VENTI DI PACE. Corrispondenze dall’Armenia
“Il GIUOCO DELLE PERLE DI VETRO” – una lecture-performance
per il solstizio d’inverno
22 dicembre 2022
Intervista a Leopoldo Siano
di Haykuhi Harutyunian
HAYKUHI HARUTYUNIAN. Dopo l’omaggio a Jean-Claude Eloy in autunno1 e il ciclo in progress Etrangeté (dedicato al cinema sperimentale e al “cinema pour les oreilles”), il 22 dicembre 2022 vi è stato un vostro ulteriore evento al “Ground Floor” della vecchia Philharmonia di Yerevan, concepito e organizzato da te e Shushan Hyusnunts: Das Glasperlenspiel, ispirato dall’ultimo romanzo di Hermann Hesse.
LEOPOLDO SIANO. Sì, a novembre abbiamo inaugurato la serie di eventi multisensoriali theatrum phonosophicum, ma in particolare con quest’ultima lecture-performance ci riallacciamo allo Happening per Alexander Skrjabin dello scorso marzo (https://finnegans.it/un-happening-per-alexander-scriabin-esperienze-multisensoriali-visioni-del-gesamtkunstwerk-intervista-a-leopoldo-siano-di-kali-narayan/). Una delle idee centrali del theatrum phonosophicum (che fondamentalmente è un “progetto di vita”) è di celebrare quattro volte all’anno delle feste poetico-misteriche, in unisono con i ritmi cosmici, ovvero in occasione dei due solstizi e dei due equinozi.
Infatti Il giuoco delle perle di vetro ha avuto luogo in occasione del solstizio d’inverno. Perché è così importante questo momento dell’anno?
È il tempo più buio dell’anno – e paradossalmente è proprio quando il sole tocca il punto più basso sulla linea dell’orizzonte che avviene la “svolta”, che la luce rinasce, che ricomincia l’ascesa, la quale culminerà poi con il solstizio d’estate, il mezzogiorno dell’anno, il climax: quando il sole “ferito a morte” è costretto a discendere, e così l’oscurità riprende peu à peu ad insinuarsi, sino a dominare in dicembre. L’anno è un anello: tutto ritorna, sebbene mai in maniera identica. Solo con gli equinozi le ore di luce e di buio si trovano in equilibrio. Altrimenti no day is the same…
Anticamente il solstizio d’inverno era avvertito come un momento ominoso: poca luce, poco calore, le energie vitali calanti. Paventavano che il sole venisse divorato definitivamente dalla notte, che il mondo finisse. Perciò sentivano il bisogno di compiere rituali sacrificali (come nei culti mitraici), di illuminare case e strade, di celebrare feste, di mangiare, bere, cantare e danzare, di giocare d’azzardo: si pensi ai Saturnalia nell’antica Roma. Non è un caso che nella tradizione cristiana poi il Natale venga festeggiato proprio in concomitanza del solstizio d’inverno. Il nostro evento è stata una festa poetica per celebrare la rinascita della luce attraverso il suono.
Ma cosa c’entra questo con il romanzo di Hesse?
Con l’ultimo romanzo di Hesse c’entra tutto – o quasi… Hesse scrive un grosso libro, a cui lavora 11 anni (durante il periodo nazista, trascorso in esilio in Svizzera): forse ci lavora troppo a lungo. Fu pubblicato nel 1943. Mi si perdonerà la sfrontatezza: ma Il giuoco delle perle di vetro come opera letteraria non è perfettamente riuscita. La visione poetica che ne sta alla base è di certo straordinaria, mette subito le ali alla fantasia di chi legge. Tuttavia la realizzazione di essa, sul piano della forma, è stata – per lo meno in parte – un fallimento. Ho letto tre volte questo romanzo di Hesse, in diverse fasi della mia esistenza, e ogni volta a partire da un certo punto, mi sono un po’ annoiato e ho fatto fatica ad arrivare alla fine. La prima parte, l’introduzione alla storia del giuoco, è appassionante assai; ma poi il romanzo si fa sempre più verboso… Come dicevo, Hesse ci ha rimuginato troppo, rimpinguandolo e infarcendolo sempre più: in esso ancora una volta vengono elaborati – in interminabili variazioni – i maggiori leitmotive della sua opera: il rapporto tra “Bürgertum” e “Künstlertum”, tra vita attiva e vita contemplativa, tra utopia dello spirito e mondo “reale” etc. Il travaglio etico va a guastare ciò che avrebbe potuto essere un delizioso e snello volumetto. Pure le tre “leggende” conclusive, per quanto interessanti se prese individualmente, mi sembrano una raffazzonatura. L’inizio del libro è promettente; ma Hesse a mio avviso fallisce sul piano formale: così il romanzo viene privato di quella leggerezza mozartiana che avrebbe voluto o dovuto avere. (Proprio Hesse parlò del “Glasperlenspiel” come un suo “Flauto Magico”…). Io vedo Il giuoco delle perle di vetro non primariamente come romanzo, bensì come concetto poetico, come visione di vita, opera d’arte totale (“Gesamtkunstwerk”), come utopica sintesi di tutte le arti e di tutte le scienze; in definitiva come gioco rituale e contemplativo, come “ricerca dell’essere”. Hesse immagina un gruppo di eruditi del futuro, totalmente dediti agli interessi spirituali e al Giuoco delle perle di vetro, che vivono nella provincia pedagogica “Castalia”, puri e appartati rispetto al mondo profano, quasi come un ordine monacale, ma al di là di dogmatismi dottrinali. Per la ristretta cerchia dei “giocatori di perle” il Giuoco era quasi equivalente a un “servizio divino”, dice Hesse, pur prescindendo da ogni particolare teologia… L’ascetismo della provincia pedagogica “Castalia” può talvolta sconcertare, apparire pellegrino ai più – però lo si può comprendere sul piano poetico: come qualcosa di cristallino, trasparente, luminoso; un culto spiritualizzato e astratto nei confronti dell’esistenza.
In che cosa consiste questo “giuoco delle perle di vetro” nel romanzo di Hesse?
Hesse non spiega mai precisamente le regole di questo gioco. Si trovano soltanto allusioni… L’ambiguità è di certo programmatica. Il gioco con le perle di vetro è una pratica misteriosa, che inizialmente nasce come ars combinatoria, come esercizio mnemotecnico per eruditi; per poi gradualmente trasmutarsi in una sorta di festa rituale in cui la contemplazione diviene sempre più importante. Hesse lo chiama anche “teatro magico”. In realtà poco sappiamo di questo gioco – è una visione aperta, vaga, che ci fa sognare… L’unica cosa che il lettore sa con certezza è che in questo gioco la musica svolge un ruolo centrale. Hesse scrive: “per ogni giocatore indipendente […] giocare alle perle di vetro significa in primo luogo far della musica”. E la musica – come nella tradizione pitagorica e nel quadrivium medievale – sta in stretta relazione con la matematica, la geometria, l’astronomia e la filosofia mistica. È una concezione onnicomprensiva della musica (… questo fu uno dei motivi per cui il giovane Stockhausen si appassionò tanto a questo romanzo, considerandolo sempre come un punto di riferimento…). Hesse ci suggerisce che è un gioco basato sull’associazione libera, su analogie cosmopoetiche. Si prende per esempio un motivo da una fuga bachiana, una formula matematica, una costellazione e un pensiero dalle Upanishad o da uno scritto di Niccolò Cusano: si giustappongono, si osservano, si contemplano – e si creano tra di loro connessioni inaspettate.
La riflessione sui solstizi e sui paradossi del tempo è stata dunque soltanto un punto di partenza della “lecture”; si è poi spaziato – sempre associativamente – in tanti altri campi, dalla storia degli scacchi al tempio massonico, dall’I-Ching a Leibniz a Keplero e Bach, dal pensiero armonicale di Hans Kayser alla cimatica di Hans Jenny e Alexander Lauterwasser etc., cosicché non era sempre facile seguire il “fil rouge”.
Quello che stiamo tentando con le lecture-performances del theatrum phonosophicum è un formato a noi stessi ignoto. Lo stiamo inventando o scoprendo strada facendo… Mi permetto di leggere un breve passaggio dal romanzo di Hesse che ho qui con me: “Non tutti sono d’accordo col Giuoco delle perle di vetro. Secondo alcuni sarebbe un surrogato delle arti. Altri dicono che i giocatori sono meri esteti, persone poco serie, da non considerarsi come veri e propri intellettuali, ma piuttosto come artisti dilettanti, dediti alla libera fantasia. […] Le anime d’artista sono innamorate di questo Giuoco perché vi si può fantasticare, gli scienziati rigorosi lo disprezzano”… I voli pindarici durante la “lecture” volevano giusto un po’ “sovraffaticare” l’intelletto per superare l’intelletto, dando un lieve senso di vertigine, così da permettere – come in poesia – un’apertura ad altre dimensioni percettive. Non avevamo intenzione alcuna di tenere una conferenza sul romanzo di Hesse. Assolutamente no… Il “Glasperlenspiel” funge piuttosto da fulcro propulsore di uno “storytelling” centripeto e centrifugo, integrato in un evento performativo globale, una sorta di “teatro magico”, in cui la musica viene considerata cosmicamente e il cosmo musicalmente. È stato un tentativo di giocare noi stessi questo Giuoco, lasciandoci guidare dal “demone dell’analogia”. La lecture è stata concepita in 12 parti – in corrispondenza con i 12 segni dello zodiaco (… che abbiamo percorso a ritroso). E 12 volte questo “storytelling” veniva interrotto da segnali sonori con i bicchieri di cristallo (suonati sia in maniera percussiva che in maniera continua roteando le dita bagnate sul bordo), che davano ogni volta inizio ad un intermezzo azionistico-contemplativo sulla base di suoni registrati e dal vivo.
Devo però ammettere che abbiamo realizzato soltanto una piccola parte dell’idea originaria. Vi è ancora molto da fare, dunque; è d’uopo continuare questo giuoco… In realtà l’idea stessa del theatrum phonosophicum è un “Glasperlenspiel”, ovvero un modo di giocare con tutti i valori e contenuti della cultura universale, a partire dall’Origine, idealmente attraversando per associazioni libere tutte le epoche e tutti i luoghi: si segue il principio dello “only connect”…
Ma come si è svolto concretamente l’evento?
È stato – sul piano drammaturgico – un viaggio dall’oscurità iniziale (un’installazione sonora che evocava una profonda notte stellata…) alla rinascita rituale del Sole: con un intenso momento finale dominato da un forte suono di campanelle. Si può dire che tutto l’evento è stato guidato da questa quête, questa ricerca di un Golden Sound, un “suono dorato”.
Come già detto, l’idea era di integrare la “lezione” – o meglio lo storytelling – in un evento performativo globale, in modo da rivolgersi non soltanto all’intelletto, ma anche agli altri sensi e all’intuizione: attraverso immagini, suoni (registrati e dal vivo), installazioni, video, luci colorate, danza, atti poetici vari, silenzi… Cruciale è – come sempre per noi – la simultaneità degli eventi nello spazio. Abbiamo coinvolto 15 giovani come performers: ognuno di essi aveva un bicchiere di cristallo, una campanella (o un altro piccolo strumento metallico) e un giuoco da giocare.
Il pubblico è stato accolto in una situazione installativo-immersiva: nella semioscurità si sentivano suoni registrati (provenienti dalla nostra “sonoteca phonosophica”): suoni di vetro, di cristallo, di acqua, di campanelle, di arpe eolie e monocordi… E i 15 performers vagavano lentamente (direi: ritualmente) nello spazio, suonando strumenti portatili vari (campanelle, triangoli, cimbalini etc.).
Poi, dopo questo “preludio-installazione”, si è fatta più luce ed è cominciata la “lecture” – mentre ognuno dei giovani performers ha preso il suo posto in un angolo degli spazi del “Ground Floor” e ha cominciato a giocare il suo gioco: chi giocava a scacchi, chi ai tarocchi, chi a domino, chi con le biglie, chi con l’abaco, chi a nardi [gioco popolare molto diffuso in Armenia] e così via; ma c’era anche chi lavorava con l’argilla, chi lavorava a maglia, chi faceva della pittura d’azione: una concezione del gioco inteso in senso molto lato, un gran collage insomma…
Ebbene, l’idea era di avere un “Gioco dei giochi”, una polifonia di differenti giochi nel quadro di un gioco sovraordinato: un gioco della conoscenza e della percezione. È interessante ricordare che mentre Hesse scriveva il Glasperlenspiel, nel 1938 lo storico olandese Joan Huizinga pubblicò il suo grandioso studio Homo ludens, in cui il gioco viene visto come attività primordiale dell’uomo: il gioco – non il lavoro – è ciò che fa dell’essere umano un essere umano. “Arbeit macht frei”, dicono i tedeschi; ma è vero il contrario: la libertà è il presupposto del lavoro inteso come attività creativa in cui l’uomo può realizzare il suo potenziale interiore. (È in fondo il discorso che faceva anche Joseph Beuys…). L’uomo non è in primis un “lavoratore”, un animal laborans, bensì un homo ludens, colui che gioca. E il gioco – ce lo insegnano i bambini – è qualcosa di gioiosamente solenne. La gioia stessa ha da essere presa sul serio, come risultato di un lavoro indefesso di ricerca dell’essere. Il gioco come metafora della vita universale. E poi durante l’evento abbiamo giocato a nostra volta sulla doppiezza del verbo “giocare” in altre lingue: in tedesco, inglese, francese, “giocare” significa anche suonare (spielen, play, jouer etc.). Nel romanzo di Hesse è sottinteso l’ordine musicale del mondo: la vita come “gioco cosmico” (lila, dicono gli antichi indiani), l’uomo come homo ludens. Vita come gioco, come sinfonia, come danza divina…
E infatti anche questa volta v’è stata la partecipazione della danzatrice Hasmik Tangyan, che aveva già collaborato con voi per lo Happening skrjabiniano…
Lavorare con lei è assai stimolante, sempre un piacere. Hasmik è una performer di cultura e di grande intuito, che vive in un costante flusso creativo e che comprende immediatamente le nostre intenzioni poetiche. Questa volta Hasmik Tangyan ha incarnato una sorta di figura ambigua, al contempo affascinante e inquietante, che in maniera enigmatica connetteva tutti i giochi tra di loro.
Come andrà avanti la serie theatrum phonosophicum nel 2023?
Il theatrum phonosophicum è inteso come progetto sempre in progress, come campo esperienziale per condividere la conoscenza attraverso la partecipazione di tutti i sensi. Aspira ad essere una sintesi di saperi tradizionai coniugati a pratiche sperimentali. Al centro di esso v’è la fede nel suono considerato come essenza del creato, dunque nell’attività d’ascolto…
Siamo ora in cerca di sponsor per realizzare progetti ancora più ambiziosi; ma ad ogni modo – anche solo con le nostre forze e il supporto organizzativo della State Philharmonia of Armenia – stiamo già preparando un nuovo programma… A parte il ciclo Étrangeté (cinema sperimentale e “cinema pour les oreilles”) e il workshop settimanale “The Art of Listening” che riprenderanno già a febbraio, vi sono altre idee concrete per la primavera e l’estate, per esempio una lecture-performance in omaggio a Peter Kubelka (tra musica, arte culinaria, letteratura e cinema sperimentale), un evento sul Parsifal (in memoriam Hermann Nitsch) e altro ancora. Ma di questo ne parleremo a tempo debito…
Rimaniamo allora trepidanti nell’attesa…
È bene esserlo sempre.
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Immagine di copertina
Un’immagine cosmogonica dall’Utriusque Cosmi di Robert Fludd
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Alcuni dei suoni (“sonoteca phonosophica”) utilizzati per l’evento possono essere ascoltati qui: https://soundcloud.com/theatrumphonosophicum/prelude-installation-the-glass-bead-game
https://soundcloud.com/theatrumphonosophicum/the-golden-sound-finale-of-the-glass-bead-game
Altre foto dell’evento:
https://www.facebook.com/media/set/?set=a.576493894279874&type=3
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Leopoldo Siano, 12 agosto 1982, è filosofo della musica e azionista del suono. Giovanissimo si trasferisce in Germania. Dal 2012 insegna allʼUniversità di Colonia (nello stesso Istituto Musicologico dove tra gli anni cinquanta e settanta insegnò Marius Schneider, suo grande ispiratore); qui è anche coorganizzatore della serie di concerti acusmatici Raum-Musik. È autore e curatore di diversi libri (su Karlheinz Stockhusen, Hermann Nitsch, François Bayle etc.). Il suo ultimo volume è stato pubblicato nel gennaio 2021 dall’editore Königshausen & Neumann di Würzburg: Musica Cosmogonica: von der Barockzeit bis heute (Musica cosmogonica: dall’epoca barocca ad oggi). Insieme a Shushan Hyusnunts è ideatore del theatrum phonosophicum.
* La foto di Leopoldo Siano è di © Mane Hovhannisyan
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