RIVISTA DI CULTURA MEDITERRANEA

Parole calcinate. Poeti civili dell’America latina, di Stefano Strazzabosco (seconda parte)

in memoriam Pepe Mujica (Montevideo 1935-2024)

Pepe Mujica, da ‘La Rivoluzione perduta dei poeti’ (Facebook)

6. E oggi? Non sappiamo granché dei poeti perseguitati e messi a tacere in Paesi come Cuba, Nicaragua, El Salvador, Venezuela; ed è difficile tracciare una mappa aggiornata di ciò che sta succedendo nel resto dell’America Latina. In Messico, il Paese che conosco meglio, uno Stato in cui fino al 2000 c’è stata una dictablanda (non -dura) – vale a dire un regime che ha preferito non reprimere nel sangue le voci antagoniste, ma se possibile associarle in qualche modo ai meccanismi del potere, di fatto censurandole, ma dolcemente – la poesia di resistenza, o meglio di reazione alla violenza, si è espressa nel tempo attraverso le voci dei tanti esuli che qui hanno trovato casa, in modo esemplare dopo la Guerra Civile spagnola (si pensi a Luis Cernuda, Max Aub, León Felipe, Pedro Garfias, Enrique Diez-Canedo, Manuel Altolaguirre e – in ambito figurativo – a Tina Modotti, Remedios Varo, Leonora Carrington, Vlady – il figlio di Victor Serge, a sua volta rifugiato in Messico); e anche dopo, per esempio con la poetessa, insegnante e scrittrice femminista Alaíde Foppa (Barcelona, 1914 – Ciudad de Guatemala, 1980), il narratore Augusto Monterroso e il poeta Carlos Illescas, guatemaltechi entrambi; con le proteste per la strage di Tlatelolco, nel 19681; e col sostegno di tanti poeti e intellettuali di tutto il mondo alla causa zapatista del Subcomandante Marcos e dei popoli ciapanechi di lingua e cultura maya, dal 1994 in poi2. Ma in anni più recenti, in questo Paese e altrove, varie voci si sono alzate per protestare contro altri tipi di violenza: ad esempio, quella contro i popoli originari, minacciati fisicamente e nelle loro lingue e culture (Irma Pineda); contro le donne e le/gli attiviste/i ambientali (Francesca Gargallo; Susana Chávez Castillo)3; contro i cartelli dei narcos che – oltre agli altri nefandissimi crimini – rubano l’infanzia ai bambini, specie lungo la frontiera con gli Stati Uniti (Agustín Jiménez); e contro il massacro tuttora impunito degli studenti di Ayotzinapa, nello Stato messicano di Guerrero (David Huerta).

Irma Pineda

7. Irma Pineda (Juchitán de Zaragoza, 1974) scrive in una lingua originaria: non lo spagnolo, dunque, ma il diidxazá, lo zapoteco che si parla nell’Istmo di Tehuantepec e in buona parte dello Stato messicano di Oaxaca. Qui gli Zapotechi hanno lasciato imponenti resti di costruzioni, tecniche, reperti, conoscenze. Il centro politico, amministrativo e cerimoniale di Monte Albán, ad esempio, ha dominato questa zona grossomodo dal V secolo a. C. all’VIII d. C., ed è attualmente uno dei più importanti siti archeologici di tutta l’America latina. Oggi gli Zapotechi stanziati nel sud-est del Messico sono circa 800.000 (molti altri hanno dovuto emigrare). Le loro comunità sono minacciate dall’omologazione, corrose all’interno dal sincretismo, e in certi casi attaccate dai paramilitari o dall’Esercito, specie nei punti più marginali e deboli: gli stessi da cui provengono, appunto, anche i soldati di cui scrive la Pineda.

La pace è sempre stata una sorella
finché la cattiveria
non ha squassato il ventre della terra
perché voleva qualcosa di più
Non le bastava la nostra presenza silenziosa in un angolo
non si accontentava del nostro muto dolore
Mille demoni acquattati
hanno tirato su i loro corpi appesantiti
per cancellare la memoria
e scrivere poi
che sulla terra noi non siamo mai esistiti
Salvati finché puoi madre
che la memoria quando duole uccide
Fuggi lontano senza altro peso
che il tenero sguardo dei tuoi uomini
sepolti sotto il guanacaste4
E quando arrivi costruisci un altare
in cui pregare per i tuoi morti nella distanza
poi avrai tempo di raccogliere i tuoi passi
di ricordarli con ululati
che spaventeranno i coyote sotto la luna piena
Ma adesso vattene
che gli uomini verdi ti stanno cercando
Guarda bene, uomo mascherato da serpente
Guarda bene, soldato
conserva nella memoria le fotografie che non hai fatto
dei corpi stesi al sole
come manzi buttati sui sentieri
Sono i nostri padri
quelli che un giorno si alzeranno
dai morti
e torneranno da te
per reclamarti le braccia mutilate
le gole lacerate
le costole rotte
i cervelli spappolati
e la terra irrigata coi sogni che sognavano5
Francesca Gargallo

8. Scrittrice, camminante, madre di Helena, partecipe di reti di amiche e di amici, Francesca Gargallo (Francesca Isabella Gargallo di Castel Lentini Celentani; Siracusa, 1956 – Città del Messico, 2022) è stata una femminista autonoma che a partire dall’incontro con altre donne in dialogo ha cercato di promuovere azioni per la buona vita delle donne in diversi luoghi del mondo. Laureata in Filosofia presso l’Università “La Sapienza” di Roma, professoressa e dottoressa di ricerca in Studi Latinoamericani presso la Universidad Nacional Autónoma de México, si è occupata di storia delle idee femministe per capire quali siano gli elementi propri di ogni cultura nel processo di costruzione del femminismo, inteso come azione politica “fra donne”. Residente in Messico dal 1979, ha adottato lo spagnolo e pubblicato romanzi come Estar en el mundo (1994; traduzione tedesca Schwestern, 1996 e 1998), Marcha seca (1999), Al paso de los días (2013); racconti (Verano con lluvia, 2003); i volumi di saggi Tan derechas y tan humanas. Manual ético de derechos humanos de las mujeres (2000), Ideas feministas latinoamericanas (2004 e 2006), Saharauis: la sonrisa del sol (2006), Garífuna, garínagu, caribe. Historia de una nación libertaria (2012), Feminismos desde Abya Yala. Ideas y proposiciones de las mujeres de 607 pueblos en nuestra América (2014); raccolte poetiche come Se prepara a la lluvia la tarde (2010) e Se posso partecipo (traduzione di V. Manca, introduzione di M. Martínez Pérsico, Aracne, Roma 2020); libri per bambini come Los amigos de la coyota risueña y loca / Tu’kue bene nha bayix nna bekw’ya nholh xhill’lhall (edizione bilingue spagnolo-zapoteco, illustrazioni di Guillermo Scully, 1996). Il giorno prima che Francesca morisse, a Roma è stato presentato il suo libro La strada è di chi la cammina (Kairos, Roma 2022). Innamorata delle arti plastiche, ha scritto soprattutto su artiste latinoamericane, cercando sempre punti di vista non misogini sulla realtà. Quasi tutte le sue opere si possono leggere e scaricare gratuitamente nel suo blog (https://francescagargallo.wordpress.com).

La strada è di chi la cammina
Sono nata viandante
        ombra di un treno sulle more e i rovi
                scia di una nave.
Mi vive ciò che ancora non conosco e che ho percorso
        l’aria briosa delle Ande
                il mare dei Caraibi
                        la notte in una città d’inverno.
Allora prendo la mano che tinge le strade,
le ordino una scritta che si veda da molto lontano:
La strada è di chi la cammina,
                                ogni frontiera è un’assassina.
Risparmio un peso dopo l’altro e una prima mattina
giro la maniglia, chiudo piano la porta
e me ne vado col tempo del passo
sul suolo che è di tutte.
Bosnia, Congo, Ciudad Juárez 
La morte è una scarpa vuota
nel deserto indifferente
siccità di sogni
una madre che grida.
La volenza è il grido
il dovere del grido
la ragnatela di menzogne che soffoca il grido.
È la trappola in cui cade
la donna che perde la sua scarpa
lavora dodici ore senza affetto
e non può abortire nonostante l’eclampsia
                                lo stupro
                                        l’abbandono
                        la fame stessa.
Una scarpa senza donna è il testimone
un pezzo di calza
        i capelli neri sparsi nel deserto che piange
che geme contro la morte.
La madre raccoglie la scarpa
la strappa dalla mano di un poliziotto indifferente
la legge.
Solleva il volto
vede sua sorella.
La guarda, si guardano, sognano piantando i piedi nella terra.
Sette e mezzo del mattino: hanno
assassinato un’altra donna a Oaxaca
zittito la sua voce con ottantotto colpi
brutali come il furto e la censura.

Nove e un quarto: esplode un’auto a Baghdad
nel mercato in cui gli uomini comprano quello che non c’è
e i bambini corrono
centinaia di morti, poi la calma.

Le dieci e mezzo sono l’ora in cui escono i caporali a licenziare
operai nelle strade di Coatzacoalcos
il petrolio ha bisogno di macchine senza diritti.

Le undici e la borsa di valori cade

tutto questo mentre la tua lontananza sa di
silenzio
niente
limone su una ferita.6
Agustín Jiménez

9. Agustín Jiménez (Ciudad de México, 1955) è poeta e saggista, e da molti anni un libraio di riferimento per i tanti lettori di Città del Messico: la sua libreria, La Torre de Lullio, è un punto di incontro e di scambio culturale tra pittori, poeti, intellettuali e semplici curiosi. Qualche anno fa, dopo aver allestito una ricca antologia di haiku, ha sconvolto le regole del genere pubblicando Los malandrines (2022), un insieme di componimenti che tecnicamente sono haiku, ma dal punto di vista del contenuto fanno esplodere da dentro ogni convenzione letteraria, trattando non di paesaggi idilliaci ma del degrado umano provocato dalle bande dei narcotrafficanti, e in particolarmente del furto dell’infanzia a tanti bambini e adolescenti lungo la frontiera tra Stati Uniti e Messico:

Haiku 39
Qui a Tijuana
quest’arido deserto
brucia l’infanzia7
David Huerta

10. David Huerta (Ciudad de México, 1949-2022) è stato un poeta, saggista, traduttore e docente messicano. Figlio di Efraín, poeta anche lui, ha esordito nel 1972 con la raccolta El jardín de la luz e ha poi pubblicato numerosi altri libri di poesia, tra i quali Cuaderno de noviembre (1976), Incurable (1987), El azul en la flama (2002), El cristal en la playa (2019). Ha ricevuto premi importanti come il Carlos Pellicer (1990), il Xavier Villaurutia (2006), il Premio Nazionale di Scienze e Arti (2015) e il Premio FIL di Letteratura in Lingue Romanze (2019). Come accademico ed esperto di poesia ispanica è stato invitato dalle università di Princeton, Harvard, Oxford e Cambridge. Nel 2014, su invito dell’artista Francisco Toledo, ha scritto questa poesia sui 43 studenti spariti nel nulla ad Ayotzinapa: uno dei casi più emblematici della violenza di questi ultimi tempi, anche se certo non il più grave, né l’unico:

Ayotzinapa
Mordiamo l’ombra
E nell’ombra
Appaiono i morti
Come luci e frutti
Come coppe di sangue
Come pietre d’abisso
Come rami e fronde
Di dolci viscere

I morti hanno mani
Essudate d’angoscia
E i gesti piegati
Nel sudario del vento
I morti hanno in loro
Un dolore insaziabile

Questo è il Paese delle fosse
Signore e signori
Questo è il Paese degli ululati
Questo è il Paese dei bambini in fiamme
Questo è il Paese delle donne martirizzate
Questo è il Paese che esisteva appena, ieri
E adesso non si sa dove cercarlo

Ci perdiamo in boccate
Di maledetto zolfo
E in falò che devastano
Abbiamo gli occhi aperti
E negli occhi le lame
Di cristalli appuntiti

Cerchiamo di dare
Le nostre mani vive
Ai morti e agli spariti
Ma loro se ne vanno e ci abbandonano
Con gesti d’infinita lontananza

Il pane si brucia
I volti si bruciano strappati
Dalla vita e non ci sono più mani
Né volti
Né Paese

C’è soltanto un vibrare
Ingrossato di lacrime
Un lungo grido
In cui siamo confusi
Noi vivi con i morti

Chi legga questo sappia
Che fu lanciato al mare di fumo
Delle città
Come un segnale dello spirito rotto

Chi legga questo sappia anche
Che nonostante tutto
I morti non sono andati via
Che non sono spariti

Che la magia dei morti
È nell’alba e il cucchiaio
Nei piedi e nei campi di mais
Nei disegni e nel fiume

Diamo a questa magia
L’argento temperato
Della brezza

Riconsegniamo ai morti
Ai nostri morti giovani
Il pane del cielo
La spiga delle acque
Lo splendore di tutte le tristezze
Il biancore della nostra condanna
L’oblio del mondo
E la memoria che si spezza
Di tutti noi i vivi

Adesso è meglio stare zitti
Fratelli
E aprire mani e mente
Per poter raccogliere dal suolo maledetto
I cuori fatti a pezzi
Di tutti quelli che sono
E di tutti
Quelli che sono stati

2 novembre 2014, Oaxaca8

11. Parole calcinate, queste, dunque: parole di mondi poetici “in cui crepitano ancora le ceneri di quello che non si è potuto nominare”, ma nemmeno tacere.

Che la memoria possa servire a riparare i torti; che possa funzionare come un balsamo a lenire le ferite più profonde, è tutto da dimostrare. Anche i sopravvissuti dei campi di sterminio nazisti si dicevano che “la vendetta è il racconto”; anche loro hanno usato le parole per cercare di sopravvivere, sia durante la concentrazione, sia dopo, quelli che ne sono usciti. Tonino Guerra, nel suo campo di prigionia a Troisdorf, in Germania, recitava a memoria Dante ai suoi compagni, restituendo loro identità e speranza. Ma ricorrere alla memoria mentre è in corso un attacco, o addirittura un lento genocidio, non può certo bastare. Occorrerebbe, anche, fermarlo; denunciare i colpevoli; portarli in tribunale; condannarli. È tutto questo che oggi manca, in Messico come altrove; ed è anche per questo che le parole dei poeti sono tanto più care e preziose, e sempre più calcinate.9

Stefano Strazzabosco, poeta e traduttore


Immagine di copertina: Veduta panoramica dalla casa di Pablo Neruda a Isla Negra, Cile (Wikimedia Commons)


Note

  1. La strage della Piazza di Tlatelolco del 2 ottobre 1968, avvenuta per ordine del Ministro degli Interni messicano Luís Echeverría e del Presidente Gustavo Díaz Ordaz (con il sostegno della CIA), e costata la vita a centinaia di studenti e cittadini inermi, produsse un’ondata di indignazione che si espresse anche in molti testi letterari: per esempio di Octavio Paz, Elena Poniatowska, Fernando Del Paso, Carlos Monsivaís, José Revueltas, José Emilio Pacheco, Jaime Sabines, Rosario Castellanos, Juan Bañuelos e Oriana Fallaci, che venne anche ferita (cfr. Niente e così sia, 1969). Molto utili per capire il contesto di quegli anni sono per esempio: Ó. Collazos, J. Cortázar, M. Vargas Llosa, Literatura en la revolución y revolución en la literatura, Siglo XXI Editores, México España Argentina Colombia 1970 e H. Castellanos Moya, Breves palabras impúdicas. Un ensayo y cuatro conferencias, Colección Revuelta, San Salvador 2010.
    ↩︎
  2. La mobilitazione internazionale a sostegno della causa zapatista, soprattutto negli anni ’90, ha coinvolto anche molti scrittori e poeti come José Saramago, il nostro Dario Fo, José Emilio Pacheco, Manuel Vázquez Montalbán, etc. – cfr., per esempio, Las voces del espejo. Cuentos, poemas, dibujos del zapatismo, para construir futuro, Publicaciones Espejo, México 1998. ↩︎
  3. Di Susana Chávez Castillo (Ciudad Juárez, 1974 –2011) è uscita da poco l’antologia Prima tempesta. Non una donna di meno, non una morta di più, a cura di C. De Gregorio, Sur, Roma 2024. Della violenza in Messico, e più in generale in America Latina, si sono occupati in modo più cospicuo molti narratori, tra cui, per esempio, Cristina Rivera Garza, Yuri Herrera, Laura Baeza, Ave Barrera, Fernanda Melchor, Liliana Blum, Antonio Ortuño, Daniel Krauze, Brenda Navarro (Messico), Laura Ortiz, Leonardo Gil, Laura Acero (Colombia), etc.- parecchi sono stati tradotti anche in italiano. ↩︎
  4. guanacaste: albero sempreverde diffuso dal Messico al Venezuela, di grandi dimensioni e dalla chioma arrotondata. Può superare il metro di diametro e raggiungere i 60 anni d’età. ↩︎
  5. Cfr. I. Pineda, Guie’ ni / La flor que se llevó,  Fotografías de Frida Hartz, pluralia, México 2013, pp. 30, 24, 55. ↩︎
  6. cfr. F. Gargallo, Se prepara a la lluvia la tarde, Ediciones Corcon, México 2011, pp. 13, 22 e 80. ↩︎
  7. cfr. A. Jiménez, Los malandrines (Haikús), Prólogo de S. Strazzabosco, Ilustraciones de S. Jiménez, La Torre de Lullio, México 2022, p. 39 (Aquí en Tijuana / el áspero desierto / quema mi infancia). ↩︎
  8. cfr. D. Huerta, Ayotzinapa, in “Ibero. Revista de la Universidad Iberoamericana”, diciembre de 2022 – enero de 2023, pp. 68-9. ↩︎
  9. Questo scritto è stato letto solo parzialmente venerdì 28 marzo 2025 alle Gallerie d’Italia di Vicenza, in occasione del convegno dei “Classici contro” Demos. Il popolo che resiste (Vicenza, 28-29 marzo 2025; a cura di A. Camerotto e F. Pontani). ↩︎

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