INTRODUZIONE
Nelle narrazioni leggendarie della Roma antica la violazione del corpo femminile è al centro di vicende che segnano alcune svolte istituzionali: quale nesso lega la violenza sulle donne alle trasformazioni politiche? Perché il corpo femminile diventa il medium simbolico dei pericoli che minacciano la collettività? Quanto continua ad essere potente questa immagine del corpo sociale nei conflitti che hanno segnato le guerre balcaniche? Proporre agli studenti percorsi laboratoriali su questi temi consente di trasformare gli studi classici in un formidabile strumento di indagine e decostruzione dei meccanismi di significazione fondati sulla matrice della differenza di genere.
Le ragioni di un percorso
L’esser-ci delle donne nel mondo è un esser-ci che si è proposto con una visibilità differente da quella degli uomini: non si è proiettato in qualcosa che sia altro da sé, non ha prodotto opere, sembra non aver trasformato il mondo; spesso ha coinciso con il corpo stesso delle donne.
Ma il corpo umano è una struttura complessa: le funzioni delle sue parti e le relazioni tra esse forniscono una gamma di simboli per altre strutture complesse, quali la società. Cosa succede se leggiamo la storia e la letteratura da questa prospettiva? Cercare di scoprire il valore simbolico del corpo femminile nel tempo può diventare la chiave interpretativa delle strutture profonde di tutta una società, la rivelazione dei meccanismi in forza dei quali un gruppo umano si è pensato, rappresentato, raccontato. L’esigenza di indagare le coordinate all’interno delle quali l’identità di genere viene costruita si traduce così in una mossa abbastanza semplice per l’insegnante: basta porre domande nuove alla tradizione; nel percorso qui proposto gli studenti hanno infatti esaminato testi di Livio tradizionalmente presenti nell’antologia scolastica di una seconda liceo classico.
Questa prospezione nei tempi lunghi del passato vuole restituire le donne della Roma repubblicana a quella storia che le ha narrate, nella consapevolezza che il loro corpo è servito non solo per dettare norme morali, ma soprattutto per parlare d’altro, spesso di potere. Gli studenti hanno esplorato i nessi che legano la violenza alla donna al rischio di contaminazione per l’intera comunità, e, nelle aberrazioni del presente al concetto di stupro etnico. Hanno documentato e interpretato azioni e motivazioni del controllo sociale imposto all’abbigliamento femminile. Così interrogata, la letteratura latina ci permette di dialogare con il diverso nel tempo, con la società patriarcale romana che costituisce l’orizzonte culturale all’interno del quale comportamenti e modelli acquistano senso, ma anche di rileggere il nostro presente. La lontananza nel tempo diventa prossimità nello spazio nella brutalità della guerra di secessione jugoslava, l’uso del velo dalle antiche origini giudaiche, romane e cristiane ritorna, dalle foto delle nonne alla quotidianità degli incontri per via con le immigrate magrebine.
Stuprum e potere
Nella narrazione dello stuprum1 di Lucrezia e dell’iniuria2 di Virginia, Livio pone il corpo femminile al centro di vicende che segnano le svolte istituzionali di Roma. Perché? Quale nesso consente di stabilire una relazione tra piani così differenti, l’uno privato, l’altro pubblico? In realtà le vicende traducono in termini narrativi, secondo un meccanismo di significazione simbolica, la paura della contaminazione. Secondo questa prospettiva, sviluppata da M. Douglas in Purezza e pericolo3, i gruppi umani costruiscono un’immagine di sé che consente loro di identificarsi e di mettere ordine tracciando i confini immaginari del gruppo. È un’immagine statica del gruppo sociale, che interpreta perciò il pericolo con ciò che minaccia la sua integrità provocando la perdita della purezza: la contaminazione. L’intenzione non è importante ai fini degli effetti della contaminazione, l’autore è sempre in torto, chi è contaminato porta una colpa senza responsabilità diretta che reclama un sacrificio purificatore. Il corpo umano può diventare il modello in cui si concretizza quest’immagine del corpo sociale.
Nella società romana, di tipo patriarcale, l’uomo, ritenuto il solo in grado di assicurare la propagazione della stirpe con la continuità del sangue, è l’elemento identitario del gruppo, mentre la donna ne diventa la porta d’entrata, l’apertura attraverso le quale si rischia di alterare la purezza del sangue, lo strumento della contaminazione della comunità. In una società patrilineare il corpo femminile diventa così il medium simbolico del corpo sociale nella sua vulnerabilità. Su questo sfondo interpretativo le vicende di Lucrezia e Virginia sono state poste in sinossi tramite l’individuazione delle sequenze narrative, delle analogie e delle differenze, delle parole chiave (corpus, culter…)4.
La narrazione vede un uomo potente commettere uno stuprum accecato dalla libido; per ambedue le donne, coinvolte senza loro colpa, lo strumento di morte è un culter, il coltello sacrificale usato dai sacerdoti. L’esibizione pubblica del corpo esangue causa la fine di un esercizio tirannico del potere: la cacciata dei Tarquini segna l’instaurazione della repubblica, con la fuga di Appio Claudio cessa la sua magistratura straordinaria. In ambedue i racconti lo stupratore assume dunque i tratti del tiranno, una figura profondamente invisa a Roma perché nega le regole politiche del gruppo. Per questo il gesto con cui Lucrezia si suicida riproduce la classica scena dell’attentato al tiranno e del sacrificio rituale: suicidandosi uccide il tiranno che ne ha contaminato il corpo e nello stesso tempo purifica il corpo violato con il sacrificio espiatore: adesso può incarnare la comunità offesa di fronte alla quale viene esposto come testimonianza dell’oltraggio che reclama la vendetta del gruppo. Ora comprendiamo perché la collettività insorga e scacci il tiranno. È evidente che la paura della contaminazione esprime a Roma il rifiuto della tirannide: la storia della libertà repubblicana, in assenza di documentazione, può essere spiegata con il racconto di uno stuprum.
La concezione patriarcale che attribuisce esclusivamente all’uomo la capacità di determinare l’appartenenza etnica non è un relitto atavico, ma un condizionamento ancor oggi potente. La contaminazione di un gruppo attraverso la sua componente femminile è stata pianificata e sistematicamente praticata nella guerra di secessione jugoslava. Con lo stupro etnico i soldati serbo-bosniaci hanno perseguito l’umiliazione e l’annientamento dell’avversario. Il corpo femminile è stato lo strumento per regolare i conti tra gruppi di maschi antagonisti: non dotato di una sua autonomia, esso è diventato luogo di scontro di potere, medium simbolico della conquista.
Me decorat stola: il vestito, un doppio del corpo
Con il vestito il corpo femminile si nasconde nella sua naturalità e diventa visibile all’occhio sociale. Nel 195 a.C. a Roma si discute se abrogare la Lex Oppia,5 che imponeva delle restrizioni sull’abbigliamento femminile. Il dibattito che ne seguì, pur non registrando le voci femminili, che non potevano accedere alla parola politica, ci testimonia un conflitto tra i sessi che ha per oggetto l’abbigliamento, ma che verte in realtà sull’interpretazione e sulla negoziazione di ciò che deve o non deve essere privato o pubblico: il suo destino sarà diverso a seconda del genere degli attori in campo e dei vocabolari di cui si servono. I discorsi del console Marco Porcio Catone e del tribuno Lucio Valerio latore della proposta abrogativa, rivelano la presenza degli altri attori occulti del conflitto, le matrone romane, che occupano lo spazio pubblico, il foro, con un’azione organizzata di sostegno ai tribuni. Quando i magistrati saranno costretti dalla situazione ad interrogarsi sul senso e sulla natura del conflitto, essi lo affronteranno come una questione di potere tra i sessi, cioè come una questione di controllo esercitato dal genere maschile sul genere femminile in forza della definizione degli ambiti di competenza nella sfera pubblica e in quella privata. Gli studenti sono stati guidati a tematizzare questi elementi riconducendo il lessico dei discorsi deliberativi alle sfere del pubblico e del privato nell’estensione dei loro possibili significati.
Il racconto di Livio documenta nelle parole di Catone una consternatio muliebris decisa ad appoggiare la proposta dei tribuni: le donne chiedono con l’abrogazione di riappropriarsi di un privato inteso come sfera delle libertà personale da cui si ha il diritto di escludere lo stato. Nello stesso tempo, si pongono come soggetto politico. Al console Catone, convinto assertore di un controllo pubblico sul corpo femminile e per questo accanitamente contrario all’abrogazione, non sfugge che l’improvvisa ed organizzata visibilità pubblica delle donne sposta sul piano politico il dibattito: nel censurare il comportamento delle donne secondo i luoghi comuni della misoginia, le assimila non solo alla parte irrazionale degli esseri viventi (ferae bestiae), ma anche alla parte peggiore della città, la plebe, che è dotata, a differenza delle donne, di una cittadinanza. La frequentia femminile è definita con il lessico della sedizione politica: coetus, concilia, secretae consultationes, coniuratio, seditiones, secessio. Catone vede nella presenza di un soggetto femminile nel luogo pubblico per eccellenza, il foro, un conflitto di potere e si esprime con il linguaggio del potere insidiato, temendo un rovesciamento dei rapporti di forza tra i sessi (simul pares esse, superiores erunt). Poiché il potere politico è la cittadella degli uomini, l’iniziativa femminile induce Catone a chiamare a raccolta il suo sesso in difesa della roccaforte maschile che le donne stanno tentando di espugnare (quid enim, si hoc expugnaverint, non temptabunt?). L’argomentazione che gli oppone il tribuno Valerio esprime una logica solo apparentemente favorevole alle donne: egli legittima la presenza pubblica delle donne in casi eccezionali sulla scorta di famosi episodi della storia patria, per privarla però della potenziale carica politica.
A questo scopo gli è sufficiente ribadire che la richiesta delle donne si inscrive nella tradizionale separazione su base sessuale tra ambito pubblico, cioè civile e politico, da sempre di prerogativa maschile, ed ambito privato, cioè personale e familiare, riservato alle donne. L’autonomia chiesta nel vestire non modifica la condizione del privato femminile come luogo sottoposto all’arbitrio potestativo maschile, cioè come luogo della deprivazione. Una volta esclusa la porpora delle magistrature, le donne potevano vestirsi per il tribuno dei colori che più piacevano loro. Le matrone accettarono il “patto di scambio”6 e con l’abrogazione della legge si riappropriarono di un privato che le confinò nella subalternità. Il riconoscimento di un controllo collettivo, del gruppo o dello stato, sull’abbigliamento femminile, ha proiettato il percorso storico nella contemporaneità. Infatti l’obbligo del velo, che ha attraversato le civiltà del mediterraneo a partire dalla civiltà romana, ci viene oggi prepotentemente riproposto dalla presenza dell’Islam in Europa (e in futuro di un Islam d’Europa).
Gli studenti ne hanno documentato la presenza nel mondo giudaico, cristiano e musulmano anche alla luce degli usi contemporanei. Il diritto canonico ne sancisce l’obbligatorietà nelle cerimonie religiose fino al 1983; alcune teologhe contemporanee7 si chiedono però se San Paolo non abbia inteso segnalare, nel passo che prescrive il capo coperto per le donne8, il potere liturgico della donna nel cristianesimo, rimarcando la differenza con le cerimonie sacre greche ed orientali, dove le capacità profetiche erano espresse dai capelli scarmigliati. Sopravvissuto ormai solo nella sposa e nella suora come segno del sacro, il velo si trasforma per noi oggi in un copricapo soggetto alle mode, il foulard, mentre torna in auge nella società musulmana nel XX secolo, come strumento per affermare la propria identità culturale durante la colonizzazione o in terra d’emigrazione, diventando così un’esigenza della modernità9.
L’ostensione di un accessorio dell’abbigliamento femminile implica ancor oggi un intreccio di motivazioni religiose, culturali e politiche dove pubblico e privato diventano terreno di conflitto.
Note
1. Livio, Hist. I, 57-59
2. Livio, Hist. III, 44-49
3. M.Douglas, Purezza e pericolo: un’analisi dei concetti di contaminazione e tabu, Il Mulino, 1998
4. P. Salomoni, La santa e la strega, Canova 2000, pag.29 e sgg.
5. Livio, Hist. XXXIV, 1-8
6. E. Cantarella, Passato prossimo, Feltrinelli 1996, pp. 84-86 e pp.136-146
7. E. Sohussler Fiorenza, In memoria di lei. Una ricostruzione femminista delle origini cristiane, ed. Claudiana 1990, pp. 253-262
8. Prima lettera ai Corinzi, 11, 3-16
9. C. Saint- Blancat, L’islam della diaspora, Edizioni Lavoro 1995
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Foto di copertina
Una placca in rilievo raffigurante un greco che insegue un’amazzone. Parte di una coppia di lastre in rilievo duplicate. Copie romane del II secolo d.C. di scene dello scudo di Atena sulla statua di Atena Parthenos di Fidia nel Partenone (Museo Archeologico del Pireo, Atene).
Autore Mark Cartwright (Worldhistory.org).
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Antonella Carullo insegna presso il Liceo G.B. Brocchi di Bassano del Grappa. Si è laureata in Lettere classiche all’Università degli studi di Padova, dove ha conseguito il perfezionamento in Politiche di cittadinanza e democrazia di genere. È autrice di contributi sulla didattica della letteratura classica e moderna, formatrice in azioni regionali e nazionali e membro della Commissione del Certamen Senecanum, nonché di Rete Probat, finalizzata alla certificazione della lingua latina. È impegnata da diversi anni nella promozione delle Pari Opportunità presso l’USR del Veneto e il Comune di Bassano. I suoi interventi spaziano da progetti di ricerca e divulgazione attraverso la saggistica ad iniziative connesse alla scrittura creativa.
Alcuni dei suoi lavori in quest’ambito: Ma il lavoro di che genere è? vol.2° pp. 32-35 dagli ATTI del Convegno Verso un futuro di pari opportunità, a cura del Comune di Bassano del Grappa, Commissione P.O. 2007; Le ragioni di un concorso: la scelta dell’abito tra libertà e costrizione in Il genere a scuola, a scuola di genere, a cura della Regione Veneto e del MPI, 2007; Ri-conoscersi nella differenza e nell’ alterità, (coautrice) in 1819-2019, I 200 anni del Liceo Brocchi, 2019 Editrice Artistica Bassano; Prefazione alla raccolta di interventi contenuti in Con voce di donna – Identità e narrazioni , 2004, divulgazione in fascicolo a cura del Laboratorio sulle Differenze dell’ USSL 8 di Asolo; sceneggiatura e regia di Tina Merlin, partigiana, giornalista, scrittrice, nell’ambito del progetto Le donne che hanno costruito l’Italia, in scena il 22 aprile 2012 al Ridotto del Teatro Remondini di Bassano del Grappa.
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