
FILIPPO Il saxofono è uno dei pochi strumenti musicali ad essere stato “inventato”.
Essendo l’ultimo strumento meccanico della storia, contrariamente agli altri strumenti, non ha avuto una sua particolare evoluzione morfologica, ma in breve tempo è divenuto un’autentica icona del mondo moderno, grazie al suo aspetto evocativo e seducente, che al tempo stesso ne rappresenta una serie di elementi ideali. Siamo nella prima metà dell’Ottocento, un periodo denso di avvenimenti decisivi per la trasformazione dell’uomo, della società e i suoi costumi.
La frattura tra società borghese e classe operaia, la conseguente nascita dei primi tentativi di emancipazione politica delle fasce emarginate, lo sviluppo sempre più crescente delle scoperte scientifiche e la sperimentazione frenetica di queste nel settore della tecnica, il fiorire nel campo dell’arte di fermenti nuovi quali il Romanticismo nella letteratura e nella musica, l’Impressionismo ed il Simbolismo nell’arte figurativa, costituiscono un terreno fertile per il saxofono ed il suo istrionico inventore belga Adolphe Sax – dal quale lo strumento prende il nome – per entrare a far parte, in poco più di un secolo, nel panorama musicale mondiale. Destinato all’orchestra classica, cresciuto come strumento popolare negli Stati Uniti nei primi anni del Novecento e adottato infine a livello internazionale negli anni successivi, è oggi uno strumento che quasi chiunque conosce e riconosce. Per coloro che ne apprezzano le radici classiche, il suono ricco e lirico del saxofono rappresenta il complemento ideale tra archi, legni ed ottoni.
Il saxofono ha senza dubbio rappresentato il riflesso della cultura popolare e al tempo stesso la forza innovatrice di quella stessa cultura. I musicisti sono sempre stati attratti dalla sua voce unica e dalle sue infinite capacità espressive e, così, si può ascoltare il saxofono in ogni contesto, dall’orchestra sinfonica ai jazz club, dalle rock band alle colonne sonore dei film, dalle composizioni da camera agli spot pubblicitari.
Mario Marzi è uno dei maggiori esponenti tra i “caposcuola” del saxofono in Italia, e grazie alla sua poliedricità, esprime al meglio quelle che sono le caratteristiche timbriche ed espressive di questo meraviglioso strumento. Grazie alla sua instancabile attività di concertista e docente, si presenta in ambito nazionale ed internazionale come fine interprete nell’ambito della musica classica – solista con le più importanti orchestre sinfoniche come Orchestra Sinfonica RAI di Torino, Accademia Nazionale di Santa Cecilia, Arena di Verona, Teatro comunale di Firenze, Teatro La Fenice di Venezia, Orchestra della Svizzera Italiana, Caracas Symphony Orchestra, nonchè l’Orchestra Filarmonica del Teatro alla Scala sotto la direzione dei maggiori direttori contemporanei come R. Muti, C. M. Giulini, G. Prêtre, L. Maazel, L. Berio, R. F. de Burgos, S. Bychkov, G. Sinopoli, C. Abbado, W. Sawallisch, M. W. Chung, R. Chailly, D. Harding, G. Dudamel – musica contemporanea ed etnica, sempre attento alle influenze e alle contaminazioni filtrate dalla sua esperienza e ricerca personale dove gli echi del passato si fondono con le istanze di un linguaggio musicale più moderno.
Mario Marzi mi accoglie in casa sua con l’ospitalità e la simpatia tipicamente romagnole, capace di entusiasmare fin da subito con il racconto di aneddoti legati alla sua straordinaria carriera concertistica che denotano la semplicità e l’umiltà dei grandi.
Ascoltarlo conduce l’interlocutore ad immaginare l’orizzonte di un mondo magico e poetico, suscitando la curiosità e il desiderio di esplorare insieme il suo percorso di autentico fuoriclasse del saxofono, a partire dai progetti che lo coinvolgono nell’immediato.
Caro Mario, quali geografie attraversi al momento con i tuoi concerti?
MARIO Milano, per alcuni concerti presso il Teatro alla Scala e il cuore dell’Europa – la bella tournée con la filarmonica diretta dal Maestro Chailly ci condurrà a Vienna, Parigi, Madrid, Saragozza, Lussemburgo e Budapest.

FILIPPO Nel 2015 pubblicasti il CD/DVD con Jazzdigest e Limen Music “All Directions Trio: East Way”, dove le musiche tracciavano un viaggio dall’Est Europa e alla sua musica popolare filtrata da autori come Bartók, Ligeti, Pärt e Khačaturjan, a composizioni nuove come quella di Zanchini, in omaggio alla musica balcanica. I nuovi progetti discografici aprono a nuovi orizzonti, puoi rivelarci qualche dettaglio delle produzioni in programma?
MARIO Sto lavorando su più fronti: un CD dal titolo “Symphonic dreams” edito dall’etichetta discografica Brilliant Classics dedicato a Gerry Mulligan, un omaggio alle musiche per sax baritono e orchestra del celebre jazzista statunitense; un lavoro discografico in duo con Giulio Tampalini e, infine, una produzione con orchestra sulla musica rock come matrice, condita con elementi stilistici apparentemente lontani da quel linguaggio. Mi piace uscire dalla mia “comfort zone” per mettermi alla prova e conoscermi meglio. André Gide, premio Nobel per la letteratura, diceva che chi non si mette alla prova non si conosce realmente!

FILIPPO E lavorare quotidianamente con la musica e la molteplicità dei suoi generi mette alla prova anche le emozioni! Lo studio delle emozioni è un campo in costante evoluzione, dalle prime teorie introdotte da William James alla teoria neuro-culturale di Paul Ekman – per cui le espressioni facciali e le emozioni non sono determinate dalla cultura di un posto o dalle tradizioni, ma sono universali ed uguali per tutto il mondo, riconducibili ad un’origine biologica.
Dalla ricerca sull’impatto delle emozioni sulla capacità di orientamento spaziale, all’uso dell’intelligenza artificiale per analizzare e interpretare espressioni emotive, fino alla comprensione del ruolo delle emozioni nell’apprendimento e nella salute mentale, oggi il tema delle emozioni è molto attuale.
Qualche tempo fa mi accennasti a quanto sentissi caro il tema delle emozioni. In che modo, come saxofonista, ti sei sentito coinvolto nello studio di esse? Quale legame nei programmi da concerto proposti è strettamente connesso al tema stesso delle emozioni?
MARIO Non c’è mai stato uno studio in questo senso. Mi sono posto, però, delle domande sul come trasferire quello che provo agli altri, al fine di realizzare un viaggio assieme, condividendo quello che sono senza barare, portando in scena con la musica anche le mie fragilità. Si tratta di una comunicazione che ha a che fare con il dono: è necessario saper donare uscendo dal proprio ruolo e dal proprio “io” per andare verso il “noi”. Non è importante, dunque, saper riconoscere i propri talenti, ma donarli.
Durante un recente concerto al Palazzo dei Congressi di Riccione con i musicisti dell’orchestra di Ezio Bosso si toccavano queste corde emozionali; i colori delle stagioni di Vivaldi erano metafora delle emozioni e delle stagioni del nostro viaggio, le musiche di Bosso, semplici e complesse al tempo stesso, parlano allo stesso modo della nostra umanità. Tutti i concerti, per me, dovrebbero avere nel DNA questa matrice…altrimenti meglio fare altro!
FILIPPO Ci sono compositori e autori che prediligi rispetto ad altri?
MARIO È difficile definire quale musica possa esprimere sentimenti ed emozioni più intense, perché questo dipende dal nostro percorso, da quello dell’interprete e dell’ascoltatore stesso, da quello che stiamo vivendo.
Amo gli autori sudamericani (forse in una vita precedente ero lì con loro!) per come riescono meglio a mettere nero su bianco le emozioni: musiche profonde, che vanno oltre il pentagramma, quasi a narrare la storia di una vita. Adoro in particolar modo Villa Lobos per la sua capacità di combinare, in una sintesi molto personale, elementi del folklore brasiliano con la tradizione colta europea. Ma, anche Jobim, a cui ho dedicato il progetto “East travel” con “Arkè String Quartet” e impreziosito dall’esotismo della tabla di Trilok Gurtu con i quali ho inciso per la Stradivarius alcune tra le sue bossanova più suggestive, rielaborate sullo sviluppo di movenze melodiche di derivazione moresca, quasi “islamica”, in una ricerca di nuove sonorità, un mix sapiente tra le tipiche suggestioni carioca ed i colori dell’Oriente. In ambito più popolare, poi, sono sempre eccelsi i compositori brasiliani quali Ernesto Nazareth, Egberto Gismonti e Pixinguinha.

FILIPPO Tecnica ed emozione: in che modo condizionano la tua performance?
MARIO La tecnica strumentale deve essere unicamente al servizio: imparare e dimenticare secondo il “mainstream”! A volte, però, bisogna trovare il famoso equilibrio fra mani, testa e cuore per raggiungere un risultato artistico autentico. A questo si aggiunge, solo poi, lo stato emotivo con cui si arriva al concerto, nell’influire manifesta la bellezza della nostra umanità. Cerco sempre di trasmettere quello che sono trovando gratificazione e felicità anche nelle piccole cose; il sorriso di un bambino o il vedere accolta un’emozione in un ascoltatore. Mi ritengo privilegiato perché ho fatto di una passione la mia vita e lo auguro a tutti; non sono tanto i riconoscimenti a rendermi felice ma la conoscenza e l’umanità delle persone, le culture differenti che ho incontrato rappresentano un arricchimento impagabile.
FILIPPO Quali brani di repertorio associ a un’emozione in particolare?
MARIO Sono tanti e tutti a loro modo significativi. Se dovessi sceglierne uno – così “d’emblée”! – citerei “Madres” di J. Girotto, perchè è un brano che ha la forza di trasferire tutto il dramma dei Desaparecidos e della disperazione delle madri argentine al tempo della dittatura.
Alle emozioni di una composizione si associa un viaggio segnato da tanti tasselli che si legano a momenti di vita significativi. Nella mia storia personale, il primo in assoluto è quello di quando suonai una marcetta con la banda del paese e intravidi mio padre commosso e orgoglioso! Più tardi, la prima volta che ho suonato in Scala, un mix di eccitazione, paura di non essere all’altezza, gioia e felicità! Oggi, sebbene le emozioni siano ad ogni concerto le stesse, in percentuale diversa – dal grande pubblico ai pochi intimi – la conoscenza di me stesso mi guida a riconoscere le emozioni che sono incarnate dalla musica in quanto tempo di creazione.

FILIPPO Che consiglio daresti a un giovane studente per conoscere e rapportarsi alle proprie emozioni? E come scegliere quali e quanto manifestarle nell’interpretazione di un pezzo?
MARIO L’aspetto emozionale, come dicevo, deve essere sempre presente e deve rapportarsi con quello ludico; se non si prova piacere meglio soprassedere. Questo aspetto ha il proprio zenit nella famosa frase “una goccia di talento e un mare di sudore” così da arrivare a considerare lo strumento come un amplificatore delle nostre emozioni. Solo dimenticando il mezzo si può arrivare ad una nostra verità, consapevoli che ogni verità ne porta con sé un’altra. Il saxofono deve servire a trovare una propria strada, una propria unicità. Stimolo sempre i miei allievi a cercare fin da subito nella musica quello che vogliono esprimere con essa, fosse anche semplicemente attraverso un solo suono; con un semplice suono si può esprimere una tavolozza di colori ed emozioni infinita e a volte noi saxofonisti, avendo a disposizione un mezzo potente per caratteristiche idiomatiche come solo pochi strumenti hanno, siamo portati ad esagerare e ad essere “chiassosi”, quasi come un elefante che entra in una cristalleria! Cerco in questo senso di far capire ai miei studenti che la semplicità è spesso il modo più potente che abbiamo per arrivare al cuore delle persone, spronandoli così nel cercare anche l’intimità del suono, ricordando loro che le cose più importanti si dicono sottovoce.
FILIPPO In quale progetto, nello specifico, troviamo un percorso elaborato intorno al tema delle emozioni?
MARIO Più che progetti, si tratta di “esperienze”. Ad esempio, presso l’ospedale di Verona ho eseguito una Partita di Bach in presenza di malati in fase terminale, che si erano prestati a misurare le onde cerebrali attraverso l’applicazione di elettrodi: il riscontro grafico sul monitor, emotivo di conseguenza, è stato davvero sorprendente e si è tradotto in un beneficio psico-fisico per i pazienti.
In un altro evento, dopo un concerto al carcere di San Vittore a Milano, un carcerato che doveva scontare una pena di trent’anni mi si è avvicinato ringraziandomi per avergli donato “un momento di evasione”, una grande confidenza in cui noi troviamo anche una nota di autoironia. Noi musicisti, in questo senso, abbiamo una grande responsabilità. La musica ha nel suo DNA una qualità per certi versi inspiegabile: oltre alla condivisione, all’ascolto e al rispetto dell’altro, raggiunge la nostra intimità spogliandoci dalle nostre sovrastrutture, mettendoci a nudo. Alcune discipline, come ad esempio la musicoterapia e alcuni studi sui colori, sull’armonia e sulle vibrazioni corporee rivelano come alcuni suoni in particolare riescano a sollecitare emotivamente l’essere umano e ci fanno comprendere la forza che la musica ha nel nostro incedere.

FILIPPO In un certo senso l’interprete è un traduttore, deve attraversare i diversi linguaggi dell’essere umano per portare il contenuto emotivo di una composizione musicale mostrando di una musica la rete di relazioni che sostengono un sistema armonico. In quale modo il musicista si scontronta con il valore dell’autenticità?
MARIO Ogni partitura e ogni musica può avere una grande forza emozionale e questa dipenderà anche da come riusciremo ad esprimere: una verità è sicuramente quella nella quale traspare la volontà dell’autore e dell’interprete spogliata da ogni forma di manierismo.
Il donare sé stessi, di cui ho accennato prima, è un “gioco”, un modo per cercare di evadere e di uscire dalla realtà, trovando un piccolo mare dove riconoscersi, una sorta di armonia esistenziale e rinascita che si identifica con l’esperienza dello spettatore, che viene ad un concerto per compiere insieme un viaggio, condividendo anche gli errori, la nostra umanità in cui riconoscersi.
Allora, si stabilisce una reciprocità e un rapporto di mutuo soccorso per entrambe le parti: potremmo definire l’esperienza un’illusione salvifica.
In ultimo e in primis mi rapporto sempre alla lettera di Amedeo Baldovino, splendido violoncellista, che ogni volta leggo con emozione: un testamento che parla del rispetto che si deve avere verso il proprio strumento e per gli altri, racconta ciò rappresenta il sax per me e che vorrei di seguito citare.
<< (…) Da quando cominciai a studiarlo all’età di cinque sino a oggi, a sessantacinque anni, ha occupato gran parte del mio tempo. Le stagioni della vita hanno trovato espressione in lui, mi è stato sempre accanto come la penna del mio pensiero e della mia immaginazione. È stato il mio educatore di umiltà. Quando volevo dominarlo dovevo avere pazienza, spirito di ricerca per trovare in lui la docilità. Unicamente nella creatività, e di conseguenza nel mio pensiero musicale, lui rispondeva positivamente. In ogni giorno della mia vita il sapere di avere qualche ora per stare con lui è per me un bene che nessuno può togliermi. Mi ha aiutato nella gioia e ben di più nel dolore da superare. Non mi ha mai tradito. Il tempo che ho dedicato a lui è diventato arricchimento di me stesso. Così la coscienza di aver fatto di lui il mio confidente e interprete nell’arco della mia vita è per me fonte di serenità, come un dovere compiuto. Devo inoltre ringraziarlo per avermi permesso di inserirmi nella società e averne avuto da questa, stima e rispetto. Ma soprattutto per avermi tolto ogni desiderio di fama e potere. Mi ha convinto che è buona norma cercare di fare sempre meglio una cosa, anche se umile. Sapere che ogni giorno può dare questa opportunità, anche se il cammino percorso è stato lungo e faticoso, può dare senso alla vita >>.
Filippo Dionigi, musicista e docente
Immagine di copertina: HG Studios, Fronde di colore
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