RIVISTA DI CULTURA MEDITERRANEA

Ferran Adrià, lo chef-filosofo tra poesia e scienza, di Raffaele Vertucci

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Nouvelle cuisine, cucina fusion, cucina molecolare, finger food: termini che fino a non molto tempo fa ai più suonavano esotici e perfino esoterici, sono ormai penetrati nell’immaginario popolare e nel lessico quotidiano; e mentre in tv si cucina a tutte le ore, gli chef superstar sono già autorità indiscutibili che sfornano non solo piatti prelibati. ma anche ricettari bestsellers a ripetizione.

C’è stato un momento preciso in cui l’arte culinaria ha fatto il suo ingresso ufficiale nel mondo dell’arte vera e propria: avvenne nel 2005, quando Ferran Adrià (il grande chef del ristorante catalano El Bulli) fu invitato ad esporre le sue creazioni di cucina molecolare a Documenta Kassel, una delle più prestigiose fiere d’arte contemporanea del mondo. La cucina molecolare (o cucina tecno-emozionale, come la chiama lui) è il non plus ultra della sperimentazione gastronomica, e si basa su raffinate formule chimiche; fino a quel momento, la cucina rientrava nella categoria dell’artigianato, anche se di alto livello.

Ferran Adrià nel ristorante El Bulli, 2007 (Wikimedia Commons)

La moda ha conosciuto lo stesso destino: ad esempio, prima di essere promosso al grado di artista, il fashion designer ha dovuto aspettare gli anni ottanta; fino ad allora era stato solo un ‘bravo sarto’. Parrucchieri e truccatori stanno oggi percorrendo la stessa strada, ovvero il passaggio del loro mestiere dallo status di artigianato a quello di arte. Da allora Ferran Adrià ha rivoluzionato la cucina contemporanea con le sue sferificazioni, azoto liquido, sifoni, Paco-jet. Le sue sono vere e proprie creazioni progettate per stupire gli ospiti, senza mai rinunciare a quella esperienza gustativa che è alla base della sua tecnica.

Adrià inventa, ad esempio, la “schiuma culinaria”, che oggi è usata universalmente nel mondo della cucina. I sapori, dolci o salati che siano, vengono racchiusi in soffici schiume mescolate con agenti gelificanti naturali. Una miscela che crea sorprendenti contrasti di sapori, di temperature e colori. La cucina molecolare è una vera e propria scienza del gusto, che porta con sé risultati unici. Niente è quel che sembra e i sapori stessi sembrano sintetizzarsi in soluzioni che provocano, deliziano, incantano, sorprendono. Perché mangiare è prima di tutto un’esperienza dei sensi. Se il riconoscimento a Ferran Adrià costituisce un punto d’arrivo, c’è però anche un ben preciso inizio in questa storia, che è senz’altro il Manifesto della cucina futurista (1931), a firma dei poeti Filippo Tommaso Marinetti e Fillia (pseudonimo di Luigi Colombo). 

Marinetti con alcune pubblicazioni futuriste (Wikimedia Commons)

La stesura dei manifesti e la loro diffusione erano fondamentali nella strategia del movimento futurista, che aveva appunto esordito con la pubblicazione sul Figaro, nel 1909, del Manifesto di fondazione del futurismo. Lungi dall’essere dei semplici vademecum su come rivoluzionare le varie arti, essi erano delle vere e proprie grida di battaglia in cui lo splendore geometrico della poesia marinettiana si esprimeva al meglio. 

Sperando di tornare sulla cucina futurista in un prossimo testo, lo spunto a questo articolo me lo ha dato, in ogni caso, la recente presenza a Milano del suddetto Ferran Adrià, lo chef catalano (che potremmo definire filosofo), di 62 anni, che con El Bulli in Costa Brava ha, come ho scritto dianzi, rivoluzionato la cucina cosiddetta contemporanea. Oggi sostiene il cambio di paradigma necessario al suo mondo: per lui la vera rivoluzione è la formazione. Una rivoluzione, inoltre, anche economica, fondata sulla sostenibilità. «In tanti – dice lo chef – vogliono aprire ristoranti, ma non sanno cosa proporre e non sanno neppure cosa sia un bilancio o cosa significhi food cost». Pertanto per Adrià l’alta cucina oggi vive «un momento di cambiamento evolutivo, fatto di ripensamenti e di confronto». E si salverà «Chi pensa di meno al piatto in sé e di più a essere imprenditore».

Con El Bulli, lui giovanissimo, in un certo senso si ribellò alla dittatura francese in cucina. Pur avendo massimo rispetto per la cultura gastronomica di quel paese, bisogna dire che sicuramente i francesi hanno dominato per secoli, hanno inventato loro i ristoranti, ci hanno insegnato le tecniche. A El Bulli lui ha “solo” portato in carta – e fu una rivoluzione, un terremoto – la Spagna e il Mediterraneo. «Ricordiamoci che fino a venti o trent’anni fa cozze e vongole, faccio un esempio, erano ignote nell’alta cucina», dice Adrià. 

La cucina di El Bulli

E allora per lui lo chef forse è un artista, nel senso che il suo lavoro origina creazioni, come quello dello scrittore, del poeta, dello scienziato che inventa e quando crea è solo con sé stesso, pur immaginando l’inimmaginabile. Ma Ferran Adrià non è più solo uno chef, pur non avendo studiato, da ragazzo. Ha cominciato come lavapiatti, che in fondo è una grande scuola. Oggi ha cinque lauree honoris causa, e potrebbe insegnare nelle università, poiché lo studio fa parte della sua vita. Legge, incontra, viaggia per capire di più. “Trovo utilissima pure l’Intelligenza Artificiale, non bisogna averne paura», ci dice a Milano. 

Il ristorante poi per Adrià non dev’essere un supplizio, ma deve anche invitare a sognare e a divertirsi!

Museo El Bulli (Wikimedia Commons)

Il suo El Bulli, chiuso dal 2011, è diventato ora El Bulli Foundation, un progetto formativo e una scuola da cui usciranno specialisti del settore gastronomico. Si chiama Macc – Madrid Culinary Campus ed è nata in collaborazione con la Universidad Pontificia Comillas di Madrid, diretta dalla Compagnia di Gesù. E lui continua a sostenere che «la formazione è il futuro, senza non si va da nessuna parte». E Milano ha un posto nel suo cuore, poiché è una città vibrante, internazionale, con persone come Paolo Marchi e Claudio Ceroni, fondatori di Identità Golose. Milano, inoltre, vanta piatti meravigliosi per Adrià, come il risotto con l’ossobuco, un piatto perfetto e completo, con amidi e proteine, oltre a essere identitario, semmai da degustare in una trattoria… che è differente dal ristorante di alta cucina, perché in trattoria il piatto è semplice, in un ristorante, invece, dovrebbe essere minimalista. Ovvero, con pochi ingredienti e tanta creatività.

Raffaele Vertucci, filosofo, docente presso l’Istituto Alberghiero “M. Alberini” di Lancenigo (TV)


Immagine di copertina
El Bulli (Wikimedia Commons)

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