Donne e violenza / Hannah, Rachel, Simone, “un altro sguardo sul mondo”
di Diego Lorenzi
Non so se sia utile dedicare una sola giornata alla condanna della violenza sulle donne, «concessa» dai detentori del potere istituzionale, culturale e sociale, ma affrontiamo la questione seriamente celebrando il rito del «minuto» di riflessione collettiva sul tema, come suggerito dalla ricorrenza (Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne dichiarata solennemente dall’ONU nel 1999 ricordando l’assassinio delle sorelle Mirabal nella Repubblica Dominicana nel 1960, che si erano opposte al regime del dittatore Trujillo).
Solo in Italia ogni giorno vengono uccise mediamente due donne, senza tenere in considerazione quelle che subiscono violenze domestiche, professionali, sociali, culturali, che si accompagnano spesso a problemi legati a emarginazione, subordinazione, stalking, dipendenza psicologica e morale. E tutte le campagne di informazione (a mezzo TV, stampa e web) servono a poco se non invertiamo la tendenza dominante, se non cambiamo il paradigma culturale, se non sminiamo il terreno dagli ordigni del disagio economico, dell’ingiustizia, delle diseguaglianze, della sopraffazione e dell’odio, dello squilibrio tra i sessi, delle disparità di trattamento e non bonifichiamo in profondità la vasta area dei conflitti.
Com’è evidente, si tratta di un processo e di una sfida gigantesca, che coinvolgerà tutti noi per lunghi decenni, perché è necessario cancellare prima di tutto lo stigma della diversità nelle relazioni tra donne e uomini – un marchio che ci trasciniamo da secoli –, procedendo alla decostruzione dell’immaginario femminile e maschile. Un compito non facile, ma l’unico possibile in una società classista, ancora fortemente sessista, attraversata e impregnata di cliché e stereotipi, ostaggio di pesanti condizionamenti culturali in senso reazionario e oscurantista.
Hannah e le altre
Comunque, approfittiamo della circostanza per segnalarvi come esempio di intensa testimonianza tra migliaia di donne che hanno rovistato tra le macerie culturali del Novecento con forza, coraggio e determinazione, il racconto in forma di saggio di tre di esse, fatto proprio dalla scrittrice Nadia Fusini in Hannah e le altre.
Si tratta di Simone Weil, Rachel Bespaloff, Hannah Arendt. Tre donne libere e forti che hanno discusso, scritto e parlato della violenza, del potere, della guerra, della «banalità del male», indicando e mettendo in pratica un vero percorso di liberazione dall’oppressione.
«Tutte e tre hanno vissuto gli stessi anni di guerre, totalitarismo e barbarie. Hanno affrontato le tempeste e i momenti più bui senza mai sottrarsi alla riflessione, all’impegno e alla ribellione. Simone e Rachel si sono sfiorate. Rachel e Hannah appena incontrate, eppure un forte quanto esile filo rosso ha intessuto la trama dei loro destini. Tutte e tre si sono confrontate con i grandi temi della violenza e del potere, ognuna secondo la proprie indole e mettendo in campo la propria biografia. Simone, Rachel, Hannah hanno scritto e trattato i propri testi come se fossero sogni, scritture della mente e del cuore, personalissime elaborazioni dell’atto di vivere che tratteggiano una strada verso l’esistenza. E sono arrivate a toccare la materia pulsante della vita» (Nadia Fusini, Hannah e le altre, Einaudi 2013).
Un libro sulla forza delle donne e sulle loro idee di giustizia, di libertà e di uguaglianza: «sorelle e amiche, che, ciascuna a proprio modo, hanno contribuito a salvare il mondo».
Note
Hannah Arendt nasce in Germania, da una famiglia ebraica. Studentessa di filosofia all’Università di Marburg, segue le lezioni di Martin Heidegger, con cui intreccia una relazione sentimentale, ma quando, più tardi scopre le simpatie naziste del filosofo, se ne allontana. La Arendt si laurea con una tesi sul concetto di amore in sant’Agostino, pubblicata nel 1929. Poiché l’avvento del nazismo le preclude, viste le sue origini, la possibilità di una carriera accademica, lascia la Germania e si trasferisce prima in Francia e poi negli Stati Uniti, dove risiederà fino alla morte. Tra le sue opere, Le origini del totalitarismo, Ebraismo e modernità e La banalità del male. La filosofa e storica tedesca muore a New York nel 1975.
Rachel Bespaloff (1895-1949), era un’ebrea ucraina emigrata in Svizzera, Francia e Stati Uniti, una filosofa non accademica di grande originalità e vigore, infilata sbrigativamente finora, dai pochi autori che se ne sono occupati, tra gli esistenzialisti. Di matrice giudaica, credente piena di dubbi («non c’è uscita tra ateismo e religione», scrisse), Bespaloff fu «marchiata a fuoco» dall’esperienza dell’emigrazione e del nomadismo, dalla condizione di esule, rifugiata, senza patria, sempre alla ricerca di una terra irraggiungibile. Due i luoghi principali dell’esilio: gli anni francesi (1915-1942) e gli anni americani (1942-1949, anno della morte per suicidio). È autrice di alcuni saggi, tra cui uno sull’Iliade e sul filosofo Martin Heidegger.
Simone Weil nacque a Parigi nel 1909 da una famiglia ebrea. Fu studentessa all’École Normale e insegnante di filosofia in vari licei. Militante dell’estrema sinistra rivoluzionaria, nel 1934, spinta dall’inderogabile esigenza interiore di conoscere direttamente le peggiori condizioni di vita dei lavoratori, troncò la professione e gli studi puramente teorici per lavorare come operaia alla Renault di Parigi: fu un duro ma per lei entusiasmante inserimento nella vita. Ammalatasi di pleurite, fu costretta a lasciare l’officina, iniziando un periodo cruciale di intimo ripensamento. Nel 1936 partecipò come volontaria repubblicana alla guerra civile spagnola arruolandosi nelle file anarchiche della famosa Colonna Durruti, accettando anche i servizi della cucina; ma in seguito ad una grave ustione a un piede dovette rientrare in Francia. Al 1937 risale la svolta mistica, che si traduce in una fede vissuta con grandissima intensità. Esclusa dall’insegnamento in seguito alle leggi razziali durante il regime di Vichy, fece la contadina fino al 1942, quando si rifugiò con la famiglia negli Stati Uniti dove fu molto vicina ai poveri di Harlem. Poco dopo, però, richiamata dall’impegno contro il totalitarismo, tornò in Europa ma nel 1943 morì a soli 34 anni nel sanatorio di Ashford in Inghilterra.
Fra gli ultimi libri pubblicati in Italia ricordiamo: Oppressione e libertà 1956; Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale 1997; La prima radice 1996; Primi scritti filosofici 1999; Piccola cara, lettere alle allieve 1996; Lezioni di filosofia 1999; Attesa di Dio 1998; L’ombra e la grazia 1996; Pensieri disordinati sull’amore di Dio 1984; Quaderni I, II, III, IV . In Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale , un saggio del 1934 ma pubblicato in Italia solo nel 1997, Weil descrive la condizione operaia e fa una critica radicale del capitalismo industriale.
Dipinto di copertina: Sêma Lao
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