Sull’onda della furia “iconoclasta” che ha portato all’abbattimento delle statue di confederati, negli Stati Uniti si è iniziato a mettere in dubbio l’opportunità di conservare le moltissime statue dedicate al navigatore genovese.
di Francesco Guidi Bruscoli
Nel 1958 un gruppo marmoreo, opera del napoletano Luigi Persico, fu rimosso dalla scalinata di ingresso orientale del Campidoglio di Washington, dove era stato collocato più di un secolo prima (nel 1844). L’opera, intitolata “La scoperta dell’America”, rappresenta Cristoforo Colombo che, con lo sguardo fiero, innalza un globo mentre una ragazza indiana lo guarda con atteggiamento sottomesso. Rimossa in occasione di lavori di ampliamento dell’edificio, la monumentale statua non fu mai più ricollocata, a causa delle numerose proteste che, fin dagli anni precedenti, l’avevano indicata come offensiva nei confronti dei nativi americani.
È notizia delle ultime settimane che, sull’onda della furia “iconoclasta” che ha portato all’abbattimento delle statue di confederati, negli Stati Uniti si è iniziata a mettere in dubbio l’opportunità di conservare le moltissime statue dedicate a Colombo: in molte città si è addirittura assistito ad atti di vandalismo diretti proprio contro statue che rappresentano il navigatore genovese. Senza una distinzione critica (e con l’assenza di una qualunque contestualizzazione storica) ogni simbolo di quello che è oggi considerato un passato razzista è fatto oggetto di odio iconoclasta.
Tutto è degenerato ad agosto con la violenza scoppiata a Charlottesville in occasione di una marcia di suprematisti bianchi che protestavano contro la rimozione della statua del generale sudista Lee. Da quel momento in numerose città vi è stata la corsa a eliminare statue o targhe che ricordavano generali o soldati confederati. Ma successivamente, oltre che nello spazio, i movimenti miranti alla rimozione di statue controverse si sono estesi a macchia d’olio anche nel tempo (storico). E Colombo è diventato simbolo di un passato razzista e schiavista che ora l’America politicamente corretta (?) vuole eliminare.
E pensare che il navigatore genovese non ha mai toccato il suolo nord-americano, limitandosi nel corso dei suoi quattro viaggi (compiuti fra il 1492 e il 1504) a esplorazioni delle isole caraibiche e a qualche incursione lungo la costa dell’America centrale e meridionale. In un momento in cui quindi egli viene smitizzato, è utile riflettere su come e perché il suo mito sia nato, specie in una zona in cui egli mai mise piede.
In effetti, pochi anni dopo la sua morte, Colombo venne rapidamente dimenticato, per iniziare a riemergere soltanto dal Settecento inoltrato. Inizialmente la sua era considerata una figura quasi periferica, ma dopo l’indipendenza del 1776 i giovani Stati Uniti erano alla ricerca di simboli che rappresentassero il loro distacco da tutto ciò che era avvicinabile agli inglesi. Come sottolineato da Evan Jones, dell’Università di Bristol, la figura quasi illuministica del navigatore – che si era lasciato alle spalle il Vecchio Mondo e poi era stato maltrattato da un sovrano sotto la cui bandiera (e per cui conto) aveva compiuto la straordinaria impresa – ben rappresentava i nuovi americani, i quali si erano sentiti oppressi dal sovrano inglese, Giorgio III. E quindi Colombo era un simbolo migliore – ad esempio – di un altro navigatore italiano, Giovanni Caboto, che, pur essendo approdato (lui sì) sul suolo nord-americano nel 1497, lo aveva fatto sotto la bandiera sbagliata: quella inglese.
Già qualche anno prima dell’Indipendenza il termine Columbia – ovviamente derivante dal nome del navigatore – veniva usato per indicare le colonie americane; ma ora poteva essere utilizzato per rappresentare l’impersonificazione femminile di un’America in cui i coloni sempre più si identificavano, in opposizione all’ex madrepatria inglese. Gli anni successivi all’indipendenza videro poi un fiorire di omaggi al nome Columbia/Colombo.
Nel 1784, ad esempio, il prestigioso King’s College di New York (fondato nel 1754) venne rinominato Columbia College (poi Columbia University). Nel 1786 Columbia venne fondata come capitale del South Carolina e nel 1791 fu nominato nello stesso modo il distretto all’interno del quale si trova la capitale Washington. Qualche anno dopo, nel 1812, fu fondata Columbus, capitale dell’Ohio. Gli esempi potrebbero ovviamente proseguire molto numerosi.
Se il bicentenario del primo viaggio colombiano (1692) era passato pressoché inosservato, nel 1792, anche in virtù dell’indipendenza da poco raggiunta, si iniziarono a tenere alcune celebrazioni, oltre ai tributi appena ricordati. I festeggiamenti furono molto più consistenti nel 1892, allorché il presidente Harrison, istituendo di fatto il Columbus Day per celebrare “the great achievements of the four completed centuries of American life” [“i grandi risultati ottenuti nei quattro secoli di vita americana”], non faceva altro che formalizzare celebrazioni che già da tempo, anche se in ordine sparso, avevano luogo.
Negli anni Trenta del Novecento il presidente Franklin Delano Roosvelt proclamò festa nazionale (federale) il giorno di arrivo di Colombo alle Bahamas (12 ottobre); nel 1968 fu deciso di spostare il Columbus Day al secondo lunedì di ottobre, ma questo non cambiò ovviamente il significato della ricorrenza.
Le celebrazioni non erano comunque limitate agli Stati Uniti e significativamente nel 1992, proprio per rimarcare il quinto centenario del primo viaggio colombiano, l’Esposizione Universale fu organizzata a Siviglia (centro dei commerci dell’Impero spagnolo), avendo come tema l’“Età delle scoperte”; lo stesso anno si tenne anche un’esposizione internazionale specializzata a Genova, luogo di nascita di Colombo, proprio per celebrare la figura del navigatore.
Già nell’Ottocento, tuttavia, opposizioni di vario tipo hanno minato l’universalità di tale festa, inizialmente a causa della sua identificazione con quegli immigrati cattolici (italiani) che ne avevano promosso l’istituzione a partire dal 1792 e che ora erano malvisti dalla maggioranza non-cattolica; in epoca più recente, con un impeto maggiore a partire dagli anni Novanta del ’900, per le proteste di nativi americani, i quali vedono nel navigatore genovese l’iniziatore di un’epoca di repressione, sfruttamento e sterminio (nel 1989, ad esempio, alcuni attivisti gettarono falso sangue su una statua di Colombo a Denver proprio per significare il sangue versato dai loro antenati dopo il 1492).
In passato gli studiosi hanno indubbiamente peccato di un eurocentrismo che negli ultimi decenni le moderne tendenze storiografiche (ad es. la global history) hanno mirato a correggere. Termini da alcuni ritenuti “politicamente scorretti” sono caduti gradualmente in disuso e anche allo stesso concetto di “scoperta” (che allude a un ruolo dominante degli europei) alcuni preferiscono sostituire quello di “incontro” (che mette sullo stesso piano popolazioni europee e americane). Ma nelle vicende di queste settimane, più che da dibattiti storici, gli eventi e le dichiarazioni sembrano guidate da impulsi irrazionali, da situazioni politiche contingenti o da calcolate mosse elettorali. E si perde di vista il fatto che il viaggio del 1492 – al di là del giudizio che se ne vuol dare – è stato comunque un evento che ha cambiato profondamente la storia del mondo.
Ormai meno della metà degli Stati americani riconosce il Columbus Day come festa ufficiale, e in alcuni di essi quello stesso giorno è celebrato come giorno dei popoli indigeni o giorno dei nativi americani. Gli italo-americani, dal canto loro, continuano a considerarlo un modo di festeggiare in maniera pacifica la loro integrazione in America.
È curioso che proprio uno di essi, Bill de Blasio, sindaco di New York, potrà essere colui che decreterà l’abbattimento della statua posta al centro di Columbus Circus (al momento ha istituito una commissione che dovrà stabilire il da farsi, e “non ha escluso” che la statua possa essere rimossa, pur dichiarando che parteciperà comunque al Columbus Day di quest’anno; ma ogni mossa deve probabilmente essere vista alla luce della scadenza elettorale del prossimo 7 novembre, in cui egli cercherà la riconferma).
La vicenda peraltro rischia di degenerare. Il vicepresidente degli Stati Uniti è accompagnato, nelle sue entrate cerimoniali dalla marcia “Hail Columbia” (“Hail Columbia, happy land! / Hail, ye heroes, heav’n-born band, / Who fought and bled in freedom’s cause, / Who fought and bled in freedom’s cause”, etc.), che per tutto l’Ottocento fu uno degli inni non ufficiali degli Stati Uniti; si cambierà anche questo? Ma, soprattutto, cosa succederà a tutta la toponomastica ispirata al navigatore genovese? Cambieranno i nomi di strade, piazze e addirittura di città? Al momento la maggioranza degli americani è contraria alla rimozione delle statue (sia dei confederati che di Colombo) ed è possibile che il dibattito finirà per sgonfiarsi. Per il futuro, però, è difficile prevedere cosa succederà, specie se i toni si innalzeranno.
Claudia Bushman, autrice di un libro sulla nascita del mito di Colombo, concludeva che “Columbus is likely to stay with us for the history of our country” [“è probabile che Colombo resterà con noi per il resto della storia del nostro paese”]. Alla luce degli ultimi eventi è da dubitare che il sesto centenario (nel 2092) lo vedrà ricoprire lo stesso ruolo da protagonista che in passato.
Francesco Guidi Bruscoli
© riproduzione riservata
© Ytali.com
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.