RIVISTA DI CULTURA MEDITERRANEA

Mario Messinis, una vita al servizio della musica. Forum a cura della rivista Finnegans (seconda parte)

[Tempo di Lettura: 15 minuti]
Mario Messinis con la moglie Paola il giorno della laurea, marzo 1957  (Fondo fotografico famiglia Messinis)


Seconda parte del Forum

Introduzione di Nicola Cisternino

Martedi 8 settembre è morto all’età di 88 anni Mario Messinis (Venezia 7 marzo 1932 – 8 Settembre 2020), musicologo di fama, direttore artistico della Biennale Musica, dell’Orchestra della Rai di Torino e dell’Orchestra Rai di Milano, di Bologna Festival, sovrintendente del Teatro La Fenice di Venezia nonché docente presso il Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia e storica firma per la critica musicale del Gazzettino. Finnegans promuove un forum in più parti sulla figura di Mario Messinis, raccogliendo contributi e testimonianze che molti dei protagonisti della vita culturale e musicale del nostro tempo hanno voluto destinare in ricordo dell’amico e dello studioso. 

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Mario Messinis, un ritratto, ricordo di un amico e di un critico attento dell’oggi

di Dino Villatico

       Il giorno stesso della sua morte, soffocando in me il silenzio delle lacrime, scrissi a ricordarlo qualche rigo su Facebook. Un anno prima, mi avessero dato spazio, avrei pubblicato il ricordo sulle pagine della Repubblica. Ma ho lasciato, ormai dal marzo di quest’anno, il quotidiano: troppo distante mi parve divenuta la sua linea politica e culturale dalla mia. Perché dunque il ricordo fosse immediato, scelsi di scrivere su Facebook. Poi ho steso due diversi ricordi, più articolati. Uno, molto personale, pubblicato sul mio blog – Dionysos 41 blog di Dino Villatico – e ospitato dalla rivista digitale Cyrano Factory, l’altro ricordo, più distaccato, che uscì sul supplemento Alias del Manifesto. Ecco il breve ricordo su Facebook.

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       È morto oggi a Venezia il musicologo, critico musicale, bibliotecario Mario Messinis, che dal 1998 al 2001 era stato Sovrintendente del Teatro La Fenice. A darne l’annuncio è la Fondazione del teatro veneziano, che stamane ha esposto sulla facciata della Fenice la bandiera a mezz’asta. Messinis aveva 88 anni. Professore al Conservatorio Benedetto Marcello e allo Iuav, è stato un acuto critico musicale e un grande organizzatore culturale. Critico musicale del Gazzettino, aveva ricoperto importanti incarichi in alcune delle maggiori istituzioni culturali del Paese: direttore della Biennale Musica di Venezia (1979-1989 e 1992-1996), direttore artistico dell’Orchestra RAI di Torino (1986-1989) e dell’Orchestra RAI di Milano (1989-1994), per la quale aveva ideato nel 1989 il Festival «Dialoghi con Maderna». Per ventisette anni, dal 1992 al 2019, era stato anche direttore artistico di Bologna Festival. «Uomo di profonda cultura, ha ricoperto cariche tra le più prestigiose nelle istituzioni veneziane, quali la Fenice e alla Biennale. Ricorda il Direttore della Istituzione veneziana Ivan Fedele: «Mario Messinis è stata una delle menti più lucide della musicologia internazionale. Ne rimpiangiamo non solo l’intelligenza acuta e la sottile ironia che accompagnava i suoi testi, ma anche il generoso atteggiamento nei confronti dei giovani artisti e compositori, da lui sostenuti a prescindere dal loro orientamento estetico».

       L’asciuttezza della nota non fa trasparire il sentimento che la sottende. Mario Messinis aveva solo 9 anni più di me. Scompariva dunque con lui non solo l’uomo di cultura, l’amico, ma anche un testimone e un compagno di strada di tante battaglie per il rinnovamento culturale dell’Italia. Qualcuna persa, ma vinte, bisogna riconoscerlo, molte. Se non altro, per la comprensione della musica e dell’arte di oggi. Sentirsi sulle spalle lustri, decenni di vita, di contatti culturali, di amicizie, è un’esperienza da una parte entusiasmante, dall’altra dolorosamente terribile: gli anni si misurano anche, a uno a uno, per la scomparsa dei contatti, degli amici. Ci sono volte che istintivamente mi viene di pensare: questo sarebbe piaciuto a Luciano, a Aldo, a Luigi, a Karlheinz, a Pierre. E nello stesso momento sono ferito dalla consapevolezza che ricordo amici assenti. La poetessa Louise Glück, alla quale quest’anno è stato conferito il premio Nobel, ha un modo profondo, tipico dei poeti, di sintetizzare con una sola immagine il dolore della memoria:

We look at the world once, in childhood.
The rest is memory.
Memoria o silenzio – come vorrebbe Amleto?
In italiano si perde l’ambiguità del verso. Rest in inglese significa anche riposo.

       Ma quale riposo nel ricordo, se non la consapevolezza di ciò che ci manca nel momento in cui lo si ricorda. L’essenza del passato, direbbe Oscar Wilde, è che è passato. Allora, scrivendo un ricordo più lungo sono andato alle origini della mia conoscenza di Mario, all’inizio della nostra amicizia. Ed ecco che cosa ho scritto sul mio blog, e su Cyrano Factory. Qua e là amplio, integro, correggo.

       Ho conosciuto Mario Messinis nel 1978 al Festival Nuova Musica e oltre, organizzato da Mario Bortolotto nella sede RAI di Napoli. Alloggiavamo nello stesso albergo di Fuorigrotta. Era con sua moglie Paola e sua figlia Anna. Fu subito amicizia. E di musica contemporanea ne sapeva molto più di me. Ma come me ne affermava la necessità. Anche di quell’ “oltre” proposto provocatoriamente da Bortolotto. A cominciare dai californiani, allora in Italia una novità. Quando Mario Bertoncini propose al pianoforte In C di Terry Riley, i giovani del pubblico andarono in delirio, urlarono, fischiarono, all’americana, e pretesero un bis, che Bertoncini concesse. Mario, da allora, lo rincontravo ai concerti, soprattutto di musica contemporanea, alle prime teatrali, soprattutto alla Fenice di Venezia. Chi l’avrebbe detto che nel 1990 saremmo diventati colleghi al Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia. La frequentazione diventò così quotidiana, e l’amicizia ancora più salda. Frequenti le cene a casa sua.

       Ormai su quasi tutti i giornali italiani sono usciti ritratti della sua figura, mi risparmio dunque il suo curriculum di critico musicale, d’insegnante, di bibliotecario, di direttore artistico di teatri e d’istituzioni musicali. Fondamentale la sua direzione della Biennale Musica di Venezia, dal 1979 al 1989 e dal 1992 al 1996. Portò la musica contemporanea cinese in Italia, quando nessuno ancora la conosceva. Accenno solo a una pubblicazione di Olshki, Ah, Les Beaux Jours, raccolta dei suoi articoli di critica musicale dal 1965 al 2002, a cura di Paolo Pinamonti. Mario era il critico musicale del Gazzettino, il quotidiano di Venezia. Presente a tutte le manifestazioni musicali importati d’Italia e d’Europa. Nemmeno il Corriere della Sera o La Stampa o La Repubblica coprivano così diffusamente le notizie che arrivavano dal mondo musicale europeo. La sua critica poteva sembrare settaria, in realtà rifiutava la facile ipocrisia della critica “oggettiva”, e prendeva subito parte per la musica nuova, per le nuove impostazioni interpretative della musica antica, barocca, classica e romantica. Leggeva e ascoltava Rossini come fosse Schoenberg o Luigi Nono. Nel senso che non si collocava nella distanza del presente che ha sistemato i classici del passato, ma riproponeva la lettura del passato come se fosse presente, con gli orecchi del pubblico che quella musica la ascoltava per la prima volta. In questo senso, sì, Rossini è come Schoenberg, perché rivoluziona l’assetto del melodramma e fonda una convenzione che durerà almeno per un secolo. Quando leggo recensioni che rimproverano a Rossini di essere tornato alla convenzione teatrale dell’epoca scrivendo la Semiramide per Venezia, mi verrebbe voglia di strapazzare lo scrivente e mostrargli quale fosse poi realmente quella convenzione, nel 1823, che era tutt’altra da ciò che Rossini fa con la Semiramide. A noi sembra convenzionale la Semiramide proprio perché le sue convenzioni sono quelle fondate da Rossini e rimaste valide poi per quasi tutto il secolo. Ecco: questa era la lettura “settaria” di Messinis: demolire i luoghi comuni, le classificazioni supinamente accettate e non criticamente discusse, riscoprire il nuovo dove l’abitudine ci faceva leggere il vecchio.

Morton Feldman

       Poi, certo, c’erano i suoi pallini. Ma che pallini! Feldman, Sciarrino, Stockhausen, Nono. E la rivendicazione della teatralità del Fidelio di Beethoven. O la “rivoluzione” della Clemenza di Tito di Mozart: altro che ritorno alla tradizione del melodramma serio settecentesco. E l’affermazione della novità di lettura di Sinopoli interprete, contro gli arricciamenti di naso dei puristi della critica. E così via per ogni nuovo personaggio, compositore o interprete, che apparisse nel panorama musicale del mondo. Una sera, alla Biennale, uscendo dalla sala dell’Arsenale, dopo un concerto dedicato a Morton Feldman, mi uscì dalla bocca: “Però, a volte, che noia questo Feldman!” Gli parve una bestemmia. “Ma come ti permetti? Una noia Feldman? È un mondo che prima di lui non si era ascoltato”. E cominciò una lunga dissertazione sulla necessità della musica di Feldman. Lo interruppi: “Scherzavo”. “Non si scherza con Feldman!” fu, secca, la sua risposta.

       Ci mancherà. Mario Messinis era insieme critico, storico, organizzatore, scopritore di talenti ancora non esplosi. Inventò una sezione della Biennale dedicata ai giovani compositori. Qualcuno è oggi un compositore affermato. Ambrosini, Fedele, che anzi è diventato direttore della Biennale. Curioso intellettualmente come pochi, la musica era sì il perno attorno cui ruotavano i suoi interessi, ma questi interessi poi s’integravano con la curiosità per la letteratura, il teatro, le arti figurative. La giustezza delle sue intuizioni critiche nasceva proprio da qui. Dalla vastità dei suoi interessi, che confluivano tutti a precisare meglio l’oggetto della riflessione critica. Resta, in chi sopravvive, la tristezza della perdita. In me, che abbozzo questo ritratto, il dolore per un amico con cui non posso più parlare, scambiare opinioni, letture, considerazioni e – perché no? – frequenti abbracci di condivisione intellettuale e affettiva.

Da sinistra, Silvia Nono, Nuria Schoenberg, Dino Villatico e Serena Nono presso l’Archivio della Fondazione Luigi Nono Onlus. Foto di © Nicola Golea

       Dal Manifesto mi si chiese un ricordo il più “oggettivo” possibile. Misi dunque da parte l’autobiografia e cercai di disegnare il personaggio. Ecco ciò che scrissi.

       Mario Messinis ci ha lasciati, che aveva 88 anni. Ma la sua intelligenza, la curiosità intellettuale era rimasta la stessa di quando aveva 20 anni. Nel 1961, dunque a 29 anni, segue con entusiasmo la messa in scena di Intolleranza ‘60 di Luigi Nono. Il libretto fu scritto dallo stesso Nono, a partire da un’idea di Angelo Maria Ripellino, usando documenti storici e testi poetici di Julius Fučík (Reportage unter dem Strang geschrieben), La question di Henri Alleg e l’introduzione di Jean-Paul Sartre, La liberté di Paul Éluard, La nostra marcia di Vladimir Majakovskij e Alla posterità di Bertolt Brecht. La regia fu di Vaclav Kaslik; i costumi e le scene di Emilio Vedova; l’allestimento tecnico era affidato a Josef Svoboda, che sarebbe stato il grande scenografo e regista dello straordinario Divadlo Za Branou (teatro dietro la porta) di Praga, fondato nel 1965 da Otomar Kreja. L’opera è dedicata ad Arnold Schoenberg. Era il 13 aprile 1961. Fu una serata tempestosa. Proteste a non finire, soprattutto dal loggione del teatro. E grida: “Vogliamo musica!”. Ma non fu un fiasco. Fu anzi un successo internazionale di critica e di pubblico. La protesta veneziana era guidata, manovrata, guarda caso, dalle destre, contrarie allora, come oggi, sia all’avanguardia artistica sia alle posizioni di una sinistra radicale: le parole di Fuik, di Sartre, di Brecht scandalizzavano più della musica di Nono. L’amicizia di Messinis con Nono rimarrà l’amicizia di una vita. Ma il dato fondamentale da cogliere è un altro: quello spettacolo riuniva in una sola voce le avanguardie letterarie, musicali, artistiche, teatrali, politiche di Europa. Mario Messinis aveva scelto il suo campo di azione: la nuova musica, la nuova letteratura, la nuova pittura, l’impegno politico. Critico musicale del quotidiano Il Gazzettino, sostenne fino alla fine questa impostazione. Ma non fu un critico settario: fu un critico aperto al nuovo, da qualunque parte venisse. Anche dalla Cina: come dimostra una Biennale Musica da lui diretta e dedicata appunto alla nuova musica cinese.

       Guidò la Biennale dal 1979 al 1989 e poi dal 1992 al 1996. Anni fervidi, in cui davvero la rassegna veneziana fu uno specchio che ci restituiva l’immagine musicale del mondo. Si può seguire la sua attività di critico musicale nella raccolta dei suoi articoli, dal 1965 al 2002, dal titolo Ah, Les Beaux Jours (titolo che non a caso cita Beckett, drammaturgo d’avanguardia), a cura di Paolo Pinamonti e pubblicata da Olshki nel 2002 come omaggio ai suoi 70 anni. Sinopoli, Nono, Varèse, Petrassi, Schnittke, Malipiero, Ligeti, Maderna, Togni, Henze, sono i compositori sui quali possiamo leggere, in queste pagine, le riflessioni di Messinis. Lo stesso entusiasmo, la stessa apertura al nuovo fu dedicato all’insegnamento, nel Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia, di cui poi fu anche il direttore della Biblioteca, e all’insegnamento universitario nello IUAV, Università di Venezia. La RAI aveva in quegli anni quattro orchestre. Messinis fu direttore artistico dal 1989 al 1994 dell’orchestra milanese. E del Festival bolognese per 27 anni, dal 1992 al 2019. In quell’ambito ha curato la rassegna “Eco e Narciso” del 1988, in collaborazione con la RAI, la Repubblica e Casa Ricordi, che ha visto coinvolte sei diverse città italiane. La musica che si rispecchia in sé stessa e rispecchiandosi rispecchia il mondo. Quella di oggi, naturalmente. Ma anche quella del passato, anche, per così dire, le avanguardie del passato, ormai storica la posizione di uno Schoenberg, di uno Stravinskij, e – perché no? – dei contrappuntisti fiamminghi, di Beethoven. Qui tocchiamo il nodo del rapporto che Mario Messinis intrattiene con la musica. La curiosità per le avanguardie, per la nuova musica, anche quella, più recente, che si oppone alle avanguardie storiche, le ribalta o suppone di ribaltarle, non gli fa trascurare la musica del passato, ma anzi gliela fa leggere e ascoltare con l’orecchio di oggi. Beethoven, al suo tempo, non è un classico, ma l’avanguardia. E così Rossini, una sua passione. Mario Messinis aveva fatto suo, come pochi altri, un aureo aforisma di Karl Kraus: “Ho una notizia catastrofica per tutti i nostalgici e gli esteti conservatori: un tempo la vecchia Vienna era nuova”.

Dino Villatico, musicologo e critico musicale

Mario Messinis – © Graziano Arici

Renzo Cresti

       Ho conosciuto Mario Messinis nel novembre del 1978, quando lo sostituii per qualche settimana alla Biblioteca del Conservatorio Benedetto Marcello, dove lui era responsabile Bibliotecario dal 1958. Avevo letto diversi suoi articoli su «Il Gazzettino», ma essendo un quotidiano prevalentemente regionale, non mi era stato facile seguirlo con regolarità. Me ne aveva parlato Mario Bortolotto, col quale avevo studiato e con il quale avevo intrecciato un’amicizia e una collaborazione.
       Per me Messinis faceva tutt’uno con la musica veneziana: Andrea e Giovanni GabrieliGian Francesco Malipiero, Bruno Maderna, Luigi Nono, Giuseppe Sinopoli, Claudio Ambrosini, ma anche il Laboratorio d’Informatica Musicale della Biennale. E a proposito della Biennale, quando l’ho conosciuto stava per diventarne il direttore fino al 1989 (lo sarà successivamente dal 1992 al 1996). Mi ospitò in una casa di famiglia per tutto il tempo che feci il suo sostituto e ovviamente mi invitò alla Biennale spiegandomene un po’ i retroscena organizzativi e artistici, ed io ascoltavo imparando tante cose da lui che è stato un direttore illuminato non solo a Venezia, con la sovrintendenza de La Fenice, ma anche a Torino, Milano, Gibellina, Bologna.

       I nostri incontri vertevano quasi esclusivamente sulla musica contemporanea, della quale – com’è noto – sapeva tutto ed era uno dei grandi protagonisti a livello di critica e musicologia. Bortolotto era un po’ il nostro convitato di pietra e spesso la conversazione verteva sull’essere o meno d’accordo sulle interpretazioni, spesso tranchant, che l’altro Mario sentenziava.
       Mi sono permesso, sempre con grande reverenza, in quanto la mia ammirazione per Messinis era assoluta, di rimproverarlo per la sua poca frequentazione con la musicologia, termine che al mio grande maestro Luigi Rognoni, pareva una parolaccia per tutto ciò che di accademico, in senso sclerotizzato, portava irrimediabilmente con sé. Ma, in effetti, Messinis ha scritto pochi libri ed è un peccato, vista la sua preparazione, la sua intelligenza e sensibilità.
       Messinis non poteva certo essere un accademico, era il contrario, la sua erudizione era viva e si coltivava con l’esperienza, si costruiva sul suono non sulle teorie o metodologie, sulla pratica di chi sa anche sporcarsi le mani con la quotidianità, lontano dall’algida cultura libresca. Il suo metodo ermeneutico era poco scientifico e molto umano, nutrito da un gusto personale basato su un pensiero critico rigoroso ma aperto, che sapeva comprendere la molteplicità del suo presente.
       Straordinario l’intuito e la capacità di capire prima di molti altri le qualità di compositori e le mille tendenze stilistiche nelle quali sapeva districarsi con un sesto senso musicale invidiabile. Molte volte sono stato meravigliato di come lui riusciva ad avvertire la sostanza delle opere che si stava ascoltando, di quanti aspetti riusciva a percepire durante gli ascolti, senza escludere le lezioni di analisi che in tante occasioni mi ha elargito con il suo ‘modo veneziano’. Grazie Mario.

Renzo Cresti, musicologo, Conservatorio di Lucca

Mario Messinis con Salvatore Sciarrino

Donella Del Monaco

       Mario Messinis ha significato molto per me, è stato insieme un maestro e un amico. Lo conobbi alla Biennale musica del 1975 quando interpretai la prima esecuzione di un brano di un compositore appena ventenne, Francesco Carluccio.
       Messinis ne rimase entuasiasta e all’autore venne commissionata subito un’opera per l’anno successivo, Orfeo, che venne presentata alla Biennale il 10 settembre del 1976. Interpretai anche Orfeo, come pure il Prometeo Liberato alla Biennale del 1979, oltre ad Amore e Psiche di Salvatore Sciarrino. Fu in questo contesto che ebbi la fortuna di frequentare Mario Messinis e di apprezzarlo. Venivo da una famiglia dove la musica era di casa, avevo anche già creato il mio gruppo OpusAvanTra (Avanguardia e Tradizione) di rock progressivo, eppure sembrava che Mario Messinis, quando parlava di musica, aprisse la porta di un mondo nuovo .

       Le occasioni d’incontro non mancavano in quanto all’epoca frequentavo parecchi compositori tra i quali Francesco Carluccio, Salvatore Sciarrino, Azio Corghi, Marco Tutino, Marcello Panni, e molti interpreti di musica contemporanea, spesso ci si ritrovava alle prime esecuzioni o si seguivano anche le prove in festival o in teatri, luogo d’incontro era anche l’ambiente della Ricordi, a casa di Luciana Pestalozza o talvolta al Conservatorio di Milano, oltre naturalmente a Venezia o a Roma. A Mario interessavano i giovani autori e gli piaceva sentire le loro idee e le nuove tendenze. Spesso quindi mi ritrovavo seduta accanto a lui ad una rappresentazione e ascoltavo i suoi commenti. La cosa che colpiva era la sua capacità di cogliere il senso globale dell’opera e di evidenziarne le connessioni estetiche e temporali come se cercasse le radici di quell’ispirazione. La sua sensibilità penetrante disegnava visioni ampie, come se vedesse dall’alto, riuscendo a scorgere collegamenti e significati rivelatori. Le sue conoscenze si allargavano ben oltre la musica e spaziavano in molti ambiti, dal teatro alle arti figurative, dalla letteratura alla danza, e ravvisando assonanze e sintonie, aveva l’ abilità di accostare un compositore ad un determinato regista percependovi le affinità estetiche. Intuitivo e sensibile, la sua preparazione rigorosa non lo imprigionava tuttavia in formule accademiche, sapeva indubbiamente cogliere la molteciplità espressiva del nostro tempo.
       La sua capacità di “vivere” la musica era contagiosa, era un maestro senza voler esserlo, ma per com’era.

       Nel 1979 venne incaricato per la prima volta direttore della Biennale Musica e, forse solo oggi, a distanza di quarant’anni, risulta evidente la sottigliezza della sua percezione riguardo alle trasformazioni che stavano avvenendo in campo artistico. Nel programma del 1979 dedicato al Mito, Messinis accostava liberamente opere e composizioni di autori contemporanei con il recupero di un’ opera barocca ma con una regia assolutamente innovativa: l’Orfeo di Sartorio per la regia di Giancarlo Cobelli, ma aggiunse anche inserimenti musicali “non ortodossi” come l’opera Treemonicha di Scott Joplin, in rag time. Solo oggi, a distanza di anni, ci si rende conto di come avesse anticipato i tempi, di come avesse già intuito il frantumarsi dell’idea di avanguardia, lo sgretolarsi dei presupposti intellettuali su cui si era formata un’intera generazione di compositori che si erano riconosciuti nella Nuova Musica e nell’utopia della rigenerazione infinita dei linguaggi.

       Del resto nello stesso anno Paolo Portoghesi, appena eletto direttore della Biennale di Architettura, aveva dato l’incarico ad Aldo Rossi di costruire il Teatro del Mondo, un teatro in legno che si rifaceva ai teatri galleggianti del ‘500 come “recupero del passato e della memoria”, coniugato con le forme dell’avanguardia.

Il Teatro del Mondo, progetto di Aldo Rossi realizzato per la Biennale 1979-1980 (Venezia, Punta della Dogana)

       A definire teoricamente questa svolta, questo sovrapporsi di tempi, questa compresenza di riferimenti, era uscito, sempre nel 1979, il libro La conditione postmoderne. Rapport sur le savoir, pubblicato in italiano solo nel 1981, un’opera scritta dal filosofo francese JeanFrançois Lyotard. Il filosofo sosteneva l’impossibilità di un’ unica prospettiva , di un’unica visione nelle espressioni artistiche del secondo ‘900 , ma il formarsi di una molteplicità e di una compresenza di approcci e di riferimenti, che definiva come “la condizione postmoderna”, pensiero che ha in seguito rivestito una grandissima importanza per vari ambiti del sapere: dalla letteratura, alla filosofia,all’arte.

       È indubbio che Messinis avesse una mente che andava ben oltre le capacità del critico musicale o del direttore artistico, le sue intuizioni visionarie captavano in anticipo ed in profondità il senso del fare artistico. Con quell’eleganza signorile che lo distingueva, con quella leggerezza sorniona ed ironica, con il suo fascino sottile ed elusivo lasciava un’impronta indelebile in chi lo aveva conosciuto e trasmetteva un senso “nobile” del fare musica.

Donella Del Monaco, cantante e performer, fondatrice del gruppo rock OpusAvanTra

Mario Messinis (Fondazione Giorgio Cini Onlus)


Nicola Cisternino

       La prima volta che vidi Mario Messinis fu nella Sala Concerti del Conservatorio Benedetto Marcello dove vi ero appena arrivato da poco più di un anno. Era la primavera del 1978, durante un’assemblea di noi studenti in agitazione che decideva l’occupazione dell’istituto al fianco di un ampio movimento di protesta che aveva portato all’occupazione di tutti i Conservatori d’Italia. Mario fu uno dei pochi fra i docenti a salire sul palco, cercando in parte di sposare molte delle ragioni di forte spinta al rinnovamento di quelle proteste (a cominciare dall’apertura dei Conservatori ai corsi di nuova didattica), ma anche di mettere in guardia, nel dissenso generale, dei rischi a cui un assemblearismo in stato confusionale poteva portare, cosa che gli procurò diversi fischi. Mi colpì allora il suo coraggio e anche la sua determinazione.

       Da allora numerose furono le occasioni di incontri e scambi gradualmente sempre più ravvicinati, con alcune preziose collaborazioni, nei decenni successivi. Di quel 1978 mi piace ricordare una iniziativa coraggiosa e lungimirante che preannunciava e avrebbe caratterizzato l’imprinting intellettuale e ideativo nella vita musicale di Mario che tutti avremmo avuto modo di apprezzare nei decenni successivi in tutti i suoi vari ruoli, una iniziativa allora realizzata presso il nascente ASAC l’Archivio per le Arti Contemporanee della Biennale diretto da Wladimiro Dorigo sulla musica russa del primo dissenso allora pienamente avvolto nel pieno gelo d’oltrecortina in cui potemmo ascoltare in Occidente fra le prime volte le musiche di Sofia Gubaidulina, Edison Denissov, Alfred Schnittke e conoscere, prendendone pienamente coscienza, la soffocata cultura russa trasmessa attraverso le pubblicazioni clandestine dei samizdat.

Samizdat russo e negativi fotografici di letteratura non ufficiale

       In quegli anni, frequentando la classe di musica elettronica di Alvise Vidolin e il fermento di idee e progetti che lì vi nascevano la presenza di Mario si percepiva come l’interprete di un cambio di stato della musica italiana in cui lo sguardo sulla contemporaneità era ormai una emergenza che avrebbe fatto il grande passo sistemico verso la sua istituzionalizzazione. E l’opera ideativa, curatoriale e organizzativa sempre più istituzionalizzata nei grandi festival, in primis dalle storiche edizioni de La Biennale Musica da lui ideate e dirette alle istituzioni orchestrali e dei teatri, La Fenice in testa, è stata da Mario tessuta quotidianamente, con le forme della riflessione critica e musicologica aperta ad una elaborazione estetica continua, sul campo, tra innovazione di pensiero riflesso nelle tradizioni musicali profonde della storia musicale; ciò lo ha reso promotore e mentore imprescindibile delle nuove visioni del suono e della pratica musicale contemporanea italiana e internazionale. Ancor più potremmo riconoscere in questa sua poliedrica e complessa azione di pensiero e azione nella musica degli ultimi decenni una sorta di interpretazione, sul piano della mediazione culturale, un affiancamento a pieno titolo, ai grandi maestri della musica del nostro tempo che hanno riportato all’universalità del suo specifico, la ricerca della scuola veneziana, da Malipiero a Maderna a Nono.

La prima esecuzione dell’opera Prometeo. Tragedia dell’ascolto – Venezia, Chiesa di San Lorenzo, settembre 1984 –  Fondazione Archivio Luigi Nono Onlus, © Graziano Arici

       Va riconosciuto che Mario Messinis ne è stato il tessitore e fedele interprete strategico a tutto campo, anche nel rapporto-confronto con la tradizione musicale, il tratto che tanto amava di Maderna, sul piano della ideazione e mediazione della musica del nostro tempo. E anche per questo slancio appassionato, non sempre è stato compreso e accolto, nonostante le apparenze, pienamente nella sua stessa Venezia. In questo il suo solitario agire, nella piena relazione-confronto-ascolto con tutti i protagonisti, pur restando un unicum, ha fatto scuola, dando consistenza e promuovendo progettualità a tratti impossibili ma che la sua visione sistemica della vita musicale gli permetteva di intravedere oltre l’orizzonte. Una considerazione per me significativa fu la sua risposta, in occasione di una riflessione comune sul perché del suo ‘disimpegno’ rispetto alla musicologia di carattere teorico e accademico: «Ormai sono sempre più i compositori che scrivono, oltre che parlare, sulla musica». Per il resto c’era l’uomo gentile, sempre disponibile e comunque, anche nel confronto critico e fermo, generoso e indulgente. Che la terra gli sia lieve.

Nicola Cisternino, compositore, Accademia di Belle Arti di Venezia

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Foto di copertina
Mario Messinis, © Graziano Arici

* Un ringraziamento particolare a Graziano Arici per i crediti fotografici