RIVISTA DI CULTURA MEDITERRANEA

“Soffio di Biennale, tra apocalittici e integrati”, di Nicola Cisternino

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«Con me la musica abita una regione liminare. Come i sogni, dove una cosa è e non è ancora, ed è anche altra cosa. E dove, queste sensazioni , le più instabili varcano lo stupore di un battere di palpebre: fuori, si allungano nitide, sopravvissute al tramonto d’ogni languore. Sono i suoni ritrovati presso l’orizzonte dei sensi, quelli del purgatorio infrauterino, ingranditi per antico silenzio attraverso un crollo sommerso della memoria. Fluttuano, e tu stai al centro, e uno spazio intatto ora pulsa nel buio.» (Salvatore Sciarrino)

Salvatore Sciarrino alla sala dei Giganti del Liviano di Padova con l'OPV
Salvatore Sciarrino alla sala dei Giganti del Liviano di Padova con l’OPV

“Ho ricevuto ripetuti rimproveri per questo Leone d’oro assegnato al maestro Sciarrino” ha esordito il presidente de La Biennale di Venezia Paolo Baratta nella serata di premiazione che ha inaugurato il 60° Festival Internazionale di Musica Contemporanea. “Ma come, non gliel’avevate ancora assegnato?”.

Più che una boutade di circostanza, quella di uno dei presidenti dell’istituzione veneziana che passerà alla storia per la sua perseverante dedizione, ma soprattutto per le sue solide e riconosciute capacità di visione strategica culturale nel complesso e tormentato paesaggio artistico di questi decenni, potrebbe rivelarsi come un sintomo in parte ammirevole, ma al tempo stesso peccaminoso, di quello che potremmo definire un incensamento accademico e istituzionale che è stato fatto in tutti questi anni alla musica di Sciarrino, soprattutto in ambiti istituzionali ed accademici, ai quali il massimo premio veneziano per la musica di quest’anno si va ad aggiungere, augurando al compositore di avere ancora qualche angolo disponibile della sua bellissima dimora umbra per accoglierlo.

Cercherò di spiegare come sia interessante, più che usare iperboli metaforiche per descrivere la sua musica – non ce n’è bisogno sul piano critico perché è lo stesso autore a farlo, leggendo i suoi scritti e le sue prolusioni – ancor prima di ascoltarne la musica e guardare le sue raffinate opere, affrontare un po’ il fenomeno Sciarrino, potremmo dire il ‘caso Sciarrino’, sempre più in evidenza negli ultimi trent’anni. Qualcosa che riguarda certamente l’oggetto da una parte – la sua musica – di ricercata bellezza e complessità, che potremmo identificare, stando al lessico sciarriniano, nel figurale, quella cifra che fin dagli esordi giovanili la rende riconoscibile, ma qualcosa che riguarda anche altri aspetti, come il contesto, quello delle istituzioni musicali che rilevano ciò che un tempo si definiva la nuova musica, sempre meno derubricata a musica contemporanea; quella sorta di riserva indiana che a questo pone attenzione, ritrovandosi, nel caso della Biennale Musica, come naufraghi-profughi, per quanto numerosi, negli approdi notturni di quell’angolo archeo-industriale veneziano qual è l’Arsenale, in brumose serate d’ottobre.

Una contraddizione, quella tra figura e sfondo, tra la musica di Sciarrino e il mondo musicale, che – potremmo dire – ha accompagnato fin dalla tenera età l’accoglienza e il riconoscimento della sua musica fino a farne un modello, che ha riprodotto fra i giovani compositori quell’”epigonismo” che tanto ricorda il “donatonismo” degli anni ottanta, il quale vive dissociato tra un nostalgico e attempato ritorno alla norma – la visione più salottiera e conformista in tutte le sue neo-espressioni anche più rampanti e agguerrite – e un desiderio sempre più faticoso di richiesta di esistenza, di battere un colpo nel babelico e rumoroso mondo musicale e culturale circostante. In questo si può restare solo ammirati dallo sforzo ad ampio spettro che il confermato direttore artistico Ivan Fedele ha profuso in questi anni – assieme al presidente – per radiografare i paesaggi sonori di questo tempo attraverso una prospettiva riconoscibile e classificabile, per quanto compressa da uno sguardo di catalogazione storica.

Salvatore Sciarrino durante una lezione all'Accademia Chigiana dove insegna Composizione
Salvatore Sciarrino durante una lezione all’Accademia Chigiana dove insegna Composizione

Resta implacabile la certificazione anagrafica dell’uditorio, altrettanto quanto quella dei pochi giovani che alla musica, una volta definita sperimentale, si dedicano, alla ricerca soprattutto di qualche opportunità di sopravvivenza, per un lavoro, quello del musicista, a maggior ragione se di astruserie contemporanee considerate suppellettili della storia, ormai in via di estinzione e non solo nel nostro paese.

Tra rituale attaccamento e perdita d’orizzonti per valori musicali che cercano in ogni modo un confronto con la storia per la restaurazione di un modello andato in disuso, con la paura ancestrale di nuovi barbari all’orizzonte, la prolifica e a tratti geniale opera del compositore Sciarrino si rivela in sostanza come una sorta di zattera alla deriva, fra le poche – se non unica – alla quale aggrapparsi da parte di un mondo che non trova ascolto e attribuzione di valore (naturalmente non solo economico nella gestione culturale del Bel Paese) al di fuori del recinto della riserva. La contraddizione sta nel fatto che la zattera sciarriniana non è una possente e solida imbracatura monumentale di armata ideologica pesante (tornerebbe utile alla retorica, per contrappasso, ancora la corazzata Potëmkin?) bensì uno svolazzo leggero di vele al vento, proprio alla ricerca di quel battito di palpebre come ben segnala con un’eccellente ma anche significativa metafora Sciarrino definendo la sua musica. La contraddizione (o lo sbilanciamento) tra pesante e leggero, per quanto metaforicamente apocalittica, è evidente. Che non sia il ritrovo, secondo la più fine drammaturgia operistica sciarriniana, un rituale ripetuto utile ad esorcizzare quella crisi del cordoglio per un cadavere assente, perché non convenuto all’appuntamento, e di cui solo il catafalco ne certifica all’anagrafe storica la sua presenza?

Nicola Cisternino