MARIO Luca Moscardi è nato ad Ancona nel 1976. Sostanzialmente autodidatta per la composizione, ha un catalogo molto nutrito di pezzi cameristici e orchestrali nonché di brani per pianoforte eseguiti in Italia e all’estero. Nella sua musica confluiscono diverse istanze in un linguaggio vario ed eclettico legato ad un recupero aggiornato e consapevole della tradizione, nel tentativo di preservare l’aspetto comunicativo senza rinunciare alla complessità. Nel 2022 e 2023 sono usciti per la Da Vinci Publishing i primi due CD monografici dedicati ai suoi lavori pianistici eseguiti dalla pianista Tania Cardillo, che sono stati accolti molto positivamente e hanno ricevuto preziose recensioni, tra cui quella a firma di Luca Ciammarughi per Amadeus. L’attività di composizione di musiche originali si alterna a quella di rielaborazione e arrangiamento di musiche preesistenti, soprattutto per pianoforte in chiave concertistica, nell’ottica di renderle degli autonomi pezzi da concerto.
La prima domanda che si fa solitamente è: come e quando è nata la tua passione per la musica?
LUCA Nella nascita della mia passione per la musica ha avuto un ruolo fondamentale mio nonno paterno, Vitaliano, che era violoncellista, diplomato presso il Conservatorio Rossini di Pesaro sotto la direzione di Riccardo Zandonai. Con mio nonno trascorrevo molto tempo, aveva uno stanzino che era un po’ il suo regno musicale, talmente pieno di audiocassette e bobine che quasi non ci si riusciva a girare! Ogni settimana registrava tanta musica programmata dalla filo diffusione e mi consegnava le audiocassette da ascoltare, quasi come un compito da svolgere a casa. Grazie a lui e al suo infaticabile lavoro ho ascoltato tantissima musica e di ogni repertorio, è stata quella la mia vera e propria formazione musicale, oltre alla lettura dei tanti libri dalla sua biblioteca. Poi, in sala teneva anche un pianoforte verticale; io mi ci sono avvicinato le prime volte quasi con circospezione, finchè non espressi il desiderio di iniziare a studiarlo e prendere lezioni.
MARIO Come si è sviluppata la tua formazione musicale?
LUCA È stata un po’ tortuosa. Mi sono formato privatamente in pianoforte, conseguendo il diploma nonostante fossi uno studente estremamente indisciplinato e scostante! Vivevo lo studio della tecnica come un peso e la lettura a prima vista quasi immediata mi conduceva a variare di continuo il repertorio senza l’approfondimento del costrutto.
Per quanto riguarda lo studio della composizione, invece, iniziai dopo il diploma di pianoforte a prendere qualche lezione di armonia. Dato l’esame di 4° anno, mi sono fermato per portare avanti gli studi universitari in storia e filosofia e il resto della mia formazione è avanzata quasi del tutto da autodidatta. Ad un certo punto ho dovuto fare una scelta definitiva; la vita ti pone quasi sempre di fronte ad un bivio, per cui il mio lavoro oggi non c’entra nulla con la musica, ma da un certo punto di vista mi consente di dedicarmi ad essa senza gli assilli tipici di una attività professionale.
MARIO Come vivi la scissione fra le tue due attività e cosa c’è, secondo te, di positivo nell’essere oggi un “outsider” della composizione?
LUCA L’aspetto positivo è che facendo tutt’altro per guadagnarmi da vivere – sono programmatore informatico in una azienda di software – nel tempo libero posso dedicarmi alla musica senza tutta quella serie di obblighi, scadenze, impegni tipici di un’attività professionale a tutti gli effetti. Insomma, senza doverla vedere necessariamente come un lavoro, cosa che per me ed il mio carattere incostante e discontinuo, oltre che tendenzialmente solitario, è fondamentale per mantenere alto l’interesse e l’entusiasmo.
La pratica musicale, sia essa quella di suonare, oppure comporre, o anche semplicemente studiare ed analizzare uno spartito, l’ho sempre concepita facendo prevalere l’aspetto ludico. Non intendo ovviamente sminuirne l’importanza, intendo dire che deve essere qualcosa che conduce ad un piacere fine a sé stesso, non finalizzato necessariamente ad un tornaconto personale o economico. A questo si lega anche una sostanziale libertà di approccio alla composizione, non vincolato a correnti, linguaggi, scuole, insegnanti a cui debba qualcosa.
Sono fuori da qualsiasi movimento, nel tempo ho anche perso molti contatti; dal punto di vista musicale mi sono un po’ isolato, dovendo lavorare in tutt’altro ambito. Se da un lato ciò rappresenta uno svantaggio, dall’altro ha forse favorito lo sviluppo di una certa autonomia creativa. Ci sono ovviamente anche molti lati negativi, il più importante è il poco tempo che riesco a dedicare alla musica, condizionato dal lavoro e altri impegni di carattere più pratico.
MARIO Alcune tue opere hanno avuto un grande successo presso gli esecutori. Secondo te sta cambiando qualcosa nel rapporto fra compositori e pubblico rispetto al secolo scorso?
LUCA Sembra esserci effettivamente un cambiamento: si percepisce da parte del pubblico una rinnovata voglia di musica nuova che sappia interpretare il tempo che stiamo vivendo e che fornisca all’ascoltatore chiavi intelligibili per realizzare tale decodifica. Chiaramente, parlando di musica “classica” o “colta”, a seconda di come la vogliamo definire, parliamo sempre di un pubblico limitato se paragonato ad altri generi musicali. Il cambiamento di questo rapporto si deve anche all’evoluzione della tecnologia e dei mezzi di comunicazione, questo è innegabile, nonché alle modificazioni culturali e sociali.
Nel secolo scorso c’era spesso una distinzione più netta tra compositori “classici” e “popolari”. Oggi la distinzione si sta sfumando sempre di più, con molti compositori che integrano elementi di diversi generi musicali nelle loro opere. Questo ha portato a una maggiore varietà di stili musicali e ha reso la musica contemporanea più accessibile a un pubblico più ampio e diversificato. In generale, penso che il rapporto tra compositori e pubblico sia diventato più dinamico e interattivo nel corso degli anni, con la tecnologia che svolge un ruolo chiave nel facilitare questa trasformazione.
MARIO Sei uno degli esempi viventi di quello che può essere il ruolo dei social nell’affermazione degli artisti contemporanei. Ce ne puoi parlare?
LUCA Confesso che senza la tecnologia e i social probabilmente avrei continuato a scrivere in totale solitudine e quasi senza legami con il mondo musicale, per la mia particolare condizione di cui parlavo nella risposta alla terza domanda. Grazie alla diffusione di Internet e delle piattaforme di streaming musicale, la musica è diventata molto più accessibile: i compositori possono oggi raggiungere un pubblico globale senza dover necessariamente passare attraverso canali tradizionali come le etichette discografiche, che rimangono sempre fondamentali per un discorso di maggiore ufficialità e prestigio, ma senza più il monopolio di un tempo. Questo ha ampliato le possibilità di esporre nuove opere al pubblico e ha facilitato il crearsi di un legame più immediato tra compositori e ascoltatori.
Le piattaforme di social media offrono ai compositori l’opportunità di interagire direttamente con il loro pubblico; essi possono condividere informazioni sul processo creativo, rispondere alle domande degli ascoltatori e ricevere feedback in tempo reale. Questo tipo di interazione può rafforzare il legame emotivo tra compositori e pubblico e favorire anche una maggiore comprensione delle opere musicali. C’è anche un altro aspetto da non sottovalutare: la disintermediazione del rapporto tra compositore ed interprete o esecutore. Attraverso i social è possibile entrare più facilmente in contatto diretto con i musicisti, facendo ascoltare i propri lavori che, se graditi, possono entrare nei circuiti concertistici o discografici con molta più rapidità di un tempo.
MARIO Quali ritieni siano le caratteristiche della tua musica? Ci sono delle costanti ricorrenti?
LUCA In ciò che scrivo confluiscono molti elementi. Sono uno che non ha mai alzato steccati né ha avuto pregiudizi su forme e generi musicali diversi. Il jazz, la colonna sonora, il cantautorato, la musica etnica… non c’è nulla che possa essere scartato a priori solo in base al proprio ambito di appartenenza o per un’ipotetica minore dignità. Certo, ci sono dietro sostrati e livelli differenti di approccio e artigianato che vanno riconosciuti e di cui bisogna essere consapevoli, ma questo non toglie nulla, anzi semmai aggiunge qualcosa all’ispirazione.
Il linguaggio che adotto prevalentemente è di tipo tonale, con l’innesto di elementi di modernità che non devono pregiudicare (o per lo meno quello è il tentativo, indipendentemente dall’esito) l’immediatezza della percezione. Per come concepisco io la musica “colta” odierna, muovendomi prevalentemente in un ambito strumentale, quello che cerco di fare è preservare un certo tipo di complessità di scrittura senza necessariamente abdicare alla comunicatività e all’espressività.
MARIO Da dove trai ispirazione solitamente?
LUCA Devo essere sincero: non ne ho la minima idea! Nel senso che a quasi 50 anni non ho ancora capito esattamente come funzioni l’atto creativo, da dove provenga la scintilla. Per quanto mi riguarda, ho un approccio alla composizione di tipo “esplosivo”, nel senso che si alternano mesi senza che scriva una nota a periodi in cui in pochi giorni, e persino notti, compongo a “getto continuo”!
Di sicuro, la “natura” mi aiuta molto, in genere passeggiate solitarie. Sono uno che ama molto la solitudine, forse perchè è proprio nel dialogo interiore con sé stessi che si trova più facilmente una forma di ispirazione. Poi, ovviamente, considero importante il confronto con amici compositori e l’ascolto vicendevole, che è anch’esso una forma di dialogo, in forma musicale. Guardo anche costantemente ad alcuni compositori del XX secolo che amo particolarmente e che rimangono sempre miei modelli (chiaramente irraggiungibili): Scriabin, Janáček, Shostakovich, Prokofiev, Britten, Bartók, Ravel, Poulenc, i nostri Casella, Malipiero, Rota, alcuni sinfonisti statunitensi e tanti altri che per un motivo o per l’altro sento più vicini come intento e come estetica.
MARIO Spesso hai praticato con ottimi esiti anche l’arrangiamento per pianoforte di canzoni di noti cantautori moderni. Ci puoi parlare di questa tua apertura a generi che ancora oggi vengono definiti “extra-colti”?
LUCA Ti ringrazio per questa domanda. Quello della trascrizione, rielaborazione o arrangiamento che dir si voglia è una passione che ho sempre avuto sin dai primi anni di studio. Più che altro mi affascinava l’idea di poter mettere le mani – per il puro piacere personale di suonare – su qualcosa che era stato concepito per tutt’altro organico, indipendentemente dalla sua provenienza, se da ambito “colto” o “extra-colto”, mutando la composizione in qualcos’altro. La sfida era trasformarlo o trasfigurarlo per renderlo funzionale al pianoforte in chiave possibilmente concertistica, non molto distante (fatte le debite proporzioni, ovviamente) da una concezione lisztiana di parafrasi o trascrizione (penso soprattutto a quelle da Wagner, dove la materia originale viene letteralmente riplasmata perchè “funzioni” pianisticamente).
Così, sono nati sia molti arrangiamenti da cantautori (come Tenco, Paoli, Aznavour, Endrigo), che per la loro natura già di per sé “alta” ben si prestavano ad una operazione di questo tipo, sia trascrizioni e rielaborazioni da celebri arie d’opera (soprattutto Puccini) o lavori cameristici e sinfonici (ad esempio il sublime Andante cantabile dal Quartetto con pianoforte Op. 47 di Schumann, il secondo movimento dal Concerto per violino di Sibelius, lo “Chant du Ménestrel” per violoncello e orchestra di Glazunov, alcuni lieder di Mahler, liriche di Debussy), sempre con l’intenzione di ricavarne dei pezzi autonomi da concerto. Inoltre, in tempi di “magra” dal punto di vista dell’ispirazione per lavori originali, quello della trascrizione o arrangiamento è sempre un ottimo esercizio e un modo per rimettere in moto la creatività.
MARIO Se dovessi brevemente tirare le somme della musica del XX secolo, cosa diresti?
LUCA Il XX secolo ha visto una rivoluzione senza precedenti nella musica, con una sperimentazione continua di nuove tecniche compositive, nuovi linguaggi musicali e nuove forme di espressione.
Dalla ribellione contro le convenzioni tonali e formali del passato all’adozione di nuove tecnologie come l’elettronica, la musica del XX secolo ha sfidato le aspettative, ha esplorato i confini dell’udibile e ha aperto nuove strade per la creatività musicale. Detto questo, per semplificare al massimo ed in estrema sintesi, ho sempre creduto nell’esistenza di almeno due tipi di ‘900 musicale: uno più progressivo, “riformista” diciamo così, inteso come diretta emanazione della tradizione precedente su cui costruire ed elaborare una nuova estetica, e un altro “rivoluzionario”, di totale rottura con il passato, dove l’asprezza del tempo presente veniva declinato in qualcosa di completamente diverso ed inaudito. Questo secondo approccio col tempo ha finito per tagliare un po’ troppo la strada al primo, attraverso un atteggiamento di forte rigidità ideologica. Nel mio piccolo vorrei ricollegarmi a quel filo interrotto contribuendo come posso alla ripresa di un discorso che non è finito ed ha ancora molto da dire.
MARIO Come ti poni rispetto alla contrapposizione, ancora esistente, fra musica “semplice” e “complessa”, “aggiornata” e “non aggiornata”, “tonale” e “non tonale”?
LUCA Sin dai miei inizi ho fatto, più o meno consapevolmente, una scelta di campo. Dico più o meno consapevolmente perché, essendomi mosso nella composizione in prevalenza da autodidatta, l’ambito tonale è se non altro il primo anche a livello di studio strumentale, nel mio caso il pianoforte, ad essere approcciato più facilmente. Poi, sono seguiti anni di studio e analisi di tecniche compositive più sperimentali e avanzate, che mi interessano su un piano teorico ma che sento più distanti da me e dal mio sentire su un piano estetico.
La mia idea, del tutto personale, senza per questo voler creare alcuna graduatoria né dare giudizi di valore, è che se in un brano prevale in misura preponderante l’elemento intellettuale e schematico, soffocando quasi del tutto quello instintuale o emotivo, il rischio è quello di non farsi capire, di far allontanare il pubblico e di rivolgersi quasi unicamente ad una élite sempre più ristretta.
Non riesco a concepire, per la musica cosiddetta colta, un pubblico composto unicamente da specialisti. So che può sembrare un controsenso, ma per me l’aggettivo “colto” (o “classico”) riferito alla musica non ha o non deve avere una connotazione di esclusione, bensì di elevazione; in altre parole, deve riferirisi a qualcosa in grado di nobilitare senza respingere o estromettere. Certo, si presuppone una preparazione media di base, un livello minimo di competenza e comprensione. La ripresa della tradizione non la intendo tanto nel linguaggio quanto nell’atteggiamento di un artigianato storicamente consapevole, nel quale si innestano elementi di modernità che attualizzano il discorso musicale per adeguarlo al sentire contemporaneo.
MARIO Una domanda che faccio sempre: come vedi il futuro della figura del compositore (ammesso che ne abbia uno)?
LUCA Io penso che il futuro della figura del compositore non solo esista, ma sia promettente e allo stesso tempo sfidante, poiché si trova in un contesto in costante evoluzione. Chiaramente la tecnologia continuerà a giocare un ruolo sempre più importante nel processo creativo dei compositori.
Strumenti digitali, software di produzione musicale e tecnologie emergenti potrebbero essere utilizzati per ampliare le possibilità compositive e creare nuove esperienze sonore. Di sicuro già aiutano enormemente il lavoro del compositore, ad esempio consentendogli tramite gli strumenti virtuali di presentare i propri lavori in una forma semirealistica pur non avendo accesso ad esecuzioni da parte di interpreti in carne ed ossa.
Il mio auspicio, però, è che questo non sia mai disgiunto da una riflessione sulla ricerca costante di un possibile punto di equilibrio tra tradizione e innovazione. Questo equilibrio tra il passato e il presente potrebbe portare a opere che trovano risonanza presso il pubblico contemporaneo mentre mantengono un legame con la ricca storia della musica colta.
Il tempo che viviamo presenta molti lati positivi accanto ad altri negativi. Tra i positivi c’è sicuramente l’utilizzo della tecnologia che semplifica tante cose. Tra quelli negativi un’ormai annosa, scarsa attenzione da parte delle istituzioni, che a sua volta produce una formazione di base sempre più scadente e sempre più affidata all’iniziativa personale. Colmare questo vulnus sembra ormai impresa disperata, se non c’è dietro anche una seria volontà politica. Ed è qui il punto a cui volevo arrivare: a preoccuparmi non è tanto il futuro della figura del compositore in sé e della sua attività, quanto l’esistenza di un pubblico cosciente e preparato.
MARIO Quali sono i tuoi progetti futuri?
LUCA È in preparazione il terzo volume di una produzione discografica (edizioni Da Vinci Publishing) di tipo monografico dedicata a miei lavori pianistici dove la bravissima e stoica Tania Cardillo eseguirà alcuni pezzi più recenti tra cui il ciclo di 10 Bagatelle, le Variazioni su un tema di Giuseppe D’Amico, la Sonatina e la Jewish Fantasy. Sto completando una Sonata per due pianoforti (manca solo l’ultimo movimento) per la quale ho già ricevuto una generosa proposta di esecuzione e registrazione.
Di recente, ho scritto una piccola Passacaglia su un tema di Ligeti, gentilmente commissionatami dal pianista e compositore Claudio Sanna, che ad aprile la eseguirà all’interno di un suo progetto: un ciclo di concerti nell’ambito delle celebrazioni relative al centenario dalla nascita del grande compositore ungherese. A maggio l’amico pianista e compositore Roberto Piana, che tenne a battesimo la mia Sonatina per pianoforte in una sua pregevole produzione discografica digitale, proporrà in un suo concerto a Cracovia un mio Epigramma per pianoforte.
A giugno verrà inoltre presentata in concerto da Emma Nicòl Pigato la versione per sax di Postcard, un mio breve brano, originariamente per flauto solo, commissionatomi da Michele Gravino, che lo presenterà anch’egli a breve e con cui si ragionava di un possibile concerto monografico dedicato a miei lavori per flauto (tra cui la Sonata e la Sonatina, mirabilmente eseguita in prima assoluta a Chicago all’inizio del 2023 da Ginevra Petrucci e Antonio Pompa-Baldi).
Voglio inoltre ricordare il duo formato da Maria Cristina Brausi ed Evelyn Davolio che solo pochi giorni fa hanno nuovamente proposto in un loro concerto una selezione di brani dalla mia Suite Op.13 per pianoforte a 4 mani. Questa Suite, che fu magnificamente presentata in prima assoluta da Antonio Pompa-Baldi ed Emanuela Friscioni nel 2021, è stata recentemente da loro anche registrata in una bellissima produzione discografica digitale della Steinway & Sons.
Ringrazio davvero di cuore sia tutti questi musicisti, sia coloro che nel passato più o meno recente mi hanno regalato la loro attenzione ed interesse. Per un compositore non esiste gratificazione più grande.
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Immagine di copertina HG Studios, Nella natura, il tempo
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