Souverän ist, wer über den Ausnahmezustand entscheidet.1
Carl Schmitt
Le misure adottate dal nostro governo (e dai governi di tutti i paesi) per fronteggiare la recente pandemia dovuta al Covid-19 hanno acceso il dibattito circa la loro legittimità e riportato in primo piano una questione già nota ai giuristi e non solo, quella del cosiddetto Stato d’eccezione.
I vari decreti del presidente del Consiglio Conte facevano riferimento al decreto legislativo 1 emanato il 2 gennaio 2018 e relativo al Codice della protezione civile, che nell’articolo 24 disciplina la deliberazione dello stato di emergenza di rilievo nazionale, rimandando all’articolo 7, comma 1, lettera c, dove si fa riferimento a: “emergenze di rilievo nazionale connesse con eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo che in ragione della loro intensità o estensione debbono, con immediatezza d’intervento, essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo”. Il 31 gennaio del 2020 il Consiglio dei ministri ha dichiarato lo stato d’emergenza, stabilendone la durata in sei mesi (poi prolungata).
I seguenti DPCM sono mano a mano intervenuti per disciplinare le operazioni tese a gestire questo stato emergenziale, con l’effetto ulteriore di rendere inattivi molti dei diritti garantiti dalla Costituzione, rompendo quel principio saldissimo dello stato di diritto per il quale non devono esserci eccezioni allo stato di diritto stesso.
Le posizioni dei vari commentatori, di ambiente accademico ma non soltanto, non sono state fin da subito unanimi e se da una parte c’era e c’è chi sostiene che l’operato del nostro governo sia stato discutibile perché aperto verso una pericolosa deriva autoritaria e priva del vaglio degli istituti democratici a ciò preposti (il Presidente della Repubblica e le Camere), dall’altro c’è stato chi ha sottolineato come la salute pubblica valga da sola a rendere opportuni e inevitabili gli strumenti adottati (i famosi DPCM). La critica muove principalmente dalla considerazione che la gestione della crisi ha evitato la prassi garantista della nostra Costituzione mancando di parlamentarizzare l’emergenza, sfuggendo oltre che al controllo politico delle Camere anche a quello di legittimità operato dalla Consulta (ad entrambi i controlli i DPCM non sono soggetti, in quanto atti normativi di carattere amministrativo). In questa prospettiva, sembra venire meno quella divisione e quel bilanciamento dei poteri che fondano lo stato di diritto, rafforzando pericolosamente il potere esecutivo. Le posizioni favorevoli riconducono le scelte del governo alla necessità di agire in fretta: il fine, cioè il bene comune, giustifica il mezzo adoperato, seppur improprio. Le garanzie costituzionali non sono state annullate, ma sospese, dando priorità al diritto alla salute.
Si tratta di temi già emersi al principio del millennio, quando l’escalation del terrorismo aveva posto alcuni problemi di natura straordinaria e suggerito altrettali misure d’emergenza per contrastarli. Alla base c’è la stessa energia di attivazione: una situazione non comune spinge a chiedere che vengano adottati provvedimenti che facciano fronte a tale situazione – che sostanzia, appunto, lo stato d’eccezione – anche se essi dovessero andare contro le normative vigenti e, al limite, contro alcuni principi di diritto costituzionale.2
Per quanto ci riguarda, il nostro ordinamento costituzionale, notoriamente garantista, non prevede che le coperture costituzionali possano venir meno per alcun motivo, inclusi eventuali stati di necessità, con l’unica eccezione dello stato di guerra, ex Art. 78: “Le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari”. Risulta chiaro che lo stato d’emergenza qui indicato rimanda ad una sua gestione parlamentare, quindi legislativa. È altrettanto accertabile che altre situazioni emergenziali non riconducibili all’evento bellico possano trovare copertura costituzionale, nel senso che salute e incolumità pubblica costituiscono il fondamento dello stato d’emergenza e forniscono la ragione per cui altri diritti possono essere limitati (temporaneamente):
La Costituzione prevede espressamente, all’articolo 16, che la libertà di circolazione possa essere limitata “per motivi di sanità o di sicurezza”. L’articolo 17, sulla libertà di riunione, dispone che essa possa essere vietata per “comprovati motivi di sicurezza e di incolumità pubblica”. Ricordo ancora che anche l’articolo 32 sul diritto alla salute non solo esplicita che essa è un diritto fondamentale dell’individuo, ma che costituisce anche un interesse della collettività.3
I nostri padri costituenti, dato il recente e cruento passato di violenza, coercizione e mancanza di regole democratiche, ebbero come motivo di ispirazione fondamentale la preclusione a qualsiasi sospensione dei diritti fondamentali di libertà che avevano appena dichiarato come inviolabili.4
Anche quando è la necessità a farsi legge, questa incontra dei limiti, da ravvisarsi “nei principi generali dell’ordinamento giuridico” tali per cui le misure intraprese devono essere generiche e astratte, limitate nel tempo, non possono essere retroattive, devono essere motivate (superamento emergenza sanitaria) e devono, inoltre, essere proporzionali rispetto allo scopo che si prefiggono (per operare un giusto bilanciamento tra l’emergenza sanitaria e quella economica).5
La riflessione sul decisionismo dell’esecutivo, sul bilanciamento dei poteri inerente allo stato diritto e insomma sulla peculiarità della sovranità, fu un tema che trovò espressa posizione e profonda analisi negli anni che intercorsero tra le due guerre nella Germania di Weimar, che rappresentò un vero laboratorio costituzionale e funse da spunto, stimolo, ricerca per quanti, Italia compresa, si trovarono a dover dare nuovi assetti giuridici e nuove garanzie ai propri ordinamenti.
Il testo di Weimar rappresenta un documento di testimonianza storica di straordinario interesse, in quanto offre i primi importanti tentativi di risposta agli inediti problemi sociali del Novecento, cercando, da un lato, di riconoscere i nuovi diritti materialmente emergenti, in particolare nel campo dell’economia e del lavoro, e, dall’altro, proprio per il dissestato contesto di riferimento, di disegnare un modello organizzativo incentrato sulla identità comunitaria del popolo.6
Si deve soprattutto a Carl Schmitt la definizione della sovranità in rapporto allo stato d’eccezione, come si comprende dalla famosa frase messa a epigrafe del presente testo. Schmitt nel 1921 pubblica il libro La dittatura; in esso il giurista si interroga su questo istituto giuridico presente già nell’antica Roma configurandolo, fin dalla Premessa, necessariamente come stato d’eccezione.
Lo stato d’eccezione è una misura di governo di emergenza che attua una sospensione dell’ordine giuridico vigente, profilandosi come «una sorta di autonegazione del diritto che viene a situarsi in una zona di confine illocalizzabile tra ambito giuridico e ambito extragiuridico, ossia tra legge e mero esercizio della forza, non essendo riconducibile propriamente a nessuna di queste due sfere7».
L’esercizio di questo potere è la chiave analitica che Schmitt considera come inevitabile per riflettere sull’esercizio del potere nella politica moderna: si passa quindi da un istituto giuridico tra gli altri, all’essenza dello Stato moderno, che è Stato assoluto.
I caratteri fondamentali della dittatura sono, per Schmitt: “l’investitura da parte di un’autorità suprema, la sospensione del diritto, il forte accentramento del potere, la transitorietà, l’adempimento del compito di ristabilire l’ordine violato (dittatura commissaria) o di stabilire ex novo l’ordine (dittatura sovrana)”8.
Gran parte della sua analisi Schmitt la dedica alla Francia di fine XVIII secolo, che segna un passaggio concettuale fondamentale. Con la Rivoluzione la dittatura passa da essere un istituto investito dal potere costituito a un istituto investito dal popolo, che detiene il potere costituente. Se guardiamo ai caratteri succitati, la dittatura passa da commissaria a sovrana e per Schmitt la Rivoluzione francese segna la nascita contemporanea di democrazia (modernamente intesa) e dittatura sovrana9. Anche a Weimar, nel 1919, con l’Assemblea nazionale che avrebbe poi elaborato la costituzione repubblicana, si assiste a una dittatura sovrana che ha avuto appunto il compito di fondare il nuovo ordine dopo la disastrosa parentesi bellica e l’abdicazione forzata dell’imperatore Guglielmo II.
Nel 1922 Schmitt pubblicò uno dei suoi capolavori: Teologia politica, che contiene la celebre affermazione per cui il sovrano è chi decide sullo stato d’eccezione. Bersaglio critico principale è Hans Kelsen e la sua opera del 1920: Il problema della sovranità e la teoria del diritto internazionale, diretta all’affermazione del normativismo liberale e dello Stato di diritto. In estrema sintesi, i due pensatori divergono nella opposta concezione di Stato e di Diritto; per Kelsen lo Stato si identifica con l’ordinamento giuridico, mentre per Schmitt Stato e diritto sono divisi, cosa ben visibile nello stato d’eccezione dove lo Stato continua ad essere, mentre il diritto viene meno.
L’origine della sovranità è non giuridica e non razionale ed «esiste concretamente e storicamente come decisione sovrana sullo stato di eccezione e una tale decisione sovrana può ripetersi ogniqualvolta si verifichi un caso estremo, un’emergenza suprema non prevista dall’ordinamento giuridico vigente, perché indescrivibile»10. Il decisionismo caratteristico della teoria di Schmitt si giustifica col fatto che la costituzione è lacunosa e dunque l’elemento giuridico non basta a contenere quello politico che si impone attraverso la decisione sovrana su uno stato di eccezione sempre possibile e sempre imprevedibile. Se essa è dunque imprevedibile, non può nemmeno dirsi cosa si dovrà fare per affrontarla concretamente, mentre è possibile definire costituzionalmente chi sarà chiamato a decidere, cioè chi ne avrà la competenza.
Infatti, per Schmitt:
Il Sovrano decide tanto sul fatto se sussista il caso estremo di emergenza, quanto sul fatto di che cosa si debba fare per superarlo. Egli sta al di fuori dell’ordinamento giuridico normalmente vigente e tuttavia appartiene ad esso perché a lui tocca la competenza di decidere se la costituzione in toto possa essere sospesa11.
Nella costituzione di Weimar del 1919, precisamente nell’articolo 4812, si stabilisce che questo potere spetta al Presidente della Repubblica, il quale dichiara lo stato d’eccezione e decide quali misure adottare per ristabilire l’ordine13. Questo articolo non prevedeva un limite temporale, consentendo così di considerare lo stato d’eccezione come perenne, lasciando sgombro il campo all’affermarsi del totalitarismo nazionalsocialista.
La costituzione di Weimar rimase in vigore fino al 24 marzo 1933, quando la legge sui pieni poteri abilitò la facoltà di adottare leggi, oltre che secondo il procedimento della Costituzione, anche per decisione diretta del governo di Hitler, il quale, in conformità (Schmitt parlerebbe di legalità illegittima) alla Costituzione che stava per abolire, stava per imporsi soffocando ogni libertà. La dissoluzione operata da Schmitt dello Stato di diritto era coerente e portava all’estremo il decisionismo, lasciando però aperta la porta alla dissoluzione dello Stato nella sua interezza.
Foto di copertina
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Note
1. Sovrano è chi decide sullo stato d’eccezione.
2. «Negli anni recenti le crisi che si sono aperte dopo il mutamento dello scenario internazionale che ha fatto seguito alla scomparsa della bipolarizzazione fra blocco orientale e occidentale si sono manifestate in un quadro di instabilità che ha provocato gravi preoccupazioni sia a livello internazionale che interno per la garanzia della sicurezza. Quest’ultima ha progressivamente assunto una posizione centrale nel quadro dei valori di riferimento sia a livello interstatale che interno, dove si è venuto riscoprendo il bisogno di sicurezza, da soddisfarsi come diritto, al cui presidio si erano a suo tempo impegnate le carte costituzionali settecentesche: la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 la faceva rientrare fra i diritti naturali e inalienabili. Il bisogno di sicurezza ha assunto quindi un ruolo prioritario sconvolgendo le regole che erano state poste alla base dell’ordinamento delle Nazioni unite», Giuseppe de Vergottini, La difficile convivenza fra libertà e sicurezza. La risposta delle democrazie al terrorismo. Gli ordinamenti nazionali, Bol. Mex. Der. Comp. vol.37 no.111 Ciudad de México sep./dic. 2004.
3. Così Gaetano Azzariti, docente di diritto costituzionale alla Sapienza, in un’intervista rilasciata al quotidiano La Repubblica, consultabile qui: https://www.repubblica.it/politica/2020/03/08/news/coronavirus_azzariti_le_misure_
sono_costituzionali_a_patto_che_siano_a_tempo_determinato
4. “La prima esperienza di “nuova” scrittura costituzionale dopo la “crisi” di Weimar è stata quella italiana. E la Costituzione italiana ha definitivamente scandito una diversa struttura del testo costituzionale: principi-libertà-funzioni, dove le funzioni operano “al servizio” delle libertà e dei diritti e non viceversa, sicché la stessa interpretazione costituzionale non deriva dal circuito chiuso dei soli poteri von oben, in quanto democraticamente legittimati dal popolo, come volevano le formule weimariane, bensì nasce dal basso come insieme di istanze di libertà e giustizia nella materialità dei rapporti sociali. Proprio in questa dialettica della “piramide rovesciata”, come venne definita in Assemblea costituente in Italia, Weimar costituì il riferimento “in negativo” del processo costituente italiano”: Michele Carducci, Il “compromesso” di Weimar e il problema della scrittura costituzionale, Revista Jurídica (FURB) 18 (37), pp. 5-20.
5. Flaviana Cerquozzi, “Stato d’emergenza” e Costituzione, Rivista Semestrale di Diritto, consultabile qui: https://www.iusinitinere.it/stato-demergenza-e-costituzione-26393#_ftnref34
6. Michele Carducci, op. cit.
7. Enrico Redaelli, Legge ed eccezione. Benjamin, Schmitt e il fondamento del diritto, Noema, 7-2/2016
8. C. Bocchini, La teoria schmittiana della democrazia. Il pensiero politico e la teoria costituzionale di Carl Schmitt nel contesto dell’interpretazione delle costituzioni moderne dall’età della Rivoluzione francese alla Repubblica di Weimar, Tesi di dottorato, consultabile qui: http://paduaresearch.cab.unipd.it/739/
9. Secondo Schmitt, anche nella speculazione di Lenin la dittatura del proletariato presuppone la concezione di dittatura sovrana, che ha come compito il passaggio dall’economia capitalista e dalla democrazia parlamentare e borghese al comunismo e alla democrazia rivoluzionaria e proletaria.
10. Bocchini, Op. cit.
11. C. Schmitt, Teologia politica. Quattro capitoli sulla dottrina della sovranità, (1922) in Id., Le categorie del “politico”, Il Mulino, Bologna 1972, pag. 34.
12. “Il presidente può prendere le misure necessarie al ristabilimento dell’ordine e della sicurezza pubblica, quando essi siano turbati o minacciati in modo rilevante, e, se necessario, intervenire con la forza armata. A tale scopo può sospendere in tutto o in parte la efficacia dei diritti fondamentali stabiliti dagli art. 114,115,117,118, 123, 124 e 153”. Di tutte le misure prese ai sensi dei precedenti commi il Presidente deve senza indugio dare notizia al Reichstag. Le misure stesse devono essere revocate se il Reichstag lo richieda”.
13. Prendiamo, come paragone, l’articolo 16 della nostra carta costituzionale che dice: “Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche”. È evidente che nella sua stesura i costituenti avevano ben chiara le vicende degli anni di Weimar e di quello che ne seguì, e vollero restringere i limiti di libertà d’azione del governo.
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Alberto Trentin è nato a Treviso nel 1979. Ha conseguito la laurea in filosofia a Ca’ Foscari, un dottorato in filosofia del Rinascimento, e un master triennale in pedagogia clinica, con una tesi sul soggetto nella contemporaneità.
Ha organizzato la kermesse culturale Treviso allo specchio nel 2009 e dal 2015 ha collaborato con l’associazione NinaVola per il festival Carta Carbone.
Ha scritto testi teatrali, negli anni portati in scena a Treviso e provincia. Ha pubblicato due raccolte di poesie, La voce dei padri (Samuele Editore, Pn 2010), Vuoti d’ossa (Arcipelago Itaca, An 2017), e curato una raccolta di saggi sulla globalizzazione (Istresco, Tv 2010), con uno personale sulla retorica digitale.
Ha pubblicato su riviste internazionali di poesia (Soglie, NeMLA, Gradiva, Italian Poetry Review) e su antologie collettanee per vari editori, nonché su riviste di critica con alcuni saggi di letteratura contemporanea su Dino Buzzati, Ezra Pound, Bartolo Cattafi.
È docente presso la scuola permanente di scrittura autobiografica de Il portolano, a Treviso. Scrive per la rivista trimestrale Digressioni ed è redattore della rivista culturale Finnegans.
Il sito internet: www.albertotrentin.it
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