RIVISTA DI CULTURA MEDITERRANEA

Superflui o inauditi? “Sanguina ancora. L’incredibile vita di Fëdor M. Dostoevskij”, di Paolo Nori. Commento critico di Annarosa Maria Tonin  

[Tempo di Lettura: 7 minuti]

“Sanguina ancora. L’incredibile vita di
Fëdor M. Dostoevskij”

di Paolo Nori

«In me hanno visto una corrente originale che consiste
nel fatto
che io faccio un’Analisi, non una Sintesi, io vado
in profondità e,
frugando tra gli atomi, trovo il tutto […]
Il mio futuro è meraviglioso
»

Lettera di Fëdor M. Dostoevskij al fratello Michail, 1 febbraio 1846

 

       Perché il racconto di questa vita romanzesca? Perché “rifare lo sforzo terribile di guardarmi come sono dentro”, rileggendo “i suoi libri”?

       Paolo Nori non tergiversa nel presentare al lettore le ragioni di Sanguina ancora. L’incredibile vita di Fëdor M. Dostoevskij (Mondadori). Sarebbe riduttivo usare le categorie di saggio o romanzo per definire questo libro, che è, piuttosto, un inno alla vita e alla lettura, un atto di amore incondizionato nei confronti della lingua letteraria russa.

       Perché, dunque, il racconto della vita di Dostoevskij?

         “Perché viviamo in un tempo in cui devi nascondere le tue ferite e i tuoi dispiaceri, come se non fossi fatto di quelle, e di quelli […] Perché questi libri parlano di me, delle mie miserie, delle mie paure, delle mie ferite, della mia famiglia, del mio essere solo, del mio essere senza un babbo, senza una mamma, a cinquantasette anni, un ridicolo, vecchio orfano parmigiano che abita a Casalecchio di Reno”.

       Ogni capitolo è composto da paragrafi che rinviano costantemente a domande esistenziali, a tracce indelebili di ricordi biografici dello scrittore e dell’autore, accadimenti del passato, anticipatori di analoghi fatti verificatisi nel futuro, in un continuo procedere intrecciato delle rispettive vicende biografiche.

       Paolo Nori ripercorre le tappe del suo incontro con Dostoevskij, dal racconto della ferita inferta dalla lettura di Delitto e castigo, “una cosa che prima non ci era mai stata detta, che nessuno aveva mai sentito” e che lo rende consapevole di stare al mondo, perché “Dostoevskij ci ha detto come siamo fatti prima che venissimo al mondo”.

       Il critico Viktor Šklovskij sostiene che “il procedimento che crea l’arte consiste nel guardare il mondo, la nostra quotidianità […] le cose che facciamo tutti i giorni, come se le facessimo e le vedessimo per la prima volta”. Nori ribadisce che Dostoevskij ha fatto quel che fanno gli artisti: “ha reso visibile l’invisibile, ha preso le nostre giornate, i nostri gesti quotidiani, dall’imballaggio che li avvolgeva e noi, adesso, li vediamo”. 

       Come Dostoevskij, da ingegnere dimissionario e traduttore è diventato scrittore di storie inaudite alla ricerca della sua Gerusalemme? In realtà, sono tante le Gerusalemme della sua vita e Paolo Nori ne ripercorre il dipanarsi: dal clima di San Pietroburgo, «meraviglioso», scritto proprio così, in italiano, nelle lettere di Fëdor quindicenne al padre, alla letteratura, prima come traduttore di Balzac e poi come autore, quando Belinskij gli dice di essere andato più avanti di Gogol’; dal Circolo Petraševskij che lo conduce alla fortezza di Pietro e Paolo e allo scampato patibolo, alla ricchezza dei «ben cinque minuti» che lo separano dalla fine, che è la ricchezza dei «solo sette anni» che separano Raskol’nikov da Sonja; dalla prigionia e dal confino, dove la Gerulasemme è Marija Isaeva, la prima moglie, alla riconquista del diritto a tornare a San Pietroburgo e pubblicare e risposarsi con Anna Grigor’evna; dall’aspirazione alla ricchezza allo straordinario successo degli ultimi anni di vita.

       L’autore ripercorre la vita e le opere di Dostoevskij dal primo romanzo, Povera gente (1846), inizio di «qualcosa di completamente nuovo», di inaudito.

Vasilij Grigor’evič Perov, Ritratto di Fëdor Michajlovič Dostoevskij, 1872, olio su tela, Mosca, Galleria Tret’jákov

       Cosa succede quando compare un romanzo inaudito? “Dostoevskij scrive di cose che si fa fatica non solo a scriverle, anche a nominarle, e non solo a nominarle, anche a pensarle. I bambini, per esempio, quando muoiono”. Nei personaggi in controluce vivono le analogie fra ciò che Dostoevskij scrive, anche nelle sue lettere, e la sua vita. In Povera gente, il primogenito dei Gorškov muore, e anni dopo morirà Sonja, la primogenita dello scrittore e della seconda moglie. E ancora nel romanzo Devuškin fa dei regali a Varen’ka e contrae debiti; Dostoevskij nei quattro anni fuori dalla Russia fra il 1862 e il 1866 costringerà Anna a vendere i gioielli, quando, nella sua seconda vita, contrarrà debiti di gioco. Ljudmila Saraskina, nella sua biografia dello scrittore sottolinea che a Baden-Baden “tutti i giorni andavano e venivano dal banco dei pegni la mantiglia, le pellicce, gli abiti da sera di Anna e il frac di Dostoevskij”.

       Scrivere per giocare o giocare per scrivere? Paolo Nori chiama “la mistica del denaro” l’ossessione di Dostoevskij per il raggiungimento della ricchezza. Nei suoi scritti e nella sua vita, infatti, «Sua Maestà la Miseria» – come la definisce Gérard, maggiordomo di casa Coigny e poi feroce rivoluzionario in Andrea Chénier di Umberto Giordano – e l’arricchimento degli altri scrittori «incapaci» non hanno soluzione di continuità. L’«Io son poi da solo, e loro sono tutti», che leggiamo nelle Memorie del sottosuolo riflette la solitudine e la miseria di uno scrittore, il fatto che “in una persona di animo nobile possa vivere qualunque porcheria”. Dostoevskij resta uno scrittore che ha reso visibile l’invisibile, anche l’essere condannato a morte.

Miki Manojlović e Carolina Crescentini  ne I demòni di San Pietroburgo, di Giuliano Montaldo, 2007

       Paolo Nori ci fa un grande dono: il racconto del passaggio dei condannati, del loro arrivo davanti al patibolo, della sospensione della condanna a morte, scritto da Dmitrij Dmitrievič Achšarumov, ventiseienne funzionario del ministero degli Esteri che frequenta come Dostoevskij il Circolo Petraševskij e ne diventa compagno di detenzione nella fortezza di Pietro e Paolo.

         “Gli scrittori, in Russia, erano pericolosi, tanti anni fa” chiosa Nori, il quale allarga l’orizzonte del suo racconto all’importanza del ruolo sociale degli scrittori in Russia, sottolineando la peculiarità e universalità della lingua letteraria, nata grazie a Aleksandr Puškin. Chi scriveva in Russia prima di lui lo faceva in francese. Il suo Evgenij Onegin è il primo romanzo russo, in versi, dove “diventa poetico quel che è consueto, giornaliero”.

       Paolo Nori mette in relazione Dostoevskij con i grandi della letteratura russa; oltre a Puškin, rende protagonisti Gogol’, Turgenev e Tolstòj.

       Quello tra Tolstòj e Dostoevskij è un incontro mancato nella realtà, che rivive in alcuni libri che esplorano le loro personalità riunite in un’unica (Il mistero Tolstoevskij di Pierre Bayard) oppure l’una il contrario dell’altra (Tolstòj e Dostoevskij di Dmitrij S. Merežkovskij).

       Attraverso le voci dei due maggiori critici, Bachtin per Dostoevskij e Šklovskij per Tolstòj, Nori evidenzia che l’uno ha scritto “romanzi polivoci, in cui le voci dei singoli personaggi sono tutte sullo stesso piano”, mentre la voce dell’altro “supera e soffoca i personaggi”.

       Soffermandosi sulla discussione se, dopo di loro, sia comparso un romanziere-sintesi tra i due, l’autore conclude che l’auspicio non si è avverato.

Vasilij Andreević Tropinin, Ritratto di Aleksandr Puškin, 1827, olio su tela

       Sanguina ancora, dunque, è una tela di grande formato, una composizione di viaggi letterari fra pagine di romanzi, lettere, biografie, saggi e articoli, di passeggiate alla ricerca di quelle case di carta e di vita vera, di personaggi e scrittori, come la casa del generale Epančin, dove si presenta il principe Myškin, che possiamo incontrare “a due minuti a piedi da dove avrebbe abitato Josif Brodskij”. 

       Paolo Nori, tuttavia, è consapevole “che la maggior parte dei lettori” del suo libro “non è laureato in letteratura russa”. E allora, la sua passione – mi piacciono i marginali – e convincimento che sia “la letteratura più bella del mondo”, non respingono chi non ha mai letto nulla, bensì comunicano la gioia del fare cose inaudite, come essere pervicacemente attaccato alla pratica della lettura di un romanzo intero di Dostoevskij, la cui lingua è “la lingua delle fiere, dei saltimbanchi, degli ubriachi, dei bottegai, dei mercati del mondo”, la lingua del sottosuolo, della disperazione, della miseria e della volgarità.

       Essere inauditi è commuoversi e provare vergogna, è accettare l’invito ad arricchirsi e instradarsi con Dostoevskij, Puškin, Gogol’, Turgenev, Tolstòj, Gončarov, Erofeev.

       Non ci si può liberare impunemente della loro eredità. Oblomov (1859), Padri e figli (1861), Memorie del sottosuolo (1864) delineano un percorso che conduce dall’uomo superfluo che rinuncia all’oggi, si ritira in campagna perché non può fare niente se non annoiarsi, all’uomo del sottosuolo senza nome e cognome che si chiede e ci chiede quando è che si vive, a Alësa Karamazov, che al funerale del piccolo Iliuša si rivolge ai piccoli amici del bambino, a cui infonde gioia nella speranza di ritrovare, un giorno, il loro amico.

Ah! Piccoli, ah, cari amici miei: non temetela, voi, la vita! Com’è bella la vita quando fai qualcosa di buono e giusto!”

Carlo Simoni ne I Fratelli Karamazov, 1969

       E oggi? Cos’è buono e giusto, oggi? Cos’è la “grande armonia universale”, di cui Dostoevskij parla all’inaugurazione del monumento a Puškin nel 1880? Cosa significa oggi “tutte le genti amar”, come canta Gérard nell’Andrea Chénier?

       Quand’è che si vive? Come mai faccio le cose che faccio?

         “Le domande di un libro bisogna porle a se stessi” afferma con forza Paolo Nori. Ecco, dunque, che la scrittura di Sanguina ancora è un invito a indagare come Porfirij – e il tenente Colombo – e commuoversi, senza temere di sapere già il nome del colpevole: la nostra vita.

 

Autore: Paolo Nori
Titolo: Sanguina ancora. L’incredibile vita di Fëdor M. Dostoevskij
Casa editrice: Mondadori
Collana: Scrittori italiani e stranieri
Anno di pubblicazione: 2021
Pagine: 288 – 18,50 euro

Foto di copertinaVasilij Sùrikov, Vista del monumento a Pietro il Grande sulla Piazza del Senato a San Pietroburgo” (1870)

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Paolo Nori, laureato in Letteratura russa, è traduttore e curatore di opere di autori tra cui Puškin, Gogol’, Turgenev, Tolstòj, Čechov, Dostoevskij. Autore di romanzi e saggi, ha pubblicato tra gli altri Bassotuba non c’è (1999), Si chiama Francesca, questo romanzo (2002), I russi sono matti (2018), Che dispiacere (2020).

Annarosa Maria Tonin è nata a Vittorio Veneto nel 1969. Laureata in Lettere moderne all’Università Ca’ Foscari di Venezia con una tesi sugli inviati veneti alla corte di Rodolfo II d’Asburgo, è stata docente di Materie Letterarie e Storia dell’Arte nelle scuole medie e superiori. Curatrice di eventi culturali, collabora con la rivista trimestrale Digressioni e la libreria Tralerighe di Conegliano. Autrice di racconti, romanzi e saggi, ha pubblicato per Digressioni editore la raccolta di saggi “L’uomo nell’ombra. Storie d’arte, potere e società” (2019) e il romanzo “Anatolia” (2020).

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