L’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha istituito nel 1999 la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne e ha indicato il 25 novembre come data della sua ricorrenza. Una data per pensare e per capire, per promuovere il cambiamento attraverso azioni di sensibilizzazione.
Il 25 novembre scorso la città di Bassano del Grappa ha scelto – come altre città – di esibire dalle facciate delle scuole, nei luoghi simbolo dell’arte e della comunità civica, ampi drappi di color rosso, il colore adottato per condividere pubblicamente il rifiuto della violenza sulle donne.
Perché la violenza perpetrata dagli uomini sulle donne non è un fatto privato, ma è una storia collettiva che dura da millenni.
Il sopruso è inscritto nell’ordine maschile del patriarcato, dove l’esclusivo esercizio maschile del potere nel governo della vita sociale e politica si trasforma nella prepotenza di chi sa di non dover rendere conto a nessuno della violenza agita sulle donne. Era considerato normale fare così. Consentiva agli uomini l’esercizio del controllo sui corpi delle donne, la sottomissione delle loro menti e la repressione delle loro aspirazioni. E se era normale, lo si poteva credere “naturale”, inscritto appunto nell’ordine delle cose. E se era naturale, voleva dire che era giusto e quindi andava trascritto in regole e norme. È la legge delle tre “n”: normale, naturale, normativo.
Così all’interno di quest’ordine sociale e politico non vi è stata solo la certezza di essere e restare impuniti, ma soprattutto la creazione di un sistema giuridico che ha legittimato e garantito la sottomissione e la repressione delle donne da parte degli uomini. A non essere visibile era la violenza subita, mentre la violenza agita veniva normata e legittimata.
Gli strumenti giuridici di cui si è avvalso il nostro Paese hanno conservato anche ben addentro l’Italia repubblicana e democratica il retaggio della violenza patriarcale: lo ius corrigendi, abolito nel 1956; il cosiddetto delitto d’onore, che ha visto abrogata l’attenuazione della pena solo nel 1981. Nella cultura da cui proveniamo, esercitare il controllo sulle donne fino alla coercizione non è stato solo un diritto ma persino un dovere.
La repressione delle donne, agita sotto gli occhi di tutti, è avvenuta all’insegna della normalità. Pur essendo un prodotto della storia, è stato il grande “non visto” e “non detto” della nostra civiltà, perché ne è stato il fondamento e le fondamenta, si sa, spesso restano nascoste.
Ad oggi le cose in Italia sono cambiate, a livello normativo e sociale. Nel consesso internazionale il nostro Paese gode della reputazione di uno stato civile e democratico.
Eppure in Italia quest’anno, ad oggi, le violenze di genere finite in tragedia hanno provocato la morte di 104 donne.1 La maggioranza delle vittime era legata da vincoli familiari ed affettivi all’uomo che ne è diventato l’assassino. La sfera del “privato” per le donne, spesso coincidente con l’ambito della famiglia e della casa, la domus dove è avvenuta storicamente la loro “domesticazione”, è ancora adesso il luogo della loro “deprivazione”: dei diritti, dell’autonomia, della vita stessa.
Per rovesciare questa prospettiva, per far vedere finalmente la violenza sulle donne in tutta la sua spaventosa enormità, bisogna farla uscire dalla sua invisibilità.
Non si tratta solo di poter disporre di norme e strumenti di tutela e di contrasto a molte forme di soprusi, angherie e discriminazioni di cui sono vittime le donne.
Si tratta di avere occhi nuovi per vedere.
Gli strumenti normativi per la tutela e il contrasto discendono dall’articolo 3 della nostra Costituzione, laddove afferma che Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso… e laddove la Repubblica si impegna a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Per dare realizzazione a questa prospettiva sono state istituite Commissioni Pari Opportunità presso molti Comuni ed organismi di protezione con reti di associazioni che si battono in difesa dei diritti delle donne: dai numeri di pubblica utilità come il 1522, ai centri di accoglienza, dalle case-rifugio agli sportelli antidiscriminazione.
Gli occhi nuovi per vedere esigono un cambiamento culturale, profondo. Quando la violenza sulle donne verrà percepita da tutti, singolarmente e nelle forme associate – la famiglia, la scuola, la città – come una spaventosa aberrazione capace di essere vitale anche nel nostro presente, allora il cambiamento avrà inizio. È necessaria una riflessione condivisa sulle ragioni profonde della violenza, un insegnamento che porti ad emersione fin dalla scuola primaria la storia del patriarcato e delle sue conseguenze, quel “non detto” di cui i manuali non recano traccia.
Per questo alle scuole, agli esercizi commerciali, alle sedi del Comune è stato chiesto dalla Commissione Pari Opportunità di esporre un drappo rosso. Perché la città vedesse e prendesse coscienza di una questione che non è di qualcuna o di molte, ma appartiene al nostro presente, al nostro essere comunità civica.
La questione della violenza di genere chiede di essere pensata da subito, nei luoghi del dialogo e della crescita: gli studenti, a partire dalla scuola primaria, sono stati invitati a partecipare alla giornata affrontando la questione della violenza di genere in classe con i propri docenti e condividendo pensieri e riflessioni, che sono stati scritti su bigliettini appuntati sui drappi.
Di seguito e in sintesi, alcune riflessioni delle studentesse e degli studenti: ci aiutano a pensare e a pensarci.
Rosso. Il colore dell’amore, il colore che inevitabilmente colleghiamo a delicate rose profumate, alle palpitazioni del cuore. Ma il rosso non è solo questo. È anche il colore della rabbia, della violenza, del sangue. È il colore delle tante donne che quotidianamente subiscono violenza, il colore della loro sofferenza. Ed è con questo rosso, portatore di un così pesante significato, rumoroso nel suo silenzio, che abbiamo marciato durante la giornata del 25 novembre, con la viva speranza che, un giorno, rosso significhi solo amore.
Sara B.
Non parlatemi di amore in queste situazioni perché per amore si soffre, certo, ma l’amore non è un assassino. L’amore è un sentimento che ti spinge a voler bene. Ogni giorno è 25 novembre.
Giulia M.
Marciare all’unisono, ognuno con il proprio bagaglio personale di esperienza. È questo ciò che porto nel cuore dello scorso 25 novembre.
Filippo B.
L’utilità della giornata contro la violenza sulle donne è concreta perché una donna che subisce violenza, percependo la vicinanza della collettività e dunque non sentendosi sola, può essere incoraggiata a denunciare. Voglio dirvi: non proteggete le vostre figlie, ma educate i vostri figli.
Thomas B.
Non so se gli impulsi, anche violenti, siano davvero, come dicono, parte della natura umana, controllabili solo attraverso la ragione, ma so che da dovunque arrivino, da qualunque scomparto incrinato dell’anima, non sono giustificabili.
Ilaria P.
Antonella Carullo, Commissione Pari Opportunità del Comune di Bassano del Grappa
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Nota
1. Dato fornito dalla direzione centrale della Polizia criminale del dipartimento della pubblica sicurezza; il 77% degli omicidi è compiuto da uomini di nazionalità italiana.
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Immagine di copertina
25 novembre 2022: gli studenti del Liceo “G.B. Brocchi” di Bassano del Grappa davanti al loro Istituto
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Antonella Carullo insegna presso il Liceo G.B. Brocchi di Bassano del Grappa. Si è laureata in Lettere classiche all’Università degli studi di Padova, dove ha conseguito il perfezionamento in Politiche di cittadinanza e democrazia di genere. È autrice di contributi sulla didattica della letteratura classica e moderna, formatrice in azioni regionali e nazionali e membro della Commissione del Certamen Senecanum, nonché di Rete Probat, finalizzata alla certificazione della lingua latina. È impegnata da diversi anni nella promozione delle Pari Opportunità presso l’USR del Veneto e il Comune di Bassano. I suoi interventi spaziano da progetti di ricerca e divulgazione attraverso la saggistica ad iniziative connesse alla scrittura creativa.
Alcuni dei suoi lavori in quest’ambito: Ma il lavoro di che genere è? vol. 2°, pp. 32-35, dagli ATTI del Convegno Verso un futuro di pari opportunità, a cura del Comune di Bassano del Grappa, Commissione P.O. 2007; Le ragioni di un concorso: la scelta dell’abito tra libertà e costrizione in Il genere a scuola, a scuola di genere, a cura della Regione Veneto e del MPI, 2007; Ri-conoscersi nella differenza e nell’ alterità, (coautrice) in 1819-2019, I 200 anni del Liceo Brocchi, 2019 Editrice Artistica Bassano; Prefazione alla raccolta di interventi contenuti in Con voce di donna – Identità e narrazioni , 2004, divulgazione in fascicolo a cura del Laboratorio sulle Differenze dell’ USSL 8 di Asolo; sceneggiatura e regia di Tina Merlin, partigiana, giornalista, scrittrice, nell’ambito del progetto Le donne che hanno costruito l’Italia, in scena il 22 aprile 2012 al Ridotto del Teatro Remondini di Bassano del Grappa.
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