RIVISTA DI CULTURA MEDITERRANEA

Parole calcinate. Poeti civili dell’America latina, di Stefano Strazzabosco (prima parte)

in memoriam Pepe Mujica (Montevideo 1935-2024)

Pepe Mujica, da ‘La Rivoluzione perduta dei poeti’ (Facebook)

1. “La poesia è un albero senza foglie che fa ombra”, ha scritto il poeta argentino Juan Gelman. E ancora: “la poesia è parola calcinata in cui crepitano ancora le ceneri di quello che non si è potuto nominare. Dopo tanti milioni di parole, la parola continua a essere tempo che nasce e denasce per nascere di nuovo […]”1. Parlare della poesia di lotta e di resistenza in America Latina, dagli anni ’70 in poi, grossomodo, significa appunto narrare di alberi senza foglie che fanno ombra; di tempi che nascono, denascono, rinascono; di parole calcinate che conservano ancora le braci di qualcosa che non è nominabile, ma che possiamo cercare di raccontare, con un piede nella storia e l’altro, chissà, nel mito – o meglio, sospeso nel vuoto che sta sotto ai miti, e chiamiamo poesia.

Partiamo dallo stesso Gelman: nasce a Buenos Aires nel 1930 da genitori ucraini ebrei emigrati in Argentina. Pubblica il suo primo libro di poesie, Violín y otras cuestiones, nel 1956; l’ultimo, Amaramara, esce pochi mesi dopo la sua morte, nel 2014. Entrato a far parte dell’organizzazione guevarista dei Montoneros, nel 1974 viene in Europa per denunciare l’inizio della guerra sporca di Isabela Perón, ma il colpo di Stato del 1976 lo obbliga a vivere in esilio fino alla fine della dittatura (1983), mentre sul suo capo pesa la condanna a morte di Videla. Finché è all’estero, precisamente a Roma, suo figlio Marcelo e sua nuora Maria Claudia García Iruretagoyena, incinta di sette mesi, vengono sequestrati e uccisi. Prima di sparire per sempre, Maria Claudia dà alla luce una bambina che, com’era prassi, viene assegnata alla famiglia di un poliziotto. Gelman ha la certezza che suo figlio è morto solo nei primi anni ’80, e solo molto tempo dopo riesce a scoprire dove sono i suoi resti: si trovano in un bidone di metallo riempito di cemento e affondato in un fiume. Nel 1999, dopo lunghe ricerche, ritrova la nipote: sana, salva e ignara di quanto è successo ai suoi veri genitori, come in tutti questi casi. Ecco il tempo che nasce, denasce e rinasce; ecco l’innominabile – una sua piccola, prima porzione. 

Juan Gelman

Nella poesia di Gelman gli echi di questa storia famigliare sono innumerevoli, e affiorano in modo diretto o indiretto; ma il punto più alto della sua disperazione, e insieme della sua speranza sempre rinascente (“antica è la pietra su cui aspetta seduta la speranza”, ha scritto)2 e della brace/scintilla/ispirazione che informa la sua poesia, è la raccolta Dibaxu (1994), scritta in giudeo-spagnolo, la lingua degli esuli ebrei sefarditi, prossima a quella che si parlava in Castiglia nel XVI secolo, quando queste genti furono espulse e costrette a cercarsi altri luoghi in cui vivere. “Come se cercare il sostrato di quel castigliano, a sua volta sostrato del nostro, fosse stata la mia ossessione. Come se l’estrema solitudine dell’esilio mi avesse spinto a cercare radici nella lingua, le più profonde ed esiliate. […] La sintassi sefardita mi restituì un candore perduto, coi suoi diminutivi, una tenerezza d’altri tempi ancora viva e, per questo, piena di consolazione. Può darsi che questo libro sia solamente una riflessione sul linguaggio dal suo luogo più calcinato, la poesia”3

Perché calcinato? perché nella poesia restano vivi il ricordo e il miraggio del fuoco, l’innominabile che continua ad ardere quando il resto è già stato detto e consumato. “La poesia crea un vincolo così potente fra immaginazione ed esperienza che inventa un’altra memoria in cui il sogno della realtà si trasforma in sogno della scrittura. È memoria di ciò che non è ancora successo e forse l’espressione più ardente del desiderio. […] La parola poetica, come l’utopia, è l’incessante emulsione di due perdite, ciò che si è desiderato e ciò che si è ottenuto. Per lei, il Paradiso è sempre di là da venire e l’avventura che si propone di raggiungerlo non finisce mai […]”4.

2. Nota XII
i sogni rotti dalla realtà
i compagni rotti dalla realtà
i sogni dei compagni rotti
sono davvero rotti/perduti/niente?

marciscono sotto terra?/la loro rotta luce
disseminata a pezzetti sotto terra?/un giorno
i pezzetti torneranno a unirsi?
si farà festa quando i pezzetti si riuniranno?

e i pezzetti dei compagni/un giorno
si riuniranno?
camminano sotto terra per riunirsi un giorno
come dice manuel?/e si
riuniranno un giorno?
di quegli amati pezzetti è fatta la nostra
concreta solitudine/
abbiamo per/duto la dolcezza di paco/la tristezza di
haroldo/la lucidità di rodolfo/
il coraggio di tanti

ora sono pezzetti sparsi sotto tutto
il paese
foglioline cadute dal fervore/la speranza/la fede/
pezzetti che sono stati allegria/combattimento/
fiducia
in sogni/ sogni/ sogni/ sogni

e i pezzetti rotti del sogno/si riuniranno
un giorno?
si rijuaniranno un giorno/pezzetti?
stanno dicendo che li dobbiamo agganciare al tessuto
del sogno generale?
stanno dicendo che dobbiamo sognare meglio?5

Questa poesia di Gelman, letta nel 2002 come omaggio a Rodolfo Walsh, menziona altri due nomi: Francisco “Paco” Urondo e Haroldo Conti. Vale la pena raccontare brevemente chi erano.

Paco Urondo

Paco Urondo (Santa Fe, 1930 – Mendoza, 1976), poeta, scrittore, giornalista argentino, membro anche lui dei Montoneros. Nel 1968 viene nominato Direttore della cultura generale della Provincia di Santa Fe, e nel 1973 Direttore del dipartimento di Letteratura della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Buenos Aires. La sua fine è raccontata dal compagno e amico Rodolfo Walsh: «Trasferire Paco a Mendoza fu un errore. Cuyo [un sobborgo di Mendoza, ndr] era un bagno di sangue dal 1975, senza alcuna speranza di stabilizzazione. Paco non durò che poche settimane. Ebbe un presentimento di quel che sarebbe successo. Ci fu un incontro con un veicolo nemico, uno scambio di raffiche tra entrambe le auto affiancate. Dentro c’erano Paco, sua figlia Lucía e una compagna. Avevano una mitragliatrice, ma era nel portabagagli. Non poterono seminarli. Alla fine Paco frenò, cercò qualcosa nei suoi abiti e disse: “Spara tu” aggiungendo “io ho preso la pillola [di cianuro, ndr] e mi sento già male”. La compagna ricorda che Lucía disse: “Ma papà, perché l’hai fatto?” La compagna scappò tra le pallottole e arrivò a Buenos Aires giorni dopo. Paco fu colpito da due colpi di arma da fuoco alla testa, per quanto probabilmente fosse già morto». (Rodolfo Walsh, 29 dicembre 1976, riprodotto da El Porteño dell’aprile 1986)

Haroldo Conti

Haroldo Conti (Chacabuco, 1925 – 1976), scrittore e sceneggiatore argentino. Nel 1960 riceve il premio della rivista “Life” per il racconto La causa. Nel 1962 vince il premio Fabril con il suo primo romanzo, Sudeste, e diventa una delle figure di riferimento della cosiddetta «generación de Contorno». Pubblica poi i romanzi Alrededor de la jaula (Premio Universidad de Veracruz, Messico; da questo libro viene tratto il film Crecer de golpe, di Sergio Renán) ed En vida (Premio Barral, Spagna; della giuria facevano parte Mario Vargas Llosa e Gabriel García Márquez). Nel 1975 pubblica il romanzo Mascaró, el cazador americano, che vince il Premio Casa de las Américas (Cuba). Il 5 maggio 1976, dopo il golpe militare in Argentina, viene sequestrato. Da allora di lui non si sono avute più notizie.

Rodolfo Walsh

Rodolfo Jorge Walsh Gill (Lamarque, 1927 – Buenos Aires, 1977), giornalista e scrittore argentino, nato nel seno di una famiglia di origini irlandesi, ha scritto racconti polizieschi, arrivando a vincere il prestigioso Premio Municipal de Literatura de Buenos Aires con l’opera Diez cuentos policiales argentinos (1953), e altri magnifici libri come Los irlandeses (1965) ed Esa mujer (1967). Con Operación masacre (1957) ha inventato il cosiddetto “romanzo-verità” (o non-fiction; Truman Capote scrisse A sangue freddo nel 1966, nove anni dopo): si tratta della ricostruzione di un atto di barbarie commesso dalle forze armate che avevano rovesciato i peronisti e represso con esecuzioni sommarie i loro tentativi di resistenza; in questo caso, Walsh ricostruisce l’attacco di una pattuglia dell’esercito contro un gruppo di cittadini che stavano seguendo la radiocronaca di un incontro di boxe: i militari li portano via con la forza e li fucilano in un immondezzaio. Incredibilmente, nove di loro sopravvivono anche al colpo di grazia. Nel 1959, a Cuba, Walsh intercetta e decodifica un telex della CIA sull’imminente sbarco statunitense nella Baia dei Porci, permettendo così a Fidel Castro di contrastare l’invasione.

Qualche tempo prima, aveva fondato con Gabriel García Márquez l’agenzia di stampa Prensa latina, su indicazione del Che. Quando il peronismo viene dichiarato fuorilegge torna clandestinamente in Argentina, si unisce ai Montoneros come esperto di intelligence e perde la figlia maggiore in uno scontro a fuoco con gli sgherri dei generali. Nel marzo del 1977 scrive una lettera aperta al dittatore Videla e alla sua Giunta militare, denunciando l’uso sistematico delle sparizioni, la tortura, la sanguinosa repressione della dissidenza, i catastrofici piani economici, il ruolo della CIA nell’addestramento della polizia argentina. Viene catturato a Buenos Aires da uno squadrone della morte mentre diffonde la sua lettera, spedendone alcune copie per posta alle redazioni dei giornali argentini e ai corrispondenti stranieri. Il suo nome risulta nell’elenco dei desaparecidos, ma secondo la testimonianza di alcuni detenuti sopravvissuti alla ESMA (Escuela de Mecánica de la Armada: uno dei principali centri di tortura dell’esercito) sarebbe arrivato al campo di concentramento già morto, ed il suo cadavere sarebbe stato esposto dai militari come un trofeo. Nessuno, all’epoca, ha pubblicato il suo scritto: oggi è diventato un classico della letteratura, non solo in Argentina. I suoi aguzzini vengono processati e condannati solo nel 2005, con sentenze ratificate nel 2015: quarantotto anni dopo il suo assassinio. Negli altri casi, l’impunità dura fino a oggi.

Victor Jara

3. Qualche parola sul contesto. Siamo negli anni ’70. Già dalla decade precedente, ma in realtà anche da prima (il Paraguay del generale Stroessner, ad esempio, è una dittatura già dal 1954; il Nicaragua dal ’56), l’America Latina è un campo di battaglia tra movimenti civili, frange armate di sinistra (la rivoluzione cubana è del 1959, il Che è vivo e attivo fino al ‘67) e forze reazionarie di destra. Nel ’75 viene avviato il Piano Condor, un’alleanza segreta tra le dittature militari di quasi tutti i Paesi latinoamericani che gode del sostegno attivo degli Stati Uniti, principalmente attraverso la CIA e l’FBI. Il Piano prevede scambi di informazioni e l’uso sistematico della tortura, l’assassinio e la sparizione degli oppositori politici; di fatto, però, vengono rapiti, torturati, fatti sparire e uccisi studenti, giornalisti, intellettuali, professori universitari (soprattutto di facoltà umanistiche), sindacalisti, operai, madri e padri che cercano i propri figli scomparsi. Spesso, poi, le violenze non si limitano al singolo soggetto ritenuto sospetto o sovversivo, ma si estendono anche ai familiari, magari nell’indifferenza del resto della popolazione: perché questi regimi erano sì basati sul terrore, ma godevano anche di simpatie e complicità presso ampi strati della società civile, come è successo anche in Italia col Fascismo. Da qui la difficoltà di processare i responsabili dei crimini anche dopo la fine delle rispettive dittature. 

Pabro Neruda

Così, se gli assassini del poeta e cantautore Víctor Jara (San Ignacio, 1932 – Santiago de Chile, 1973) sono stati individuati e condannati, peraltro dopo molti anni di indagini e dispute giudiziarie, e senza che tutti i militari coinvolti nelle torture, raccapriccianti, venissero effettivamente consegnati alla giustizia, il grande poeta e premio Nobel Pablo Neruda (Parral, 1904 – Santiago de Chile, 1973) ha dovuto attendere fino al 2023 perché venisse provato e riconosciuto pubblicamente che era stato avvelenato, e non era morto per cause naturali; ma sia gli esecutori sia i mandanti del suo omicidio sono a tutt’oggi ignoti e impuniti.

Javier Heraud

Dieci anni prima, la stessa impunità aveva protetto gli assassini di un altro poeta, il peruviano Javier Heraud (Lima, 1942 – Puerto Maldonado, 1963), ucciso a 21 anni da una pattuglia dell’esercito mentre cercava di fuggire con un compagno in barca, sul fiume Madre de Dios: Heraud fu colpito da 19 pallottole dum dum, proibite dalla Convenzione di Ginevra fin dal 1929 perché squarciano in modo irreparabile le carni della vittima. Ecco, di nuovo, l’innominabile. Da Arte poetica, di Javier Heraud:

E la poesia è
un lampo meraviglioso,
una pioggia di parole silenziose,
un bosco di palpiti e speranze,
il canto dei popoli oppressi,
il nuovo canto dei popoli liberati.
E la poesia è allora
l’amore, la morte,
la redenzione dell’uomo.6
4. Americalatina
Il poeta faccia a faccia con la luna
fuma la sua margherita emozionante
beve la sua dose di parole altrui
vola coi suoi pennelli di rugiada
gratta il suo violinetto pederasta.

Fino a che sbatte il muso
contro il ruvido muro di una caserma.

La vicenda del poeta salvadoregno Roque Dalton (San Salvador, 1935 – Quetzaltepeque, 1975), l’autore di questi versi, è paradigmatica e solo apparentemente paradossale. Incarcerato nel 1960 e in procinto di essere condannato a morte, si salva perché il dittatore al potere viene deposto da un colpo di Stato. Vive in esilio a Cuba, dove diviene amico di Castro e Cortázar, e passa lunghi periodi in Unione Sovietica, Messico, Cecoslovacchia e altrove. Rientrato in patria nel 1964, viene di nuovo arrestato e condannato a morte: questa volta si salva perché la prigione è distrutta da un terremoto, e si rifugia nuovamente a Cuba. Nel 1973 decide di tornare in Salvador, entrando a far parte dell’Ejercito Revolucionario del Pueblo. Due anni dopo sono proprio alcuni suoi compagni dell’Ejercito a ucciderlo, ritenendolo (a torto, come si seppe poi) una spia della CIA. Ma chi aveva diffuso il sospetto che lo fosse?

Roque Dalton
OEA7
Il presidente del mio Paese
si chiama oggi come oggi Fidel Sánchez Hernández
ma il generale Somoza, presidente del Nicaragua,
è anche lui presidente del mio Paese.
E il generale Stroessner, presidente del Paraguay,
è anche lui un po’ presidente del mio Paese, anche se meno 
del presidente dell’Honduras ovvero
del generale López Arellano, e più del presidente di Haiti,
monsieur Duvalier.
E il presidente degli Stati Uniti è più presidente del mio Paese
del presidente del mio Paese,
quello che, come ho detto, oggi come oggi,
si chiama colonnello Fidel Sánchez Hernández.
In cerca di guai
La notte della mia prima riunione di cellula pioveva
il mio modo di gocciolare fu molto applaudito da quattro
o cinque personaggi alla Goya
tutti lì dentro parevano leggermente annoiati
forse dalla persecuzione e forse anche dalla tortura ogni giorno sognata.

Fondatori di confederazioni e di scioperi mostravano
una certa raucedine e mi dissero che dovevo
scegliermi uno pseudonimo
che avrei dovuto pagare cinque pesos al mese
che ci saremmo visti ogni mercoledì
e che come andavano i miei studi
e che oggi intanto avremmo letto uno scritto di Lenin
e che non era necessario dire a ogni momento compagno.

Quando uscimmo non pioveva più
mia madre mi rimproverò perché ero tornato a casa tardi.8
Ernesto Cardenal

5. Non si può parlare di poesia civile in America Latina senza almeno accennare alla figura del poeta-prete nicaraguense Ernesto Cardenal (Granada, 1925 – Managua, 2020), peraltro molto noto anche in Italia. Di famiglia illustre, dopo gli studi letterari a Città del Messico e presso la Columbia University di New York, Cardenal torna in patria nel 1950, e allo stesso tempo inizia a scrivere poesia e aderisce al Frente Sandinista de Liberación Nacional (FSLN), col quale quattro anni dopo partecipa alla fallita Rivoluzione d’aprile contro il regime di Anastasio Somoza García. Diventa discepolo del trappista statunitense Thomas Merton, finché nel 1965 viene ordinato sacerdote e, insieme allo stesso Merton, fonda la comunità di Solentiname, da cui lavora alla sua teologia della liberazione. Intanto è uscita la raccolta Hora 0 (1960; ma è stata scritta nel 1956), dal contenuto apertamente politico e rivoluzionario:

Notti tropicali del Centroamerica,
con lagune e vulcani sotto lune
e luci di palazzi presidenziali,
caserme e tristi coprifuochi.
“Molte volte fumandomi una cicca
io ho deciso la morte di un uomo”,
dice Ubico fumandosi una cicca...
Nel suo palazzo come un dolce rosa
Ubico ha il raffreddore. Fuori il popolo
è stato disperso con bombe al fosforo [...]9

Nel 1977 è costretto a lasciare il Nicaragua, ma vi rientra dopo la rivoluzione sandinista di due anni dopo, venendo nominato ministro della Cultura del nuovo governo di Daniel Ortega. Nel 1983 il papa Giovanni Paolo II, in visita a Managua, gli ordina di dimettersi; Cardenal rifiuta, e il papa lo sospende a divinis. Nel 1994 abbandona il FSLN, denunciando l’involuzione dittatoriale, banditesca e repressiva del regime di Ortega. Nel 2019 papa Francesco lo riabilita del tutto. La poesia di Ernesto Cardenal, dopo le prime raccolte sulle orme di Ezra Pound, Pablo Neruda e altri, trova una sua dimensione specifica nel tentativo di conciliare fede e scienza (Canto cósmico, 1992; Versos del pluriverso, 2005; Somos polvo de estrellas, 2013), ma nelle sue opere più note denuncia senza mezzi termini la mercificazione e l’omologazione del capitalismo (Oración por Marylin Monroe y otros poemas, 1965) e l’oppressione passata e presente dei popoli amerindi (El estrecho dudoso, 1966; Homenaje a los indios americanos, 1969; Quetzalcoatl, 1988). (continua)

Stefano Strazzabosco, poeta e traduttore


Immagine di copertina: Veduta panoramica dalla casa di Pablo Neruda a Isla Negra, Cile (Wikimedia Commons)


Note

  1. cfr. J. Gelman, Un árbol sin hojas que da sombra, in https://www.aelg.gal/resources/fckfiles/file/conferencia_gelman.pdf, p. 2: si tratta di una conferenza dettata a Santiago di Compostela il 20.IV.2010. Tutte le traduzioni, dove non indicato diversamente, sono di chi scrive. ↩︎
  2. citato in M. A. Campos, Caminando con Juan Gelman por el barrio de La Condesa, in “La Otra Revista”, 17 dicembre 2024: https://www.laotrarevista.com/2024/12/caminando-con-juan-gelman-por-el-barrio-de-la-condesa-marco-antonio-campos/. ↩︎
  3. cfr. Id., Dibaxu, Compañía editora Espasa Calpe Argentina S. A. / Seix Barral, Buenos Aires 1994, p. 5. ↩︎
  4. cfr. Id., Un árbol sin hojas que da sombra, cit., p. 3. Tutte le traduzioni dei testi in spagnolo sono di chi scrive. ↩︎
  5. cfr. Id., Poemas de Juan Gelman dedicados a Rodolfo Walsh, in https://www.juangelman.net/2011/01/08/1083/. ↩︎
  6. cfr. R. Dalton, J. Heraud, F. Urondo, Tre poeti assassinati, Presentati da M. Benedetti, V. Blengino, J. Cortázar, M. Vargas Llosa, R. Fernández Retamar, S. Salazar Bondy, J. R. Ribeyro, J. Gelman, a cura di J. Maciel, Vallecchi, Firenze 1978, p. 125. ↩︎
  7. OEA: Organización de los Estados Americanos (Organizzazione degli Stati Americani), fondata nel 1948 e tuttora esistente. ↩︎
  8. cfr. R. Dalton, Taberna y otros lugares, Fondo de Cultura Económica, México 2019, pp. 13, 28 e 29. La prima edizione (1969) vinse il prestigioso Premio Casa de las Américas. ↩︎
  9. cfr. E. Cardenal, Hora 0, https://ciudadseva.com/texto/hora-0/. ↩︎

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