RIVISTA DI CULTURA MEDITERRANEA

“SEPEITHOS” e “AKRÓASIS”: il theatrum phonosophicum ritorna a Yerevan con due lecture-performances / Intervista a Leopoldo Siano e Shushan Hyusnunts a cura di Mariam Hakobyan

[Tempo di Lettura: 18 minuti]

Per la serie di eventi multisensoriali “theatrum phonosophicum” al “Ground Floor” della State Philharmonia of Armenia, 29 marzo e 8 aprile 2024

Foto di Mane Hovhannisyan, dal ciclo FABULA (2017-2019)

MARIAM Dopo l’evento Fabula della scorsa estate con la mostra fotografica di Mane Hovhannisyan, in questo inizio di primavera 2024 siete tornati in Armenia per due nuovi eventi. Entrambi hanno un titolo un po’ enigmatico. Potremmo partire da qui?

LEOPOLDO “Sepeithos” e “Akróasis”. Hai ragione, entrambi i titoli sono in greco antico.

SHUSHAN È da esattamente un anno che viviamo a Napoli, come ‘researchers in residence’ al Museo Nitsch (Fondazione Morra). Vivere a Napoli, che è città “magnogreca”, è un’esperienza che non può lasciarti ‘illeso’…

Museo Archivio Laboratorio Hermann Nitsch, foto di Amedeo Benestante

LEOPOLDO Sepeithos è il fiume di Napoli. Anna Maria Ortese disse: ‘il mare non bagna Napoli’; mentre Ingeborg Bachmann (citando Shakespeare del “Winter’s Tale”): ‘la Boemia è sul mare’… Questa sembra altrettanto grossa, ma è proprio così: c’era una volta un fiume a Napoli… che ora – o meglio: da alcuni secoli – non c’è più. Numerosi fonti ne parlano.

Doveva sgorgare sul Monte Somma, mentre la foce era più o meno dove oggi si trova Piazza Municipio. Dunque il Sebeto – così è chiamato in italiano, ‘Sepeithos’ è il nome originario in greco –, questo fiume leggendario, divideva la vecchia città (Parthenope o Palepolis) dalla “nuova” città (Neapolis). Fatto sta comunque che – in seguito a evoluzioni geologiche e urbanistiche – il fiume a poco a poco si assottigliò, fino a rifugiarsi forse nel sottosuolo, nella Napoli sotterranea. Pure lì siamo scesi per metterci in ascolto di questo fiume…

SHUSHAN Di questo progetto tra poco ne parleremo più in dettaglio. Volevo solo aggiungere che a questo ‘ascoltare il fiume’ si ricollega anche il titolo del nostro secondo evento a Yerevan: “Akróasis”. Il termine è il “pendant” del greco ‘aisthesis’ (da cui deriva la parola ‘estetica’); significa ‘percezione’ nel senso però specifico della percezione aurale. “Akróasis” ha dunque a che fare con “l’ascolto del mondo”.

MARIAM Cominciamo per ordine, con il primo evento del 29 aprile: Sepeithos, “il fiume scomparso di Napoli”: una lecture-performance sull’ascolto epico per il Venerdì Santo.

SEPEITHOS, “il fiume scomparso di Napoli”: una lecture-performance sull’ascolto epico per il Venerdì Santo [Per la serie di eventi multisensoriali “theatrum phonosophicum” al “Ground Floor”della State Philharmonia of Armenia, Yerevan, 29 marzo 2024]

SHUSHAN Il titolo in sé rivela già molto.

LEOPOLDO E “vela” forse ancor di più…

SHUSHAN Con questa “lecture-performance” abbiamo raccontato la nostra esperienza di Napoli e di un nostro progetto (epico) “in progress” che ha a che fare con questa città, con “l’ascolto” della città.

LEOPOLDO Intendendo l’ascolto in senso ‘totale’, giacché non si ascolta soltanto con le orecchie, bensì con tutto il corpo, pure con la pelle, con il ventre, con i piedi eccetera. E l’inconscio ascolta. La sfida è la seguente: ascoltare l’inconscio di Napoli con il proprio inconscio.

lecture-performance SEPEITHOS (Yerevan, 29 marzo 2024), foto di Lia Petrosyan

MARIAM In che senso l’evento è stato concepito esplicitamente per il Venerdì Santo?

SHUSHAN Come sempre, con le attività del “theatrum phonosophicum” ci piace celebrare ritualmente l’anno, e cercare di sviluppare progetti che abbiano a che fare con le stagioni, con determinate ricorrenze, con i solstizi e gli equinozi.

LEOPOLDO La Pasqua, la festa di Resurrezione, viene sempre celebrata poco dopo l’equinozio, ossia la domenica dopo la prima luna piena di primavera. Col Venerdì Santo si celebra il sacrificio cosmico che avviene ogni anno: dopo la morte invernale si ha la resurrezione, la rinascita della natura. Gesù Cristo deve morire in croce affinché la vita del mondo possa essere rinnovata. In questo senso muore per noi. È il fatto tragico “par excellenc”e. La morte è necessaria per la nuova vita.

SHUSHAN Abbiamo cominciato (e terminato) la “lecture-performance” con una musica scritta appositamente per il Venerdì Santo, lo “Stabat Mater” di Giovanni Battista Pergolesi.

Mariam Hakobyan, bendata e con una spiga tra le mani, nella scena finale della lecture-performance SEPEITHOS, foto di Lia Petrosyan

LEOPOLDO Pergolesi era nato a Jesi, nelle Marche, ma fu napoletano d’adozione. Ogni giorno, nel centro storico, percorriamo le strade che egli stesso percorreva. Studiò al Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo, a Piazza dei Girolamini.

Nella medesima piazza dove abitò Giambattista Vico, che fu contemporaneo di Pergolesi, come altrettanto lo fu Johann Sebastian Bach, il quale ‘rubò’ la musica dello “Stabat” di Pergolesi per la sua cantata “Tilge, Höchster, meine Sünden” (BWV 1083). Sia Vico che Bach nacquero prima di Pergolesi e gli sopravvissero. Il povero Giovanni Battista ebbe un destino tragico: morì tubercolotico a 26 anni. Si dice che lo “Stabat” fu composto sul letto di morte. Siamo andati a vedere il posto dove lo compose e poi si spense, a Pozzuoli, al Convento dei Cappuccini. È assai toccante vedere il mare dei Campi Flegrei da quel punto in cui lo vide per l’ultima volta Pergolesi.

MARIAM Ma spiegatemi meglio: quel è stata la visione iniziale che ha portato alla realizzazione di Sepeithos?

SHUSHAN Come “theatrum phonosophicum”, dato il nostro background, ci siamo chiesti: qual è ‘il suono’ di questa città? Sin dal primo giorno che siamo arrivati abbiamo avuto questa idea, quella di indagare il ‘paesaggio sonoro’ di Napoli… Però non nel senso di un ‘ritratto di città’… Certo ispirati da John Cage, Pauline Oliveros, Francisco López e soprattutto da R. Murray Schafer, il padre dei “soundscape studies”, abbiamo cominciato con degli esercizi di ascolto e con delle ‘field recordings’.

LEOPOLDO L’idea, sin da principio, è stata quella di realizzare uno studio che è una sorta di ‘diario acustico’, qualcosa che stia a metà tra lo “Hörspiel” e l’installazione sonora: un flusso di suoni che duri 24 ore senza interruzione. L’idea è in parte ispirata da James Joyce: uno “stream of consciousness” che è uno “stream of sounds” …Joyce scrisse l’Ulysses che è la storia di un solo giorno, e poi il “Finnegans Wake” che è la storia di una notte. Noi ci siamo proposti di avere un flusso sonoro che includa entrambi, giorno e notte: un ‘libro di eventi sonori’ che si dipana nello spazio-tempo per ventiquattro ore.

MARIAM Già lo scorso anno, durante l’evento Joyce & Bach (omaggio a Peter Kubelka), ricordaste che i due filosofi preferiti di Joyce erano due napoletani: Giordano Bruno e Giambattista Vico.

LEOPOLDO Esatto. Ad un certo punto nel Finnegans Wake (287.23) si legge: “antiquissimam flaminum amborium Jordani et Jambaptistae mentibus revolvamus sapientiam”! E a Napoli, nel Medioevo, visse pure Tommaso d’Aquino, un altro pensatore che fu determinante per Joyce (vedi “Ritratto dell’artista da giovane”). Però a Napoli Joyce non ci andò mai. Me lo ha confermato Enrico Terrinoni, il più grande studioso di Joyce in Italia! Joyce, è risaputo, fu legato innanzitutto a Trieste. E visse anche per un periodo a Roma come impiegato in una banca, sette mesi e sette giorni che in seguito non ricordò con piacere… Ad ogni modo Joyce non si spinse oltre Roma. “Hic sunt leones”: mai fu al Sud. Chissà perché poi… Probabilmente non ne ebbe occasione, o ne ebbe timore. Napoli e la lingua napoletana l’avrebbero potuto stimolare. Il napoletano con tutte le sue influenze straniere (spagnolo, arabo, francese etc.) è già una lingua un po’ ‘finnegansiana’, se si vuole, una lingua che si presta alle sperimentazioni, al flusso di coscienza, alla fluvialità linguistica… Comunque sia, Joyce non è mai stato a Napoli, e con questo nostro progetto volevamo dare all’irlandese l’opportunità di andarci, di farlo passeggiare per Napoli, di fargli ascoltare la città, di prestargli le nostre orecchie, in cambio, qualche volta, di scambiarle con le sue…

SHUSHAN Il “Finnegans Wake” di Joyce ha una struttura circolare, comincia nel bel mezzo di una frase con la parola (inventata) ‘riverrun’ e termina altrettanto nel mezzo di una frase che si ricollega all’inizio. Così, idealmente, si dovrebbe ricominciare la lettura daccapo.

LEOPOLDO In molti lo hanno considerato illeggibile. Lo sperimentalismo della lingua del “Finnegans Wak”e porta alla poesia concreta e alla “sound poetry”, alla poesia intesa come puro suono. Si pensi alla “Sonate in Urlauten” di Kurt Schwitters, al Dadaismo, al Lettrismo, fino a Henry Chopin o Gerhard Rühm. Centrale non è il significato, ma la sonorità delle parole, il ritmo, le parole come suoni e il potere evocativo-associativo di esse o espressivo in sé. Dunque ci possono essere libri scritti ‘acusticamente’; non ‘audiolibri’ comunemente intesi, ma purtuttavia ‘libri da ascoltare’. François Bayle, non a caso, parla di ‘écriture acousmatique’.

MARIAM Un ‘libro acustico’ di 24 ore?

SHUSHAN È proprio la dimensione epica dell’ascolto che ci interessa, l’immersione in un flusso di suoni – e silenzi – per lungo tempo. Ascoltare per dieci minuti o per tre ore comporta una differente qualità dell’esperienza.

MARIAM Ma chi sarà capace di ascoltare per 24 ore di fila?

LEOPOLDO Non è detto che si debba ascoltare in maniera continua. Per fare l’esperienza di un fiume non bisogna necessariamente viaggiare dalla sorgente alla foce: basta sedersi alla riva, in qualsiasi punto, e osservare, ascoltare. Per quanto tempo si vuole, a proprio piacimento. Nel qui e ora si sarà fatta l’esperienza – completa – del fiume.

SHUSHAN Dunque come si diceva, “Sepeithos” non è un ‘ritratto di città’, piuttosto un tentativo di ‘ascolto profondo’ della città…

LEOPOLDO Che è anche un ascolto dell’inudibile: del suono dietro tutti gli altri suoni, dello spazio, del mistero, del flusso dei secoli e dei millenni… e, perché no? …anche della ricchissima tradizione musicale della città. Tutto ciò che è scomparso è ancora qui in qualche modo, ed è parte “dell’harmonia aphanes”, della grande polifonia inudibile. Se ci sediamo in una stanza, tutto sembra tranquillo attorno a noi, fermo, ogni cosa al suo posto, eppure tutto è in perenne movimento e trasformazione… È il ‘pánta rheî’ di Eraclito. Perciò “Sepeithos”, il fiume… Una volta dei traduttori cechi avvicinarono Joyce per chiedergli di poter tradurre il “Finnegans Wake”, ma Joyce si oppose: disse che la sua opera non era scritta né in inglese, né in francese né in tedesco né in irlandese: “Anna Livia non parla nessuna di queste lingue”, disse, “lei parla la lingua del fiume”. Joyce, negli ultimi anni, era ossessionato dai fiumi, dai nomi di fiumi che collezionava compulsivamente. Soltanto nell’ottavo capitolo del primo libro del “Finnegans” gli studiosi hanno rintracciato allusioni a circa 800 fiumi! La sua stessa lingua diventa fiume, diventa musica, pura sonorità fluente… Da qui l’idea di un libro acustico in progress su Napoli, fatto di tante cose diverse, di materiali eterogenei: di field recordings, di citazioni, di propri suoni, ‘mixing memories and desires’, come diceva T. S. Eliot. Molto ci ha aiutato l’organista Canio Fidanza, con i suoi racconti e i suoi suoni. Molto è ancora da sviluppare… Insomma, questa lecture-performance a Yerevan è stato una sorta di collage rituale per il Venerdì Santo, una giustapposizione di immagini che hanno a che fare, associativamente, con la nostra esperienza di Napoli.

SHUSHAN Dopo aver fatto numerose “field recordings” per strada ci siamo resi conto che a Napoli oramai il paesaggio sonoro, durante il giorno, è dominato dal rumore del traffico.

LEOPOLDO Beh, questo vale per la maggior parte delle città del mondo, lo aveva notato Murray Schafer già negli anni Settanta.

SHUSHAN Però a Napoli per di più vi sono milioni di motorini che sfrecciano da ogni angolo!

LEOPOLDO Al mattino presto e di notte chiaramente è diverso. Perciò è di solito più interessante fare registrazioni di ‘interiori’, di spazi sotterranei, di cortili, di parchi… Facendo le registrazioni ci siamo comunque resi conto che non ci interessava il paesaggio sonoro inteso soltanto nel senso di Murray Schafer.

SHUSHAN Napoli è una città dai forti contrasti, dove convivono gli opposti: certo può essere molto caotica e assordante, ma d’altra parte spesso basta voltare l’angolo, entrare in un cortile, in una chiesa, in un vecchio palazzo, salire su una scalinata o sulla Vigna di San Martino, e si esperiscono silenzi mistici impossibili altrove… Walter Benjamin, insieme ad Asja Lacis, scrisse un folgorante saggio intitolato “Napoli porosa”. Il tufo, il tufo giallo, è la pietra di Napoli: estremamente friabile. La porosità! Napoli è estrema pienezza, ma anche vuoto. È costruita su enormi spazi vuoti. “L’horror vacui” del Barocco… A Napoli, ‘città porosa’, vi è la convivenza e la compenetrazione degli opposti: rumore e silenzio, Eros e Thanatos, luce e oscurità. Napoli è la città del sole, ma coloro che vivono nei vicoletti stretti, nei “vasci”, il sole non lo vedono mai! A Napoli il giorno feriale assorbe il festivo, la miseria si mescola al lusso aristocratico, il Cattolicesimo al Paganesimo…

Particolare da uno dei tavoli installativi della lecture-performance SEPEITHOS, foto di Liana Sahakyan

LEOPOLDO Napoli è città regale “par excellence”, monarchica e anarchica, reale e irreale; la città del sangue, dell’odore del miele e dell’alloro, città magica in cui gli opposti convivono in un’armonia superiore: aristocrazia e popolo, affetto e crudeltà, sacralità e oscenità. V’è una mescolanza continua del basso con l’alto e dell’alto col basso. Nella “Tabula Smaragdina” si legge: “quod est inferius, est sicut quod est superius, et quod est superius, est sicut quod est inferius: ad perpetranda miracula rei unius”. In questo senso Napoli è città alchemica.

MARIAM E infatti durante la lecture-performance avete parlato di diversi filosofi-alchimisti che vissero a Napoli (Giordano Bruno, Giovanni Battista della Porta, Raimondo di Sangro…) mostrando gli intrecci delle loro esistenze con gli splendori e i drammi di musici quali Pergolesi o Gesualdo. E avete raccontato inoltre di un artista contemporaneo assai ispirato dall’opera di Giordano Bruno.

Giuseppe Zevola nella sua Domus Muta

LEOPOLDO Sì, Giuseppe Zevola, un immenso artista, la cui casa di via Atri 3 è una strabiliante “Wunderkammer,” un luogo delle meraviglie, una casa come “Gesamtkunstwerk”, come opera totale da vivere, superando – in maniera d’altronde naturalissima (con la sprezzatura del gran signore) – lo iato tra arte ed esistenza quotidiana. La sua opera è la sua casa. In questo senso, sottintendendo la ‘vita come opera d’arte’, la sua casa ‘unica’ può essere paragonata ad altre ‘case della vita’ quali la ‘Prioria’ di Gabriele D’Annunzio a Gardone di Riviera, quella di André Breton a Parigi o ancora quella di Sergej Parajanov a Tblisi, ma spingendosi ancora un po’ più in là, in direzione di una poesia cosmica. Da seguace di Giordano Bruno e dell’ars memoriae, Zevola suggerisce che la sua casa può essere visitata come un ‘teatro della memoria’ (vedi anche Giulio Camillo), “un insieme di luoghi (loci) dove vivono e agiscono immagini (imagines agentes)”. La sua casa è il suo teatro e si chiama ‘Muta Domus’, in senso duplice: è una casa silenziosa, ma anche una casa in cui tutto muta sempre. Mettere piede in questa ‘casa-teatro’ è ogni volta un’esperienza straordinaria. La sua casa in un certo senso rappresenta l’‘inconscio di Napoli’: un surreale o trans-reale assemblage di oggetti e immagini che nasce attraverso visionarie giustapposizioni e sovrapposizioni. Il principio del collage è per Zevola linea guida.

La casa di Giuseppe Zevola in via Atri 3

SHUSHAN E Zevola ha dedicato ultimamente un collage proprio a Joyce, come contributo per una pubblicazione dell’editore Cronopio, costruendo questo suo collage a partire da una vecchia mappa di Dublino, la città natale di Joyce. Attraverso libere associazioni mette in scena il cosmo poetico di Joyce, i suoi riferimenti, i suoi “leitmotive”.

Giuseppe Zevola, De infinito universo e mondi (collage-omaggio a James Joyce)

LEOPOLDO È un procedimento che mi pare tipico di Giuseppe Zevola: combinare brunianamente frammenti di infinito con altri frammenti di infinito.

Questo progetto Sepeithos ha per certi versi a che fare, alla lontana, col mondo di Zevola: Napoli come ‘chaosmos’, neologismo finnegansiano: cháos e kósmos al contempo, dunque disordine e ‘ordine bello’ (ciò significa ‘kósmos’ in greco antico), Napoli come ‘bella confusione’ (la ‘schöne Verwirrung’ di Friedrich Schlegel), però senza dimenticare che ‘caos’ in Esiodo non è il disordine, bensì una concavità, un abisso… E qui mi viene in mente una testimonianza di Erpidio A., un paziente internato nell’Ospedale Psichiatrico ‘Leonardo Bianchi’ di Napoli: “Voi non la sentite, vero? Non la vedete, non capite… Eppure sta là, è sempre lei, la stessa da sempre… tutte le vibrazioni che ci avvolgono, che ci tengono in contatto con gli altri mondi, che guidano le nostre vite, le nostre anime, partono o passano tutte da questa assurda città costruita sul fuoco e sull’acqua… una città che non esiste…”.

MARIAM Come si spiega il fascino di Napoli?

LEOPOLDO Napoli è una città che ci ammalia, ma ovviamente non in senso turistico – anzi l’incremento del turismo negli ultimi tempi, un turismo becero per lo più, sta sfigurando il centro storico. Diceva bene Roberto Calasso ne “L’innominabile attuale”, che turisti e terroristi sono quasi la stessa cosa… Il turista è il contrario del viaggiatore. Il viaggiatore si apre all’ignoto, all’ “inconnu” (nel senso di Baudelaire e di Rimbaud), all’inatteso: presta attenzione all’altro – il viaggio è avventura della conoscenza; mentre il turista vuole soltanto consumare, ‘divertirsi’ e stare comodo. E invece di guardare, di guardare e ascoltare veramente, scatta fotografie e fa video con lo smartphone. Per poi tirare dritto e passare oltre, senza cura. Ma stendiamo veli pietosi su questo… La Napoli che ci interessa è la Napoli misterica, la Napoli che rimane invisibile ai più. Ci interessa l’inconscio e l’altrove di questa città: la Napoli velata, la Napoli segreta, la Napoli magica. Napoli diventa per noi un po’ ciò che Parigi fu per i Surrealisti o per Walter Benjamin. Napoli come terreno di esperienze psicomagiche e come scenario di vicende mitiche: basta prendere un traghetto all’alba per raggiungere Ischia e ce ne si rende conto… Come disse Salustio dei miti: “Queste storie non avvennero mai, ma sono sempre”.

SHUSHAN Abbiamo cominciato ad andare in giro, e pian piano ci siamo addentrati in strati sempre più profondi della città. Ma non solo: ci siamo messi a studiare la città e la sua storia. SEPEITHOS è un “work in progress”, un progetto che durerà forse anni, un modo per studiare la città attraverso l’ascolto, un modo per mettersi in ascolto anche dell’invisibile e dell’inudibile, di secoli e millenni, dell’ampio mareggiare della storia umana e cosmica. ‘Phonosophia’ è da noi appunto intesa come ‘conoscenza attraverso l’ascolto’.

LEOPOLDO A Napoli convivono una accanto all’altra o meglio ancora una sull’altra, miriadi di micro-realtà. Napoli è una ‘città verticale’; è di una verticalità impressionante. È composta da innumerevoli strati, a partire dalla Magna Grecia, passando per l’Impero Romano, il Ducato bizantino, il Medioevo, il Barocco, il Settecento, l’Ottocento e il Novecento e chi più ne ha più ne metta. Napoli, nel suo caos sincretistico, è un “melting pot”, una città unica, vitale e tragica. È stata il teatro di tantissime vicende, di splendori e tragedie… Parecchi avvenimenti li conosciamo dalle cronache storiche, molti altri sono per sempre dimenticati. Comunque di tutto ciò che è accaduto in questa città, dei personaggi e degli spiriti che l’hanno abitata, resta una scia… Il destino di ogni cosa, di ogni essere, è di apparire, cioè di nascere, di avere una sua durata e poi di scomparire, di essere riassorbito nello spazio infinito che ci circonda. Tuttavia ciò che è scomparso in un certo modo è pur sempre qui, conservato nella memoria cosmica dell’“akasha”, direbbero gli antichi indiani e i teosofi…

MARIAM E perché per voi è così importante cercare ciò che è scomparso?

LEOPOLDO L’arcaicità non ha a che fare soltanto con il passato. A me piace parlare del ‘presente arcaico’, di ciò che – nonostante tutto – è sempre presente. L’antica Neapolis ha un campo magnetico assai forte. È una città che ha attirato innumerevoli personalità da tutto il mondo, impossibile elencarle tutte; giusto per menzionarne qualcuna a noi assai vicina: Goethe, Wagner, Beuys, Hermann Nitsch…

SHUSHAN A proposito di Nitsch si può ricordare che un viaggiatore francese del Seicento, Jean Jacques Bouchard, definì Napoli come ‘urbs sanguinum’, la città del sangue, per la presenza di innumerevoli reliquie e ampolle di sangue. Celeberrima è la liquefazione prodigiosa del sangue di San Gennaro; meno nota è la liquefazione del sangue di Santa Patrizia, la patrona di Napoli, “pendant” femminile di San Gennaro. Il corpo e il sangue della Santa si trovano nella Chiesa di San Gregorio Armeno, la stessa chiesa dove si trova il teschio di Grigor Lusavorich, San Gregorio l’Illuminatore…

LEOPOLDO Pensa un po’, il santo più importante degli armeni si trova proprio a Napoli. Quindi qui (a parte il fatto che Napoli si trova più o meno alla stessa latitudine di Yerevan) troviamo un segreto legame tra Napoli e l’Armenia… Io, in realtà, ho una sorta di ‘sacro timore’ a parlare di Napoli. È un po’ rischioso… Noi, in fondo, Napoli, la conosciamo ancora troppo poco. Di recente, l’abbiamo scoperto appena, è uscito un nuovo libro di Antonella Cilento intitolato “Il sole non bagna Napoli”. Un libro splendido, che ci trova in profonda risonanza. Una lettura che arriva nel momento giusto.

SHUSHAN Beh, ciò che ci aiuta è l’essere qui ‘stranieri’, ovvero una certa distanza pur standoci dentro.

LEOPOLDO Sì, perché tutto sommato, dopo tanti anni in Germania e poi in Armenia, sono qui ormai ‘straniero’ anch’io. Ho vissuto la maggior parte della mia vita altrove, e ora essendo ritornato per rocambolesche vicissitudini, trovo una realtà che al contempo mi è familiare e aliena.

MARIAM Un ‘ritorno’, come quello di Ulisse…

LEOPOLDO Il “nostos” di Ulisse è un po’ diverso… però in fondo ciò che mi lega a Napoli e a questa regione (in particolare dai Campi Flegrei al Cilento, includendo le isole) è proprio il sostrato greco. Sono del Sud nel senso che sento di appartenere alla Magna Grecia. Cogito ergo sud… Un grande nostro ispiratore degli ultimi anni è Angelo Tonelli, eccellente studioso, poeta, traduttore e uomo di teatro, che si dedica da decenni indefessamente all’eredità sapienzale dei Greci, alla grecità in noi come qualcosa di inscritto nel nostro DNA e che non dobbiamo trascurare… Napoli è greca. Fu fondata dai greci e rimane greca pur essendo tante altre cose. Si pensi alla scena iniziale de “Lo cunto de li cunti” di Giambattista Basile: vi è Zosa, la figlia del re di Valle-pelosa, che è malinconica: non ride mai. Il padre fa di tutto per cercare di rallegrare la figlia, ma niente… finché, per caso, una vecchia donna alza la veste scoprendo “la scena boscareccia”, cosicché la giovane Zosa quasi venne dalle risa. È chiaro che qui si evoca Baubo che scopre la sua vagina e così fa ridere Demetra, liberandola finalmente dallo scoramento per la perdita di Persefone.

MARIAM Con questa lecture-performance a Yerevan avete dunque raccontato di un progetto in progress, ma al contempo essa aveva una sua propria forma, un’identità in se stessa come ‘evento’, essendo stata concepita per il Venerdì Santo.

SHUSHAN Sì, ogni volta che veniamo a Yerevan vogliamo condividere qualcosa con i nostri amici armeni attraverso uno “story-telling” che prende spunto da oggetti, piccoli strumenti musicali, sostanze, atti poetici, suoni registrati. Abbiamo raccontato la nostra esperienza di Napoli lasciandoci condurre dalle libere associazioni dei nostri propri sentieri immaginativi e di pensiero, anche in maniera talvolta giocosa, e facendo ascoltare parti di questo “work in progress”.


MARIAM Veniamo ora al secondo evento, quello dell’8 aprile 2024: Akróasis, dalla cicala a Maria Callas… (omaggio a Marius Schneider), una lecture-performance in quattro parti: 1) Acqua, 2) Terra, 3) Fuoco, 4) Aria.

LEOPOLDO Se “Sepeithos” è stata una “lecture-performance” sull’ascolto epico, “Akróasis” è invece una “lecture-performance” epica sull’ascolto del mondo.

MARIAM Il sottotitolo non è meno sibillino: ‘dalla Cicala a Maria Callas…’.

SHUSHAN ‘Akróasis’, come dicevamo, in greco antico indica la ‘percezione acustica’. “Akróasis” è tra l’altro il titolo di un libro di Hans Kayser, il fondatore della cosiddetta “Harmonik”, l’‘armonistica’, una disciplina neopitagorica nata nel secolo ventesimo che indaga la serie degli armonici (gli ‘overtones’) in tutti gli ambiti del creato: dalla biologia alla cristallografia, dall’astronomia all’architettura: per esempio Kayser scrisse un libro in cui palesa come i templi greci di Paestum furono costruiti consapevolmente sulla base di intervalli musicali.

AKRÒASIS … dalla Cicala a Maria Callas… (Omaggio a Marius Schneider). Una lecture-performance in quattro parti: Acqua, Fuoco, Terra, Aria
[Per la serie di eventi multisensoriali “theatrum phonosophicum” al “Ground Floor”
della State Philharmonia of Armenia, Yerevan, 8 aprile 2024]

MARIAM Tuttavia questa lecture-performance è stata un esplicito omaggio non a Hans Kayser, bensì a Marius Schneider.

SHUSHAN Sì, al grande studioso tedesco che per tutta la vita indagò cosmogonie e simboli acustici, cercando di dimostrare come l’origine e l’essenza di tutte le cose sia sonora, cioè che il mondo stesso è musica.

Leopoldo Siano durante la lecture-performance AKRÓASIS suona uno strumento costruito da Walter Maioli, foto di Lia Petrosyan

LEOPOLDO ‘Something always happens’, diceva John Cage… Questa “lecture-performance” è stata concepita in quattro parti, ciascuna da 45 minuti: ognuna di esse dedicata ad uno dei quattro elementi (acqua, terra, fuoco, aria). In un viaggio epico attraverso suoni, oggetti, strumenti e sostanze assemblati nello spazio su quattro tavoli (nord, sud, est, ovest), abbiamo raccontato per così dire la storia del mondo “sub specie sonoritatis”. L’evento è durato quattro ore. E nelle pause tra una parte e l’altra, venivano mostrate delle registrazioni video di interviste storiche a Maria Callas.

MARIAM Ma perché… la Callas?

LEOPOLDO Beh, perché la Callas… perché è divina, e perché l’anno passato correva il centenario dalla nascita. Questo è già un buon motivo…

MARIAM Cercate di chiarire meglio.

SHUSHAN Con questa “lecture-performance” abbiamo cercato di connettere le ricerche di Marius Schneider (sulla musica primitiva, sugli archetipi sonori etc.).

LEOPOLDOmalgré lui!

SHUSHAN … alla “musique concrète” e all’acusmatica, agli studi sul “soundscape” e alla “sound art” in generale. E facendo questo abbiamo cercato di mostrare come vi siano svariati modi di cantare, che non c’è solo il ‘bel canto’. Dunque non è solo Maria Callas a cantare, ma anche gli animali, le piante, i pianeti, gli elementi della natura, e financo le pietre… E infatti un famoso libro di Marius Schneider è intitolato “Singende Steine” (‘Le pietre che cantano’). Durante queste quattro ore abbiamo ascolto suoni d’uccelli, di cicale, locuste, grilli, rane, vacche, campanacci, raganelle, delfini etc., come anche Rain Forest di David Tudor, La sete dell’orecchio di Walter Marchetti, ma pure Bach, Josquin e le polifonie pigmee, la musica primitiva dell’Oceania e del Guyane, il “kecak” balinese e il “gidayu” giapponese: poi il suono del metallo, del fuoco, dell’acqua, del vento, delle pietre, delle ossa, del legno e tanti altri suoni dalla nostra ‘Sonoteca Phonosophica’. E tutti questi suoni erano sempre connessi a storie, a memorie (autobiografiche e non) e a riflessioni antropologiche e filosofiche.

Shushan Hyusnunts durante la lecture-performance AKRÓASIS:
‘musica d’autunno’ con foglie secche e ramoscelli, foto di Lia Petrosyan

MARIAM Il pubblico è sembrato molto attento e concentrato, nonostante la lunghezza e i continui salti pindarici dai mondi delle musiche arcaiche alle pratiche sperimentali degli ultimi settant’anni, da Marius Schneider a Murray Schafer e Pierre Schaeffer…

LEOPOLDO Giusto sul principiare del “Solfège de l’object sonore” Pierre Schaeffer presenta due brevi eventi sonori: una melodia di suoni armonici suonata da uno strumento primitivo, l’arco a bocca, dopodiché segue un ulteriore esempio: cinque suoni elettronici e la riflessione di Schaeffer: “Telle est, à l’aube de d’un nouvel âge, électronique, la mélopée du studio de Cologne. Étrange retour au sources” …Questa enigmatica considerazione non viene ulteriormente approfondita; Schaeffer passa frettolosamente ad altro, quasi come se stesse per rivelare un segreto. L’ascoltatore del Solfège non ha nemmeno il tempo di soffermarvisi. Schaeffer parla di un ‘étrange retour au sources’, di uno strano ritorno alle origini, compiuto proprio grazie alla musica elettroacustica.

MARIAM In che senso?

LEOPOLDO Una risposta la troviamo in un libro di Schaeffer apparso quindici anni prima, “À la recherche d’une musique concrète”; in una nota a piè di pagina si trova, quasi occultata, questa considerazione: “Je ne fais qu’indiquer, en passant, mais j’y attache personnellement une trè grande importance, l’étrange rencontre de la musique concrète et des musiques dites primitives. C’est bien l’occasion de reconnaître que les extrêmes se touchent […] (Éditions du Seuil: Parigi 1952, p. 193).Gli estremi si toccano, dice Schaeffer.

MARIAM In che cosa consiste questa affinità tra musica concreta e le musiche cosiddette ‘primitive’?

LEOPOLDO Innanzitutto nel forte potere di penetrazione psichica dato dalla intensa concentrazione sulla complessa vita interiore del suono in sé. Con la musica elettroacustica l’attenzione torna al puro ascolto e v’è una ‘riconquista’ e rivalorizzazione del corpo acustico. Nel corso della storia della musica occidentale il suono era stato a poco a poco ‘purificato’. Divenne sempre più spiccata la tendenza verso l’altezza esatta, la frequenza pura, ovvero verso un suono privo di elementi ‘sporchi’, ‘impuri’ (parziali armoniche esplicite, glissandi, ornamentazioni, tremoli, accenti glottali, microtoni, componenti rumoristiche). Nel secolo ventesimo, non da ultimo grazie all’elettroacustica si è assistito ad una re-introduzione degli ‘accidenti sonori’, ad una riscoperta della ricchezza del timbro, della profondità del suono.

SHUSHAN “De la musique au son”, ‘dalla musica al suono’, così si intitola un libro di Makis Solomos uscito una decina d’anni fa.

LEOPOLDO Poi, in generale, c’è da fare il discorso della tecnologia come ‘magia applicata’. La tecnologia può, paradossalmente, ricondurre l’ascoltatore all’Origine e ‘re-in-cantare’ il mondo.

MARIAM Però la tecnologia non vi sembra essere un’arma a doppio taglio?

LEOPOLDO Certo, è qualcosa di potente che non dovrebbe stare nelle mani sbagliate… La tecnologia può portare a una intensificazione dell’esperienza o ad un impoverimento. Sicuramente essa porta a delle esperienze ‘altre’: non solo i suoni elettronici, prodotti sinteticamente… v’è ormai da più di un secolo la possibilità di fare ‘fotografie’ del suono, di registrare suoni del reale con il microfono: ecco il ‘totale acustico’! Persino gli ‘small sounds’, i suoni microscopici possono essere captati da microfoni speciali, per poi essere riprodotti con altoparlanti, anche spazializzandoli, manipolandoli, sovrapponendoli etc. Lo studio elettroacustico come cucina alchemica in cui si manipola la ‘realtà’. A prescindere dalle sperimentazioni nel campo della musica elettroacustica, con la registrazione sonora, nasce un’altra modalità di ascolto: l’ascoltatore solitario. Pierre Schaeffer ne era consapevole con la “Symphonie pour une homme seul”, poi in seguito lo è stato uno come Glenn Gould. Inoltre grazie alle registrazioni, ai dischi, ai nastri, si è entrato in contatto con culture musicali lontane. Stockhausen che negli anni Sessanta ascolta per la prima volta il “gagak”u giapponese o il “gamelan” di Bali e si rende conto che quella musica è forse più avanguardistica di quella prodotta a Darmstadt – e Jean-Claude Eloy che, più o meno negli stessi anni, ascolta il “pansori” coreano e dice che quello stile di canto è più avanzato dello “Sprechgesang” di Schönberg! E per andare ancor più lontano: con gli strumenti tecnologici la NASA è riuscita financo a registrare i suoni dello spazio extraterrestre.

SHUSHAN Dunque tutto canta. Non v’è un solo modo di cantare, ma tanti.

LEOPOLDO Come dice Marius Schneider, tutto dipende da come si ascolta, dall’attitudine di ascolto: bisogna farsi catturare dai suoni. L’ascolto è un LAVORO: un’attività, un modo non passivo di interagire con il mondo circostante. L’ascolto è ‘azione senza azione’ (“wei wu wei”, dicono i taoisti). Ovvero: un consapevole direzionamento dell’attenzione. L’ascolto è un’arte che ha da essere di continuo esercitata.

azione “ORECCHIE VERDI” durante la lecture-performance AKRÓASIS
[foto di Lia Petrosyan]

MARIAM Ad un certo punto vi siete a vicenda dipinti le orecchie di verde.

SHUSHAN Sì, le ‘Orecchie Verdi’… Attenzione: nulla a che fare con le mode ecologiste odierne e il ‘green’, bensì un giocoso omaggio a Henning Christiansen, un musicista fluxus danese che collaborò molto con Joseph Beuys.

LEOPOLDO Christiansen era innamorato dei suoni della natura. Arrivò a dipingere di verde non soltanto tutti gli oggetti che aveva a disposizione, violini etc., ma appunto anche le proprie orecchie! E così andò in giro per un anno intero…

MARIAM E perché?

SHUSHAN Evidentemente così ascoltava meglio il paesaggio!

LEOPOLDO Questo evento, “Akróasis, dalla cicala a Maria Callas… (omaggio a Marius Schneider)”, lo abbiamo ripetuto in nuova versione appositamente pensata per il solstizio d’estate, nell’ambito della prima edizione del Festival PHONOSOPHIA che ha avuto luogo dal 21 al 23 giugno in cooperazione con il “Simmetria Institute” di Attigliano, in Umbria.

(https://lalberodelbene.it/festival-phonosophia-il-theatrum-phonosophicum-ad-attigliano-per-celebrare-il-solstizio-destate/).

Simmetria Institute – Museo dei Miti, dei Riti e dei Simboli (Attigliano)

Documentazione dei progetti sul sito internet del theatrum phonosophicum:


Immagine di copertina Lavelot-Theodore Turpin: Vista di Napoli da Piazza Mercato (circa 1815)

  • Leopoldo Siano

    (nato il 12 agosto 1982) è filosofo della musica e azionista sonoro. Giovanissimo si trasferisce in Germania. Dal 2012 al 2022 ha insegnato all’Università di Colonia (nello stesso Istituto Musicologico dove insegnò Marius Schneider, uno dei suoi più grandi ispiratori); qui Siano è stato anche co-organizzatore della serie di concerti acusmatici “Raum-Musik”. È autore e curatore di diversi libri (su Karlheinz Stockhausen, Hermann Nitsch, Gerard Pape, François Bayle ecc.). Il suo ultimo volume è stato pubblicato nel 2021 dall’editore Königshausen & Neumann di Würzburg: Musica Cosmogonica: von der Barockzeit bis heute (Musica Cosmogonica: dall’epoca barocca a oggi). Insieme a Shushan Hyusnunts è l’ideatore del theatrum phonosophicum e dell’omonima serie multisensoriale iniziata nell’autunno del 2022 al “Ground Floor” della State Philarmonia of Armenia a Yerevan. Dalla primavera del 2023 abita a Napoli come “reesearcher in residence” presso il Museo Archivio Laboratorio Hermann Nitsch (Fondazione Morra).

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  • Shushan Hyusnunts 

    (3 febbraio 1989) è musicologa e azionista del suono. Al termine dei suoi studi musicologici e pianistici al Conservatorio Komitas della città natia Yerevan nel 2012 si trasferisce in Germania. Nel 2016 consegue la laurea (Master of Arts) all’Università di Colonia con una tesi sulla filosofia del suono nelle opere orchestrali di Giacinto Scelsi. Nella stessa università ha tenuto corsi sulla musica tradizionale armena, su Dmitri Shostakovich e Horatiu Radulescu, sul quale comincia a scrivere una tesi di dottorato. Nel 2022 insegna storia della musica al Conservatorio di Yerevan. Insieme a Leopoldo Siano è ideatrice del theatrum phonosophicum e dell’omonima serie multisensoriale iniziata nell’autunno del 2022 al “Ground Floor” della State Philarmonia of Armenia a Yerevan. Attualmente sta inoltre lavorando ad un libro-documentazione sulla memoria culturale del celebre villaggio dei compositori di Dilijan (Armenia). Dalla primavera del 2023 abita a Napoli come “researcher in residence” presso il Museo Archivio Laboratorio Hermann Nitsch (Fondazione Morra). https://theatrumphonosophicum.art/

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  • Mariam Hakobyan

    nata il 14 luglio 2003, amante dell’arte e sperimentatrice. Attualmente studia ingegneria all’American University of Armenia, al contempo sperimentando nel campo della cinematografia. Dal dicembre 2022 è assistente del theatrum phonosophicum.

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