PASSIONE: UNA RICERCA POETICA, UN VIAGGIO NELL’IGNOTO. Testo di Monica Buffagni (parte prima)

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Poesia è passione. Ma non solo. È anche dubbio, crisi, perdita, ripensamento, è ricerca del vero, nella sua assoluta impossibilità di raggiungerlo. Poesia è sfida tra gli opposti, conciliazione dei diversi, è passione d’amore per la vita, rincorsa verso l’oggetto d’amore, freccia sapiente e spaesata, perduta e ritrovata, è espressione inafferrabile di ciò che è profondamente nascosto. Ti fa battere i denti, la passione, ti sconvolge e rivolta, ti ricatta, ti uccide, ti afferra, ti annulla, ti rende sconosciuto e straniero. Un lungo baratro spinoso, dove l’assoluto si fonde con l’ombra, dove luce e buio danzano in eterna lotta. La passione è anche dolore.

“… E ora io / schiumo in grano, un luccichio di mari. / E io / sono la freccia, / la rugiada che vola / suicida, fatta una con lo slancio / dentro l’occhio / scarlatto, il crogiolo del mattino” 

(da “Ariel” di Sylvia Plath).

Come una freccia scoccata verso l’ignoto futuro, si dissolve nell’aria come rugiada, una rugiada cieca, chiusa, assoluta nella sua passione d’amore, nel suo eremo dove gioia e sofferenza si contendono l’anima, in una corsa affannosa e turbolenta verso un luogo migliore, sia esso buio o luce, nell’annullamento di sé, ovunque esso conduca. La violenta intensità, dipinta di fiamma e di fuoco, racchiusa nella triade lessicale “freccia-suicida-scarlatto” – a sua volta freccia impietosa che centra nel fracasso del silenzio l’anima, occhio interno e partecipe del lettore, obbligato suo malgrado ad una resa identificata e ammaliante – diviene cifra stilistica della passione, in cui è il dolore, dell’abbandono come del confronto con la natura contraddittoria, inafferrabile e cruda dell’amore stesso, a farsi pura poesia, canto di libertà, dove morte e rinascita si dichiarano carne e sangue dell’umano sentire.

Sylvia Plath (Wikimedia Commons)

Solca mari tempestosi e sconnessi il nostro viaggio poetico, solca acque agitate, dalle molteplici e ingannevoli sfumature, dove le contraddizioni – insite nella passione – del verde profondo, del blu notte imperioso abbracciano irrequiete i bianchi spumosi, gli azzurri accecanti, i turchesi abbaglianti di pietra antica e scolpita di oro nascosto, acque perigliose, appunto, alla ricerca inconscia e inconsapevole di un equilibrio.

Oscilla tra gli opposti, la passione, così come la poesia, ondeggia tra furori e ritorni, tra intensità e dubbio, tra desiderio e rinuncia, tra possesso e incomunicabilità, in una corsa affannosa dall’incerto obiettivo.

Sfuggirsi è il punto fisso” ci ricorda, impietosa e appassionata, Anna Belozorovitch (da “Seduzione” – Il pesce rosso – ed. Il seme bianco), in cui la distanza tra gli amanti diviene minuetto implacabile e malizioso, eterno e rinnovato, si fa messaggio e ricerca tra i corpi, così come tra le menti e le intere identità dei mondi che lo realizzano, in un cerchio incomprensibile ed estenuante del rincorrersi e dibattersi tra infinite diversità e opposizioni nell’incontro. Lo scontro, tortuoso e bruciante, interminabile e oscuro, tra passione e sentimento, tra corpo e anima, tra maschile e femminile, tra ombra e luce, in una caverna sotterranea ignota ad ognuno e abitata da ognuno, lo scontro, dunque, tra le facce del sé, a confronto nudo e spietato nella passione d’amore, si frange illuso e tenace nella fusione dei corpi, del desiderio di possesso assoluto e totalizzante, cieco e divorante, sperso e fiducioso, così che 

Non possono incastrarsi in questo modo i corpi / senza che si incastrino i cuori” 

(“Corpi e cuori” di Anna Belozorovitch da “Il pesce rosso”).

La compiutezza dell’attimo, in cui si ricompone il sé nel palesarsi dell’altro, nell’istante strappato all’assoluto, in cui gli estremi si riconciliano e l’acqua diviene fuoco, nelle spire accecanti della comprensione ritrovata e immediatamente perduta, la circolarità del sospiro che si fa anima nella sua interezza, finalmente dunque. 

“… si apre improvviso, / rotondo assoluto accecante, / un istante /nudo / quando tu sorridi

(Monica Buffagni, da “Di guerra e d’amore” – “Piume di ghiaccio” ed. Kanaga).

Il baratro profondo, misterioso, magnifico ed inquietante, irresistibile nella sua pericolosità connaturata in cui la passione trascina l’individuo, verso l’ignoto mascherato da assoluto possesso e condivisione antica e già posseduta, assomiglia ad un perdersi verso la dannazione. 

… Che la perdizione si porti la mia anima!” declama il Moro di Venezia nel minuetto ad un tempo tragico e lieve intessuto sapiente da Shakespeare, tra incertezza e resa incondizionata. Gli fa eco, stordita e ammaliata, rapita e riscoperta a sé stessa dall’amore per il futuro marito, il poeta Robert Browning, ad appena due giorni dalle nozze segrete, la stessa Elizabeth Barrett (1806-1861), con i vibranti versi 

Ti amo fino alla profondità all’estensione all’altezza /…… / ti amerò ancora meglio dopo la morte” 

(da “Sonetti portoghesi” XLIII)

a sottolineare l’inafferrabilità, l’assenza di confini, l’incerta e incomprensibile natura del sentire passionale, in cui molteplici sfumature si confondono e arretrano per proseguire, in cui si mescolano inconsapevoli spiritualità e più terrene dimensioni. Siamo a cavallo tra il 1846 e il 1850, a riprova della universalità dell’animo umano e del suo accavallarsi e rincorrersi tra passato e futuro, nei suoi nuclei centrali e fondanti, ove creare e comporre la propria identità, oltre i connotati culturali di provenienza, di formazione, oltre il tempo e le epoche.

Elizabeth Barrett Browning (Wikimedia Commons)

L’impeto della passione, inarrestabile e talora indesiderata, forse più subita che non cercata, quasi un accidente che rapisce e conduce altrove, nei suoi vortici propri e senza equilibrio, a cui adattarsi, spesso di violenta intensità come un buio temporale d’autunno, altrettanto spesso lievi e giocosi come un sorriso goloso ed azzurro, si inerpica tra istanti ed eternità, tra il “qui e ora” e l’afflato al “sempre”, senza mai ricongiungersi, senza mai trovare requie. 

Se vuoi uccidimi con la separazione / o se vuoi accarezzami “ (dalle quartine – roba iyat – del “Canzoniere-Divan”, traduzione S. Lupieri) canta il massimo poeta persiano del periodo medievale Sadi of Shiraz (Saadi Shirazi, o Saadi, nato nel 1210 e morto tra il 1291 e 1292), appassionato e tormentato dagli incerti e ambigui accadimenti dell’amore, assoluto nel possesso, totalizzante nella necessità vitale dell’altro come elemento centrale dell’esistenza, in altalenante alternarsi di perdita e conquista. 

Monica Buffagni, poetessa, scrittrice e critica letteraria

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