MARIO Carmine-Emanuele Cella è un compositore di fama internazionale con studi avanzati in matematica. Lavora, da molti anni, sulle relazioni poetiche tra il mondo strutturato della matematica e il mondo caotico dell’espressione artistica, utilizzando la musica come mezzo. Ha studiato pianoforte, computer music, composizione, matematica e filosofia, ottenendo un dottorato in composizione all’Accademia S. Cecilia di Roma e un dottorato in matematica applicata all’Università di Bologna. Dal 2007 Carmine-Emanuele Cella ha iniziato una collaborazione con l’IRCAM di Parigi, dove è stato per molti anni ricercatore e compositore. Nel 2008 ha vinto il prestigioso Premio Petrassi per la composizione, ricevendo il premio dal Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano. E, nel 2013-2014, è stato membro dell’Academie de France à Madrid (Casa de Velazquez). Nel 2015-2016 è stato ricercatore in matematica applicata presso l’École Normale Supérieure de Paris, dove ha lavorato sulla creatività computazionale. Nel 2016 ha vinto il premio Una Vita Nella Musica Giovani al Teatro La Fenice di Venezia ed è stato in residenza presso l’Accademia Americana di Roma, dove ha lavorato alla sua prima opera rappresentata in anteprima nel giugno 2017 alla Kyiv National Opera. Da gennaio 2019, Carmine è professore di musica e tecnologia presso l’Università della California a Berkeley, dove è anche ricercatore principale presso il Center for New Music and Audio Technology (CNMAT). Dal 2020 Carmine è anche docente di musica elettronica presso il Conservatorio G. Rossini di Pesaro. Nel 2022 è stato destinatario del prestigioso premio musicale di composizione “Traiettorie”.
La prima cosa che salta all’occhio, scorrendo la tua biografia, è lo stretto legame fra musica e matematica che ha da sempre accompagnato la tua vita. Come e quando sono nate in te queste due passioni?
CARMINE Il mio lavoro si fonda effettivamente su questa relazione ed entrambi gli interessi erano già presenti in me fin dalla tenera età. A sei anni scrissi il mio primo brano per pianoforte. Il brano era in 4/4 ma in una battuta c’erano cinque quarti anziché quattro. Quando mi fecero notare questo fatto, la prima cosa che pensai fu. “Come si fa a suddividere qualcosa di pari per qualcosa di dispari?” e l’anno dopo ho scritto un software (in Basic) che mi aiutasse a rispondere a questa domanda. In realtà si trattava di un problema algebrico piuttosto complesso che si chiama “tiling” e che potrebbe essere enunciato così: come si copre uno spazio con una serie di oggetti che hanno forme diverse, cercando di minimizzare il numero di oggetti e di massimizzare la superficie coperta? Proprio questo problema, trasferito in ambito elettroacustico, negli anni è diventato il centro della mia ricerca, una ricerca che ha generato non solo articoli scientifici ma anche applicazioni pratiche, fra le quali voglio ricordare il software di orchestrazione assistita “Orchidea”, che è nato con l’intento di aiutare il compositore nel suo lavoro di orchestratore. In un certo senso, posso dire che per tutta la vita ho fatto la stessa cosa.
MARIO Studi musicali e scientifici in te sono sempre andati di pari passo, ma quando è avvenuto per la prima volta che le tue due anime, di artista e di scienziato, si siano fuse perfettamente in una produzione importante?
CARMINE Sicuramente nella commissione che ho ricevuto nel 2013 da parte dell’IRCAM e da Radio France: un brano per grande orchestra ed elettronica dal titolo “Reflets de l’ombre”, nel quale ho utilizzato i risultati del mio dottorato in matematica per realizzare la parte elettronica. In quel momento le mie due anime, come le hai chiamate, si sono “sposate” ufficialmente. Da allora tutto è proceduto con una certa fluidità e, in Francia e altrove, sono stato finalmente accettato sia come compositore sia come scientifico, cosa tutt’altro che scontata. Le due attività, infatti, di solito sono rigidamente separate e ho dovuto affrontare molte resistenze perché il mio duplice ruolo fosse pienamente compreso e soprattutto riconosciuto a livello istituzionale. Nel 2016 è giunta un’altra importante commissione da Parigi, grazie alla quale ho potuto utilizzare un canale di ricerca scientifica parallelo per la realizzazione di un’altra produzione artistica, e così via fino all’esperienza di Berkeley. Il pattern in genere è sempre lo stesso: a un problema musicale risponde una soluzione di tipo matematico e segue un’applicazione a livello creativo. Si tratta di un cerchio che si chiude, dove non ci sono separazioni. Nella mia mente si tratta di un tutt’uno inscindibile che, come si può immaginare, richiede molta applicazione e molto tempo per passare dalla fase iniziale alla realizzazione finale.
MARIO Nella tua biografia parli di una “relazione poetica” fra musica e matematica nella tua produzione. Ce ne puoi parlare?
CARMINE Per me è essenziale che ciò che attiri l’attenzione nella mia musica sia l’aspetto poetico, non quello tecnico. Le necessità estetiche producono naturalmente domande tecniche, ma io tendo a nascondere la tecnica nella parte creativa. Sono contento quando l’ascoltatore della sala da concerto prova una forte emozione senza rendersi minimamente conto di ciò che sta accadendo. Come esempio posso portare il mio ultimo lavoro, una grossa produzione IRCAM che si intitola “I am in blood”. Questo brano è un punto d’arrivo che esemplifica gli aspetti principali della mia ricerca e le loro relative applicazioni: l’orchestrazione assistita, gli strumenti aumentati, la spazializzazione tridimensionale. Al termine dell’esecuzione c’erano alcune persone che piangevano dall’emozione, ma nessuno di loro ha fatto caso alla tecnica straordinaria che era stata impiegata in questo lavoro. Uno dei concetti fondamentali del mio insegnamento è proprio la predominanza della ragione poetica su quella tecnica: se non c’è un “perché” dell’opera il “come” non serve a nulla.
MARIO Ora entriamo più nel particolare: quali sono le caratteristiche della tua musica e del tuo processo creativo?
CARMINE Non sono un compositore che pensa in termini di note (frequenze), di melodie, di armonie. L’oggetto primario della mia attenzione è il timbro del suono. Da questo punto di vista il mio processo compositivo parrebbe relativamente semplice: ho in testa un suono e lo trascrivo. Questa trascrizione, però, spesso è complessa perché questo suono si evolve nel tempo. A questo punto la matematica (e l’informatica) vengono in mio aiuto per trovare una soluzione ai problemi che mi pone questa trascrizione e questa evoluzione. Poi viene l’altro aspetto fondamentale: quello formale. In genere concepisco la forma di un brano in un’unica sessione, quasi di getto, dopodiché inizia un processo graduale che scompone questa immagine originale in una serie di immagini sempre più dettagliate fino ad arrivare alla partitura vera e propria. Questo processo può richiedere settimane o mesi, mentre la prima sessione in genere dura due ore al massimo. Nella prima sessione io “sento” il pezzo nella sua totalità, anche se non lo conosco nei dettagli, e lo disegno in forma grafica, utilizzando dei colori che mi ricordano i timbri che ho immaginato. Faccio questo perché quando sento un suono vedo un colore e viceversa: si tratta di sinestesia.
MARIO Ci parli del tuo concetto di “musica hic et nunc” (musica qui e ora)?
CARMINE È il concetto di opera d’arte contestuale: quando compongo un brano spesso lo faccio in relazione a uno specifico momento e a uno specifico luogo. Questo fatto fa sì che la riproducibilità della mia musica sia generalmente alquanto limitata al di fuori del contesto per il quale è stata creata. In altre parole, non puoi ascoltarla su YouTube o su altre piattaforme web ma devi essere presente nel momento e nel luogo dove viene eseguita. In tal modo l’esecuzione diventa un atto epifanico. Come esempio posso citare il ciclo di brani per percussioni aumentate “Les espaces physiques” (scritto per lo storico ensemble “Les percussions de Strasbourg”) dove l’esperienza dal vivo, come suggerisce il titolo, è irrinunciabile perché si basa sulle interazioni in tempo reale fra strumenti, esecutori, compositore e pubblico. Brani come questi richiedono un tempo lunghissimo di preparazione sul posto (anche due settimane!), per creare le condizioni ottimali di esecuzione in relazione al contesto. Come si può immaginare, non è qualcosa che si può riproporre spesso.
MARIO Puoi parlarci del rapporto fra struttura e caos nella tua musica?
CARMINE Come esempio di “caos” a livello poetico, mi riferirei ancora al timbro di un suono: si può dire che il timbro sia un’entità concettuale ancora incompresa. Da un punto di vista scientifico è molto difficile definire cosa sia un timbro e come si possa valutare la sua natura. Il problema resta percettivo, psico-acustico: ogni timbro genera sensazioni differenti in ciascuno di noi. Come si fa dunque a mettere in relazione una sensazione così soggettiva, intuitiva, direi primordiale, con una forma simbolica come quella di una partitura, dove sono costretto ad usare segni decodificabili in modo più o meno oggettivo? Più in generale l’intero atto creativo, a mio parere, deve centrarsi sul punto d’incontro fra questa soggettività (che si potrebbe definire “caotica” in quanto irrazionale) e l’oggettività di una struttura precisa, pensata razionalmente e dunque conoscibile e facilmente decodificabile. In altre parole, la griglia strutturale deve esserci e può essere percepita, ma deve aprirsi all’imprevedibile, alla scoperta, all’inconoscibile.
MARIO Ultimamente si parla molto di Intelligenza Artificiale applicata alla creazione musicale. Come vedi il futuro del compositore in relazione a questa realtà in rapido sviluppo?
CARMINE La domanda da cui si deve partire è: le macchine possono essere creative? La risposta non è semplice, perché occorre anzitutto intendersi sul termine “creatività” e ci sono tante teorie psicologiche al riguardo. Ritengo comunque impressionante ciò che è successo negli ultimi anni, al punto che non è possibile non porsi delle domande sul futuro non solo del compositore ma dell’uomo in generale. La prima rivoluzione industriale automatizzava dei processi fisici semplici, la seconda processi fisici complessi, la terza processi mentali semplici… la quarta rivoluzione, quella che stiamo vivendo, sembra automatizzare processi mentali superiori e ottenere risultati che finora erano appannaggio della creatività umana. A questo punto la domanda che mi faccio è: continuando su questa strada, come faremo un domani a distinguere l’umano dal non-umano? Teniamo presente che allo stato attuale non c’è un motivo per ritenere che le macchine non possano in futuro elaborare e vivere emozioni. La mia posizione in merito, però, non è né di paura né di snobismo: la verità è che non so cosa renda umano l’umano e di conseguenza non conosco le future possibilità delle macchine in tal senso. Ho però la sensazione che le macchine si stiano configurando come una nuova specie con la quale dovremo confrontarci, nel bene e nel male. Questo significa anche che l’evoluzione di questa nuova specie influenzerà la nostra evoluzione e, per tornare all’arte, ci abitueremo a collaborare con le macchine per scopi creativi.
MARIO Hai fatto accenno agli “strumenti aumentati”. Di cosa si tratta?
CARMINE È uno degli ambiti di ricerca applicati alla creazione musicale di cui mi sono occupato. In breve, se si mette un sensore su uno strumento musicale (ad esempio su una grancassa o su un timpano), il sensore capta le azioni, i gesti del musicista nell’atto del suonare e le manda a un computer. Il computer compie operazioni che mutano la natura di queste interazioni, creando segnali che vengono trasmessi direttamente allo strumento tramite un “attuatore” (una specie di base che vibra). Si crea così una “aumentazione” del suono, ossia un cambiamento nel timbro dello strumento. Non si tratta di piccoli cambiamenti: posso ottenere una grancassa che suona come un campanellino di metallo o come una marimba a seconda del gesto differente del percussionista. Ho iniziato con le grandi percussioni perché la loro taglia aiuta questo processo e il primo risultato artistico di questa ricerca è stato il ciclo per percussioni del quale ho già parlato.
MARIO Il concetto di “musica hic et nunc” comporta un rapporto particolare fra l’autore e il suo prodotto artistico. Come vivi questo problema?
CARMINE Nella musica “hic et nunc” non posso scindermi dalle mie opere e devo essere presente durante l’intera messa a punto dell’esecuzione. In questi casi, infatti, la partitura non è un veicolo di comunicazione sufficiente per la realizzazione dell’opera. Ciò significa anche che queste opere potrebbero non sopravvivermi. Questo però non lo definirei un problema ma una realtà da accettare.
MARIO Qual è il tuo rapporto con il passato musicale, anche quello più vicino a noi?
CARMINE La cultura musicale, intesa come conoscenza del passato, è fondamentale per un musicista. Purtroppo uno dei problemi dei conservatori italiani è che difficilmente gli studenti vengono introdotti agli ultimi cento anni della loro storia. Per me è come se un avvocato o un medico non conoscesse gli ultimi cento anni della sua disciplina. Ma la cultura non basta: nell’esperienza epifanica dell’atto creativo, infatti, entrano in gioco altre forze, forze primitive che ci portano altrove, anche se indubbiamente una parte di noi continua ad avere memoria delle conoscenze che ci hanno attraversato.
MARIO E riguardo al presente?
CARMINE Non ho pregiudizi di tipo teorico-estetico: mi basta che l’opera abbia un suo “perché” all’interno di un contesto e credo che la musica possa essere compresa e fruita indipendentemente dalla tecnica che impiega. Ammetto in ogni caso di essere un fan della complessità e del lavoro che essa sottintende, a patto che abbia la sua ragione (poetica) di esistere.
MARIO Come vedi il futuro della figura del compositore, ammesso che ne abbia uno?
CARMINE In questo momento mi trovo a Berkeley e qui c’è una prospettiva molto diversa da quella europea, una prospettiva che mi porta a relativizzare questo argomento. Qui la partitura è considerata solo uno dei possibili veicoli di trasmissione del pensiero musicale; si pratica molto l’improvvisazione, la transmedialità e soprattutto l’ibridazione fra le arti. Mi piace pensare che il compositore sia anzitutto un artista e che il ruolo dell’artista sia e resti centrale nella società. L’artista parla del Divino, della morte, delle emozioni più profonde, di ciò che è essenziale per l’essere umano. L’artista produce una cultura permanente. Se il compositore, in quanto artista, continuerà ad ascoltare ciò che lo circonda reagendo con i mezzi che gli sono propri, continuerà a svolgere il suo ruolo cruciale.
MARIO Ci parli dei tuoi progetti futuri?
CARMINE Alla fine di quest’anno c’è in programma un disco con l’etichetta Kairos che riguarda la mia musica da camera, nel 2025 un pezzo per i “Neue Vocalsolisten” (elettronica e voce) e nel 2026 un grande progetto alla “Philarmonie” di Parigi con un concerto per vibrafono e orchestra.
Immagine di copertina Carmine Cella
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