«I Sillabari sono un libro strano, inafferrabile: si percepisce una tensione che rimanda sempre altrove, oltre la storia, oltre la tecnica, oltre la pagina, oltre la scrittura; la ricerca di un mood, la difficoltà di individuarlo, di tenerlo sulla carta il tempo necessario e poi il rammarico, la rabbia per averlo perso; la paura di averlo perso per sempre; la consapevolezza che si tratterà di un continuo cercare, senza sapere esattamente che cosa, e che sarà così sempre, finché si avrà forza bastante. Qualcosa che ha più a che fare con la musica che con la letteratura, dice Parise. Dunque lasciare alla musica il compito di rendere quel mood, trasformare i Sillabari in soggetto (personaggio), e portare in scena quella ricerca, quella tensione ostinata, cieca, ossessiva. Fede, è questa la parola, se non fosse che chi scrive, esattamente come l’autore dei Sillabari, non crede alla speranza. Ma a noi pare che la letteratura, ai nostri giorni non meno che a quelli di Parise, richieda esattamente questo: fede senza speranza. E così, senza autorità, rendere attenti a ciò che è spirito».
Vitaliano Trevisan (Fede senza speranza, un commentoin margine allo spettacolo Note sui Sillabari)
Da un paio d’anni a questa parte, è tornato a circolare uno spettacolo molto particolare, Note sui Sillabari, un melologo, ovverosia, un alternarsi di musica e voce recitante, dedicato ai Sillabari di Goffredo Parise, scritto (e a suo tempo anche recitato) da Vitaliano Trevisan. Note sui Sillabari esordì nel gennaio del 2007, una produzione dell’associazione Caligola di Mestre, guidata da Claudio Donà. Nato da un’idea di Stefano Bellon (autore, insieme a Marcello Tonolo, dello spartito musicale), la musica era affidata a una big band di diciotto elementi; in questa ripresa, sul palco ci sono tre musicisti: Marcello Tonolo al pianoforte (che è anche l’autore delle musiche), Domenico Santaniello al contrabbasso e violoncello, Enrico Smiderle alla batteria e percussioni. Alla voce recitante, l’attrice Patricia Zanco.
Abbiamo incontrato Claudio Donà per parlare di questo nuovo progetto, ma anche per ricordare Vitaliano Trevisan.

Cominciamo dall’inizio: quando e come è nata l’idea di uno spettacolo sui Sillabari di Goffredo Parise?
«L’idea, nata nel 2006, a vent’anni dalla morte di Goffredo Parise, è del compositore padovano Stefano Bellon. Bellon, al tempo, utilizzava molto l’elettronica, aveva delle commissioni importanti in Olanda e collaborava con Rai 3, a cui inizialmente propose il progetto. Immaginava una sorta di lettura di alcuni passi dei Sillabari di Parise, che con il suo andamento ciclico si prestavano ad essere abbinati alla musica. Il progetto con la Rai non andò in porto, ma gli rimase l’idea, e quindi contattò Marcello Tonolo, suo amico, che allora dirigeva una scuola di musica – dedicata a Thelonious Monk – ed era riuscito a mettere in piedi una big band di 18 elementi, con gli allievi e i docenti, una specie di miracolo, senza finanziamenti pubblici. Ci siamo trovati una sera, ne abbiamo parlato e abbiamo pensato di portare avanti il progetto affidando la musica a questa big band».
L’idea di coinvolgere Vitaliano Trevisan fu immediata?
«No, in realtà no. Inizialmente abbiamo chiamato Roberto Citran, che conosceva Stefano Bellon, ma era già impegnato con la televisione. Abbiamo anche cercato altri attori ma, mi viene da dire per fortuna, senza esito».
E il nome di Trevisan da dove è sbucato, allora?
«All’epoca, noi, intendo come associazione Caligola, organizzavamo molti concerti, soprattutto a Mestre. Ci era sempre piaciuta l’idea della contaminazione della parola con la musica: a Mirano, per esempio, avevamo una rassegna intitolata “Mirano Oltre (libri e musica)”, al cui interno avevamo ospitato, fra gli altri, la poetessa Patrizia Valduga ed il reading di Vitaliano Trevisan Grotteschi e arabeschi, in cui l’autore del testo e voce recitante era accompagnato dal contrabbasso di Daniele Roccato. Del giovane scrittore vicentino, sulla scia del successo dei Quindicimila passi, avevamo poi proposto al Candiani di Mestre Madre con cuscino, in cui la parte musicale era affidata ancora a Roccato ed al pianista Marco Tezza, entrambi musicisti classici. Io avevo molto apprezzato la collaborazione di Trevisan con il percussionista jazz Roberto Dani, sia nella messa in scena de Il Ponte che di Oscillazioni. Ho pensato, allora, che potevamo chiedere a lui, a Vitaliano Trevisan, che oltretutto leggeva molto bene. Ci siamo incontrati, gli abbiamo spiegato il progetto e lui ha accettato, dopo aver verificato se c’era una produzione che lo pagasse: vale la pena ricordare che Trevisan viveva del suo lavoro di scrittore e attore».

I soldi da dove venivano?
«Abbiamo avuto la fortuna di ricevere un finanziamento dalla Regione del Veneto. All’epoca c’era una legge che finanziava le ricorrenze dei grandi uomini di cultura veneti, abbiamo colto l’occasione offertaci dal ventennale della morte di Parise e siamo partiti. Abbiamo coinvolto il Comune di Ponte di Piave, abbiamo incontrato l’assessore Claudio Rorato, la dirigente della Regione, Mariateresa De Gregorio, e abbiamo cominciato a lavorare. Stefano Bellon e Marcello Tonolo si vedevano per la parte musicale e poi subentrò Vitaliano per le letture».
Il testo dello spettacolo, scritto da Trevisan, non si limita a una silloge dei Sillabari, però…
«Trevisan non poteva limitarsi a una lettura dei Sillabari: è diventata una cosa molto sua, in cui c’è Parise, sì, ma il testo di fatto è da e, mi viene da dire, di Trevisan, per cui non abbiamo voluto chiamarlo Sillabari; visto che c’era la musica, l’abbiamo intitolato Note sui Sillabari. Trevisan ha depositato alla Siae il testo come originale, sempre molto attento al suo lavoro, sempre molto professionale».
È stato difficile lavorare con lui?
«Non ho incontrato difficoltà, in realtà. Vitaliano ha avuto solo qualche discussione con Stefano Bellon, altro carattere forte, che aveva le sue idee, però alla fine ne è venuto fuori un lavoro meraviglioso. Abbiamo fatto cinque giorni di prove a Mira, al teatro Villa dei Leoni, l’orchestra ha suonato le partiture scritte da Stefano e Marcello, Trevisan ha letto il testo, fatto qualche limatura e nel gennaio del 2007, al teatro Eden di Treviso, abbiamo debuttato».
Siete riusciti a portarlo in giro?
«Siamo riusciti a fare di questo melologo solo cinque rappresentazioni, fino al 2009. Come puoi ben immaginare, era uno spettacolo impegnativo dal punto di vista organizzativo, avendo una big band di diciotto elementi».

Oltre alla musica della big band, c’erano anche degli interventi di musica elettronica, vero?
«Sì, lo spettacolo prevedeva anche della musica elettronica, però solo quando Trevisan leggeva, e questa si limitava a pochi e delicati interventi. La forma del melologo prevede una rigida divisione fra le parti musicali e il testo recitato. L’unica eccezione si ha nella parte finale del lavoro, quando si parla della “vista del cobra”, il pezzo tratto dal racconto “Sesso”. Lì siamo di fronte a una scansione ritmica molto precisa, a un dialogo serrato tra la musica dell’orchestra e la voce; il batterista aveva degli obbligati da rispettare, in linea con l’andamento ritmico della lettura. Ma solo lì, per tutto il resto dello spettacolo la parte recitata restava separata dagli interventi musicali, ad esclusione del raffinato tappeto elettronico costruito da Bellon sotto la voce di Trevisan».
Trevisan era anche un batterista, lo racconta lui. Interveniva anche sulla musica?
«Trevisan era molto attento alla ritmica della big band e esigente, comunque molto geloso del suo ruolo e quindi non accettava osservazioni sul testo, su cui ogni tanto Stefano avrebbe voluto intervenire. Ad ogni modo, la collaborazione è stata ottima e la cosa ha funzionato, molto bene direi».
Avete potuto suonare anche a Salgareda, nella “Casetta delle fate” di Parise?
«Sì, l’abbiamo proposto anche a Salgareda, là dove i Sillabari sono stati pensati. È stato anche girato un video da due operatori della Rai che hanno filmato prove e interviste, inviati dalla Regione del Veneto. In realtà il dvd non fu mai distribuito, la Regione si limitò a stamparne cento copie per gli “addetti ai lavori”. Ma sul canale Caligola Music di YouTube si può vedere sia una bellissima scena di quatto minuti in cui Vitaliano cammina dentro la casetta, accompagnato dalla musica di un pianoforte, sia il momento topico dello spettacolo, Racconto/Come la vista del cobra, l’unico in cui orchestra e voce recitante dialogano. Non so perché la Regione non volle pubblicarlo: peccato, era davvero un gran bel video».

Un peccato anche che non abbia potuto circolare più a lungo…
«Dopo il 2009 Trevisan era sempre più occupato, specialmente con le sue opere teatrali e con la scrittura, ma anche rimettere assieme la big band era sempre più difficile per cui la cosa è morta lì. In seguito Marcello è diventato insegnante al conservatorio, Stefano insegnava già composizione classica e quindi diventava molto difficile se non impossibile rimettere insieme quello spettacolo».
Però ne è nato un disco: in che modo?
«Marcello insegnava in quel periodo al conservatorio a Trieste e lì è venuto in contatto con “La casa della musica” gestita da un batterista triestino, Gabriele Centis, che aveva (e ha tuttora) un piccolo auditorium con annesso studio di registrazione. Marcello ha avuto l’idea di registrare l’orchestra (a sezioni separate) prima che si sciogliesse: un gran lavoro, mixato magnificamente e terminato nel 2010. L’anno dopo sono riuscito a convincere Trevisan, per quanto riluttante, a registrare le parti recitate; abbiamo registrato la sua voce al Blue Train di Mira, tre o quattro takes per ognuno dei suoi sei interventi ed abbiamo scelto le migliori. Stefano ha quindi aggiunto l’elettronica. Nel 2012 con Marcello e Stefano siamo tornati in studio, abbiamo montato, mixato e masterizzato le diverse parti (musica e parole) ed è venuto fuori il Cd che è allegato al libro Note sui Sillabari. Omaggio a Goffredo Parise, pubblicato nel 2022, qualche mese dopo la morte di Vitaliano, dall’editore sardo Inschibbolleth».

Non mi tornano i conti: le registrazioni, se ho capito bene, risalgono al 2012, ma allora come mai il disco esce dieci anni dopo?
«Vero, il lavoro rimase solo masterizzato, pronto per uscire, ma a me era venuta meno la convinzione, o forse mi era mancato il coraggio, di farne soltanto un disco, mi pareva fosse sprecato, il mio sogno era pubblicare un libro con Cd. Poi però, nel 2020, ho rotto gli indugi ed ho chiesto una mano a mio fratello Massimo, celebre filosofo che ha scritto moltissimi libri, e conosceva bene il mondo dell’editoria. Era purtroppo il periodo del Covid. Chiamai Trevisan che si disse d’accordo, anzi, mi parve persino contento uscisse Note sui Sillabari, e ci diede l’autorizzazione, anche se solo verbale e via mail. Abbiamo contattato vari editori che però volevano pubblicare il libro senza il cd, ma priva della musica e della voce di Vitaliano per me l’opera sarebbe stata incompleta. Abbiamo contattato anche La Nave di Teseo, cui piaceva l’operazione, ma che per pubblicarla voleva essere pagata profumatamente».
Loro volevano i soldi!? Che editoria generosa e lungimirante!
«Già… Allora Massimo ci ha messo in contatto con un piccolo editore sardo, Giuseppe Pintus, che aveva fondato Inschibbolleth: è sembrato subito interessato al progetto e questo ci ha indotto a procedere alla preparazione del libro, che andava arricchito di contenuti, visto che il testo di Trevisan era davvero minimalista, più poesia che prosa. Alla fine del 2021 il libro era praticamente pronto, ma il 7 gennaio del 2022 Vitaliano decise purtroppo di togliersi la vita. Ci siamo poi accorti che non aveva mai firmato il contratto che gli aveva spedito l’editore – durante l’autunno, come ricorderai, aveva passato un momento molto difficile, subendo anche un A.S.O. – e siamo stati così costretti a bloccarne la stampa. Abbiamo aspettato si chiarisse la questione dei diritti, che per fortuna si è risolta nel giro di pochi mesi ed infine, Francesca Causarano, la compagna di Trevisan e sua legittima erede, ci ha dato la sua autorizzazione. Francesca amava molto il testo di Vitaliano dedicato a Parise, ci teneva che potesse venire stampato. Nel maggio del 2022 è quindi uscito il libro, in cui c’era anche un importante contributo che avevamo chiesto a suo tempo allo stesso Trevisan, Fede senza speranza. Il libro è stato presentato in anteprima, su invito di Fabio Giaretta, giornalista e amico sia di Trevisan che di Francesca, all’Olimpico di Vicenza, all’interno del Festival Città Impresa 2022».

E come è nata l’idea di riprendere lo spettacolo?
«In realtà, tutto è nato da un’idea di Francesca Causarano che ci teneva che lo spettacolo potesse circolare ancora, una sorta di tributo postumo a Vitaliano. Fabio Giaretta ha fatto da tramite con noi contattando inizialmente Marcello Tonolo e l’attrice Patricia Zanco e poi, nell’ottobre del 2022, in occasione della presentazione in Bertoliana, bellissima biblioteca di Vicenza, di Black Tulips, libro postumo di Trevisan, ci ha proposto di riprendere lo spettacolo Note sui Sillabari, approfittando della disponibilità sia della Zanco, come voce recitante, che di Tonolo, ch’era presente in quell’occasione, magari con un organico ridotto. Tra coloro che leggevano estratti del libro, c’era appunto lei, che ci aveva colpito per la voce e le capacità espressive (non per niente ha lavorato con Grotowski). Marcello ha riunito i musicisti per formare il trio e sono state fatte molte prove con la Zanco prima del debutto».
Avete dovuto riscrivere le musiche o semplicemente le avete adattate al trio?
«Inizialmente, pensavamo di riarrangiare tutte le musiche del melologo, anche quelle di Stefano Bellon, ma Stefano è un compositore classico. In genere, quando viene commissionato loro un lavoro, lo scrivono per quell’occasione e non desiderano cambiare la partitura che deve restare così com’è stata pensata per quella composizione. Noi del jazz invece amiamo il riarrangiamento, la reinterpretazione degli “standard”, del materiale classico. Abbiamo quindi deciso di non utilizzare le sue musiche, ma solo quelle di Marcello Tonolo, aggiungendo tre sue nuove composizioni scritte per l’occasione. Ho seguito le prove e mi sono convinto fin da subito che il nuovo allestimento poteva funzionare. Con l’associazione Caligola abbiamo cercato di portarlo in giro, e devo dire che sono soddisfatto di quel che siamo riusciti a fare. Abbiamo debuttato nel maggio 2023, grazie a Riccardo Brazzale, direttore artistico di Vicenza Jazz, nel prestigioso Odeo del Teatro Olimpico.
Ad oggi, siamo arrivati a ben tredici rappresentazioni. Il trio (Marcello Tonolo al pianoforte, Domenico Santaniello al contrabbasso e violoncello, Enrico Smiderle alla batteria e percussioni) è affiatatissimo, al punto che abbiamo intenzione di pubblicare un disco con solo i brani musicali dello spettacolo, anche se poi abbiamo aggiunto una bonus track, in cui Patricia recita il pezzo finale, che per me è un po’ la sintesi del lavoro di Trevisan, L’erba è verde. Il disco non è ancora finito, speriamo possa uscire nel 2026, anno in cui ricorre il quarantennale della morte di Parise. Mi piacerebbe tornare nella casa di Salgareda, chiudere questo doppio tributo nel luogo dove tutto è cominciato. Vero è che, col passare del tempo, è diventato uno spettacolo di Trevisan più che di Parise: il fantasma del palcoscenico è lui, non più Parise».

Ma scrivere. Una nota su Vitaliano Trevisan di Nicola De Cilia
Una breve chiosa finale: chi qui scrive, è convinto che Trevisan, a fronte di miriadi di scriventi, sia uno dei pochi veri scrittori di questi ultimi vent’anni, o forse anche quaranta. Pochi altri hanno una scrittura così affilata, così precisa, così avvolgente, pochi altrettanto alieni da ogni forma di retorica, un odore che Trevisan era in grado di avvertire con sicurezza ovunque si nascondesse, come le merde dei cani tra le siepi delle aree verdi che i decespugliatori fanno schizzare ovunque. Al rifiuto della retorica, aggiungeva la capacità di smascherare qualsiasi ipocrisia, forse per questo era così poco amato, in particolare qui in Veneto. Detestava la letteratura edificante: edificante cioè cretina, altro vizio italico. Citando il loico Guido Piovene (che preferiva al sentimentale Goffredo Parise), lamentava il fatto che, in democrazia, vale il principio demagogico di puntare su prodotti intellettuali insipidi, vuoti, cretini o, che è lo stesso, edificanti. Dall’esordio fulminante con I quindicimila passi fino al capolavoro Works, «Trevisan ha costantemente ricercato una lingua netta, tagliente, limpida, asciutta, senza orpelli e artifici, inseguendo la parola giusta ed esatta e un’aderenza autentica alle cose, che azzeri il più possibile la distanza tra il linguaggio e la verità delle cose». (Questa citazione e le seguenti provengono da un bel testo inedito di Fabio Giaretta scritto in occasione della ripresa dello spettacolo Note sui Sillabari). Una lingua, quella dello scrittore vicentino, all’opposto di ciò che caratterizza la società della comunicazione attuale – Trevisan parlava di “infottenitori” – indirizzata a confondere e a mistificare la realtà.

Ma torniamo a Note sui Sillabari.Goffredo Parise, parlando dei suoi Sillabari, diceva che avevano a che fare più con la musica e la poesia che con la letteratura: e la musica nello spettacolo, infatti, mantiene un ruolo preponderante ma, insieme, è anche la scrittura di Trevisan ad essere intimamente musicale e ritmica, qui come in ogni pagina dei suoi libri. Possedeva, infatti, uno straordinario senso del ritmo e del tempo: quando leggeva i propri testi, erano le pause a essere enfatizzate: «Le pause vanno suonate, diceva Trevisan, sono musica». Come la tromba di Miles Davis, come il pianoforte di Olivier Messiaen. Questa predisposizione si percepisce con evidenza nei suoi testi teatrali ma molto anche in questo spettacolo, in cui le parole sembrano scavate tra pause e silenzi: il testo di Trevisan, scrive Giaretta, «sconfin[a] nella poesia, sia per la lucente scarnificazione del testo sia per la potenza allusiva ed evocatrice che riesce a trasportarci in quell’altrove, pieno di echi e risonanze misteriose in cui abitano i Sillabari di Parise».
Si sa che Beckett e Bernhard erano i suoi numi tutelari, e sicuramente da loro avrà imparato anche l’uso sapiente dei silenzi. Ma in Note sui Sillabari emerge – sorprendentemente, ma neppure poi tanto – la presenza di un altro lucido e implacabile indagatore della condizione umana: Giacomo Leopardi, quello “ragionatore” delle Operette morali, nello specifico, “Dialogo di Tristano e di un amico”. Curioso: Trevisan lo cita proprio parlando della genesi dei Sillabari, quando Parise dice di aver visto un bambino seduto su una panchina leggere nel suo sillabario “l’erba è verde”. “Così come il linguaggio è la vita”, continua Trevisan, e poi aggiunge:
Non sapere nulla non essere nulla ecco due verità che gli uomini non crederanno mai e la terza di non aver nulla a sperare dopo la morte
Come se all’evidenza del verde dell’erba si aggiungesse ben altra evidenza, quella che ha a che fare con la condizione in cui versa “la mortal prole infelice” che Leopardi aveva così lucidamente indicato. Un tributo al più grande filosofo e poeta italiano, una condivisione di intenti, forse anche il desiderio di smorzare il sentimentalismo di Parise: «Un po’ di imbarazzo. Come sempre, quando si tratta di Parise. Qualcosa, nella sua scrittura, mi disturba – credo che il nodo sia nel romanticismo, a cui, se non sono allergico, sono quanto meno intollerante» (AA.VV., I lembi dei ricordi. Ri(n)tracciare il paesaggio di Goffredo Parise, Antiga edizioni 2016. Il contributo di Trevisan si intitola Parise una mappa).

Torniamo a Parise: c’è un altro aspetto che della sua scrittura deve aver colpito Trevisan, sottolinea Giaretta, ed ha a che fare con la scrittura intesa come destino, come benedizione e maledizione al contempo. Il Parise rappresentato nel testo si trova in un momento di impasse, è fermo alla lettera S dei suoi Sillabari, e non riesce ad andare oltre e non andrà oltre: I Sillabari si interrompono al racconto “Solitudine”, uno stato d’animo che intride ogni intervento del testo di Trevisan: figurano, quindi, come un’opera interrotta, ma non incompiuta: a testimonianza di una fatica di scrivere che può portare a una temporanea afasia. Nel Parise evocato da Trevisan, si evince però una cieca ostinazione, una disperata determinazione: bisogna continuare a scrivere, ossessivamente scrivere, nonostante tutto, nonostante tutti. Come dice Samuel Beckett: fallire meglio.
Insistere senza voglia sapendo che non andrà bene Quelle due righe iniziali del romanzo probabile poi probabilissimo mai realizzato anche se poi non andavano bene continuare Andare avanti lo stesso Lavorare Scrivere Buttare via Ancora lavorare e buttare via ma scrivere
Nicola De Cilia, scrittore, critico letterario e docente
Immagine di copertina
Vitaliano Trevisan nella “Casa delle fate”, © Claudio Donà

