Juan Manuel Roca
Al povero diavolo e altre poesie
Versioni di Stefano Strazzabosco
AL POVERO DIAVOLO
All’uomo inchiodato all’angolo dell’oblio, all’uomo cui sputano addosso i bulli di quartiere,
Al pensionato di se stesso, al ragazzo umiliato che si nasconde dietro il suo sguardo acquoso,
A chi rovina la festa degli audaci, a chi non ha avuto una professione precisa e non può neanche balbettare una descrizione di sua madre,
A chi sembra che stia sempre da un’altra parte, a chi rifugge dagli sguardi quando lo cercano nel parco come cibo di burle,
Al confinato al ceppo del silenzio nella ronda notturna dei saccenti, a chi tartaglia come una candela accesa,
A chi è sul punto di aprire la porta d’emergenza che conduce a un corridoio d’ingresso per l’altro mondo,
Alla pecora nera della famiglia che pilucca farmaci e compresse per cercare di vincere la torma delle sue paure,
Al sommo sacerdote della religione delle sconfitte, a chi è disprezzato dal proprio specchio, a chi preferisce essere il profugo del suo corpo piuttosto che esserne il secondino,
A chi non sa cosa rispondere quando gli chiedono: “chi va là?”, a chi “veniva picchiato duramente con un bastone e anche con una corda”,
A chi avrebbe scambiato il vitello d’oro con una chiacchierata con paria e bottegai, all’intontito, allo stupito, al pestifero che chiede dove sta la vita,
All’incerto la cui ombra zoppica più che il suo corpo, a chi ha ricevuto più calci che il pallone di una scuola, al sospettato in tutte le dogane per il suo sacco pieno di vuoto,
A chi non riesce a essere il cavaliere di se stesso, a chi riveste il ruolo di un bambino clandestino e può giocare solo quando non lo obbligano a mendicare,
All’eretico fatto a immagine di nessuno, a chi è fischiato dalla folla in un Paese di dei aboliti,
A chi stona nel coro, a chi suona come il piatto di una batteria che cade nel silenzio di una veglia funebre,
All’imprudente che non aspetta che il flautista di Benares addormenti il cobra per guardarlo negli occhi,
All’uomo di cristallo che passa in mezzo a una lite tra due bande di trogloditi,
Ai disobbedienti che vorrebbero confinare in un angolo del museo dell’oblio, a chi non è atteso da nessuno al ritorno dalla guerra,
A chi è buttato fuori di casa e poi espulso per sempre dal suo corpo, allo spaventapasseri beffato dal corvo,
Al portavoce di se stesso odiato dai fedeli di tutti i partiti, a chi è portato in questura mentre grida che la civiltà è una “vecchia puttana sdentata”,
A chi si è giocato il cuore e l’ha vinto la violenza, a chi cerca di dormire “sul carro che lo porta dalla prigione al patibolo”,
A chi conosce solo la lingua del silenzio, a chi è portato in tribunale perché non vuole mettersi la divisa dei morti,
Al perseguitato che vorrebbe nascondersi nella poesia di uno zingaro e allo zingaro che vorrebbe nascondersi dietro l’ombra di un violino,
A chi è spinto nella piazza dello scherno, all’assediato dallo stuolo dei Salieri di parrocchia che abbaiano alla sua ombra,
A chi è calunniato dai sacrestani dell’invidia che lo maledicono nella lingua dei morti,
A chi non allunga il cappello per elemosinare briciole di miracoli, a chi è nel mirino dei creatori di cattivi nei giornali e nelle reti poliziesche,
All’obiettore che fugge a gambe levate quando lo reclutano nello squadrone degli operai della morte,
A chi svela la miseria che nascondono gli inni, agli uomini perseguitati che sospettano che tutte le finestre del mondo stanno per saltare nel vuoto,
Ai profughi e ai loro muri d’aria, al pugile che cade al tappeto colpito da un gancio di destra,
Ai matti del villaggio che passano coperti da un mantello di stracci come re miserabili,
Al musicista avvolto in un paltò consunto cui gli impresari indicano la porta di servizio della lenta sala da ballo,
A chi si rifiuta di ascoltare il canto dei venditori di fumo, al gatto scottato dal macellaio, al cavallo spronato dalla paura,
Allo sfigato che tira al bersaglio e che colpisce sempre il centro dell’errore, al bambino solitario che spia la vita dal buco della serratura,
Al guastafeste. A chi arriva tardi al proprio funerale. Ai poeti ingabbiati da tutti i tiranni dedico queste parole senza alcun blasone: qualcosa di ognuno di loro vive sotto la mia pelle.
UNA LETTERA PER IL GALLES
Lei mi domanda, dolce signora,
cosa vedo in questi giorni da questa parte del mare.
Mi abitano le strade di questo paese
sconosciuto per Lei,
queste strade in cui passeggiare è fare un
lungo viaggio nella piaga,
in cui andare a pulire la luce
è riempirsi gli occhi di bende e mormorii.
Mi domanda
cosa sento in questi giorni da questa parte del mare.
Migliaia di spilli nel corpo.
La luce di un frenocomio
che giunge serena a intiepidire
le ferite più profonde
nate da un borgo di giorni incolori.
E il sole?
Il sole, un vecchio drogato che ha leccato queste ferite.
Perché deve sapere, dolce signora,
che in questo paese si confondono strade e ferite.
La informo:
qui ci sono delle palme cantanti
ma anche torturati,
ci sono cieli assolutamente nudi
e donne chine sul pedale della Singer
che avrebbero potuto arrivare nel loro folle pedalare
fino a Giava o a Bordeaux,
fino al Nepal o al suo paesino del Galles,
dove suppongo che bevesse ombre il suo amato Dylan Thomas.
Le donne di questo paese sono capaci
di cucire bottoni anche al vento,
di vestirlo da organista.
Qui crescono la rabbia e le orchidee allo stesso modo,
Lei non s’immagina cos’è questo paese
come un vecchio animale conservato
nei più diversi tipi di alcol,
non s’immagina cosa vuol dire vivere
in mezzo alle lune di ieri, ai morti e alle vittime.
ESILIATI
Percorrono terre di treni
per le cui bianche stazioni
è in viaggio l’oblio.
Uomini con l’aspetto di chi si sa
limitrofo all’aria e al carcere
parlano lingue strane
di una luce, un nuovo vento.
Uomini il cui paese
è solo un pezzo blu di lontananza.
EPIGRAMMA DEL POTERE
Con corone di neve sotto il sole
passano i re.
PREGHIERA AL SIGNORE DEL DUBBIO
Più che fede, concedimi un bagaglio di dubbi.
Sono loro il mio ponte, il mio affluente, le mie onde.
Venga a noi il Regno dell’Incerto.
Tieni in bilico le mie verità,
Concepite, morte e sepolte
Nei telai dell’oblio. Portami
In mezzo alle tue sabbie mobili,
Fa’ che io mangi il pane dello scacco,
Che beva l’acqua del silenzio.
Non c’è trucco né inganno:
Ferito, sono io il mio barelliere.
Siano le certezze i palazzi di neve
Che qualcuno assedia col fuoco.
Signore del dubbio, nel caso in cui tu esista,
Ascolta la preghiera di questo miscredente.
UN UOMO DI PAROLA
Traccio la parola pelle. In un banchetto di artigli e di piume la parola corvo la squarta come un manzo scorticato.
Semino la parola gelsomino. Quando sta per sgorgare il suo aroma, la parola deserto la cancella, fa sparire la sua linfa.
Scrivo la parola eternità e una rosa appassisce. Lancio la parola uccello e cade in spirale, senza piume e secca.
Della parola ghiaccio non rimane neanche la parola acqua.
DUE SOGNI, DUE IMMAGINI
La nebbia arriva e si siede composta a tavola e tutti vi infiliamo le mani per estrarne un arancio rosso.
Un uomo lancia in aria una moneta e mentre cade alternando la testa e la croce rimane sospesa nell’aria come una luna di nichel.
CANTARE DI SERVAGGIO
Non avendo frecce,
i mendicanti
lanciavano
ai signori
le loro ferite.
Ma c’era
una razza di accattoni
più misera ancora:
rubavano ferite altrui
e le vendevano
nella piazza del mercato.
Con armi così grossolane
i poveri attraversarono
la notte medievale.
ANTIPREGHIERA (Un reclamo per i poeti)
Nemmeno se tu mi dessi la lingua
E il tatto del Re Salomone,
Nemmeno se mi dettassi un bel Cantico
Che dissetasse al labbro di qualche moabita,
Né ricevendo in dono la figlia del Faraone,
Né per un cavallo nero
Che sguazzasse nella pioggia
E scalpitasse sotto un cielo d’olivi,
Né per la dignità del vento
O di un grande signore nelle vigne di Baal,
Né in cambio di un prospero commercio
Di botti di vino e di boschi aromatici,
Potrò capire, Signore,
Che nella lingua di John Donne,
La stessa di tuo figlio William Blake,
Si continuino a ordinare i massacri.
PROVA DI BALISTICA
Da ragazzo, corridore di fondo
nelle piste del vuoto,
andai a bottega da un anarchico.
Il vecchio maestro voleva fondere ogni tipo di statua
per trasformarle in pallottole
che riempissero la mattina di un odore di caffè fresco, di pane con munizioni.
Diceva che la statua di Pio XII
sarebbe stata un ottimo materiale per sparare al Vaticano,
solo per far volare sottane come neri uccellacci.
Raccontava che quando Rimbaud
seppe che gli avrebbero innalzato una statua,
disse che avrebbe accettato se una volta scolpita
gli avessero permesso di usare la sua effigie di bronzo per farne pallottole
da sparare ai francesi nell’assedio.
In lingua franca, aggiungeva il maestro,
il poeta ci trasmise il suo orrore per la gloria
e più ancora, il suo orrore per la patria.
Mi convinse
di quanto fosse nobile mirare al Pentagono
con la statua di Lincoln diventata cannone
o con proiettili della riccia capigliatura di George Washington.
Si leccava le labbra
come il bambino che gioca all’Armata Imperiale nella vasca da bagno.
«Spazzeremo via i manichini di una statuaria
vuota come il busto da operetta del Duce,
ingannevole come il cavallo di Troia».
«La statua di Gutenberg andrebbe fusa
nelle tipografie clandestine della notte».
«Quella di Stalin fu svuotata della materia ideale
per fabbricare e distribuire chiavi e grimaldelli
ai poeti irredenti che ingabbiava».
– E quella di Bakunin?, gli chiesi.
– Bakunin non ha statue: non si scolpiscono i venti.
Al povero diavolo e altre poesie
Versioni di Stefano Strazzabosco
© riproduzione riservata
Juan Manuel Roca (Medellín, Colombia, 1946) è poeta, saggista, critico d’arte, narratore e giornalista culturale. Considerato una delle voci più importanti della poesia latinoamericana attuale, le sue principali raccolte di poesia sono: Luna de ciegos (Luna di ciechi; Premio Nacional de Poesía Universidad de Antioquia, 1975); Los ladrones nocturnos (I ladri notturni, 1977); Ciudadano de la noche (Cittadino della notte, 1989); Pavana con el diablo (Pavana col diavolo, 1990); Monólogos (Monologhi, 1994); La farmacia del ángel (La farmacia dell’angelo, 1995); Las hipótesis de Nadie (Le ipotesi di Nessuno, 2005); Testamentos (Testamenti, 2008); Biblia de pobres – Biblia pauperum (Bibbia dei poveri; IX Premio Casa de América, 2009); Temporada de estatuas (Tempo di statue, 2010). Nel 1994 ha pubblicato la sua Prosa reunida (Prosa riunita). Ha ricevuto molti premi, e dai suoi libri son state tratte diverse antologie. Vive e lavora a Bogotà.
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