e i fratelli maggiori Titta e Celestino, Giacomo Nef, undici anni.
La minuscola frazione, tre case, tre fienili, tre famiglie, appare come solitaria accuditrice in un contesto ambientale incombente, insondabile e per questo dalla grande forza attrattiva e al tempo stesso repulsiva. Un contesto sacrale, in cui il fuoco della stufa-altare celebra e ammonisce a non sfidare la legge della natura e di Dio.
Giacomo fa parte della natura dove è nato e cresciuto e agisce come da lei richiesto: fiuta, scruta, tende l’orecchio, valuta, proprio come uno degli animali del bosco, che ama scolpire nella stanza delle mele.
La stanza è il luogo del castigo, in cui il nonno lo confina ogni volta che Giacomo non porta a termine il compito, la fatica che gli viene ordinata, che non lo piega, ma lo spinge a porsi domande.
Incapace di reagire all’ingiustizia e alla crudeltà, Giacomo nella stanza delle mele piange in profondità e poi si libera, iniziando a intagliare il legno.
La stanza delle mele da luogo di sofferenza si trasforma in luogo di liberazione. E la libertà dell’intagliare nel legno gli animali è la stessa a cui quegli animali sono destinati dal loro scultore. È il Grande Segreto di Giacomo, ma è altrettanto chiaro che, come il giovanissimo scultore dalla materia informe dà forma a una visione, così Matteo Righetto toglie dalla sua scrittura ciò che nasconde le verità di una storia potente, dando vita a una visione a cui dare significato.
In tal senso le due parti di cui è composto il romanzo camminano su un ponte molto stretto, di cui l’autore, il protagonista e il lettore non devono avere paura e che penetra la storia anche quando l’ingiustizia assume i tratti di don Floriano, origine dell’allontanamento dei fratelli dal Fodòm, che li separa per sempre.
La paura di Giacomo di essere abbandonato, solo al mondo, esplode in disperazione. Don Floriano è colui che defrauda i fratelli di ciò che a loro spetta, è la persona verso cui Giacomo nutre la più profonda repulsione, perchè la verità che esce dalla sua bocca si regge sul senso di colpa, la più grave delle quali è porsi domande.
È mia la colpa della morte di mamma e papà?
Giacomo se lo chiede di nascosto, cercando la foto dei genitori nella loro stanza da letto, ma se lo chiede anche nel bosco e salendo da solo fino alla cima del Civetta, per urlare la sua rabbia e voglia di riscatto.
Nella seconda parte il lettore incontra Giacomo quarant’anni dopo, a Venezia. La scultura lo ha reso ricco e famoso, svolgendo e riavvolgendo una matassa che lega indissolubilmente il legno e la lingua del Fodòm alla laguna, fino a scoprire la verità su quanto accaduto nel Bosch Negher.
C’è qualcuno che gli svela la verità – ma la verità è davvero una sola? – che gli fa conoscere l’altra faccia dell’essere vivi e dell’essere morti – o si è allo stesso tempo vivi e morti? – oltre il dolore e l’ingiustizia.
Il rapporto col tempo, il senso di colpa, la verità è il filo che rende saldo il romanzo. E non a caso l’autore rende interprete di questo ruolo una donna, Katharina Thaler, la vecchia cacciatrice, la lupa solitaria, che incontra Giacomo nel momento della grande disperazione, quando nessuno crede a quello che ha visto nel bosco, nemmeno Teresa, la bambina a cui ha donato uno degli animaletti di legno.
Mentre Giacomo muove il corpo fra Rio de San Trovaso e Fondamenta ai Incurabili, in perenne sofferenza fisica, eredità dei castighi del nonno, Katharina lo richiama quarant’anni dopo, come spirito del bosco. Per chiudere il cerchio Giacomo ritorna nella stanza delle mele, perché i misteri sono tali finché non si fa luce sulle loro ombre.
Autore: Matteo Righetto
Titolo: “LA STANZA DELLE MELE”
Editore: Feltrinelli
Collana: I Narratori
Anno di pubblicazione: 2022
Pagine: 240 – 18 euro
*
Matteo Righetto è docente di Lettere, vive tra Padova e Colle Santa Lucia (Dolomiti). Ha esordito con Savana Padana (TEA, 2012), seguito dai romanzi La pelle dell’orso (Guanda, 2013), Apri gli occhi (TEA, 2016, vincitore del Premio della Montagna Cortina d’Ampezzo) e Dove ti porta la neve (TEA, 2017). Per Mondadori ha scritto la “Trilogia della Patria” – che comprende L’anima della frontiera (2017), L’ultima patria (2018), La terra promessa (2019) – e, insieme a Mauro Corona, il “sillabario alpino” Il passo del vento (2019). Per il teatro ha scritto Da qui alla Luna, prodotto dal Teatro Stabile del Veneto, e per il web L’anno dei sette inverni. Nel 2019 ha ricevuto il Premio Speciale Dolomiti UNESCO. Per Feltrinelli ha scritto I prati dopo di noi (2020).
Foto: dal profilo Facebook dell’autore – Ph. Pierantonio Tanzola
*
Stefano Cusumano è nato a Palermo nel 1947. Dal 1975 vive a Treviso, dove esercita la professione di medico. La fotografia è una passione direttamente appresa dal padre fin da ragazzo, dalle riprese in esterno alla camera oscura. Ha pubblicato quattro volumi fotografici: RiflesSile (Arcari, 2005), Informal Venice (Vianello, 2008), Dimensione Istria (Punto Marte, 2012), Specchi segreti della Crevada (Punto Marte, 2018).
© finnegans. Tutti i diritti riservati
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.