MARIO Vito Palumbo ha scritto musica sin dalla tenera età. Dopo gli studi in conservatorio sotto la guida di P. Rotili e A. Di Scipio si è diplomato con lode presso l’Accademia Chigiana di Siena e l’Accademia di Santa Cecilia a Roma studiando con Azio Corghi, ottenendo una borsa di studio speciale assegnata personalmente da Luciano Berio come miglior diplomato. È stato insignito del ‘Premio G. Petrassi”. Vincitore di diversi concorsi di composizione, ha ricevuto commissioni ed esecuzioni da orchestre e ensemble come la London Symphony Orchestra, Ensemble Intercontemporain, Helsingborgs Symfoniorkester, Gävle Symfoniorkester, OSN RAI, Camerata Bern, Norrbotten NEO, AuditivVokal Dresden, ecc. Ha collaborato con grandi solisti tra cui Patricia Kopatchinskaja, Dan Laurin, Francesco D’Orazio, ecc. I suoi lavori sono pubblicati da Ries&Erler Musikverlag – Berlino. È artista della prestigiosa label svedese Bis Records. Il suo ultimo album “Woven Lights” ha ottenuto oltre venti recensioni a 5 stelle nei magazines più importanti al mondo.
Quando hai capito che nella vita avresti fatto il compositore?
VITO Il mio rapporto con il suono si è sviluppato inconsapevolmente da quando sono nato come un fatto naturale e fisiologico, come il bisogno di respirare, camminare, mangiare. Non mi sono mai reso conto del momento preciso in cui la musica è entrata a far parte della mia vita; l’ho sempre percepita come qualcosa già presente dentro di me. Il passaggio dal primo approccio allo studio serio della musica è stato molto naturale: ero un bambino molto attivo, con una spiccata immaginazione; avevo sempre voglia di riprodurre o di inventare melodie, cercando sul pianoforte i suoni giusti. Nello studio non avevo alcuna difficoltà, mi veniva tutto facile ed è per questo che ho capito che la musica sarebbe diventata la mia professione. Tuttora mi sento costantemente collegato a questa dimensione creativa e immaginativa, come se fossi immerso sempre nel suono.
MARIO Quali ritieni siano le caratteristiche della tua musica e del tuo processo creativo?
VITO Sin dai primi esperimenti compositivi ho teso a sviluppare un pensiero musicale molto personale che mi ha permesso di costruire lentamente e con grande fatica quello che si potrebbe chiamare “stile”. Esso si è evoluto con gli anni, attraversando varie fasi di sperimentazione e di ricerca, per arrivare a ciò che ora considero qualcosa di veramente rappresentativo e consolidato della mia poetica. Attualmente la mia ricerca si basa sul suono puro e astratto, liberato da qualsiasi associazione semantica. L’esempio di autori come Ligeti, Xenakis, Boulez, Donatoni, Stockhausen e molti altri mi ha portato a riflettere moltissimo sulla mia motivazione del fare musica. Chiaramente oggi siamo tutti collegati e siamo influenzati, anche inconsapevolmente, da tutti i fenomeni musicali che ci circondano; ma la musica per me oggi deve essere una zona incontaminata, una specie di oasi, qualcosa che si autodefinisce da sola perché semplicemente esiste come fenomeno fisico più che come un significante. Questo ora è l’indirizzo prevalente di ciò che scrivo. Inoltre, nella mia idea psicopercettiva della forma musicale i suoni sono collocati e distribuiti nello spazio piuttosto che nel tempo. Ovviamente la musica si dispiega e si sviluppa nel tempo, ma nella mia musica gli eventi più che susseguirsi in serie sono come collegati in una “rete neuronale” in vari punti, alcuni più lontani e altri più vicini, come se fossero nodi dislocati in uno spazio a tre dimensioni. È come se il tempo rallentasse fino a fermarsi e tutti gli eventi fossero compresenti in un insieme comune, “visibili” a livello uditivo nello stesso istante, come se fossero cristallizzati in un quadro o in una scultura sonora. Per quanto riguarda il processo creativo, parto da un’idea musicale che è come un seme, una cellula che si autorigenera e prolifera su sé stessa. Lascio evolvere questo processo quasi spontaneo il più liberamente possibile. Negli ultimi anni mi sono appassionato di astronomia, fisica e chimica, traendo molta ispirazione da queste discipline per definire l’evoluzione, la proliferazione e la trasformazione dei suoni e in generale di tutti i parametri musicali. Nel mio “Clarinet Concerto” (2016-17) e soprattutto nel “Piano Concerto” (2017-18) c’è una specie di visione sonora di un grande buco nero; nel “Drops Concerto” (2019), per arpa e archi, descrivo il fenomeno delle onde concentriche; negli “Studi per pianoforte” c’è un riferimento alla teoria quantistica; infine, nel lavoro che ho appena finito, dedicato all’Ensemble Intercontemporain, l’idea dei “semi di luce” (“Seeds of Light”) che si riproducono a vicenda rievoca la teoria delle stringhe. Per quanto riguarda la forma dei miei brani, negli ultimi dieci anni ho scritto prevalentemente lavori concepiti in un unico movimento, senza suddivisioni e separazioni nette bensì con un’alternanza, senza soluzione di continuità, di andamenti concitati e momenti di sospensione. Tali episodi contrastanti sono sempre interdipendenti e collegati fra loro, come le varie parti di un unico organismo vivente. Questo accade soprattutto con i pezzi costruiti su larga scala.
MARIO Quali sono i brani del tuo catalogo ai quali sei più affezionato?
VITO Il mio ultimo album “Woven Lights” è finora il più rappresentativo della mia carriera; un disco a cui tengo moltissimo, che ha ottenuto più di 20 recensioni a “5 stelle” in diversi magazines fra i più importanti del mondo e che contiene il “Violin Concerto” (un lavoro del 2015 che segna l’inizio di un cambiamento radicale nella mia concezione musicale) e “Chaconne”, un brano per violino elettrico ed elettronica del 2021.
MARIO Qual è il tuo rapporto con il pubblico?
VITO L’idea della musica contemporanea che si contraddistingue come musica elitaria e di nicchia risale a decenni fa, vale a dire alle esperienze di avanguardia e di sperimentazione della seconda metà del 900. C’era una separazione netta tra grande pubblico, enti concertistici, teatri e l’attività dei compositori dallo spirito avventuroso, follemente pionieristico, che era relegata a cerchie ristrette con un pubblico esiguo. Oggi la realtà è diversa: io non ho mai riscontrato un disinteresse o un atteggiamento critico e prevenuto da parte del pubblico verso la musica nuova, anzi posso affermare che il pubblico mostra per essa curiosità e interesse maggiore rispetto ai decenni passati, sia in Italia sia soprattutto all’estero, dove esiste una cultura e un’educazione musicale completamente diverse rispetto all’Italia.
MARIO Quali sono i problemi che un compositore di oggi (giovane o meno giovane) deve affrontare?
VITO Il problema del compositore di oggi è che deve fare i conti con le “cerchie elitarie”, lobbistiche e discriminatorie. Molto spesso la conquista del successo e della fama non è giustificata dal vero valore di un compositore bensì dalle decisioni di personaggi di potere (musicisti e non) che per una ragione o per l’altra decidono di aiutare qualcuno ad entrare in una cerchia di “eletti” che ricevono sistematicamente commissioni da grandi orchestre, enti, festival, teatri di ogni parte del mondo. Questa macchina si autoalimenta senza essere intaccata da nulla e da nessuno. Se non hai un potente di turno che ti vuole aiutare, la carriera oggi per un compositore anche geniale risulta davvero problematica e bisogna andare avanti con le proprie forze per cercare di aprirsi dei varchi. Entrare in un’eminente casa editrice è impossibile per chi mostra solo ciò che sa fare, senza la copertura di qualcuno che ti può introdurre e questo accade anche per le grandi agenzie. Questa è oggi una realtà di fatto, sia in Italia sia all’estero. In questo quadro il pubblico accoglie tutto ciò che gli viene proposto, filtrato però esclusivamente dalle scelte dei direttori artistici, degli editori, dei direttori d’orchestra, degli agenti ecc. Il punto oscuro è capire come e perché vengano fatte queste scelte e date queste preferenze, visto che spesso ci rendiamo conto che non sono qualità, originalità e capacità a fare la differenza. Non vado oltre nella descrizione di questa realtà generale, ma la mia risposta a tutto questo è concentrarmi ancora di più e con più convinzione in ciò che faccio, nell’espressione e nell’affinamento della mia voce. Sono molto riservato, solitario e distaccato da tutto ma non smetto mai di scrivere e di curare dall’interno il mio pensiero e la mia arte. In fondo io non scrivo per le commissioni, per ottenere successo, neanche scrivo per me stesso ma scrivo esclusivamente per la Musica, intesa come un bene superiore da servire.
MARIO Come consideri la pluralità di orientamenti stilistici nella contemporaneità?
VITO Il mondo musicale di oggi, così multiforme, così vario, rappresenta un “gomitolo” di voci diverse di cui io sono soltanto un esile filo. Mi piace tutto questo, mi piace questa libertà che abbiamo raggiunto nel campo dell’arte. In questa moltitudine di voci mi piace pensare che nessuno sia simile a nessun altro e che tutti abbiano il diritto di esprimersi come desiderano, di dare massima libertà alla creatività, che è la nostra ancora di salvezza. Devo dire però che a volte ascolto compositori di successo che producono musica senza alcuno spessore. Io ho studiato con Corghi e con Berio, il mio “maestro spirituale” è Ligeti e per me “musica d’arte” è artigianato, orchestrazione sofisticata, affinamento di una idea originale e astratta, contrappunto e complessità. Il marketing, al contrario, molto spesso è attento solo alla superficie delle cose e alla logica di certi meccanismi misteriosi e a volte perversi. È un discorso molto lungo che mi deprime moltissimo.
MARIO Come vedi il futuro della figura del compositore?
VITO Voglio essere ottimista: le opportunità arriveranno se si ha qualcosa di importante da dire e una personalità di rilievo. Confido molto in questo.
MARIO Ci parli dei tuoi progetti futuri?
VITO Dopo il mio debutto con l’Ensemble Intercontemporain e l’uscita del mio album “Woven Lights” (BIS Records), ora mi sto dedicando a diversi progetti: un pezzo per il Duo Interconnections: “Pulse III”, in prima assoluta a Berlino e a Monaco; “Skin III”, per chitarra e live electronics, scritto per Arturo Tallini; “Skin IV”, per sax e live electronics, scritto per Mario Marzi (nella raccolta “Skin” ogni brano è dedicato ad uno strumento musicale diverso); “Il Canto delle Sirene”, per 4 voci femminili e live electronics, scritto per i fantastici AditivVokal di Dresda; un pezzo per voce, scritto per Niki Lada e un nuovo quartetto d’archi per lo svedese Stenhammar Quartet. La mia ultima produzione comprende sempre di più l’inclusione del live electronics affiancato alle voci e agli strumenti tradizionali. Nella ricerca di nuove sonorità elettroacustiche si consolida il mio indirizzo verso una musica sempre più astratta e pura.
Immagine di copertina:
Vito Palumbo
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