RIVISTA DI CULTURA MEDITERRANEA

Amitav Ghosh: «Viviamo nel mondo delle crisi multiple», di Eugenio Giannetta

[Tempo di Lettura: 4 minuti]

Per lo scrittore indiano «parlare
solo di “cambiamento climatico” è perfino
troppo restrittivo»

di Eugenio Giannetta

da Avvenire del 16 novembre 2019

 

          «Siamo alle prese con una straordinaria crisi planetaria». Parola dello scrittore indiano Amitav Ghosh, laddove straordinario non ha il significato di eccezionale e positivo, ma di allarmante e fuori dall’ordinario: «Questa crisi – continua Ghosh, in Italia per presentare il suo ultimo libro L’isola dei fucili (Neri Pozza, pagine 320, euro 18), domani a Milano in occasione di BookCity e lunedì a Torino per Aspettando il Salone – ha già fatto deragliare i sistemi politici di tutto il mondo, e ha creato una situazione senza precedenti. È chiaro che i giovani ora hanno capito le vere dimensioni della crisi, e stanno rispondendo con un senso di crescente urgenza, come è evidente da movimenti quali Extinction Rebellion e Fridays for Future». Dopo La grande cecità, saggio in cui affrontò – tra i primi a scriverne in modo significativo – il tema del cambiamento climatico e dei suoi effetti, interrogandosi anche sull’assenza di una narrativa a riguardo, Ghosh “rimedia” con questo romanzo, che però, come sottolinea, sarebbe riduttivo pensarlo solo come un romanzo sul clima: «Penso che parlare di “cambiamento climatico” sia troppo restrittivo. Ciò che stiamo affrontando ora è una convergenza di crisi multiple. Ora siamo in un momento, come dice Margaret Atwood, di “tutto cambia”. Ecco perché preferisco parlare di “crisi planetaria”. Spero che il mio libro rifletta questo».

          Il romanzo di Ghosh racconta la storia di Deen Datta, commerciante di libri rari a Brooklyn, nato nel Bengala, e di ritorno a Calcutta, dove si imbatte in Kanai Dutt, un parente che gli narra di Bonduki Sadagar, il cui significato in bangla vuol dire “mercante di fucili”. Secondo la leggenda, il mercante fece infuriare Manasa Devi, la dea dei serpenti, e il mercante tormentato fuggì sull’Isola dei fucili, ma raggiunto da Manasa Devi, fu poi costretto a erigere un tempio in suo onore. A partire da questa leggenda, per Deen inizia una sorta di migrazione, un viaggio che lo porta dall’India a Los Angeles, passando per Venezia (oggi più che mai al centro dell’attualità per via dell’allagamento che l’ha colpita), e fino a dove natura e profitto si incontrano e scontrano. Tra le varie tappe di Deen c’è appunto anche l’Italia, che è parte della genesi del libro di Ghosh: «Il libro è profondamente collegato a Venezia. Penso che il tempo che ho trascorso lì abbia molto a che fare con questa storia. Sono andato a Venezia per la prima volta nel 1981, per cui è un collegamento che c’è davvero da molto tempo».

          La narrazione del viaggio di Deen potrebbe poi essere anche un pretesto per raccontare i migranti climatici: «Ho parlato con molti migranti e rifugiati in Italia – spiega Ghosh – e nessuno di loro poteva essere descritto semplicemente come un “migrante climatico”. Ogni migrante con cui ho parlato in Italia ha insistito sul fatto che il suo viaggio fosse il risultato di molteplici fattori che si intersecavano: povertà, politica, razza, classe, tecnologia delle comunicazioni e molto altro. Nel considerare questi fattori è importante non essere riduttivi». L’importanza di non essere riduttivi, tira necessariamente in ballo un altro tema collegato ai cambiamenti climatici, ovvero il ruolo della politica: «Non è possibile sfuggire a questa realtà. In questo momento è chiaro che non fare nulla è un atto fortemente politico. Stando così le cose, è impossibile per gli scrittori e gli intellettuali non rispondere in qualche modo, altrimenti chiuderebbero semplicemente gli occhi ». Scrittori e intellettuali che nell’ultimo anno hanno affrontato anche altri grossi temi: Ian McEwan ha scritto un romanzo per parlare di Intelligenza Artificiale. Valeria Luiselli ne ha scritto uno per parlare di migrazioni. Ghosh per parlare di cambiamenti climatici. Ma perché la forma romanzo e non un saggio? «Sono un romanziere innanzitutto, per cui le mie preoccupazioni si manifestano naturalmente nei miei scritti. Ma devo insistere, L’isola dei fucili non è un “romanzo sui cambiamenti climatici”. Si tratta di molto più di questo: riguarda un mondo che viene ribaltato in molti modi diversi». Modi (e sforzi) che possono essere individuali o collettivi, come si evince anche dall’ultimo libro di Jonathan Safran Foer, ma qual è la reale differenza tra questi due impegni verso la crisi planetaria?

          «Le dimensioni della nostra attuale crisi – continua Ghosh – sono tali da non poter essere affrontate attraverso azioni individuali. In una situazione di guerra, ad esempio, sarebbe assurdo provare a rispondere apportando cambiamenti negli stili di vita individuali. Ciò che stiamo affrontando oggi è di portata ancora maggiore, quindi è inutile pensare di rispondere a questa situazione individualmente. Sono un grande fan di Greta Thunberg. È incredibile che differenza abbia fatto in brevissimo tempo. Ha ispirato i giovani di tutto il mondo. La cosa più notevole è che non sminuisce le sue parole, sta semplicemente dicendo la verità in un modo molto diretto». Una verità diversa da quella relativa ai cambiamenti climatici di trecento anni fa, ma in qualche modo in continuità con quella attuale: «La cosiddetta “Piccola era glaciale” del XVI e XVII secolo fu l’ultima grande anomalia climatica. E in quel caso ciò che è accaduto è stato un calo delle temperature medie globali, non un aumento, come sta accadendo ora. Tuttavia quell’anomalia ha portato a risultati catastrofici in tutto il mondo. Ciò che possiamo imparare da quel periodo è che le società umane sono molto più vulnerabili alle anomalie climatiche di quanto si pensi generalmente ». Nonostante ciò, il libro di Ghosh parla anche di speranza nel futuro: «Per me è stato molto stimolante leggere l’enciclica Laudato si’ di papa Francesco. Penso che non ci sia una migliore introduzione alla nostra crisi planetaria, soprattutto per la semplicità e l’umiltà con cui è scritta».

Articolo pubblicato il 16 novembre 2019 da Avvenire.it
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