RIVISTA DI CULTURA MEDITERRANEA

FINNEGANS, UN PRESIDIO CULTURALE NEL DESERTO CHE AVANZA

[Tempo di Lettura: 4 minuti]

di Diego Lorenzi

Quando il sole della cultura è basso
all’orizzonte, anche i nani proiettano
lunghe ombre (Karl Kraus)

 

L’iniziale approccio editoriale di Finnegans è sbocciato nel retroterra fangoso e fertile della poetica joyciana (simboleggiata dalla foto di copertina del numero zero), eretta poi a “pretesto” letterario per le nostre prime irruzioni artistiche, accompagnate da qualche timido saccheggio letterario – una velata forma di “appropriazione” culturale, quasi un debito di riconoscenza verso uno degli autori più interessanti del Novecento, artefice di un linguaggio cosmopolita e universale –.

Da questo primo atto simbolico, che certificava un’adesione ideale al pensiero dell’autore irlandese intriso di molti aspetti tematici che hanno cadenzato molte edizioni della rivista – la ribellione al vuoto e alla paralisi culturale, il viaggio di Ulisse come stimolo alla conoscenza e sfida incessante al confronto, la ricerca del senso profondo dell’esistenza attraverso i vari percorsi epifanici, ecc. -, si è passati a girovagare attraverso i crinali delle prime avanguardie del Novecento, quando i movimenti artistici hanno iniziato ad invadere i centri nevralgici del pensiero intellettuale dominante, facendo piazza pulita delle vecchie incrostazioni ottocentesche. Per poi allungare lo sguardo al dopoguerra, alle cosiddette neoavanguardie e via via fino ai nostri giorni, cercando di portare alla luce alcuni frammenti della vita culturale sotterranea, che hanno innervato molte nostre riflessioni sul senso vero dell’arte legato alla vita interiore, su cui aleggia incessantemente un principio caro a Robert Musil: “Non far nulla che non sia interamente di valore”.

Venezia e il Mediterraneo

Fu con questo spirito che vennero pubblicati i numeri dedicati a Marcel Duchamp, Fernando Pessoa, Thomas S. Eliot, Samuel Beckett, seguiti da altre pubblicazioni più dense e proficue che puntarono su molte ricognizioni in terra veneta, sfociate in fortunate edizioni, quelle su Carlo Scarpa, Emilio Vedova, Luigi Nono, Goffredo Parise, Andrea Zanzotto, Mario Rigoni Stern, Venezia ’50/60, Venezia e il Mediterraneo, a cui si erano aggiunte nel frattempo quelle su David Maria Turoldo, Andrej Tarkovskij e Karlheinz Stockhausen.

La sfida della rivista cartacea nel primo decennio di attività (2004 -2014) si è rivelata una scommessa editoriale vincente – anche se non sono mancate alcune delusioni legate soprattutto alla mancata “spinta propulsiva” di qualche personaggio e alle difficoltà distributive di un mercato refrattario alle produzioni indipendenti -. Quanto ai contenuti, si è sempre cercato per quanto possibile di tenere in equilibrio l’esigenza di una narrazione di buon livello, quindi un ancoraggio sicuro e autorevole affidato ai singoli studiosi e la libertà di un pensiero non piegato ad interessi strettamente filologici. Spesso ci siamo riusciti, altre volte solo in parte.

Poi è arrivato l’irresistibile richiamo del digitale, provocato nel nostro caso – come in molti altri – dalla penuria di mezzi economici e dalla difficoltà di tenere il passo con una narrazione aggiornata e puntuale, scandita da un battito sempre più veloce, a volte irregolare, che si nutre del presente in modo compulsivo e i cui tratti comuni sono molto spesso la superficialità, la banalità e un giudizio critico rudimentale, sovente privo di originalità.

Venezia '50-'60

Personalmente non ho mai smesso di appassionarmi ad una scrittura critica che mi faccia sentire vivo, in grado di cogliere e di accogliere dentro di me punti di vista diversi, o aspetti del tutto sconosciuti, le cui diversità spesso si contendono il nostro spirito e l’intelletto, arricchendoci ed elevando il nostro orizzonte interiore. Ebbene, tutti questi anni trascorsi in vostra compagnia – e in quella di tanti preziosi e intelligenti contributi critici –, hanno rappresentato per me – e sono sicuro per molti di voi – una crescita culturale impareggiabile, che ha spianato la strada ad una continua ricerca e approfondimento critico nei campi più svariati, dall’arte alla letteratura, dalla musica all’architettura, dalla filosofia alle produzioni cinematografiche.

Ed il passaggio all’editoria digitale ha favorito lo sviluppo di una comunicazione nuova e più completa, aprendo nuovi spazi espressivi – che erano vincolati dalla rigidità del formato cartaceo (anche se il fascino ed il valore artistico e umano di una pagina stampata mi auguro rimangano intatti per sempre e siano oggetto di qualche nostra futura pubblicazione) –.
Devo dire, con mia iniziale sorpresa, che la produzione digitale di Finnegans sta procedendo bene, grazie ad un’ottima convergenza tra contenuto e forma, lavoro grafico e qualità dei contributi. Come voi sapete, l’attualità culturale contemporanea non offre grandi fondali su cui proiettare nuovi e originali fenomeni artistici all’altezza delle tendenze e spinte creative del passato, perché in genere si tratta di riedizioni o rivisitazioni di eventi già conosciuti – in tutti i campi -. Quella che è in atto, a detta di molti, è una crisi di valori, di idee, di creatività, a cui si risponde ideando solo nuove etichette culturali o nuove formulazioni, che vanno dalla riscoperta di: un mercato culturale, un marketing culturale, un deposito culturale, e così via. Insomma, una nuova riorganizzazione di un universo che tende semplicemente a conservare se stesso e a mantenersi vitale in funzione solo produttiva.

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Naturalmente ci sono delle eccezioni, rappresentate dagli artisti e dagli intellettuali che vanno controcorrente e che alimentano “l’anima” culturale esclusivamente per passione, sensibilità, consapevolezza del valore universale della cultura da trasmettere e per un bisogno etico e artistico di condivisione. Al di là del mero guadagno o di qualche brandello di visibilità.

Ed è soprattutto su di loro che Finnegans fermerà il proprio sguardo, accendendo qualche fiaccola in queste notti così aride di luce, nel deserto culturale che avanza.

 

Diego Lorenzi

 

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