Parziwal + ~ ~ ~ H.N.
Mistero di Primavera. Una ‘durational performance’
in memoriam Hermann Nitsch
nella serie theatrum phonosophicum al Ground Floor
della State Philharmonia of Armenia (Yerevan), 23 marzo 2023
Concezione, regia e proiezione del suono: Leopoldo Siano
& Shushan Hyusnunts
__________
Intervista a Leopoldo Siano di Mary Hovhannisyan
e Mariam Hakobyan
Mary Hovhannisyan – Una performance di più di 4 ore, cosa insolita per l’Armenia… Richard Wagner aveva l’idea di una ‘musica del futuro’. Avete anche voi voluto portare qui qualcosa di nuovo con questo evento?
Leopoldo Siano – La connessione wagneriana è lì. Più che qualcosa di ‘nuovo’ o à la page, abbiamo realizzato qualcosa di cui avevamo la necessità interiore di fare. Ogni giorno è un nuovo giorno… Si rinasce ogni mattino. La nostra serie di eventi a Yerevan non è pensata specificamente per l’Armenia, per il pubblico armeno, bensì per tutti e per nessuno. E questo evento è qualcosa che abbiamo sentito di dover fare, indipendentemente dal luogo dove siamo. Però d’altra parte il posto dove ci troviamo a lavorare, il Ground Floor, ci ispira e ci suggerisce idee. E poi l’ambiente armeno, la nostra amicizia con giovani performers quali Hasmik Tangyan e Mary Bayatyan, ci offre degli impulsi e delle ispirazioni decisive per fare proprio quello che facciamo. Mi piace sempre pensare la parola ‘evento’ non in senso mondano, ma nel senso heideggeriano, dell’Ereignis: ‘ciò che si eventua’, ‘ciò che accade’. Il fatto che accada qualcosa invece di non accadere non è affatto ovvio. E la cosa bella è che ad ogni istante accade sempre qualcosa…
Mariam Hakobyan – Perché proprio adesso questa “durational performance”?
Leopoldo Siano – Innanzitutto si tratta, come detto, di una necessità interiore. È stato per noi necessario. Non v’è nulla di necessario in generale. Vi deve essere sempre una sincronia, o meglio ancora una sincronicità o un entanglement tra la necessità interiore e quella esteriore, chiamiamola pure lo Zeitgeist, e in questo caso si tratta dell’inizio della primavera. Col theatrum phonosophicum abbiamo come al solito l’idea di celebrare i due equinozi e i due solstizi con degli eventi, in maniera simbolico-sensuale. E il Parsifal di Wagner in sé stesso è un ‘Mistero di Primavera’.
Mary Hovhannisyan – Qualcosa in più sulla ‘necessità interiore’?
Leopoldo Siano – Vi sono aspetti che sono troppo intimi e segreti sui quali non si può discorrere. Parsifal mi accompagna sin dalla tarda adolescenza, la sua musica, la sua storia, i suoi simboli… Il suo ascolto fu un tale shock che sono stato costretto a ‘ricostituirmi’ e riorganizzarmi financo nella mia struttura psicofisiologica. Questo lavoro di Wagner non appartiene alla storia del teatro in musica. Sta a parte. Si tratta dell’esecuzione di una liturgia sul palcoscenico.
Mary Hovhannisyan – La vostra performance presentava anche degli elementi religiosi…
Leopoldo Siano – La sua lunga durata e la dimensione immersiva, l’esperienza del qui e ora: ecco i fondamentali elementi religiosi di essa. Anche come contravveleno all’accelerazione del mondo tecnologico e sempre più digitalizzato. È interessante ricordare come Wagner definì il suo Parsifal: non ‘opera’ né ‘dramma musicale’, bensì Bühnenweihfestspiel, che si potrebbe tradurre approssimativamente come: ‘azione’ o ‘festa sacra per la scena’. Wagner volle prender le distanze dal teatro operistico dell’epoca, piuttosto profano, commerciale, per creare un teatro rituale e religioso, ma in senso sovra-confessionale, non legato ad alcuna chiesa. Nel 1880, a Napoli, mentre soggiornava a Villa Doria d’Angri, Wagner scrisse Religion und Kunst (Religione e arte), un saggio nel quale, in maniera lungimirante, notava come già sul finire dell’Ottocento le religioni stessero perdendo forza e divenendo artificiali. Il compito dell’arte sarebbe dunque quello di salvare l’essenza della religione. L’arte sostituisce la religione, divenendo essa stessa religione (Kunstreligion), ma libera e antidogmatica. L’artista può preservare la religione attraverso un nuovo lavoro col mito – ed è proprio ciò che tentò Wagner, sia in opere come il Ring, rielaborando i miti nordici, sia nel Parsifal con un collage di miti cristiani e buddhisti. Parsifal è opera eminentemente sincretista, le sue ispirazioni sono state molteplici. Da una parte la saga del Graal, anche col suo retroterra celtico, la tradizione cristiana, ma anche il buddhismo. I simboli cristiani certo predominano (eucaristia, lavanda dei piedi, lamentazioni del Venerdì Santo, mea culpa, messa funebre etc.), ma l’influenza buddhista si sente altrettanto, per esempio con il riferimento all’idea della reincarnazione. Wagner si interessò seriamente al mondo dell’antica India e al Buddhismo. Lo scoprì attraverso la mediazione di Schopenhauer e la sua etica della ‘compassione’ (Mitleid). Wagner raccolse numerosi libri sull’argomento, creandosi una sua personale biblioteca indologica. In particolare è con la figura di Kundry che questi elementi si fanno più espliciti. Una volta poi Wagner paragonò la tecnica dei ‘motivi ricorrenti’ nella sua musica alla concezione della metempsicosi. Ad un certo momento progettò financo un dramma buddhista intitolato Die Sieger (I vincitori), ambientato in India, nel seno di una comunità monacale. Aveva intenzione di comporlo dopo il Parsifal, ma non ne ebbe il tempo né forse più la necessità. Questi elementi buddhisti confluirono infatti nel Parsifal. Jonathan Harvey ha scritto una propria opera musicale ispirata al progetto irrealizzato di un dramma buddhista, Wagner Dream (2007).
Mariam Hakobyan – Da dove è venuta l’ispirazione generale per questo vostro evento multisensoriale Parziwal + ~ ~ ~ H.N., quali sono state le maggiori influenze (filosofico-artistiche-letterarie)?
Leopoldo Siano – Ebbene, nel corso degli anni è un affastellarsi continuo di esperienze e di influenze, dirette e indirette… Se la musica di Wagner è stata il punto di partenza, altre suggestioni hanno ispirato la visione: dall’alchimia al buddhismo tibetano, dall’inconscio collettivo di Carl Gustav Jung alla psicomagia di Jodorowsky, da Beuys a Nitsch…
Maryam Hakobyan – In alcuni momenti mi sembra di aver visto delle influenze provenienti da Sergei Parajanov…
Leopoldo Siano – In questo caso non sono state volontarie. Eppure Parjanov è un’artista a noi molto caro, non da ultimo per l’intensità sensuale del suo sentire. Ci siamo molto occupati del suo lavoro. Lo scorso anno, insieme alla vulcanica Ainara López, abbiamo avuto degli eventi dedicati a Parajanov, uno di questi addirittura nel Museo Parajanov di Yerevan.1
Mariam Hakobyan – In che modo la performance ha a che fare con i temi e motivi presenti nell’opera di Wagner? Si racconta ad un certo modo la storia di Parsifal?
Leopoldo Siano – No, non è di un racconto che si tratta. In questa performance la trama del Parsifal viene resa piuttosto astratta. Si è lavorato con differenti gradi di astrazione. Vi sono certamente dei riferimenti simbolici, sebbene niente sia univoco. La storia di Parsifal è quella di un giovane ingenuo, ignaro di tutto – quasi un tonto. Der reine Tor, ‘il puro folle’, lo chiama Wagner rifacendosi ad una etimologia fantasiosa. Le fonti di Wagner sono le leggende e i poemi medievali sorti intorno al Graal, in cui gli elementi celtici della saga del Re Artù vanno ad intrecciarsi alla mistica cristiana… I testi più famosi sono quelli di Chrétien de Troyes, di Robert de Boron e di Wolfram von Eschenbach. È a quest’ultimo che Wagner all’inizio principalmente guardò. Ma non per quanto concerne l’interpretazione del Graal, questo oggetto misterioso che ha la capacità di offrire l’illuminazione spirituale e la vita eterna. Il Graal, per Wolfram von Eschenbach, è infatti una pietra miracolosa (lapsit exillis). Per Chrétien, invece, è un recipiente; mentre per Robert de Boron un calice, il calice da cui Gesù bevve insieme ai suoi discepoli durante l’ultima cena, e dove poi Giuseppe d’Arimatea raccolse il sangue proveniente dalla ferita al costato. Wagner si decide per quest’ultima interpretazione: Graal come calice. Ma in realtà, come lo stesso Gurnemanz dice, che cosa è il Graal non si può dire. Appartiene alla sfera dell’ineffabile. Lo si può mettere in relazione con il concetto di Essere o con il Tao degli antichi cinesi. La ricerca del Graal è la ricerca del Sé, della ‘pietra occulta’ di cui ci parla l’alchimia: per trovarla bisogna discendere nelle interiora della Terra… Il Parsifal di Wagner è un rito in tre atti: di nascita, morte e resurrezione. V’è una catabasi e un’anabasi. Dopo la discesa nell’inconscio (secondo atto), nel terzo atto si ha la purificazione e la trasmutazione: l’‘Opus Magnum’ è compiuto. L’io, negato nel secondo atto, viene trasfigurato dal Sé. Non dunque annullato, distrutto, ma reintegrato, insieme all’inconscio, grazie all’incontro con l’Atman.
Mary Hovhannisyan – Ci racconti in breve la storia del Parsifal per coloro che non la conoscono?
Leopoldo Siano – Parsifal è un giovane che nulla sa, un ‘selvaggio’. Come una bestiola agisce soltanto d’istinto. Ed è forse questo che precipuamente distingue l’uomo dagli altri animali: l’uomo può divenire consapevole dei propri patterns comportamentali (biologici, psichici), e quindi distanziarsene, controllarli, trasmutarli… Parsifal uccide il cigno. L’impulso ad uccidere in lui non è malvagio, è appunto un istinto animale, ludico. Così agiscono per esempio i gatti e gli altri felini. Attaccare ogni cosa che si muove. Parsifal non ha difficoltà ad ammettere subito la sua azione quando Gurnemanz gli chiede se è stato lui ad abbattere il cigno. “Certo! Al volo io colgo ciò che vola!”, risponde Parsifal con giovanile baldanza. Con la sua sfilza di domande Gurnemanz mette allora in moto un processo di auto-conoscenza in Parsifal. Gnoti seauton… Parsifal raggiunge la conoscenza attraverso numerose esperienze del mondo. Quelle più abissali riguardano ovviamente Eros e Thanatos. La ‘cerca’ del Graal è tradizionalmente legata alla coppa e alla lancia, ovvero ai simboli connessi a questi oggetti. Alla fine del suo percorso l’eroe solare, il ‘puro folle’, riconduce il fallo-lancia nella vagina-coppa. La conoscenza avviene attraverso l’esperienza – prima del dolore, poi dell’eros. Dallo sguardo del cigno morente Parsifal riconosce il dolore cosmico in cui sono implicati tutti gli esseri. L’esperienza erotica è ugualmente qualcosa di tragico; di tragico-dionisiaco. Piacere e dolore mescolati assieme. L’unione del maschile e del femminile: un mysterium tremendum. Quando Kundry lo bacia, Parsifal subitaneamente si ricorda della ferita di Amfortas – e comprende. Per essere riconquistata l’innocenza deve essere anche perduta. Alla fine del primo atto, quando il banchetto rituale è terminato, senza che Parsifal abbia posto una domanda, Gurnemanz lo scaccia via malamente: “Non sei che un folle! / Esci per di là per la tua strada! / Ma Gurnemanz ti consiglia: / in futuro lascia in pace i cigni, / e, papero, cércati un’oca!”. Dunque Gurnemanz invita Parsifal a conoscere la femmina, a perdere l’innocenza. Parsifal gli darà ascolto, e perciò finirà tra le Fanciulle-Fiore. Parsifal non è (sempre) casto. Non si dimentichi che è il padre di Lohengrin… Inizialmente Parsifal non sa nulla; è tutt’uno con i suoi gagliardi istinti. Non sa che uccidere è sacrilego. E non sa di dove viene, non sa chi è suo padre, non sa chi lo ha mandato su quella strada, e nemmeno sa più il suo nome (ma dice di averne avuti molti). Parsifal ha abbandonato la madre Herzeleide, è andato via dalla foresta dopo aver ammirato dei cavalieri dalle armature scintillanti che erano per caso di passaggio. Ha intravisto una realtà totalmente altra. Vuole dunque diventare come loro; perché sente di essere come loro, di appartenere a quell’altro mondo. Quindi si fa Wanderer, viandante. Egli va, senza sapere dove andare; eppure giunge a destinazione… Nessuna strada conduce alla terra del Graal. Vi giunge soltanto chi è chiamato dal Graal stesso, chi ha la qualificazione iniziatica. Di una vocazione si tratta. Perciò Gurnemanz è sbalordito dal fatto che questo giovane ignorante sia potuto giungere in quella landa sacra.
Mariam Hakobyan – Qual è il significato di questa storia?
Leopoldo Siano – È una macchina di significati potenzialmente infiniti. Ad ogni modo la storia di Parsifal rappresenta un processo conoscitivo. Si accenna ad una conoscenza che si raggiunge soltanto attraverso la compassione e la grazia. Parsifal è un ingenuo, eppure è nobile, è un eletto. Se la saga medievale del Graal è rimasta così presente nella coscienza culturale del secolo ventesimo è stato innanzitutto – non lo si può negare – grazie all’opera di Richard Wagner. Il Parsifal di Wagner è il dramma della conoscenza par excellence. Il suono wagneriano è potente, eroto-magico, liturgico. Ha la capacità di insinuarsi nella psiche in maniera delicata, velenosa e profondissima. Il potere di questa musica è imparagonabile a qualsiasi altra, forse per il suo effetto psico-fisico soltanto a quella dei monaci tibetani. Questa musica ha un potere che potrebbe dirsi tantrico. Bisogna ascoltarla per capire, farne esperienza diretta; vi è davvero dell’indicibile in essa. È una misteriosa sostanza psichica che ti penetra dentro. L’arte sonora di Wagner ha il potere di trasmutare… E lo scopo dell’arte, se ve n’è uno, è proprio la metamorfosi, la trasformazione interiore. Laddove quest’ultima ha un immediato risvolto nel mondo esteriore: “altri cieli, altre terre”… Con Wagner la storia di Parsifal diventa il dramma della ‘conoscenza attraverso il suono’ (phonosophia).
Mariam Hakobyan – Un’opera esoterica?
Non di rado Parsifal si perde nel labirinto, sbaglia strada, la ritrova, la riperde ancora. Irrwege, cheminements… L’ascolto del Parsifal può essere, ancora oggi – per chi è predisposto –, un’esperienza letteralmente iniziatica. Ascoltando questa musica wagneriana si viene connessi ad una fonte di energia occulta, a strati cultuali e ancestrali del suono che Wagner sapientemente manipola. La psiche ne viene scossa. Il Parsifal di Wagner andrebbe letto (e messo in scena) attraverso la lente del buddhismo tantrico e della tradizione alchemica. Questa musica esercita una suggestione ipnotica, incantatrice. Wagner fu un tantrico del suono, un mago del suono; la sua musica è magia naturalis nel senso di Giordano Bruno.
Mary Hovhannisyan – Per quattro ore i performers hanno camminato…
Leopoldo Siano – Perceval, per Chrétien de Troyes, è ‘colui che attraversa la valle’. La via del Parsifal di Wagner è una ‘via dolorosa’, una via crucis – ma anche una via iniziatica. Attraverso il confronto con il dolore, con la morte, con l’eros, Parsifal diventa un illuminato, “durch Mitleid wissend”, sapiente attraverso la compassione. Dunque la storia di Parsifal è un lento ritrovamento della via, del proprio posto nel mondo, del cercare di seguire la propria voce interiore, la ‘propria stella’, la via del cuore, nei tanti cheminements del labirinto esistenziale. “Longissima via”, dicevano gli alchimisti… Ma il riconoscimento della propria via può essere anche istantaneo. L’illuminazione! Nello zen si dice: “la via è la meta”. Non da ultimo per questo che nella nostra performance l’andare è centrale – insieme alla creazione di metafore. In uno spazio vuoto, su una lunga e stretta striscia di lenzuola bianche, quattro performers–caminantes (due donne e due uomini), camminano lentamente, scalzi, per quattro ore (la durata del Parsifal di Wagner), indossando semplici vesti bianche. Tutto il decorso temporale è dominato dalla solennità e dalla gradualità. (Del resto Wagner stesso definì la sua musica come ‘arte della transizione’, del ‘minimo passaggio’). Dunque lentezza, ma anche – di tanto in tanto – improvvise eruzioni di bellezza, eccessi poetici. La bellezza, nel senso baudelairiano, può essere anche qualcosa di spaventoso. In molti hanno più paura della bellezza che della morte…
Maryam Hakobyan – Come avete concretamente preparato l’evento?
Leopoldo Siano – Per ognuno dei tre atti del nostro Parziwal avevamo stabilito una lista di elementi, di oggetti e di sostanze da installare nello spazio. Per esempio nel primo atto avevamo: ghiaccio, rami fioriti, pietre, pane, vino, acqua, piume, bietole rosse, uova, raganelle, ampolle alchemiche, incenso, radici etc. Nel secondo atto: fiori, interiora animali, arance mature, ananas, noci di cocco, marmellata di rose, olio d’oliva, bende nere per gli occhi… E nel terzo atto: ossa, pesci, corna, una tinozza d’acqua, pane, vino, latte, uova, raganelle, campanelle, aceto, pezzi di pelliccia e così via. Raccogliere tutte queste cose, letteralmente andare a fare la spesa al mercato, e poi la preparazione dello spazio installativo è stato in un certo senso parte della performance stessa. La striscia bianca centrale attraversava lo spazio del Ground Floor, collegando due tavoli posti alle due estremità. I performers o drontes trasportano ritualmente oggetti e sostanze da una parte all’altra dello spazio creando delle installazioni, degli assemblages-costellazioni di oggetti e sostanze che sono in continua seppur lentissima trasformazione. Tutto muta, incessantemente. Essi creano cioè delle ‘metafore’, trasportando oggetti e sostanze da una parte all’altro dello spazio, dando luogo a giustapposizioni e accostamenti inattesi: sempre nuove metafore. In greco antico metaphérein significa ‘trasportare’. Il poeta, per creare una metafora, mette insieme delle parole trasportandole da sfere inizialmente tra di loro lontane e irrelate.
Maryam Hakobyan – Come si sono svolte le prove?
Leopoldo Siano – L’importante per i performers era di trovarsi in un particolare ‘stato’: nel qui e ora osservare e sentire lo spazio sub specie aeternitatis. Per prepararli abbiamo cominciato con delle lezioni sul contesto filosofico e simbolico del Parsifal, ispirate tra l’altro da scritti di Giuseppe Sinopoli, Emma Jung e Ulrike Kienzle. Abbiamo avuto delle prolungate sessioni di ascolto, esercizi di respirazione e di presenza, vocalizzazioni: per intensificare la sensazione dell’esserci. Soltanto in seguito abbiamo cominciato con le prove vere e proprie, facendo in primis degli esercizi di meditazione camminata (walking meditation) ispirate da Thich Nhat Hahn… Poi ci siamo esercitati con diversi modi dell’andare: in avanti, a ritroso, a carponi, in ginocchio, bendati, tenendosi per mano etc. E per 24 ore prima dell’evento i performers si sono astenuti dal cibo e da bevande alcoliche. L’improvvisazione ha poi giocato un ruolo essenziale.
Mary Hovhannisyan – Quattro ore sono una sfida per la resistenza sia dei performers che del pubblico… Non vi sembra?
Leopoldo Siano – Quella che volevamo fare era appunto una durational performance; dunque volontariamente spingendosi un po’ ai limiti della resistenza psico-fisica. Certo camminare lentamente per quattro ore non è facile. Senza dubbio è un’esperienza-limite, un po’ nel senso di Georges Bataille, sia per i performers che per il pubblico. Ma i performers, quando avvertivano stanchezza, avevano la libertà di adagiarsi a terra avvolgendosi in una coperta, eventualmente dormire per un po’… Il Parsifal dura di solito intorno alle quattro ore. Tenendo conto delle pause tra gli atti, si finisce per stare a teatro anche sei o sette ore. Perché no? Anche i rituali ortodossi o buddhisti durano diverse ore. Ma in fondo pure le opere teatrali di Mozart o di Rameau non sono brevi. Le opere lunghe, le opere dal respiro epico, ci offrono altri tipi di esperienza. Si pensi inoltre a compositori del Novecento come La Monte Young, Morton Feldman o Jean-Claude Eloy… O ad altre opere epiche concepite per il teatro come il Faust di Goethe o Gli ultimi giorni dell’umanità di Karl Kraus, a Licht di Stockhausen o appunto al 6-Tages-Spiel di Hermann Nitsch che dura sei giorni e sei notti senza interruzione. È il nostro tempo, con la sua fretta e il suo fiato corto, che ha problemi con le lunghe durate: dove la maggior parte, i polloi, passano il loro tempo prezioso di vita con lo scrolling sugli schermi digitali: l’infosfera, il mondo delle non-cose… La tecnologia ha portato più velocità, ma anche più infingardaggine: un impoverimento dell’esperienza. Oggi si vuole tutto e subito, con un clic. Ma vi sono ambiti della conoscenza che non possono essere raggiunti senza andare attraverso un processo temporale. È d’uopo riappropriarsi delle cose, del proprio tempo, del proprio esserci.
Mary Hovhannisyan – E il pubblico?
Leopoldo Siano – Si è trattato di un evento tra l’installativo e il performativo: di un’“install’Azione”, se si vuole. Dunque ognuno è libero di venire e restare quanto tempo desidera, ad libitum, di vagare silenziosamente nello spazio e andare via, a seconda delle proprie possibilità… Certo ci sono anche delle impellenze fisiologiche, si ha bisogno di andare alla toilette, di sgranchirsi le gambe. Ovviamente rimanendo per tutto il tempo si coglie di più il senso dell’evento, partecipando al processo temporale ed emozionale. Le lunghe durate permettono di immergersi in un’altra dimensione esperienziale, di raggiungere uno stato della mente ‘altro’, cioè un sostanziale mutamento delle percezioni e delle sensazioni.
Noi non abbiamo fatto questa performance per il pubblico. Angelus Silesius diceva: “Die Ros’ ist ohn’ warum”, la rosa è senza perché, fiorisce perché fiorisce, non attende qualcuno che contempli la sua bellezza e gioisca del suo profumo. Non si tratta di uno show, di uno spettacolo di intrattenimento. Non che non ci importi del pubblico, ma un tale evento non lo si fa per vanità, per guadagnarci o per raggiungere qualcosa di concreto, bensì – lo ribadisco ancora una volta – per una necessità interiore. Abbiamo creato uno spazio esperienziale in cui fare accadere qualcosa, andando insieme ai performers attraverso un processo trasformativo. È un lavoro interiore che ha a che fare con la sensualità dello spazio e dell’accadere. L’evento non è stato pensato primariamente per un pubblico perché lo spazio è stato completamente svuotato, non erano previsti posti a sedere. Tutto lo spazio diventa spazio azionistico. Gli spettatori-ascoltatori hanno seguito il processo stando ai margini dello spazio del Ground Floor, ed eventualmente muovendosi da una parte all’altra per osservare e ascoltare di volta in volta l’accadimento da prospettive diverse. Dunque il pubblico ha un ruolo co-creativo. Ognuno deve dar forma alla propria esperienza. È uno spazio aperto. Lo spazio è l’Aperto, das Offene.
Mariam Hakobyan – Al cuore del theatrum phonosophicum vi sono delle pratiche che riguardano il suono e l’ascolto. Sarebbe perciò interessante parlare ora della parte sonora. In che modo la musica vi ha aiutato a dare forma all’evento?
Leopoldo Siano – L’intera performance è nata, così per dire, dallo spirito della musica. Ciò che è accaduto durante le quattro ore sono ‘azioni della musica divenute visibili’. La musica del Parsifal funge da ‘tela sonora’ che in certi punti viene ‘sovra-dipinta’ con altri suoni o silenzi. Per le “Übermalungen” sonore abbiamo utilizzato per lo più musiche rituali: canto gregoriano, cerimonie buddhiste, liturgie copte, musica islamica (il dhikr dei sufi), ma anche altri suoni, per esempio field recordings nostre: si ascoltano tra l’altro le pecore di Kürten (il luogo dove abbiamo vissuto per sette anni). Ma questo collage sonoro è soltanto una parte della performance, o meglio il sostrato onnipresente e onnicomprensivo su cui si svolge l’azione. I performers poi, oltre ad oggetti e sostanze, avevano anche piccoli strumenti musicali rituali: campanelle, raganelle, una conca… Comunque negli eventi azionistici si è evitata qualsiasi illustrazione diretta del Parsifal di Wagner, sebbene i performers si siano lasciati guidare dalle onde del suono nello spazio che hanno stimolato la loro intuizione. Fondamentale era la loro attitudine d’ascolto ininterrotta, di conseguenza la loro presenza nello spazio performativo.
Maryam Hakobyan – Nel secondo atto si è ascoltata anche musica islamica, la ripetizione continua del nome di Allah. Cosa c’entra questo con il Parsifal che è opera fondamentalmente cristiana? In Armenia potrebbe sembrare una provocazione…
Leopoldo Siano – Anche il nostro intento è stato sincretista. Tutte le religioni hanno un fondo comune (philosophia perennis). Tra l’altro nel testo del Parsifal si accenna ad un balsamo proveniente dall’Arabia… E il Castello di Klingsor, situato simbolicamente al Sud, sembra avere qualcosa di musulmano. Vi fu una Sicilia islamizzata e una Spagna islamizzata. L’architettura di Villa Rufolo a Ravello, il luogo che ispirò Wagner per il lussureggiante giardino di Klingsor con le Blumen-Mädchen, è in stile arabo-normanno. Alla fine del secondo atto abbiamo utilizzato un frammento sonoro da un rituale di una confraternita sufi dalla Turchia. Il sufismo è l’ambito più mistico dell’Islam, e quello più libero dall’ortodossia. Nel sufismo mevlevi (che si rifà al poeta Rumi) la musica e la danza sono centrali, in connessione con l’esperienza estatica (il samā, che etimologicamente significa ‘ascolto’).
Mary Hovhannisyan – Perché definite i performers come ‘drontes’?
Leopoldo Siano – È una definizione che abbiamo rubato ad Angelo Tonelli, grande personalità di grecista, traduttore, filosofo-poeta allievo di Giorgio Colli, e fondatore del Teatro Iniziatico a Lerici. Mentre gli attori ‘agiscono’, propriamente i drontes non agiscono; sono piuttosto coloro che ‘accadono’, gli ‘accadenti’. Essi si trovano in un certo stato, in una sorta di trance apollodionisiaca.2 A questo proposito si può ricordare anche il taoismo con il concetto di wei wu wei (‘azione senza azione’).
Mary Hovhannisyan – Nell’annuncio dell’evento scrivete che “la poesia è figlia della liturgia”. E parlate inoltre di “ascolto totale” e di “visione a 360 gradi”. Si potrebbe avere qualche delucidazione?
Leopoldo Siano – Le formule liturgiche sono le prime manifestazioni poetiche. Il gesto liturgico è in sé stesso poetico. Si pensi all’India vedica… La poesia nasce dall’ebbrezza della dimensione rituale. È la parola che sgorga dal silenzio e che fa vibrare lo spazio – che crea forma. Nella liturgia v’è una tensione tra la forma che si esprime e l’indistinto da cui essa sorge. La poesia non va solo letta, ma soprattutto ascoltata. La parola come entità. Ma non c’è solo una poesia fatta di parole. Poesia (Dichtung) è intensificazione (Verdichtung) dell’esperienza. Si può fare poesia con forme, oggetti, suoni, sostanze, azioni. “La poesia è azione”, disse Marinetti. Si pensi pure all’atto poetico o psicomagico di cui parla Alejandro Jodorowsky… E non si ascolta soltanto con le orecchie. L’ascolto è un’attitudine dello spirito. Uno stato di consapevolezza continua. L’arte dell’ascolto presuppone un’arte ancora più ardua: quella dell’attenzione. E alla fin fine si ascolta anche con la pelle, con la pancia, con i piedi, con la lingua… I performers dovevano cercare di rimanere in una attitudine continua di ascolto totale – ascoltando con tutto il corpo – e di visione sferica: guardare non solo in avanti, bensì cercare di percepire lo spazio come se si avessero occhi pure ai lati e sulla parte posteriore della testa. Percepire la sfericità dello spazio. Una frase chiave del testo del Parsifal è “Zum Raum wird hier die Zeit”. Dunque il tempo si trasforma in spazio; non si è più in questa divisione tra passato, presente e futuro. La visione a 360 gradi, sempre come spiega Tonelli, è uno sguardo privo di direzionalità. Si osservi l’iconografia delle divinità egiziane o le kórai della Grecia arcaica o ancora l’Auriga di Delfi, e si capirà…
Mary Hovhannisyan – Cosa potete dire sull’eternità, sul concetto di eternità nel vostro evento?
Leopoldo Siano – Per parlare dell’eternità ci vuole un’eternità. Borges tentò di scriverne la storia… Che dire? È il tentativo di contemplare le cose nella loro primordiale bellezza, il fatto puro di esserci, l’esperienza del qui ed ora. Perché l’istante è l’unico luogo dove incontrare l’eternità. Quando Gurnemanz dice a Parsifal “Zum Raum wird hier die Zeit” (“Qui il tempo diventa spazio”) tocchiamo il cuore del processo di conoscenza rappresentato nell’ultimo dramma wagneriano. Il tempo viene superato; esso non c’è più in quanto tale perché diventa spazio, è un ‘tempo spazializzato’. Avendo riconosciuto l’illusorietà del tempo, ciò che resta è soltanto lo spazio infinito, in cui non v’è né sopra né sotto, né destra né manca. È l’apeiron di Anassimandro ad essere evocato, l’Illimitato da cui tutto sorge e a cui tutto ritorna dissolvendosi in esso.
Mary Hovhannisyan – Qualcosa sui performers?
Leopoldo Siano – A parte qualche figura ‘ausiliaria’ all’azione (io e Shushan Hyusnunts compresi), i performers principali erano quattro: due donne e due uomini. Quest’ultimi (che fisiognomicamente potrebbero ricordare gli apostoli di Gesù…) per motivi personali non hanno voluto rendere pubblica la loro identità. Le due performers femminili sono state Hasmik Tangyan e Mary Bayatyan, già piuttosto note nella scena armena della danza e della performance art, esibendosi tra l’altro come soliste anche al famoso ARé Festival. Con Hasmik abbiamo già collaborato varie volte, nel marzo 2022 per lo Happening skrjabiniano3 e poi in occasione dello scorso solstizio d’inverno ne Il giuoco delle perle di vetro4. Ora siamo esattamente un anno dopo lo Happening per Alexander Skrjabin, di nuovo all’equinozio di primavera. “Tutto va, tutto torna indietro; eternamente gira la ruota dell’essere. Tutto muore, tutto torna a fiorire […]” (Friedrich Nietzsche). L’intesa con Hasmik è perfetta, lo è stata dal primissimo momento. Non v’è bisogno di spiegarle molto, ella – con la sua intuizione e sensibilità, oltre alla sua cultura – intende al volo le nostre intenzioni poetiche, ed è di una creatività debordante quanto delicata. È la prima volta che lavoriamo con Mary Bayatyan, ma la sua presenza durante questa performance è stata di un’intensità inaudita: pura e tragica.
Quando ci è venuta l’idea di questo evento, si è pensato quasi subito proprio a questi quattro performers. Senza di loro, senza queste quattro individualità, questo evento non sarebbe stato possibile – perché ci troviamo sulla stessa lunghezza d’onda…
Maryam Hakobyan – Il titolo dell’evento è alquanto enigmatico: Parziwal + ~ ~ ~ H.N. Puoi rivelarci qualcosa?
Leopoldo Siano – H. e N. sono chiaramente le iniziali di Hermann Nitsch, a cui l’evento è dedicato in memoria. Se si conosce il lavoro di Joseph Beuys, anche il resto risulterà meno oscuro. All’inizio degli anni Settanta vi fu una sua azione intitolata Celtic + ~ ~ ~, che prevedeva tra le altre cose una lavanda rituale dei piedi… Tracce della cultura celtica si trovano non di rado nell’opera di Beuys. Egli ne subì sempre il fascino per il retroterra animistico e misterico. E la saga del Graal nasce appunto da questa intersecazione fra la tradizione celtica e cristiana.
Beuys fu molto interessato a Wagner, avrebbe addirittura desiderato mettere in scena il Parsifal. Vi sono degli schizzi, delle idee su una possibile mise en scène. Beuys si figurava il Bühnenweihfestspiel di Wagner con i cantanti posizionati in platea, in mezzo al pubblico. E su una scena vuota e grigia egli stesso avrebbe agito con la lancia, simbolo dell’‘Ordine del Mondo’: l’axis mundi. La lancia è pure simbolo dei contratti umani (tra uomini e dèi, tra uomini e uomini), è bastone pastorale, di colui che conduce e redime. Lo Eurasienstab, il bastone euroasiatico, è non solo un simbolo di mediazione tra Occidente e Oriente (intesi come principi spirituali), bensì di un processo trasformativo, della transubstanziazione: è un rito di passaggio, un’auto-iniziazione. Tutte le azioni di Beuys con bastoni o aste sono un’allusione alla lancia di Amfortas recuperata da Parsifal dopo aver sconfitto Klingsor.
In un’azione del 1972, Vitex agnus castus, che ebbe luogo nella Galleria di Lucio Amelio a Napoli, Beuys agì come un novello Parsifal. Il titolo dell’azione si rifà al nome di un’erba che simboleggia l’Albero dell’Innocenza. Grazie ad una pianta miracolosa Parsifal (ri-)trova la Via – per raggiungere il Tempio del Graal. Nell’arco di quattro ore (la durata dell’azione) Beuys, prono, disteso a terra, con una frasca dell’agnocasto sulla nuca, strofina con dita oleate dei blocchi di rame, indefessamente, alternando movimenti lenti e veloci, producendo così calore. Nei momenti di parossismo l’intero suo corpo è preso da un tremore (sciamanico). Sulla schiena ha un nastro blu cobalto di gros grain, sul quale si legge la scritta color zolfo ‘vitex agnus castus’ (che è il nome latino dell’agnocasto o ‘falso pepe’; frutti e semi di questa pianta vengono utilizzati ancora oggi nella medicina naturale). Per Beuys la produzione di calore attraverso lo sfregamento (erotico) è da considerare come un’azione redentrice. Il nastro blu cobalto sulla sua schiena rimanda al principio maschile, mentre il rame è principio femminile. Esplicito il riferimento alchemico. Beuys come redentore-catalizzatore nel corso dell’azione tenta di instaurare un’armonia tra i due principi opposti.
Anche il rapporto tra oro (danaro) e amore, di cui Wagner si occupò, non poté lasciare indifferente Beuys, il quale varie volte lavorò con quel prezioso materiale che è l’oro; ad esempio nel 1982 fondendo la corona dello zar di Russia Ivan il Terribile (o meglio: una copia esatta di essa) per trasformarla in una piccola lepre, simbolo pasquale di rinascita e redenzione. Beuys come Wagner credeva che le religioni tradizionali avessero esaurito la loro funzione storica. Credeva essere maturo il tempo per un nuovo Parsifal, per una Kunstreligion, la religione dell’arte, al di là di ogni dogma.
Mariam Hakobyan – Questa performance è stata in memoriam Hermann Nitsch. Perché?
Leopoldo Siano – Noi abbiamo avuto la fortuna di incontrare tanti grandi maestri e uomini straordinari sulla nostra strada, ma Nitsch è stato senza dubbio l’incontro d’impatto più forte e fatidico. È stato il nostro più importante maestro di vita. È quasi un anno che è scomparso. Morì il 18 aprile 2022, in primavera, la sua stagione preferita. E questo nostro Parziwal + ~ ~ ~ H.N. è appunto concepito come ‘mistero di primavera’. La fine dell’inverno è dolorosa e incantata. Ogni anno si ripete il miracolo di questa rinascita della natura; non si può non essere toccati ogni volta che si rivedono rifiorire gli alberi, come quando si vede sorgere il sole al mattino… Il Parsifal stesso ha che fare con la primavera, con il Venerdì Santo (‘Karfreitagszauber’), con la festa della resurrezione. È al mattino di un Venerdì Santo che Wagner ebbe quell’esperienza mistica della natura che gli diede il primissimo impulso a scrivere il Parsifal. La nostra performance è stata una sorta di ‘rite de passage’, dall’inverno alla primavera, ma pure in altro senso… Comunque abbiamo scelto la musica del Parsifal non da ultimo perché si tratta di un’opera che Nitsch amava tanto e che avrebbe voluto mettere in scena.
Nitsch è stato prepotentemente ispirato da Richard Wagner, sin dalla sua gioventù. I suoi testi su Wagner sono illuminanti. Ma proprio per la dimensione liturgica e il carattere sincretistico, per la ‘mistica del sangue’, della ‘ferita’, Parsifal gli stava particolarmente a cuore. Per l’inizio degli anni 2000 Nitsch ricevette da Ioan Holender, allora sovraintendente dell’Opera di Vienna, la commissione di mettere in scena il Parsifal di Wagner. Però in seguito, per oscure vicende politiche, l’incarico gli fu revocato. Nitsch, assai offeso, decise dunque di dedicare una propria azione di due giorni alla simbologia del Parsifal, nel suo Castello di Prinzendorf.
Io nel 2018, a Innsbruck, tenni una conferenza su Nitsch e Wagner nell’ambito di un convegno internazionale delle Associazioni Wagner. E in quell’occasione affermai che era ora che Nitsch mettesse in scena il Parsifal – e a Bayreuth. Come già nelle mie ‘lezioni napoletane’ su Nitsch5, perorai questa causa. Molti protestarono, il pubblico si divise in due e quasi vennero alle mani. Ma ad un certo punto una signora si alzò e prese la parola: Eva Wagner-Pasquier, la pronipote di Richard, in passato attiva nella direzione dei Festspiele a Bayreuth. Ebbene, la signora Wagner prese le mie difese, dicendo di conoscere Nitsch di persona, di stimare la sua arte e la sua ispirazione wagneriana. Un anno e mezzo dopo Nitsch ricevette l’invito da Bayreuth a realizzare sul palcoscenico del Festspielhaus un’azione pittorica a ‘commento’ della Valchiria eseguita in forma oratoriale. Cosa che Nitsch fece nel 2021, realizzando qualcosa di sublime: di monumentale e fragile al contempo. Fu la sua ultima grande apparizione pubblica.6 Il coronamento di un antico sogno… Quell’estate del 2021 Nitsch investì tutte le sue forze, alla fine era esausto. Qualche mese dopo è morto, nell’eco wagneriana. Eppure il Parsifal rimaneva non fatto. Dunque con questo evento a Yerevan abbiamo tentato in un certo modo di esaudire un suo desiderio, con una performance parsifaliana in sua memoria, nel suo spirito, attraverso il filtro del theatrum phonosophicum. Di certo non emulando un’azione di Nitsch, cosa che sarebbe ridicola, ma facendo soltanto alcune allusioni più o meno dirette. È stata un’esperienza intensa per noi tutti. È difficile spiegarlo a parole. Bisogna essere stati lì. Un evento sostanzialmente irripetibile (e difficilmente documentabile con foto e video). Proprio nello spirito dell’azionismo. Avremo bisogno di mesi o forse di anni per elaborare ciò che si è esperito in quell’arco di tempo fuori dal tempo. Al termine delle quattro ore i tavoli della performance sono stati trasportati al centro del Ground Floor e apparecchiati in maniera sontuosamente frugale con pane e vino e altri cibi semplici. È cominciata dunque una grande cena con tutti i nostri amici.
Mariam Hakobyan – In che modo questo finale con l‘Ultima Cena’ ha a che fare con il resto della performance?
Leopoldo Siano – Il mangiare e il bere hanno immediatamente a che fare con la tematica del Parsifal, con il sacramento dell’eucaristia e il mistero della transustanziazione. Il mangiare viene inteso come atto sacro compiuto in piena consapevolezza. Insieme al respirare, è l’atto quotidiano che ci consente di rimanere in vita in virtù dello scambio tra esterno ed interno. Mangiando e bevendo si trasformano sostanze, che si assorbono materialmente rilasciando energie spirituali.
Mariam Hakobyan – In questo evento da una parte v’erano motivi religiosi, dall’altra l’uso di sostanze, di cibi, con cui i performers hanno interagito in maniera assai fisica e sensuale. In che relazione stanno il materiale e lo spirituale o immateriale?
Leopoldo Siano – Nella tradizione alchemica il fine è di spiritualizzare la materia e materializzare lo spirito. D’altronde anche la fisica moderna ha messo in questione la materialità della materia…
Mariam Hakobyan – I performers camminano scalzi su un sentiero immacolato, che a poco a poco viene cosparso di liquidi e altri elementi quali rose e interiora d’animali. I loro piedi si sono sporcati, e verso la fine avete lavato loro i piedi. Questa lavanda stava a significare una purificazione dai peccati accumulati durante il cammino della vita?
Leopoldo Siano – Sono tutte interpretazioni possibili. Ma le simbologie non sono sempre intenzionali.
Mariam Hakobyan – In un’intervista Nitsch ha detto di rifiutare il simbolismo e che nella sua arte gli oggetti non rappresentano nient’altro che loro stessi. Voi condividete questo sentimento? Nella vostra performance avete utilizzato gli oggetti in maniera simbolica?
Leopoldo Siano – Nel buddhismo zen si dice che le cose sono come sono. Questo è importante da tenere a mente. Nitsch è stato assai affascinato dallo zen. Questa sua affermazione, nella sua paradossalità, bisogna intenderla come una sorta di koan. Ad un certo punto si è stanchi di dare troppe spiegazioni. L’arte vive della sua ambiguità.
Mary Hovhannisyan – Cercavate anche voi il Graal con questa performance?
Leopoldo Siano – Bisogna cercarlo di continuo. Il Graal è la promessa del Gesamtkunstwerk e della realizzazione del Sé alla fine del processo d’individuazione. Il Graal è ciò che intensifica il sentimento dell’esserci, l’esperienza sacra dello hic et nunc.
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Immagine di copertina
Paul von Joukowsky, schizzo per la scenografia del primo atto del Parsifal a Bayreuth (1881-1882), ispirata dal Duomo di Siena
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Note
1. https://babajanyanhall.org/en/event/ainara-lopez-theatrum-phonosophicum/
https://www.facebook.com/media/set/?set=a.7963917216967579&type=3
https://www.youtube.com/watch?v=OEWYiyKpuBk
2. Cfr. Angelo Tonelli e Ugo Ugolini, Per un teatro iniziatico, Edizioni Arthena: Lerici 2005, p. 13-15
3. https://finnegans.it/un-happening-per-alexander-scriabin-esperienze-multisensoriali-visioni-del- esamtkunstwerk-intervista-a-leopoldo-siano-di-kali-narayan/
4. https://finnegans.it/venti-di-pace-corrispondenze-dallarmenia-il-giuoco-delle-perle-di-vetro-intervista-a-leopoldo-siano-di-haykuhi-harutyunian/
5. Leopoldo Siano, Tra rumore primigenio e armonia delle sfere. La musica di Hermann Nitsch (Lezioni napoletane), Edizioni Morra. Napoli 2018
6. Si può consigliare di visitare l’attuale allestimento al Museo Nitsch di Napoli con i lavori pittorici realizzati a Bayreuth: https://www.museonitsch.org/it/allestimenti/2022-2024-bayreuth-walkure-e-158-aktion/
E qui un’intervista a Nitsch su Richard Wagner (in tre parti, con sottotitoli in inglese): https://www.youtube.com/watch?v=SVPaFuRSxJg
https://www.youtube.com/watch?v=FhlSRZWNclc
https://www.youtube.com/watch?v=VR0bMozxH7I
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Mary Hovhannisyan è giornalista e specialista di pubbliche relazioni. Vive a Yerevan e scrive per la rivista Cultural.am.
Mariam Hakobyan, nata il 14 luglio 2003, amante dell’arte e sperimentatrice. Attualmente studia ingegneria all’American University of Armenia, al contempo sperimentando nel campo della cinematografia. Dal dicembre 2022 è assistente del “theatrum phonosophicum”.
* La foto di Leopoldo Siano è di © Lia Petrosyan
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