RIVISTA DI CULTURA MEDITERRANEA

Carlo Scarpa / Sekiya Masaaki. Tracce d’architettura nel mondo di un fotografo giapponese, a cura di J.K. Mauro Pierconti

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Carlo Scarpa / Sekiya Masaaki. Tracce d’architettura nel mondo
di un fotografo giapponese

Presentazione della mostra che aprirà a Treviso presso Ca’ Scarpa
dal 15 aprile al 16 luglio 2023
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a cura di J.K. Mauro Pierconti, curatore della mostra e di Ca’ Scarpa

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L’opera di Carlo Scarpa (1906-1978) colta e interpretata da Sekiya Masaaki (1942-2002), ma anche l’architettura stessa come compresa all’interno del mondo di immagini del fotografo giapponese.
È attorno a queste due posizioni che ruota la mostra, che verrà inaugurata il 14 aprile alle 18 a Treviso, presso Ca’ Scarpa; e con essa il visitatore avrà l’occasione di girare letteralmente il mondo: dal Giappone degli anni ’80 alle rovine di Angkor Wat in Cambogia, per arrivare alla Vienna del primo Novecento di Otto Wagner e, infine, all’opera incompiuta su Carlo Scarpa, che rappresenta l’ultimo grande lavoro al quale si era cimentato.

Sekiya Masaaki, Tomba Brion, Il tempietto

La selezione dei temi è stata fatta in modo da creare precise polarità: l’attività come promotore di talenti sconosciuti e il genere della fotografia di strada; l’esordio come fotografo – ovvero gli scatti cambogiani –; l’opera più importante della sua carriera professionale, rappresentata dalla pubblicazione sull’architetto viennese Otto Wagner; e quindi il lavoro su Carlo Scarpa, che ha caratterizzato l’ultima parte della sua vita e che ha pure contribuito a saldare il legame di amicizia tra il fotografo e Tobia Scarpa, suo riferimento italiano.
Vista l’attenzione che Fondazione Benetton ha per l’opera di Carlo Scarpa, è stato dato particolare rilievo a quest’ultimo progetto di lavoro  – e questo sarà ancora più evidente nel libro che accompagna la mostra, con una serie di scritti che, a partire proprio dalle fotografie di Sekiya, ripercorre lo spazio e i temi dell’architettura scarpiana, soprattutto della Tomba Brion, opera centrale sulla quale lo stesso Sekiya aveva focalizzato la sua attenzione. Infatti, nel suo archivio, ben più di mille pellicole fotografiche riguardano quest’opera di Scarpa, da lui visitata in più occasioni nel corso degli anni.
Seguendo la serie di scatti fotografici, il visitatore si muoverà tra i pannelli con un movimento ondivago; movimento che si riflette anche nel continuo riferirsi della mostra, prima all’opera del fotografo e poi a quella dell’architetto, e viceversa, come due poli che rimangono sempre in comunicazione, ma a distanze variabili: dalla massima lontananza alla loro sovrapposizione.

Hattori Aiko, Lunch break

La mostra si divide in quattro sezioni, alloggiate nei vari piani di Ca’ Scarpa.
La prima sezione, al pianoterra, raccoglie immagini che raccontano uno spezzone dell’attività di Sekiya come promotore di talenti fotografici: è il caso di Hattori Aiko, fotografa di strada che ha realizzato una serie di reportage sulla vita di Tōkyō negli anni ’80.
Due i temi trattati: il mondo giovanile, tratto nelle sue espressioni ed esuberanze, e quello del lavoro, serio e rigoroso. Due realtà spesso considerate agli antipodi, ma ugualmente portatrici di energia, vitalità e solidarietà. E il teatro delle loro avventure è, appunto, la strada.

Hattori Aiko, Dancing Venus

Si tratta di immagini ancora inedite, ritrovate nell’archivio di Sekiya, forti dell’immediatezza e della vivacità di questo tipo di fotografia. I grandi pannelli in mostra avranno quindi un impatto sul visitatore, volendone catturare al tempo stesso lo sguardo e l’interesse, creando una sorta di paesaggio visibile da una certa distanza, per poi scoprire – sul retro di quelle grandi stampe – le fotografie nel loro formato originale.
Ognuno, quindi, potrà immergersi in quelle immagini – ciascuna delle quali racconta una storia, rappresenta delle vite – e nulla ne disturberà la visione.
Come strumento di supporto, una brochure che verrà distribuita all’ingresso, con pochi e brevi testi, la pianta dei vari piani con la disposizione dei pannelli e la lista delle fotografie in mostra con le rispettive didascalie.
La grande scala sospesa funge anche da elemento di stacco e di separazione tra sezioni diverse e successive.

Al primo piano trovano spazio la seconda e la terza sezione della mostra. E da qui hanno inizio le fotografie d’architettura di Sekiya.

Nella seconda sezione è allestita una selezione di scatti del suo primo lavoro fotografico, quello su Angkor Wat in Cambogia, quando era ancora uno studente universitario.
Le fotografie sono quasi tutte in bianco e nero. La ricerca è volta a scavare dentro a quelle rovine, consumate dal tempo e divorate dalla foresta: resti di un mondo perduto che, attraverso il nostro sguardo, ritornano potentemente alla vita.

La terza sezione è invece dedicata al lavoro più completo e importante dell’intera carriera di Sekiya in quest’ambito, e cioè l’opera monografica su Otto Wagner a Vienna, pubblicata nel 1998 in Giappone.
La qualità del lavoro, la chiarezza tecnica, la volontà e la finezza intellettuale emergono in questi scatti; basti osservare l’attenta definizione delle inquadrature, dei forti contrasti di luce oppure la scelta dei dettagli; alcuni scatti, poi, sono stati realizzati usando addirittura gru o elicotteri in tempi in cui in cui non esistevano ancora i droni.
In questo modo, Sekiya ha potuto offrirci delle visuali dei grandi edifici di Wagner, come le residenze sulla Linke Weinzeile o della chiesa di S. Leopoldo del tutto sorprendenti.

Sekiya Masaaki, Residenza al n. 38 della Linke Weinzeile di Otto Wagner

Gli ultimi due piani, in cui si snoda la quarta sezione della mostra, sono invece dedicati all’opera di Carlo Scarpa, il lavoro che ha impegnato Sekiya fino alla morte, avvenuta nel 2002.
Si tratta quindi di un lavoro incompiuto e che pertanto ha un carattere frammentario. Infatti Sekiya non riuscì a riprendere tutti gli edifici e i disegni dell’architetto veneziano, ma solo una parte.
Le migliaia di fotografie comunque presenti nel suo archivio rivelano una volta di più il suo modo di operare, fatto di un succedersi di campagne di ripresa, intervallate da periodi di correzione e di attenta selezione delle fotografie: un processo quindi di continuo raffinamento, quasi una decantazione portata avanti anno dopo anno che, se da un lato cattura e trattiene il mutare del tempo e delle stagioni, dall’altro si sforza di definire con precisione inquadrature ed esposizioni per far emergere l’architettura, che qui Scarpa ha caratterizzato secondo una serie di temi sparsi – ma connessi – all’interno dell’intero complesso. Ed è un racconto sulla vita dell’uomo, in tutte le sue sfaccettature: ci parla dell’amore, delle passioni – addirittura delle ossessioni –, per cui la figura del committente tende a mutarsi in quella di Scarpa stesso; ne derivano così i riferimenti all’arte, ai congegni meccanici, all’architettura anche di altri architetti, alle cose viste e ricordate, e dunque presenti in queste forme, studiate e lungamente meditate.

Sekiya Masaaki, Tomba Brion, Luci e ombre

Forse anche da questo deriva la sua predilezione, più volte espressa, per questo luogo.
Ecco dunque che le fotografie di Sekiya inducono a riflettere una volta di più sull’opera di Carlo Scarpa, per cui si è cercato di portare al visitatore una selezione – la più ampia possibile – dei suoi scatti, in parte proiettati all’ultimo piano.
L’incompletezza del lavoro di Sekiya a cui accennavamo prima, infatti, nulla toglie all’interesse e allo stimolo – che queste fotografie suscitano – di guardare con occhi rinnovati la ricchezza dell’opera architettonica, così come emerge ancora dal libro che, sotto diversi aspetti, amplia e consolida i contenuti della mostra.

Essendo poi una mostra fotografica, l’invito che viene rivolto al visitatore è semplicemente quello di guardare, lasciando che lo stupore – una delle caratteristiche della fotografia secondo le parole di Roland Barthes, e con esso la curiosità e anche il divertimento – possa farsi strada dentro di noi alimentando un nuovo interesse per l’uomo e la sua opera; perché lo stupore vero è quello che poi spinge, sollecita, la ricerca delle cose; e questa tensione continua è propriamente ciò che ha accomunato l’esperienza e il lavoro di Carlo Scarpa e di Sekiya Masaaki.

Questa mostra è la prima a nascere sotto il segno specifico di Ca’ Scarpa, realtà nata in seno alla Fondazione Benetton nel nome di Carlo e di Tobia Scarpa, e chiamata ad arricchirne il programma culturale sui temi dell’arte in generale e dell’architettura in particolare. Altre novità ed iniziative sono attese nei prossimi mesi. 

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Immagine di copertina
Sekiya Masaaki,
Tomba Brion, L’arcosolio di prima mattina
Tutte le fotografie provengono dall’Archivio Sekiya, Tōkyō

  • Mauro Pierconti

    J.K. Mauro Pierconti è uno storico dell’architettura formatosi all’Università di Venezia Iuav. Dopo aver insegnato alla VIU di Venezia ha conseguito prestigiose borse post-dottorato da parte della Japan Foundation e della Japan Society, svolgendo negli anni la sua attività di ricerca presso l’Università di Tōkyō e la Waseda University. Al presente, è curatore responsabile di Ca’ Scarpa a Treviso, presso la Fondazione Benetton Studi Ricerche. Ha pubblicato estensivamente sia su Carlo Scarpa che sull’architettura giapponese e ha anche prestato la sua opera per la realizzazione di documentari e mostre.