RIVISTA DI CULTURA MEDITERRANEA

Medio Oriente: mutamenti profondi e prospettive future, di Reza Rashidy

tempo di lettura: 12 minuti

Il Medio Oriente del 2024 è profondamente mutato rispetto al passato. Dalle macerie del conflitto del 7 ottobre 2023 sta emergendo una nuova architettura geopolitica caratterizzata da cambiamenti radicali negli equilibri di potere e nelle alleanze. Questa regione che per decenni è stata teatro di contrasti insanabili tra potenze e ideologie, oggi si avvia verso un futuro incerto, con dinamiche che ne stanno ridefinendo il panorama. Quale sarà il nuovo assetto del Medio Oriente? Quali forze stanno cercando di guidare o influenzare il cambiamento?

IL CONTESTO

Il Medio Oriente, culla della civiltà, è da oltre settant’anni travolto da guerre, terrorismo e fondamentalismi religiosi. Milioni di persone subiscono quotidianamente le conseguenze di conflitti alimentati dall’inerzia e dai calcoli geopolitici di grandi potenze e regimi dittatoriali.

Il conflitto israelo-palestinese è da decenni un motore di odio e disperazione, aggravato dall’inazione dell’Occidente e dai veti sistematici degli Stati Uniti al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che bloccano ogni prospettiva di pace.

Dal 1979 la presenza di un regime totalitario ha ulteriormente destabilizzato la regione, sfruttando la questione palestinese per diffondere guerra e terrorismo, tenendo in ostaggio 86 milioni di persone. La “Repubblica Islamica” ha esordito sulla scena internazionale con l’assalto all’ambasciata USA a Tehran e la presa in ostaggio di 52 americani per oltre 440 giorni, un atto di terrorismo di Stato e una flagrante violazione del diritto internazionale.

Nel 1988 nascono Al-Qaeda e, successivamente, ISIS (Daesh), versione sunnita del terrorismo teocratico. Quell’estate, nell’indifferenza generale, migliaia di prigionieri politici vengono giustiziati in Iran (stimate tra 8.000 e 30.000 vittime).

Nel 1989 l’ayatollah Khomeini emette una condanna a morte contro lo scrittore Salman Rushdie, offrendo una taglia milionaria per la sua uccisione. Da quel momento, termini come “terrorismo islamico”, “jihad” ed “esportazione della rivoluzione islamica” entrano nel linguaggio quotidiano. (vedi su Finnegans: https://lalberodelbene.it/larrendevolezza-delloccidente-e-la-cinica-strategia-del-regime-di-tehran-di-reza-rashidy/)

Assalto all’ambasciata americana a Teheran, 4 novembre 1979 (Wikimedia Commons)

Un baratro senza limiti

L’Occidente ha sottovalutato la pericolosità dell’ideologia khomeinista permettendo a Teheran di estendere la sua influenza su Damasco, Beirut, Baghdad e Sana. La Repubblica Islamica ha così rafforzato il cosiddetto “Asse di resistenza”, finanziando e armando con missili, droni e consiglieri militari gruppi terroristici come Hamas, Hezbollah e gli Houthi. (Vedi l’articolo su Finnegans: https://lalberodelbene.it/lignavia-delloccidente-e-il-totalitarismo-teocratico/)

Il regime iraniano, sottraendo enormi risorse al proprio popolo, è diventato fornitore di armamenti e supporto militare alla Russia di Putin, portando l’Iran e il Medio Oriente verso un precipizio senza ritorno. 

Ora, per blindarsi da nemici reali o immaginari, Teheran produce uranio arricchito a livelli critici, dichiarandosi prossimo alla costruzione di decine di testate nucleari e all’ingresso nel club atomico mondiale

Folle corsa agli armamenti

Il massiccio riarmo della Repubblica Islamica, accompagnato da minacce contro Israele e le monarchie mediorientali, ha dato nuova linfa al mercato globale delle armi. Negli ultimi decenni, tutti i Paesi della regione, in particolare Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, hanno aumentato drasticamente le spese militari, diventando i principali importatori di armi al mondo. Secondo il SIPRI, tra il 2007-2011 e il 2012-2016, le importazioni di armi in Medio Oriente sono cresciute dell’86%, con Riyadh e Abu Dhabi in testa.

Con gli Stati Uniti in prima linea tra gli esportatori, seguiti da Francia, Germania e Italia, l’Occidente è il principale beneficiario di questo mercato; ciò spiega così la sua accondiscendenza verso Teheran.

7 OTTOBRE: UNA NUOVA ESCALATION

Con l’operazione “Alluvione Al-Aqsa” Hamas ha aperto una nuova fase del conflitto. Il 7 ottobre 2023, gruppi armati provenienti da Gaza hanno attaccato il territorio israeliano uccidendo 1.200 persone tra civili e militari e rapendo circa 250 ostaggi, tra cui donne e bambini. Nei pressi di un kibbutz e nelle basi militari vicine, sono stati uccisi 859 civili, 278 soldati (o 307 secondo altre fonti) e 57 membri delle forze dell’ordine. Sono stati denunciati numerosi casi di stupro e violenze sessuali contro donne israeliane, comprese alcune prigioniere.

La risposta di Israele è stata implacabile, segnando così una svolta nel Medio Oriente: nel 2024 il bilancio a Gaza ha superato i 47.000 morti, per lo più donne e bambini. Tre quarti degli edifici sono stati distrutti insieme a ospedali e scuole, milioni di profughi affrontano fame e malattie. Il conflitto si è esteso al Libano e, indirettamente, all’Iran e allo Yemen.

Mappa delle incursioni dei palestinesi il 7 ottobre 2023 (Wikimedia Commons)

“L’ASSE DELLA RESISTENZA”

L’Asse della Resistenza è una coalizione informale di milizie e gruppi politici in Medio Oriente, sostenuti dall’Iran, con l’obiettivo di contrastare l’influenza straniera e opporsi a Israele, agli Stati Uniti e, in alcuni casi, ad Arabia Saudita ed Emirati Arabi. La Repubblica Islamica guida l’alleanza utilizzando gruppi proxy per condurre guerre per procura. Hezbollah in Libano, nato negli anni ’80 con il sostegno iraniano, è il gruppo armato più potente dell’Asse e condivide l’ideologia sciita di Teheran.

Nei territori palestinesi Hamas e Jihad Islamica mirano alla distruzione di Israele e alla creazione di uno Stato islamico. In Yemen gli Houthi, finanziati dall’Iran, hanno attaccato navi commerciali tra il 2023 e il 2024, scatenando la “crisi del Mar Rosso”. In Iraq milizie sciite come Kata’ib Hezbollah e le Forze di Mobilitazione Popolare hanno combattuto le forze statunitensi e svolto un ruolo chiave nella guerra civile dal 2014 al 2017. L’Asse della Resistenza ha anche partecipato alla guerra contro al-Qaeda e ISIS, rafforzando la propria presenza con operazioni militari e attività politiche coordinate. 

Hamas e la fragile tregua

Dopo 15 mesi di cieca carneficina, Israele ha accettato un cessate il fuoco senza aver raggiunto il suo obiettivo iniziale di distruggere Hamas, liberare gli ostaggi e garantire la sicurezza dei coloni vicino a Gaza. La tregua è entrata in vigore il 19 gennaio 2025 a mezzogiorno, ma fino all’ultimo Israele ha continuato a bombardare, portando il bilancio delle vittime a quasi 47.000. Dopo 467 giorni di conflitto Netanyahu ha accettato un accordo in discussione da mesi: Hamas rilascerà gli ostaggi israeliani in cambio di numerosi prigionieri palestinesi, compresi i condannati all’ergastolo.

Il piano prevede anche il ritiro graduale dell’esercito israeliano da Gaza. L’ONU ha avvertito del rischio di carestia, chiedendo un ripristino dell’ordine per garantire gli aiuti umanitari. Intanto, alla tregua, centinaia di miliziani di Hamas sono riapparsi, armati, tra le macerie, con stime che parlano di 15.000 nuove reclute arruolate durante il conflitto. Oltre al mancato annientamento di Hamas, Israele si trova ora isolato a livello internazionale, con l’accusa di crimini umanitari contro il popolo palestinese.

Libano e Hezbollah

Hezbollah (o Ḥizbu’llāh), in arabo “Partito di Dio”, è un movimento politico-religioso libanese, oltre che uno dei principali attori coinvolti nell’attuale crisi mediorientale. Nato nella seconda fase della guerra civile libanese (1975-1990), nel corso degli anni il gruppo ha monopolizzato la vita politica libanese, acquisendo una proiezione regionale di tutto rilievo. Fin dalla sua nascita il gruppo ha generosamente beneficiato del sostegno della Repubblica Islamica per fornitura di armi, addestramento militare e finanziamenti. Teheran ha favorito il gruppo per utilizzarlo come strumento strategico in Medio Oriente. Hezbollah ha supportato a sua volta le milizie filo-iraniane in Iraq, sostenuto il regime di Assad in Siria e gli Houthi in Yemen, diventando un pilastro della strategia iraniana nella regione. In quanto sciita, il gruppo è ideologicamente più affine all’ispirazione khomeinista rispetto ad altri gruppi dell’Asse. Nel conflitto con Israele, Hezbollah è intervenuto a sostegno di Hamas inizialmente con attacchi limitati al confine, per poi aumentare la portata delle operazioni colpendo obiettivi più lontani.

Combattenti di Hezbollah durante una cerimonia (Wikimedia Commons)

Il 3 novembre 2023 dopo il discorso di Nasrallah, il gruppo ha legittimato la lotta contro Israele e lanciato un messaggio agli Stati Uniti, minacciando un’escalation regionale. Tra il 17 e il 18 settembre 2024, dopo mesi di lanci di missili e scontri al confine, il sistema di comunicazioni di Hezbollah viene colpito dall’esplosione combinata di cercapersone, radio ricetrasmittenti e altri dispositivi. Centinaia di miliziani vengono colpiti insieme a numerosi civili. La settimana successiva, mentre il movimento libanese continua a lanciare razzi e missili – anche a lungo raggio – contro Israele, le IDF lanciano un’intensa campagna di bombardamenti in varie zone del Paese dei cedri, provocando più di 500 morti nel giro di poche ore. Lo scontro, non più a bassa intensità, ha accresciuto i timori di un allargamento del conflitto al resto della regione.

Il 28 settembre 2024 dieci caccia israeliani (IAF) colpiscono la roccaforte di Hezbollah con decine di bombe anti-bunker radendo al suolo, nell’arco di pochi minuti, sei palazzi nel cuore di Dahiye. L’attacco ha colpito i bunker sotterranei dove era in corso una riunione dei vertici militari di Hezbollah presenziata dal suo leader, Nasrallah.

In seguito Israele ha proseguito nella decapitazione dell’intero vertice di hezbollah a partire dal suo successore Nasrallah e dagli alti comandanti, paralizzando di fatto tutto l’apparato militare dell’organizzazione. 

Il 26 novembre 2024 in Libano, Hezbollah è costretto ad accettare il cessate il fuoco mediato dagli Stati Uniti. Questo fragile accordo ha temporaneamente sospeso la guerra che imperversava dall’8 ottobre del 2023.

Yemen: gli Houthi e il terzo fronte di guerra

Dopo il 7 ottobre 2023 gli Houthi si sono uniti al conflitto in segno di solidarietà con i palestinesi, aprendo un nuovo fronte contro Israele. Il loro portavoce ha dichiarato che gli attacchi continueranno finché non cesserà l’offensiva israeliana. Missili ipersonici e droni hanno colpito porti e aeroporti israeliani, seminando il panico nonostante la maggior parte degli attacchi sia stata intercettata. Inoltre gli Houthi hanno preso di mira navi israeliane e statunitensi nel Mar Rosso, provocando ritorsioni aeree da parte di Israele e Stati Uniti.

Il conflitto si inserisce in una crisi umanitaria già drammatica: anni di guerra civile hanno ridotto lo Yemen sull’orlo del collasso con 4,5 milioni di sfollati, epidemie e una carenza estrema di risorse essenziali.

Protesta armata dei guerriglieri Houthi (Wikimedia Commons)

Repubblica Islamica: distruzione dello stato di Israele

La Repubblica Islamica fin dalla sua nascita aveva posto alla base della propria ideologia l’eliminazione dello Stato di Israele. Fino a pochi mesi fa lo faceva attraverso gruppi armati come Hamas e Hezbollah, ma il 13 aprile, per la prima volta, ha lanciato un attacco diretto contro Israele con oltre 300 droni e missili, quasi tutti intercettati grazie all’intervento degli Stati Uniti e dei loro alleati. Teheran ha giustificato l’attacco come ritorsione al bombardamento israeliano del Consolato iraniano a Damasco del 1° aprile.

Il 18 aprile Israele ha risposto colpendo una base militare a Isfahan, definendo l’azione un “contrattacco limitato” contro una minaccia esistenziale. Il 2 ottobre, dopo l’uccisione di Nasrallah in un raid su Beirut, il regime degli Ayatollah ha lanciato un nuovo attacco su Tel Aviv e Gerusalemme con centinaia di missili supersonici, molti dei quali sono stati abbattuti dal sistema di difesa israeliano. La risposta di Israele è arrivata il 25 ottobre con una serie di raid aerei su impianti di produzione missilistica e basi militari iraniane.

Terremoto siriano

A differenza degli altri membri dell’Asse della Resistenza, la Siria di Assad non ha mostrato alcun segno di solidarietà, neppure simbolico, verso Gaza, né supportato Hezbollah dopo gli attacchi del 7 ottobre. Iran e Russia sono stati fondamentali nel mantenere Assad al potere durante la guerra civile siriana. Teheran ha investito svariate decine di miliardi in aiuti militari, inviando consiglieri delle Guardie Rivoluzionarie (IRGC) e sostenendo le milizie sciite per rafforzare il regime garantendogli un corridoio strategico fino al Mediterraneo e il rifornimento di Hezbollah in Libano.

Nel 2024 il regime di Assad è crollato senza opporre resistenza sotto l’avanzata ribelle. L’ambasciata iraniana a Damasco è stata saccheggiata e Teheran ha perso la capacità di rifornire Hezbollah. Il collasso di Damasco è stato favorito dai conflitti in Ucraina e in Libano, rappresentando un duro colpo per Mosca e un fallimento per l’Iran. Dopo anni di investimenti miliardari e perdite umane, la Repubblica Islamica ha visto sfumare il proprio sostegno ad Assad, lasciando dietro di sé un fiasco politico e finanziario.

Repubblica Islamica: un fattore di instabilità globale

L’Iran per motivi ideologici, geopolitici ed economici, costituisce un elemento chiave di instabilità in Medio Oriente e nel mondo. Oltre a sostenere gruppi armati nella regione, è il principale alleato di Maduro in Venezuela, fornendo anche in questo caso aiuti economici e militari. Dalla rivoluzione del 1979 il regime teocratico iraniano ha promosso l’espansione dell’influenza sciita alimentando conflitti settari. Il programma nucleare di Teheran, tra accuse di violazioni e tensioni con l’Occidente, ha innescato una corsa agli armamenti nella regione, spingendo Israele e Arabia Saudita a rafforzare le proprie difese.

Sul piano economico, l’Iran utilizza la pressione sulle rotte energetiche per influenzare il mercato petrolifero, mentre le sanzioni internazionali lo hanno spinto a stringere alleanze con Cina e Russia. Il supporto militare di Teheran a Mosca nella guerra in Ucraina ha compromesso i suoi storici rapporti con l’Europa, acuendo il proprio isolamento internazionale.

Incontro di Ali Khamenei con il Consiglio direttivo di Hamas a Teheran

COLLASSO DI UN REGIME

La Repubblica Islamica sta affrontando una crisi profonda segnata dalla bancarotta economica, dal crescente isolamento internazionale e dalla perdita di legittimità. Per oltre 30 anni, il regime ha sprecato risorse in progetti militari e nucleari (oltre 1.000 miliardi di dollari) trascurando sviluppo e benessere. Sanzioni, inflazione, crollo della moneta e corruzione dilagante hanno reso la sua sopravvivenza sempre più precaria.

L’economia iraniana è dominata per il 70% da un settore meta statale controllato dal leader supremo e dalle Guardie Rivoluzionarie (IRGC) che soffrono pesantemente l’impatto delle sanzioni. Le élite militari e tecnocratiche cercano un’uscita di sicurezza per evitare una rivoluzione dal basso, forse persino un colpo di mano, per estromettere il clero e mantenere lo status quo senza la sharia.

Repressione e crisi di legittimità

Il regime si regge ormai solo sulla repressione: da oltre 40 anni soffoca ogni opposizione con arresti, torture ed esecuzioni. Il movimento “Donna, Vita, Libertà” del 2022 ha ancora una volta dimostrato la forza della resistenza popolare. Le elezioni del 2024 hanno sancito la rottura definitiva con la società: appena l’8% degli aventi diritto ha votato al secondo turno, segnale del disinteresse per un sistema elettorale truccato. 

(Vedi su Finnegans: https://finnegans.it/donna-vita-liberta/)

Declino della potenza militare e agonia del regime

L’Iran, nonostante le ambizioni regionali, mostra segni di debolezza anche sul fronte militare. Il sostegno a Hezbollah e ad Assad è in crisi e i recenti scontri diretti con Israele hanno rivelato i suoi limiti strategici. Tra dissenso interno, pressione internazionale e divisioni tra le élite, il regime appare sempre più prossimo al collasso.

Da sinistra, Ali Khamenei, guida suprema iraniana, Hassan Nasrallah, leader di Hezbollah e Qassem Soleimani, comandante della Forza Quds del Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica

Conclusione

Il Medio Oriente del 2025 è un intreccio complesso di crisi e incertezze, con poche prospettive di stabilità. Gli eventi del 2024 hanno accelerato trasformazioni profonde sconvolgendo equilibri consolidati e aprendo scenari incerti. Se da una parte il declino della potenza iraniana e dei suoi alleati potrebbe creare nuove opportunità, il costo umano e sociale solleva però interrogativi inquietanti.

Israele riuscirà a porre un freno a conflitti che per il momento le hanno permesso di mettere in ginocchio i partner strategici dell’Iran che premevano ai suoi confini (Hamas, Hezbollah, la Siria di Assad)? La guerra di Gaza, con il terrificante impatto sulla popolazione civile, ha messo a nudo i limiti delle strategie israeliane, alimentando ulteriore disperazione e odio, e portando Israele ad un isolamento internazionale senza precedenti.

Gli attori arabi “desiderosi di pace” sapranno anteporre la stabilità allo scontro geopolitico? La nuova Siria riuscirà a tenere a freno le spinte centrifughe dei tanti gruppi armati che formavano la costellazione anti Assad, dai curdi sostenuti dagli americani, alle milizie sostenute finora da Turchia e Qatar e tante altre milizie che non fanno parte dell’attuale gruppo dirigente, passando per i residui del vecchio Stato islamico? La vera sfida sarà costruire un futuro in cui sicurezza e giustizia possano finalmente prevalere su conflitti e divisioni ideologiche.

Il vociare indistinto della maggiore potenza mondiale per bocca del “demiurgo” neo presidente Trump di avviare un’operazione immobiliare per svuotare la Striscia, ricostruire e vendere al miglior offerente, non porterà ad una nuova moltiplicazione di profughi palestinesi in Medio Oriente? Non è proprio questa la causa dei problemi che attanagliano da settant’anni il Medio Oriente?

Il 2025 si preannuncia come un anno decisivo per il dossier nucleare iraniano. Il presidente Donald Trump dovrà decidere rapidamente come affrontare l’accelerazione del programma atomico della Repubblica Islamica. Infranto il “mito” della propria potenza missilistica e dopo la perdita degli alleati nella Regione, in aggiunta alle pressanti minacce  di Trump di inasprire le sanzioni economiche e impedire all’Iran  il commercio con la Cina, suo unico acquirente sottobanco di petrolio, sentendosi stretta in un angolo, prende vigore la sciagurata idea di dotarsi urgentemente di testate nucleari come unico deterrente ad un possibile tentativo di attacco da parte di Israele che, da sempre, considera la Repubblica Islamica una minaccia alla propria esistenza ed ora potrebbe essere il momento della resa dei conti per  risolvere il problema alla radice.

La Repubblica Islamica ha già avvertito Israele e USA che, nel caso attuassero le loro minacce, rivedrebbe la propria strategia nucleare e si ritirerebbe dal Trattato di Non Proliferazione (Tnp), rifiutando le ispezioni dell’Onu ai propri impianti nucleari.

Reza Rashidy, giornalista, scrittore e attivista dei diritti umani


Immagine di copertina
Torre Azadi a Teheran, foto di Alireza Heydarifard, (Unsplash)

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