DELILAH
La voce di Natalia Lenzi si avvicina con riservatezza al lettore delle sue opere. Emerge con la forza dei contenuti dei suoi racconti, dove la ricerca per il rispetto dei valori umani e, in particolare, della libertà identitaria della donna esige il rigore e l’austerità che sono proprie di ciò che è autentico.
Nunzia ed io la incontriamo per la prima volta a San Clemente. È il giorno della presentazione del suo libro di racconti “Ho deciso che devi morire”, nell’ambito di “Storie itineranti”, una rassegna letteraria che Nunzia ha voluto e organizzato per la Provincia di Rimini, perché attraverso le arti si generasse uno spazio dove manifestare ed esprimere la forza e la fragilità dell’identità femminile: dal tema della violenza perpetuata nei confronti delle donne alla malattia, dall’impegno civile al pensiero libero, la bellezza della donna che crea e comunica, come quella annunciata e denunciata nelle opere d’arte e nelle opere fotografiche che accompagnano la lettura di quest’intervista.
“Taide”, un’opera di Maria Micozzi dipinta nel 2021 per una mostra dedicata a Dante Alighieri – acrilico su tela libera non preparata – interpreta un personaggio citato da Dante, nonché da Cicerone e Jorge Luis Borges, tratto dalla commedia di Terenzio, “Eunuchus”. Taide, in un linguaggio che esplora l’identità umana nel significato simbolico di stazione di senso, è prostituta usata da tutti (nessuno poteva dunque possederla) e donna colta, incarna la contraddizione di una cultura dove la donna poteva aprirsi alla conoscenza e alla libertà proprio perché invisibile.
Le “Stanze strette” di Maria Pia Campagna sono due opere d’arte – pigmenti su tela – che testimoniano la stanza stretta dove una donna aspetta un verdetto, l’impossibilità di difendersi. Il critico Giovanni Rimondini scrive di queste opere, “I pugni rossi sul campo verde invocano un’aggressività femminile, una protesta, una reazione difensiva su un verde di diverse tonalità e sfumature che ricorda i colori di un paesaggio; oppure sono i pugni dell’aggressore maschile, brutale, primitivo e attuale?”.
“Polvere di stelle” di Giulia Bellarosa – tecnica mista su tavola – indaga l’identità femminile. Rappresenta la donna che accoglie nel suo grembo gli elementi dell’universo per riordinarli nell’essere umano, per dare forma ad altro. La donna è mediatrice e strumento dell’universo.
“Allo specchio” e “Resilienza” – opere fotografiche di Maria Carla Cuccu – esprimono la poesia e la forza che l’identità femminile manifesta nel suo costante dialogo con la società e la vita.
L’appuntamento con Natalia per l’intervista viene fissato qualche settimana dopo l’evento di “Storie itineranti”, in una geografia virtuale, un punto nel web dove s’incontrano tre regioni, da cui ci connettiamo… Sardegna, Toscana ed Emilia Romagna.
All’ombra del profumo di un cespuglio di elicriso vicino a cui siedo, pongo una prima domanda a Natalia. E ha inizio il nostro viaggio.
La scrittura, come il linguaggio delle arti, può raccontare, nella sua prospettiva e nell’alfabeto che scegliamo, la trasfigurazione di un elemento identitario o di un’intima visione esistenziale dell’autore. Nel viaggio letterario dei tuoi racconti cosa narri di te stessa o della storia in cui riconosci le tue radici?
NATALIA
Ho la tendenza di adattare la scrittura al tipo di situazione che intendo descrivere. A volte, compongo dei periodi lunghissimi, e altre volte, di tre parole! Quindi, mi adatto molto allo stile di ciò che sto scrivendo, anche a seconda di chi sta raccontando, o se scrivo in terza persona. Quello che esprimo di me è sempre diverso, non è niente di autobiografico, ma riflette lo sguardo che uso in quel momento, cogliendo di quell’attimo l’emotività. Ci può essere un ricordo che coincide con il tema che sto trattando. Ma, sono piuttosto distaccata dall’elemento autobiografico.
Per me, la stesura di un libro è più un problema di scrittura. Mi è stato spesso domandato se fosse stata la stessa persona l’autrice dei romanzi lunghi e dei brevissimi racconti che si possono riscontrare tra i libri che ho pubblicato. Non ho uno stile delineato, poiché non mi identifico in un genere… non attiro una determinata tipologia di lettore! Io sono… da noi in Toscana si dice “né carne, né pesce” e non ho ancora ben chiaro se sia un pregio o un difetto!
Quando ho scritto i racconti di “Ho deciso che devi morire” ero arrabbiata e lo si percepisce tra le righe. Ma, ero anche basita, e anche questa condizione d’essere si può avvertire. È come se ci fosse un sentore specifico per ogni singolo racconto.
Ecco cosa narro di me stessa, detto in maniera semplice!
DELILAH
Tra “Lo straniero” e i racconti di “Ho deciso che devi morire” riconosco una connessione stilistica forte. Ciò suscita una nuova domanda: può essere l’emotività – il modo in cui abitiamo un’emozione – una radice identitaria dell’individuo, o eventualmente di una coralità, dunque una collettività?
NATALIA La traccia che si sente è emotiva, non biografica, non è legata ad un mio vissuto personale. La scrittura può essere immediata, come allo stesso tempo può richiedere molto spazio la ricerca di una parola. Forse, riflette in un certo qual modo il mio carattere, a volte impulsiva, altre distratta!
DELILAH
Quando e perché hai iniziato a scrivere?
NATALIA
Sono stata e sono una lettrice onnivora… leggo di tutto, comprese le etichette dell’acqua minerale! Se ho in mano qualcosa di scritto, non resisto dal leggerne i contenuti, ma mai avrei pensato di intraprendere un percorso attraverso la scrittura.
Quando è nata mia figlia, Sofia, ero spesso sola e lei non dormiva mai. Non sapevo come tenermi sveglia. Allora, un giorno, scelsi di “buttare giù tre righe”, quasi per gioco, e ho cominciato così! Le tre righe sono diventate tre pagine, le tre pagine trenta pagine… lo dico sempre a Sofia: è colpa tua! E mi sono accorta che quando non leggo – perché possono capitare periodi nella vita in cui l’attenzione è dedicata ad altre priorità – non scrivo.
NUNZIA
Qual è stato il tuo primo libro?
NATALIA
Un fantasy. Ne ho scritti diversi, che nascondo nel classico cassetto, non so ancora per quanto tempo! Scelsi di scrivere un fantasy perché in quel periodo leggevo molto di questo genere. Volevo provare con qualcosa che richiedesse molta fantasia, ma non ricerche che in quel periodo, per accudire la bambina, non potevo permettermi di fare. Devo rivelarvi che quando ho bisogno di “staccare”, di rilassarmi, di dare tregua alla mente, scrivere di cavalieri, maghi e streghe è per me un’azione fluida.
Poi, mi scontro con notizie di cronaca, eventi quotidiani, che nel loro suscitare un sentimento ogni volta diverso, mi conducono a riflettere e dedicarmi a una scrittura più impegnata.
Il primo libro che ho pubblicato, invece, è stato un romanzo di ambientazione storica, che riflette la mia passione per le saghe familiari, “Il volere dei padri” (Ibiskos Editrice Risolo, 2014).
NUNZIA
Di cui ho letto aver ricevuto il premio della critica al Premio Michelangelo Buonarroti nel 2015!
NATALIA
Sì! La mia istintiva ribellione a vedere le persone imprigionate in un ruolo costituisce un filo conduttore che, attraverso i miei romanzi, giunge ai racconti di “Ho deciso che devi morire”. Che sia il ruolo femminile, che sia il ruolo patriarcale, che sia nella contemporaneità, in un’epoca passata o fantasiosa, non amo osservare le persone come in delle “scatole”, mi piace guardarle una per una. I personaggi delle mie storie subiscono un ruolo o vogliono liberarsi e uscire da una determinata veste. Mi infastidisce il ruolo inteso per ciò che la società ti costringe ad essere, come quello della donna nei racconti di “Ho deciso che devi morire” che vuole una figura femminile “concepita” e, inoltre, in movimento entro un “recinto” ben definito, perché non sia giudicata strana o inadeguata dal contesto sociale.
Ritrovare lo sguardo rivolto al ruolo in tutti i personaggi che ho “inventato” esprime evidentemente un mio personale fastidio rispetto alle dinamiche sociali che spesso esso può suscitare.
DELILAH
Questo rappresenta per me anche l’aspetto spirituale della tua scrittura, perché nel momento che indaghi cosa c’è oltre un ruolo, esplori la prospettiva dell’anima che si volge all’infinito. Il ruolo limita l’anima al finito ed in “Lo straniero” emerge con forza questo sguardo. Ma, tornando al tuo primo romanzo storico, in che periodo si svolge?
NATALIA La storia si svolge in Toscana, a metà del Settecento. Successivamente ne ho scritto uno ambientato nel Trecento. Adoro la storia ed è stata sempre una fonte infinita di scoperte. Mi occupo di ambientazione storica, non di ricerca su personaggi realmente esistiti, per cui non mi sentirei adeguata… non sono uno storico! Mi piace la società e le ricerche che compio riguardano la società stessa. Trovo interessante osservare i cambiamenti nel tempo, illusori: tante cose in apparenza cambiano, ma sostanzialmente restano, poi, le stesse. Amo dipingere lo sfondo del quadro.
NUNZIA
Infatti, dai post che curi sui social, si deduce che sei alla ricerca della società del tempo passato: dagli abiti ai quadri, dalle scarpe agli oggetti.
NATALIA
Mi piace osservare i cambiamenti. E l’evoluzione e la dinamica delle relazioni umane. L’essere umano è sempre lo stesso, il contesto muta. Il progresso è stato enorme in un tempo ristretto della storia, rispetto ai passi dell’essere umano, di cui le pulsioni, necessità o desideri, sono sempre ancora gli stessi.
DELILAH
A proposito di società… In “Ho deciso che devi morire” ci sono degli elementi caratteriali di alcuni personaggi che tornano quasi a narrare gli infiniti sguardi di un singolo episodio: c’è un evento in particolare da cui è scaturita la necessità e l’urgenza di testimoniare una tematica così importante?
NATALIA
Un evento solo no. Sono tante cose. Ho scritto i racconti in un intervallo di tempo molto lungo. Non erano nati per essere raccolti in un libro, ne annotavo una alla volta e “si sono ritrovati” alla fine. Era il periodo in cui si iniziava a parlare pubblicamente, con più frequenza, di femminicidio. Si sentiva trattare il tema in programmi televisivi. Ascoltavo queste storie e di esse riconoscevo un filo invisibile che le univa. E ho scelto di trasporle sulla carta, a volte in seguito a una reazione di rabbia, altre per un sentimento di disillusione. Le storie di questi racconti, per quanto immaginate, si possono riscontrare in un modo o nell’altro nella realtà e i suoi fatti di cronaca. I personaggi non hanno un nome e un cognome.
Per mia indole, riesco a esprimermi più liberamente e con facilità scrivendo, piuttosto che attraverso le parole. I racconti costituiscono una forma di commento a un problema estremamente attuale. Come reagivo io di fronte a questi tragici eventi? E come reagivano le persone? Non sono sempre delle reazioni che puoi prevedere o aspettarti, e possono disarmarti.
I racconti sono narrati da un personaggio esterno, ad eccezione di un paio di essi, poiché mi incuriosiscono le sfumature dello sguardo altrui.
NUNZIA
La poliedricità dei racconti in “Ho deciso che devi morire”, inventati, seppure ogni singolo racconto potrebbe essere riconosciuto come una testimonianza di un fatto reale, cela un tuo coinvolgimento, la rabbia risuona. Ci sono delle riflessioni a cui ci conduci e alle quali non pensavo, come ad esempio chi resta, i figli. Racconti lo sguardo dei figli, di una mamma, di una sorella… è un libro che dovrebbe essere letto soprattutto per la singolarità delle questioni che solleva.
In Italia la data del 25 novembre è un momento per riflettere sulle azioni da intraprendere per combattere la violenza sulle donne. A quale traguardo dobbiamo giungere per poter affermare che ce l’abbiamo fatta? Perché non riusciamo a contrastare questo fenomeno? È necessaria una rivoluzione?
NATALIA
Posso comunicarti la mia opinione, che non è professionale. Non riusciamo a contrastare questo problema, perché sostanzialmente si tratta di qualcosa che ci portiamo dentro, sia noi donne che gli uomini. Si tratta di un retaggio culturale che viene da molto lontano. È difficile scardinare un comportamento che si radica, ormai, nel DNA dell’essere umano. E ci riconduce al tema dei ruoli. La donna, nel corso della storia, è stata sempre controllata, incasellata; aveva un solo compito e quello doveva svolgere. È un meccanismo mentale dove è difficile sottrarsi dall’automatismo che distingue specifici comportamenti. Ti plagia perché tu possa adottare un determinato contegno. Quindi, è normale che ci siano state generazioni in cui anche la donna stessa si sia identificata in quel ruolo e atteggiamento, poiché rappresentava il modello adottato per il nostro acculturamento negli ultimi secoli.
Se consideriamo che fino a metà Ottocento le donne potevano accedere alle Università, quando possibile, come uditrici, ma senza magari l’opportunità di poter conseguire la laurea, e di poter poi insegnare, risulta chiaro che ancora oggi alcune professioni risultino più diffuse tra gli uomini: semplicemente perché nel corso del tempo le donne non hanno goduto dello spazio necessario per praticarle e degli insegnamenti per imparare. Noi stiamo vivendo le conseguenze di una scelta, quella di aver deciso di crescere e incasellare l’umanità in un ruolo, dove quello femminile si svolgeva in un ambiente circoscritto – di una casa – confortevole e riservato, perché gli imbarazzi possibili fossero evitati. La donna non doveva suscitare con il suo comportamento alcun commento nella società. Per decenni, alla donna dei ceti medio alti, necessariamente si insegnava a leggere, ma non a scrivere, e spesso le letture dovevano essere di contenuto sacro. Esistono delle bellissime decorazioni per i libri d’Ore, già dal XIII secolo, che ci lasciano intuire che pochi altri libri erano di accesso immediato alle donne. Dopo secoli, è normale che ci si adatti a quel sistema, dove uscire da quella funzione è drammatico. Questa situazione è frutto del rifiutare un cambiamento, del rifiutare l’apertura. Spesso mi sono imbattuta in alcune donne che accoglievano con naturalezza questo passaggio di ruolo – un matrimonio combinato o l’accettazione incondizionata del volere del marito. È questo il retaggio culturale.
Per un cambiamento, sarebbe necessario agire sull’educazione – da madre a figlia – il dialogo con i bambini e la pratica del “rispetto per la persona”. È necessario educare i bambini anche al fallimento, la sconfitta fa parte della vita e non puoi uccidere il tuo prossimo per non assumerti le responsabilità di una disfatta o attribuire la colpa ad altri. Ci sono dei modelli di perfezione maschile e femminile, inarrivabili, che andrebbero distrutti! Dobbiamo combattere qualcosa che ci portiamo dietro da tanto, è una questione in comune a molte altre culture.
DELILAH
Vorrei parlare ancora di “Ho deciso che devi morire”. In “Orfani speciali”, titolo di uno dei racconti, parli degli orfani di madri uccise e padri che, quando non si suicidano, scompaiono tra le mura delle carceri. Scegli per la narrazione un linguaggio corale, non ricerchi l’identità, né tracci elementi che possano condurre il lettore a immaginare queste creature affidate ai nonni o, spesso, ai servizi sociali. È un invito celato ad abitare la società in modo corale e percepire la collettività di cui facciamo parte? Quale responsabilità possiamo assumerci rispetto a ciò?
NATALIA
Quando ho scritto quel racconto, “Orfani speciali”, ho voluto farne una coralità, non ho scritto appositamente di un solo personaggio. O, meglio, il personaggio è il bambino, che non è uno, ma “tutti”, perché tutti si trovano nella stessa condizione. Ho voluto sottolineare che sono tanti, sono tantissimi, ad oggi intorno ai duemila. Questi ragazzi crescono con un trauma che si porteranno dietro tutta la vita e siccome non è da tanto che la società, i media, la politica si occupano di femminicidio, non si sa ancora come un bambino vittima di una situazione familiare del genere possa crescere. Non è passato ancora tanto tempo per cui venga monitorata la crescita di un bambino che ha subito un trauma simile: perde una madre, perde un padre, si ritrova con dei nonni o con estranei, il bambino cresce in un’anomalia sapendo che il padre ha ucciso la madre, per cui è un trauma fortissimo specialmente perché l’ambiente in cui si ritrova non è neutrale.
È impossibile pensare che ci sia armonia tra i parenti della madre e quelli del padre omicida. Alcuni hanno addirittura assistito al delitto e, dopo, sviluppano difficoltà a causa del senso di colpa, perché non hanno agito o perché pensano di dover fare altrettanto perché quello era l’esempio paterno… possono essere tantissime le complicazioni ed io ne ho voluto dare una coralità per sottolineare che sono tanti e che alle volte queste notizie passano in radio, in tv e passano per poco, poi ci si distrae con altri accadimenti e non si sa che cosa succeda nel frattempo. Cosa può fare lo Stato? Cosa possano fare le strutture? Io non sono in grado di dare un suggerimento, ma sicuramente un appoggio psicologico continuo, costante, accompagnato per un tempo lungo, per poter “digerire” una situazione del genere e soprattutto per non doverla subire in futuro o riproporre in futuro. Ma, non se ne sente parlare spesso…
DELILAH
Un piccolo, grande contributo è sicuramente dato dalle Arti, nel senso che le Arti danno la possibilità di accendere i riflettori su argomenti e tematiche che rappresentano dei tabù per la società o che creano dell’imbarazzo rispetto a un pubblico che ascolta certe storie. Ad esempio, in uno degli incontri nella rassegna di Nunzia “Storie Itineranti” c’era, nel pubblico, un orfano speciale che ce l’ha fatta e che si è fatto avanti… è stato come uno slancio, come una liberazione dove la comunicazione è stata chiara: “allora posso far sentire la mia voce”. Ha ringraziato la curatrice perché questi eventi donano la possibilità di potersi “liberare”. Le azioni culturali, le Arti possono attuare opera catartica.
NATALIA
E, soprattutto, danno la possibilità e la libertà di fare, di raccontare senza il timore di essere offesi, giudicati. Si riesce ad aprirsi, a parlare in un ambiente, come quello artistico, che è un ambiente aperto, non giudicante, come fosse un salotto, una poltrona su cui sedersi e raccontare tranquillamente sapendo di non incorrere psicologicamente nel giudizio. Il fatto che qualcuno parli prima di te, nell’ambito ad esempio di una rassegna in cui si tratti una certa tematica, fa da “apripista”. È come se ci si sentisse a proprio agio nel parlare di sé: “allora lo posso dire anch’io”.
DELILAH
In “Lo straniero” percorri una cronaca molto attuale: l’emigrazione e la migrazione, i legami rotti con la terra e la lingua d’origine, la paura della separazione e la precarietà dell’essere umano quando a contatto con l’emancipazione rispetto a una condizione di vita. È la tua scrittura strumento consapevole per un impegno civile?
NATALIA
Consapevole, direi di no. Sono cose che fanno riflettere, però non è un manifesto di alcuna natura, è solo una mia riflessione. Quando io ho scritto “Lo straniero”, un libretto di circa 30 pagine, stavo facendo delle ricerche e mi sono imbattuta in alcune lettere di emigranti, negli archivi italiani di alcuni Comuni. Verso gli Stati Uniti, l’Australia, in Germania… c’è stato un movimento migratorio in Europa, fortissimo. Mi piaceva leggere le lettere perché raccontavano cose semplici, non andavano a cercare il profilo sociale, civile o politico, erano comunicazioni familiari. Ad esempio, in una di esse lessi di una nonna che scriveva al nipote: “salutami ora perché la prossima volta sarò in una bara”. In un’altra si confidava un problema: “venti giorni di navigazione, cosa mangeremo, come staremo…”.
Piccoli e grandi problemi che non sono quelli della geo-politica internazionale. Messe tutte insieme, queste lettere, dettagliano un quadro che ho trovato molto simile a quello che accade anche nella nostra epoca e mi è piaciuto raccogliere queste piccole notizie, non con l’intento di farne un manifesto delle mie idee, ma semplicemente per rendere omaggio a quel sentire semplice, quello che, poi, “smuove” il mondo perché, bene o male, ci si sposta per motivi semplici, ci si sposta per fame, per migliorare le proprie condizioni di vita, ci si sposta per non morire in altre situazioni. Sono necessità basilari, semplici per l’appunto… e a me piaceva vedere tutte queste persone, parte di un meccanismo più grande di loro, che si muovevano nella stessa direzione, con motivazioni diverse: tutte insieme creavano un ingranaggio incredibilmente potente, incredibilmente grande senza, probabilmente, averne percezione.
Tantissime persone partivano con l’intenzione di ritornare in futuro a casa. C’erano dei volantini in cui era raffigurata la banca americana con l’operaio che usciva con una valigia piena di soldi, proprio ad indicare che altrove si potevano fare affari per poi ritornare in Italia felici. Partivano con l’idea di trovare un grande benessere. In una lettera ho letto: “là ci sono le strade lastricate d’oro, ma poi, una volta arrivato, ho capito che le strade dovevamo farle noi!”.
A me piace più conoscere il dettaglio, piuttosto che il quadro generale. E in questo racconto ho preso, di ogni lettera che leggevo, una piccola cosa. Non era un’azione rivoluzionaria la mia, era solo un voler sottolineare che cambiano le epoche, ma le situazioni sono sempre le stesse.
DELILAH
In un certo modo, l’impegno civile inizia nel piccolo dettaglio e nella quotidianità della propria vita, di chi ci circonda, di chi incontriamo, di chi osserviamo e può muovere la nostra domanda.
NUNZIA
Natalia, conoscerti e leggerti per me è stato un dono. Mi piace la tua umiltà, la tua semplicità… sembra che tu scriva per te stessa, come se avessi un taccuino su cui annoti le tue riflessioni, poi in realtà spingi ognuno di noi a fare riflessioni. “Lo straniero” è un libro che leggerò e farò leggere ai miei studenti, che sono abituati a studiare la storia delle grandi imprese, dei grandi personaggi, delle date; ma, col tuo libro, capiranno che la storia siamo noi, che sono le persone comuni che fanno gli eventi. Rendi la Storia umana.
NATALIA
La storia è percepita come un elenco di date da imparare a memoria, io invece ho sempre pensato che la Storia è piena di storie. Una volta che si è focalizzato il periodo storico, l’importante è focalizzare il concetto. Per me è molto più accattivante sapere, ad esempio, come hanno trasportato il corpo dell’imperatore morto piuttosto che non l’evento di per sé.
DELILAH
Il tuo percorso attraverso la scienza – so che hai studiato chimica all’università –, è presente nella tua scrittura?
NATALIA
Tanto! Il metodo scientifico mi piace – prove e riprove, corsi e ricorsi! – perché mi ha dato modo di razionalizzare molto, un occhio diverso, una concezione diversa.
DELILAH
Concluderei l’intervista accennando al tuo ultimo libro “Sopravvivenza”. Qual è la tematica che affronti in esso?
NATALIA
Anche in questo libro è centrale il “corretto” comportarsi. Seppure ambientato nella storia, è molto legato ai racconti di “Ho deciso che devi morire”. Nel senso che narro di figure femminili, e qui anche maschili, scardinate dai loro ruoli. Un racconto, ad esempio, tratta della maternità all’interno di una corte quattrocentesca: cosa vuol dire essere madre per una donna nobile dell’epoca? In quell’epoca essere madre era una necessità, non esserlo diventava un problema. È come se il mio sguardo continuasse a rivolgersi ancora alle stesse tematiche!
DELILAH
Ci salutiamo, con la promessa di nuovi progetti, dove la collettività possa essere al centro dell’indagine artistica e letteraria, perché come allo specchio si possa interpretare il sentire di una coralità in modo autentico, dove la donna e la sua complessità possano essere un faro per un percorso consapevole e responsabile dell’essere umano nella società.
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Immagine di copertina
Allo specchio, di Maria Carla Cuccu
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Natalia Lenzi
Nata il 25 Marzo 1971 a Pistoia, in Toscana, abito da sempre a Quarrata, cittadina lontana soltanto una decina di chilometri e adagiata nella pianura che si stende di fronte al Montalbano: viti, olivi e boschi di castagni alla sommità sono il paesaggio con il quale sono cresciuta. Diplomata all’Istituto Tecnico Industriale di Pistoia, ho frequentato per qualche anno la Facoltà di Chimica presso l’Università degli Studi di Firenze, pur senza completare il percorso degli studi e conseguire la laurea. Appassionata di storia e lettrice onnivora da quando possiedo memoria, ho iniziato a scrivere poco dopo essere diventata mamma. Amante della ”carta e penna”, racconti e romanzi ambientati nel passato o tratti dal quotidiano hanno presto consumato fiumi di inchiostro.
Pubblicazioni
Il Volere dei Padri, Marzo 2014 (ambientazione storica), Ibiskos Editrice Risolo
Premio Michelangelo Buonarroti 2015 / Premio della Critica Tema Storico
La storia di Nora, Luglio 2015 (contemporaneo), Albatros
Premio Firenze Capitale d’Europa XVIII ed 2015 / Primo premio Narrativa Edita
Premio Albero Andronico IX ed. Roma, 2016 / Diploma di Merito Narrativa Edita
Premio Michelangelo Buonarroti III ed 2017 / Attestato di merito Narrativa Edita
La Taverna dell’Anatroccolo Nero, Novembre 2015 (ambientazione storica), Ibiskos Ed. Risolo
Premio Firenze Capitale d’Europa XIX ed 2016 / Terzo premio Narrativa Edita
Premio Michelangelo Buonarroti, II ed. 2016 / Premio Speciale a Tema Storico
Premio Prato: Un tessuto di cultura ed. 2016 / Premio Speciale Narrativa Edita
Ho deciso che devi morire, Aprile 2018 (Racconti, contemporaneo), Giovane Holden Ed.
Premio Buonarroti IV Edizione, 2018 / Diploma d’onore con menzione d’encomio
Premio Firenze Capitale d’Europa, XXI ed. 2018 / Finalista
Premio Cinque Terre Golfo dei Poeti, XXX ed. 2018 / Premio della Giuria
Premio Albero Andronico XII, Roma, ed. 2019 / Diploma di merito
Premio Massa città fiabesca di mare e di marmo / XIV ed. 2020
Contiene:
Perdita, Premio di Letteratura Ponte Vecchio, Firenze. II ed. 2016 / Primo premio
L’ultimo giorno, Premio Bukowski, Viareggio. III ed. / Diploma d’onore
Orfani speciali, Concorso Letterario Racconti Toscani III ed., selezionato per pubbl.
Mia Figlia, Premio Giovane Holden, XI ed. / Primo Premio
Mia Figlia, Premio Letterario il Giardino di Babuk, Roma, III ed. / Selezionata finalista
Lo Straniero, Marzo 2019 (Romanzo breve, ambientazione storica), Giovane Holden Ed.
Il cielo sopra la strada, Premio letterario nazionale Città di Fermo, II ed. 2016 / I premio
Il riflesso in uno specchio, Premio letterario Città di Fermo, IV ed. 2018 / III premio
Lettera di una nonna, Premio letterario nazionale Ponte Vecchio, III ed. 2017
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Nunzia Pasturi
Fin dall’infanzia ho dato grande importanza ai libri rifugio, e, allo stesso tempo veicolo concreto per scoprire l’essenza del mondo e i risvolti dell’umanità nella società oramai sempre più liquida, come ha sottolineato Zygmunt Bauman. Paragono la scrittura come un motore potente contro l’ignoranza e l’indifferenza.
Mi sono laureata nel 2012 presso l’università della Calabria con il prof. Nuccio Ordine, letterato, accademico e professore ordinario di letteratura italiana presso Unical, internazionalmente riconosciuto come uno dei massimi studiosi del Rinascimento e di Giordano Bruno, con titolo della tesi: “Il viaggio come metafora della vita”. Terminati gli studi ho sostenuto vari concorsi, ho partecipato a conferenze, convegni, presentazione dei testi e ho scritto prefazioni e postfazioni per autori del Novecento. Sono docente di lettere nella scuola secondaria di primo grado in provincia di Rimini.
Attività svolte negli anni:
2013
Torino, Fiera del Libro, presentazione degli Atti sul poeta Franco Costabile
Matera, Presentazione della poesia di Isabella Morra
Giurata nel Premio letterario Celano – Giurata nel Premio letterario Farina
Roseto Capo Spulico (CS), Relazione al Convegno “Ti presento Maffìa”: “Maffìa, cantore dell’amore”
2014
Postfazione a “Il poeta e la farfalla” del poeta Dante Maffia
2015
Presentazione a Reggio Calabria de “L’opera di Leonida Rèpaci”
2018
Relazione a Roma, Teatro Duse, su “Il libro come fonte di assoluta libertà”
Direzione artistica di “Libri… in Villa”/rassegna di incontri con autori
2019
Direzione artistica di “Parole, note alla Villa, San Clemente”/ rassegna incontri con gli autori Nuccio Ordine, Francesco Apolloni, Catena Fiorello, Marcello Kalowski
2022
Direzione artistica di “Sinfonie Letterarie” / letture con accompagnamento musicale
Direzione artistica di “Storie Itineranti” / Rassegna letteraria: storie di donne, di coraggio, di umanità.
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Delilah Gutman è compositrice, pianista e cantante e svolge la sua attività di musicista in Italia e all’estero. Di origine Italo-Americana, con radici polacche e partenopee, è nata a Madrid e vive a Rimini. È docente di Composizione al Conservatorio “S. Giacomantonio” di Cosenza.
Compositrice, conta prime assolute in Italia ed all’estero, oltre a trasmissioni radio, e diverse incisioni discografiche. Pubblica con Stradivarius, Curci, Ut Orpheus e Sinfonica. Interprete pianista e cantante, svolge l’attività concertistica in Italia e all’estero, come solista e in formazioni cameristiche, esplorando nel contesto del suo personale progetto di ricerca musicale MAP – musica, arte e poesia – la frontiera tra arte, musica e repertorio etnico, in relazione al linguaggio della musica d’arte in Occidente. Al momento, si è esibita in Italia, Repubblica Ceca, Israele, Messico, Francia, U.S.A., India, Svizzera. Per il suo costante impegno nel dialogo interculturale è stata insignita nel 2012 “Ambasciatrice dell’amicizia Israele-Italia” in occasione di un suo concerto in Israele.
Poetessa, ha pubblicato con Raffaelli Editore i libri di poesie “Alfabeto d’amore”, con la prefazione di Manrico Murzi e la postfazione di Lucrezia De Domizio Durini, e “Alfabeto degli opposti”, con la prefazione di Manrico Murzi. Di prossima pubblicazione con lo stesso editore è una raccolta di poesie in collaborazione con il poeta turco Erkut Tokman, con cui fa parte del movimento “Poesia aperta”.
È autrice delle Singing Sculpture #1 “Il seme genera la parola” – installazione permanente presso il Museo J.Beuys di Bolognano, nella Piantagione Paradise – e Singing Scuplture #2 “L’amore genera la terra”, installazione permanente presso la Fondazione Verità di Locarno.
Si è diplomata in pianoforte, composizione e musica elettronica al Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano. Ha studiato composizione con Bruno Zanolini, Niccolò Castiglioni e Alessandro Solbiati, musica elettronica con Riccardo Sinigaglia e pianoforte con Lidia Baldecchi Arcuri.
Ha conseguito la laurea in Discipline Musicali-Composizione Teatrale presso il Conservatorio “Gioachino Rossini” di Pesaro, Dipartimento di Alta Formazione Artistica e Musicale, relatore Filippo Maria Caramazza, con la presentazione della sua opera “Jeanne and Dedò” composta sul libretto di Manrico Murzi, e con la dissertazione sulla sua teoria musicale: Pericronismo – Perichronism, Music Theory.
Si è laureata all’Università di Urbino “Carlo Bo” nel Master di I livello in “DSA, BES e Disturbi dello Sviluppo. Psicopedagogia, Didattica, Comunicazione” e presso la stessa Università nel Master di II livello “Mediazione dei Conflitti” con la tesi “La voce immaginativa: strumento di formazione e azione terapeutica nella mediazione dei conflitti”, percorso in cui si sta perfezionando con il Prof. Franco Nanetti a Pesaro presso AIPAC.
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