NUNZIA La Prof.ssa Maria Rita Parsi è psicoterapeuta e docente universitaria, scrittrice, saggista e Presidente della Fondazione Movimento Bambino Onlus, già unico membro italiano del Comitato Onu dei diritti dei minori. Da sempre si occupa di adolescenti e porta avanti la difesa dei diritti dei bambini e delle donne, dei diversabili, degli anziani, anche in qualità di opinionista radiotelevisiva. La incontro in occasione della rassegna “Storie itineranti 2023”, un progetto culturale che curo per l’ufficio Politiche di Genere e di Pari Opportunità della Provincia di Rimini, al Teatro Villa di San Clemente, un piccolo borgo dell’entroterra riminese. Trovo una donna con una grinta incredibile ma, soprattutto, una donna libera, come anche lei ama definirsi.
Maria Rita, cosa sta succedendo nella nostra società?
MARIA RITA Per poter rispondere con chiarezza ci vorrebbe il supporto della “Treccani” poiché i punti da trattare sono molti! In radio e in televisione ci sono tempi assai stretti e spesso scelgo di parlare con brevi accenni alle trasformazioni che stiamo vivendo, mirati a stimolare riflessioni ulteriori in chi ascolta Oggi, vorrei, se riesco, approfondire meglio alcuni temi.
Illustro il primo e riguarda la famiglia, la prima agenzia educativa.
Ahimè, non esistono università per la Famiglia! Nessuno strumento viene dato ai genitori in modo sistematico, prioritario e normativo per comprendere come si può essere, diventare, “fare” i genitori per evitare ai figli disagi, regressioni, disfunzionalità. Così, sebbene ci siano ottimi genitori che fanno del loro meglio, alimentando l’equilibrio del loro rapporto di coppia e genitoriale, leggendo libri, frequentando corsi di formazione, ispirandosi, assai spesso, ai contenuti di film e di trasmissioni televisive, non esistono, però, “linee guida” scientifiche e umanistiche che vengono proposte, divulgate, condivise quale orientamento educativo per le famiglie e in tutela dei minori da far prevalere nella nostra comunità.
Oggi, peraltro, le famiglie sono molto cambiate. Il concetto di famiglia tradizionale è mutato. Settanta anni fa, ai miei tempi, essere una famiglia “tradizionale” implicava la scelta di sposarsi e rimanere insieme comunque. La donna era soggetta a forti limitazioni, come giungere vergine al matrimonio e poteva, addirittura, essere “punita” con il delitto d’onore in caso di adulterio (N.B. solo nel 1981 fu cancellato dal codice penale italiano il delitto d’onore). La contraccezione e l’aborto erano “peccati”.
NUNZIA Già, con la legge 442 si cancellava il delitto d’onore e il matrimonio riparatore; fino ad allora, gli uomini che uccidevano mogli, figlie o sorelle per “delitto d’onore” beneficiavano di un grosso sconto di pena.
MARIA RITA Se le donne, ieri come oggi, dovessero smascherare o punire ogni uomo adultero o traditore, ben pochi sarebbero gli uomini che rimarrebbero coraggiosamente a tener loro compagnia.
Le ragazze di cinquant’anni fa, come me, come tante altre, hanno lottato perché tutto questo cambiasse. Hanno lottato per avere la possibilità di scegliere se essere o non essere madri, e se rimanere legate ad un uomo che non le amava o che non si amava. Allora, cos’è cambiato? Nello stare insieme, da una parte ci sono famiglie tradizionali dove i coniugi si amano o nelle quali la coppia genitoriale, pur non avendo più un legame sessuale, continua a stare insieme perché il nucleo familiare persista. Dall’altra parte ci sono famiglie che stanno insieme anche confliggendo perché, altrimenti, nel loro ambito parentale e sociale, questo susciterebbe commenti malevoli, condanne o ripercussioni di varia natura. In questo caso, se si rimane insieme, per mitigare e gestire il conflitto, soprattutto in tutela dei minori e si vive da separati in casa, in quanto legati affettivamente e/o comunque timorosi dei riscontri sociali, soprattutto per le donne perché economicamente dipendenti, è necessaria una terapia di coppia. Altrimenti i figli sono destinati ad assistere ad un conflitto in cui il padre denigra la madre e viceversa. E, seppure infelici, si resta insieme e ci si adatta, per resilienza, a convivere. Ma, tanta insoddisfazione è pericolosa perché, se i genitori non sono consapevoli dei danni emotivi ed educativi che simili situazioni determinano, possono trasferirli all’intero nucleo familiare.
NUNZIA E per molti la psicoterapia rappresenta ancora un tabù.
MARIA RITA Quando ero giovane chi andava dallo psicanalista o dallo psicologo era considerato problematico, se non malato. In verità, chi va in terapia accetta di analizzarsi e di mettersi in discussione. E lo fa anche per chi, nella sua famiglia o nella sua coppia, non lo fa o non vuole farlo!
La psicologia, infatti, è la scienza della comunicazione e del comportamento e può fornire quegli strumenti di analisi ed interpretazione che aiutano a conoscere sé stessi e ad elaborare i traumi, i malesseri, i problemi che si hanno o che si potrebbero avere. Come, peraltro, già declinava la filosofia greca del “conosci te stesso”, avere la possibilità di una simile, profonda introspezione costituisce il segreto della felicità e della libertà umanamente possibile e consente di affrontare, coraggiosamente, difficoltà, problemi, traumi, dolori e, perfino le tragedie della vita, quando capitano. Per dire che, se non hai gli strumenti scientifici ed umanistici adeguati, diventa difficile essere consapevole di come sei, di come ti senti e pensi e, dunque, del come poter agire per fare liberamente le tue scelte, e il danno può essere grande.
Oggi, poi, oltre alle famiglie tradizionali, sono molte le famiglie “allargate”, cioè famiglie dove i membri di una coppia, dopo la separazione, hanno dato vita a nuove famiglie con nuovi partner e altri figli che debbono imparare a conoscersi e convivere tra loro. Esistono, poi, le famiglie “monoparentali” ove i figli crescono con un genitore, di solito la madre. In tal caso, i figli hanno bisogno, per crescere armonicamente, anche di riferimenti dell’altro sesso. Le famiglie “affidatarie” sono, invece, nuclei familiari che scelgono di accogliere in affidamento ragazzi/e che hanno bisogno di essere allontanati dalla loro famiglia di origine, in quanto quelle famiglie non sono in grado di assicurare loro un adeguato sostegno educativo ed affettivo. Ci sono “le famiglie adottive” (N.B. Peraltro, i genitori adottivi e quelli affidatari sono tra i più formati, anche perché sono preparati ad esserlo per poter assumere i compiti genitoriali!). E, ancora, ci sono “le famiglie arcobaleno” dove la coppia genitoriale è dello stesso sesso e “le famiglie virtuali”, novità assolute che meritano un discorso importante, più ampio e approfondito e, nel tempo, da approfondire.
NUNZIA Nell’incontro hai accennato anche alle famiglie interetniche. Che tipologia rappresentano questi nuclei?
MARIA RITA Le famiglie “interetniche” sono famiglie dove etnie e culture diverse debbono confrontarsi e fondersi, allorquando si forma una coppia che, diverrà, poi, anche una coppia genitoriale. In questo caso possono sorgere dei problemi in seguito alla difficile integrazione tra valori, usi, costumi, impostazioni spirituali, educative, familiari e sessuali, molto differenti tra loro. E che, assai spesso, riflettono un rapporto uomo-donna decisamente in contrasto con l’emancipazione femminile che ha, oggi, trovato, a differenza del passato, espressione e valorizzazione in tutti i settori della vita privata e familiare.
Infatti, anche in Italia come in Europa, in America e in altre parti del mondo non asservite a regimi teocratici, si è determinato un profondo cambiamento familiare, sociale, culturale, legale, spirituale che ha promosso la crescita e l’emancipazione femminile. Ma, in tante Nazioni del mondo questo cambiamento non è ancora avvenuto. E, anzi, perdura e diventa perfino pervasivo, soprattutto quando persone di etnie diverse dalla nostra vengono a stabilirsi ad esempio, in Italia e in Europa. Sapete quante mutilazioni genitali vengono, con gravi rischi per la salute psicofisica delle donne, illegalmente praticate, in Italia, alle ragazze, in Italia, nelle famiglie di rigida ed oltranzistica tradizione islamica? Quando si tratta di interagire con culture diverse è, pertanto, importantissimo che ci sia l’intervento della mediazione culturale, anche per tutelare le conquiste sanitarie, legali, spirituali, culturali, sociali ottenute dalle donne che si sono battute per ottenere, insieme agli uomini che le amano e le rispettano, la dovuta parità dei loro diritti.
NUNZIA Nel tuo libro “Contro il potere distruttivo di ogni guerra”, il sottotitolo pone una domanda: “Perché, assai spesso, da sempre affidiamo il governo delle Famiglie e delle Nazioni alla parte peggiore e malata di noi”?
MARIA RITA Perché non investiamo economicamente e non ci prendiamo cura in modo adeguato, e sistematicamente programmato, della famiglia, prima agenzia educativa. Infatti, cosa dovrebbero, anzitutto, offrire i genitori ai propri figli? Non i soldi, non le case, non le cose materiali, ma attenzione, salute mentale, formazione, l’ascolto, perché amarli non basta! E ancora, andare loro incontro, accogliere ed educare, essere un punto di riferimento valido, stabile, sereno, legale. Quello che i genitori dovrebbero donare ai figli, pertanto, è l’amore, l’accoglienza, le competenze. Queste qualità genitoriali si fondano sulla comprensione della storia, sentimentale e sessuale, sia della propria storia di coppia genitoriale che di quella dei loro genitori. Ovvero i nonni, che stanno alle spalle di un uomo e di una donna che si sono uniti per formare una nuova famiglia.
In pratica, è necessaria la rivisitazione e la messa in discussione dei copioni familiari e dei vissuti individuali e relazionali, per comprendere ciò che, da genitori, si può fare per dare il meglio ai propri figli. Quindi, la storia familiare, “storytelling”, a partire dai nonni dovrebbe costituire la prima delle ricerche e degli approfondimenti da fare. Poiché, se non conosco la storia di mio padre e di mia madre – che hanno generato me come figlio, me come figlia – e se non conosco la storia e le dinamiche note nell’ambito familiare in ragione delle relazioni coi miei fratelli, con i miei nonni, le mie zie, i miei zii, paterni e materni, non potrò, poi, capire, comprendere, analizzare, valutare in quale ambiente affettivo, sociale, culturale sono stato educato ed ho vissuto. E difficilmente potrò dare, consapevolmente e in maniera libera e autentica, un esempio ed un patrimonio educativo ai miei figli”.
Pertanto, bisogna avere queste informazioni e formarsi ricercando gli strumenti adeguati per farlo. Infatti, se si investisse, in ogni società civile, anzitutto e soprattutto sulla famiglia, prima agenzia educativa, e nella scuola, seconda agenzia educativa, in tutte le loro varianti, si potrebbe dare vita ad una concreta e fruttuosa “economia dell’anima” da contrapporre ai processi della narcisistica distruttività maligna, alle armi, allo sfruttamento lavorativo degli esseri umani, alla prostituzione, allo spaccio di droga ed alcool, alla criminalità. Tra l’altro si possono “fare grandi affari” con la prima agenzia educativa, la famiglia, e con la seconda agenzia educativa, la scuola, che è il ponte tra la famiglia e il sociale, capaci di fruttare e potenziare economicamente assai più di ogni altro investimento individuale e collettivo.
NUNZIA Come deve intervenire la seconda agenzia educativa?
MARIA RITA Dovrebbe cogliere tutti quei segnali che la famiglia, a causa dell’incompetenza, della povertà reale e/o culturale, sanitaria, legale, spirituale dei genitori, non riesce a cogliere. Le proposte che noi avanziamo con il progetto “La scuola al Centro” della Fondazione Movimento Bambino, ruotano intorno ad una scuola intesa come Centro Culturale Polivalente. Ovvero le scuole dovrebbero diventare ed essere degli “spazi culturali polivalenti”, aperti tutto il giorno, con poli museali, laboratori di ricerca e sperimentazione in ogni disciplina, palestre, biblioteche, mense al loro interno, perché ragazzi possano, in tal modo, rimanere a scuola gran parte del giorno ed essere educati alla Bellezza, alla creatività, all’uso virtuoso del virtuale. I ragazzi, pertanto, dovrebbero poter studiare, creare, approfondire le discipline teoriche, sociali, artistiche, legali, spirituali, scientifiche, sportive, assistere alla presentazione di libri, fruire di laboratori di scrittura, grafica, letteratura, musica, danza, teatro; vedere e produrre video acquisendo il piacere del sapere”. Ci dovrebbe essere, poi, nella scuola, di ogni ordine e grado, una stabile équipe antropo-psico-socio-pedagogica collegata alle realtà sanitarie, ricreative, spirituali, culturali, legali del territorio, anche per formare e sostenere costantemente gli insegnanti – che a loro volta devono essere anche economicamente riconosciuti con stipendi migliori e motivati all’aggiornamento – per poter cogliere, anzitutto, i segnali di disagio dei minori e per fare “da ponte” tra le famiglie e il sociale. In tal senso, oltre ad “Onora il figlio e la Figlia” (Edizioni Salani 2006), “Amarli non basta” ( Mondadori 2013), “La Scuola al centro” ( Pagine, 2024), “Il Manifesto del Movimento Bambino e i Decaloghi dei diritti inalienabili dei minori” ( Pagine,2024), consiglio di leggere “Anatomia della distruttività umana” di Erich Fromm.
NUNZIA Perché suggerisci questo testo?
MARIA RITA Perché sostiene che l’angoscia di morte è la madre di tutte le angosce, capace di partorire tutte le difese psicologiche che umanamente vengono messe in atto per ostacolarla. Il grande neuropsichiatra Prof. Giovanni Bollea, padre della neuropsichiatria infantile italiana, indicava tre fasi nella crescita di ogni essere umano. La prima è “La simbiosi” durante la gravidanza. Se la madre è felice o infelice, la felicità o l’infelicità passano al feto. Infatti, all’interno del grembo materno, il feto ascolta i suoni, sogna, soffre. Se la madre è felice, il futuro bambino o la futura bambina che verranno al mondo riceveranno quel piacere quale primario imprinting. Se la madre è depressa, viene picchiata, è spaventata, si sente negata; se non è economicamente autonoma, se ha sposato qualcuno che non ama o che non ama più o che non la ama; se non gode spiritualmente e sessualmente, il feto ne risentirà ancor prima di venire al mondo.
C’è, poi, il processo della “diade”, che dopo essere nati fa sperimentare, a chi viene al mondo, una totale dipendenza da chi si prenderà – di solito, la madre – cura di lui. Se un neonato non verrà amato, contenuto, nutrito, assistito, il rischio è che sperimenti un’angoscia di morte ed un senso abbandonico, quale “traumatico imprinting” che, crescendo, favorirà il disagio. E il neonato già lo avverte, tanto è vero che istintivamente, se ha un qualunque bisogno o disagio, piange ininterrottamente. ll pianto è un richiamo per comunicarlo. Step by step, poi, crescendo, il bambino comincia a sperimentare la sua capacità d’essere autonomo che, se viene assecondata, sostenuta e guidata, diventerà una capacità di rapportarsi, poi, alle regole, della “Triade” ovvero della “Legge del padre”, delle regole da rispettare per vivere con gli altri, con i pari e in comunità. Se questi passaggi non verranno rispettati, l’individuo tenderà a fermarsi, a non crescere, a rallentare, a non chiudere il cerchio dei suoi distacchi e cambiamenti, a regredire per meglio capire e per essere “risarcito” di quello che sente di non aver avuto.
NUNZIA Sarei curiosa di sentire, te, cosa pensi della tragedia di Giulia Cecchettin, uccisa in modo atroce da Filippo Turetta.
MARIA RITA Commentando questo ennesimo femminicidio, ho sottolineato tre cose: quella ragazza Giulia che cercava di assistere Filippo, il suo assassino – sia per un senso femminile, di maternale accoglienza, sia perché aveva paura di lasciarlo – era una persona che da poco aveva perso la madre. Ed era immersa nell’angoscia di morte di quella perdita. Aveva vissuto un’impotenza di fronte alla morte della madre contro la quale, lei come gli altri suoi familiari, nulla avevano potuto fare. Cosa può essere successo? Quel ragazzo le diceva costantemente “Io ho bisogno di te! Se tu te ne vai, io mi ammazzo”. Così, forse, se per la madre non aveva potuto fare niente, Giulia si è trovata nella condizione che, sentendosi attribuito il potere di dare aiuto ad una persona per consentire la continuità della sua vita, non ha saputo rifiutare di farlo. Altrimenti, si sarebbe sentita colpevole!
Quando ha cominciato a prendere le distanze da tutto questo, Filippo – che, peraltro, dormiva ancora con l’orsacchiotto, mancando i suoi familiari, forse, di adeguati strumenti di indagine e comprensione, e che, inoltre, diceva sempre “Io mi ammazzo” (ed anche a questo allarme nessuno nella sua famiglia aveva, forse, dato il giusto peso) – si è sentito abbandonato. Ha pensato di eliminare non sé stesso, ma la persona dalla cui presenza dipendeva. Un odio partorito dal suo senso di abbandono patologico. Come dire: “Ti do la morte perché senza di te anche io morirei. E uccido te per l’abbandono che è per me insopportabile”. Un abbandono che questo ragazzo sentiva di aver ricevuto nella sua vita molto prima e che non aveva potuto e saputo elaborare. E questo non giustifica in nessun modo ciò che ha fatto! E scontare la pena in carcere, sarà per lui l’unica, indispensabile possibile salvezza per elaborare la gravità di ciò che ha fatto. Attenzione, però, non si deve dire “è successo a lui”, poiché la questione riguarda tutti. È necessario cambiare le cose realmente perché gli strumenti per indagare, capire, prevenire sono a disposizione grazie alla scienza della comunicazione e del comportamento. Quindi, bisogna puntare l’attenzione sulle dinamiche relazionali in famiglia e a scuola e cominciare ad analizzarle, a decodificarle per prevenire, contenere, trasformare ogni eventuale disagio e degrado.
NUNZIA Da dove possiamo partire per cambiare?
MARIA RITA Dobbiamo partire dalla differenza tra uomini e donne. La radice di ogni vita è il corpo della madre. Il laboratorio neuro-bio-chimico che dà vita alle forme di vita è il corpo della madre. Se nasci femmina, quel laboratorio sarà anche tuo. I maschi provano un’attrazione così forte verso le femmine perché il corpo delle donne è il corpo dell’origine. Controllarlo è controllare il potere che dà la vita. I maschi sono fragili di fronte a questo potere e, se non lo riconoscono, ne sono dipendenti e camuffano la loro fragilità utilizzando, assai spesso, il controllo, la svalutazione, la sottomissione del femminile. Pertanto, vanno educati al come affrontare questa realtà che rende la vita complessa e dura per moltissime donne. Ma, invero, determinanti sono, poi, nell’educazione dei minori, bambini e bambine, anzitutto all’origine e, poi anche a scuola, le donne. Il maschile è allevato soprattutto dal mondo femminile. Dunque, sono proprio le donne che devono essere considerate, valorizzate, formate, per essere pronte a promuovere l’autonomia della condizione maschile dal femminile riconoscendone, ad integrazione, le caratteristiche e le peculiarità rispetto al mondo femminile. Per governarne dipendenze che possono determinare ed acquisire controllo, dominio, oppressione, violenze nei confronti delle donne. Solo così potrà esserci un equilibrio paritario e complementare. Non è un’utopia poter armonizzare queste possibilità, che darebbero soluzioni non solo alle famiglie, ma al mondo intero.
NUNZIA Grazie per il tempo che mi ha dedicato. Tanti auguri per il tuo lavoro, utilissimo.
Immagine di copertina HG Studios, L’accoglienza
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