In un’area che potremmo tendenzialmente inscrivere all’interno di un immaginario rettangolo di poco più di 40 km di base e di poco più di 30 km di altezza, adagiato tra le province di Treviso, Padova e Venezia, la natura prima, l’uomo e la storia poi, hanno portato alla costruzione di un paesaggio unico nel suo genere, che per la sua unicità forse non è mai stato percepito nemmeno nelle coscienze di chi lo ha vissuto.
Oggi, non di meno, in un’epoca e in un territorio nel quale il paesaggio si è di fatto destrutturato e deturpato nella infinita e grigia sequenza di strade, capannoni, centri commerciali ed edilizia abitativa che hanno dato vita a quella che è definita come la “città diffusa veneta”, quel paesaggio fatica quanto mai ad emergere e ad essere riconosciuto.
Non parliamo del paesaggio della bonifica, che comunque tocca tutte e tre le province che abbiamo citato, che potremo sicuramente definire più un paesaggio artificiale che naturale e che mantiene una sua precisa riconoscibilità; ma che, soprattutto, è molto recente essendosi formato tra la fine del XIX° e gli inizi del XX° secolo.
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Parliamo, invece, del paesaggio determinato da quella che viene definita Fascia o Linea delle risorgive del “bacino idrografico della media pianura trevigiana” compreso tra il torrente Muson dei Sassi ad ovest e il fiume Sile ad est, indicata come una delle aree di risorgiva più importanti d’Europa che dà vita ai 6 fiumi di cui nel testo si racconta: il Sile, lo Zero, il Dese, il Marzenego, il Muson (oggi detto Muson vecchio), il Tergola.
Si tratta di fiumi che, ad eccezione del Sile che con i suoi attuali quasi 84 km di lunghezza è considerato il fiume di risorgiva più lungo d’Europa, misurano più o meno tutti tra i 35 e i 50 km di lunghezza. Il più breve è il Muson Vecchio con i suoi 34 km circa, conteggiati tra le sorgenti e l’immissione nel naviglio del Brenta a Mira. Il più lungo è il Dese con i suoi 52 km.
A caratterizzare significativamente questi fiumi, al di là della comune natura idrografica, sono almeno altri due elementi dai quali trae spunto anche questo lavoro.
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Il primo è il fatto che tutti sfociassero direttamente nella laguna di Venezia e per questo sono stati tutti oggetto delle preoccupazioni dei Magistrati Veneziani che nel periodo della Serenissima avevano il compito di tutelare e salvaguardare la laguna dal pericolo degli interramenti e per questo, nei secoli, tutti sono stati sottoposti a continui controlli, ad interventi di diversione e regimentazione.
Il secondo, che proprio per la loro caratteristica non torrentizia e la relativa placidità e costanza delle acque, lungo i loro brevi corsi sorsero, a partire dal medio evo, centinaia di mulini. Un numero a dir poco incredibile e che proprio per questo possiamo definire, a ragione, non solo parte di un paesaggio condiviso, ma anche di una cultura, di una economia e di una socialità sopravvissute per secoli e che trova ancora oggi riscontro in tanta toponomastica; basti pensare alle tante vie o località tipo Molino, Mulino, Molinella, Munaron, e su tanta onomastica con i tanti cognomi tipo Munaro, De Munari, Munaretto.
Ancora oggi, lungo questi sei fiumi sono presenti o riconoscibili nei resti più di settanta mulini; il che significa che se prendiamo per buona la dimensione dell’area che abbiamo definito in apertura di km 40 x 30, e cioè di 1.200 km quadrati, a solo titolo di esempio figurativo potremo arrivare a dire di avere un mulino, o i suoi resti, ogni 20 km quadrati; dato già di per sé importante, ma che si amplifica ulteriormente, aumentandone di fatto il dato della densità reale, se pensiamo che la loro distribuzione è per forza di cose limitata ai soli corsi d’acqua, tanto che non di rado i mulini si trovano lungo lo stesso corso d’acqua a distanze tra di loro anche inferiori al chilometro.
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Al fascino ambientale dato dalla storia del rapporto tra questi fiumi e la laguna e a quello antropologico/paesaggistico dato dalla presenza di questo straordinario numero di mulini, ne dobbiamo infine sommare anche uno storico, che intreccia e lega tra di loro i primi due e cioè il controllo sulla gestione e il funzionamento dei mulini in relazione al mantenimento della sicurezza idraulica.
Abbiamo accennato alla presenza durante il governo della Serenissima Repubblica di San Marco di un’apposita Magistratura, i X Savi Esecutori alle acque, costituita nel 1512, che aveva tra gli altri il compito di salvaguardare la laguna evitandone l’interramento ad opera dei fiumi che vi sfociavano. Inevitabilmente, l’operato dei Savi e dei loro ingegneri finì per concentrarsi proprio anche sui mulini, proprio sui tanti mulini ci verrebbe da dire, perché la loro massiva presenza rappresentava lungo i corsi d’acqua delle strozzature, causa costante in caso di piene di rischi di esondazione a monte degli opifici e di accumulo e trasporto di torbide e fango a valle degli stessi.
Di qui regolamenti, normazioni, controlli e un continuo braccio di ferro con i mugnai che cercavano di “tirare acqua al loro mulino”, destinato a durare anche oltre la caduta della Serenissima.
Mauro Scroccaro, storico e divulgatore culturale
Testi di Mauro Scroccaro
Foto di Giorgio Bombieri
Editore: Cooperativa sociale “La Città del Sole”
Con il contributo del Consorzio di Bonifica “Acque Risorgive”
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Immagine di copertina
Treviso, Cagnan, Mulino dell’isola della Pescheria
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