Mario Messinis, una vita al servizio della musica
Introduzione di Nicola Cisternino
Martedi 8 settembre è morto all’età di 88 anni Mario Messinis (Venezia 7 marzo 1932 – 8 Settembre 2020), musicologo di fama, direttore artistico della Biennale Musica, dell’Orchestra della Rai di Torino e dell’Orchestra Rai di Milano, di Bologna Festival, sovrintendente del Teatro La Fenice di Venezia nonché docente presso il Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia e storica firma per la critica musicale del Gazzettino. Finnegans promuove un forum in più parti sulla figura di Mario Messinis, raccogliendo contributi e testimonianze che molti dei protagonisti della vita culturale e musicale del nostro tempo hanno voluto destinare in ricordo dell’amico e dello studioso.
Nuria Schoenberg Nono
Con Mario e con la sua famiglia siamo stati amici da tanto tempo. Il suo interesse per la musica contemporanea lo ha portato a casa nostra, dove già suo fratello, Sotirios, veniva spesso per discutere con Gigi sulla musica e la cultura di quei tempi. Mario aveva una grande voglia di conoscere il pensiero e le tecniche con le quali Nono esprimeva le sue idee. Ma, credo che volesse capire soprattutto le emozioni che muovevano il musicista a fare una musica “nuova”, inedita.
Quando scriveva le sue critiche e quando aveva la possibilità di programmare concerti, ha spesso voluto che ci fosse anche la musica di Gigi. Era un critico sincero e sapeva dire quello che realmente sentiva. Il suo interesse per i giovani compositori si è mostrato durante la sua lunga carriera, nella quale è stato prezioso e influente per la sua conoscenza e apertura a nuove idee.
Ma io vorrei anche raccontare la storia delle nostre due famiglie. Nel periodo in cui Mario era il bibliotecario del Conservatorio di Venezia, la nostra figlia minore, Serena, studiava proprio in quell’istituto: là faceva la scuola media con Paola Messinis e studiava il flauto traverso. Luisa, la loro seconda figlia, era nata lo stesso giorno nello stesso ospedale di Serena. Le due “gemelle” sono sempre rimaste amiche. Mi ricordo anche di tante cene insieme a Paola e Mario sia a casa nostra che da loro. Momenti di serietà con discussioni sulla musica ma anche allegre conversazioni e scherzi.
Questi sono i miei ricordi personali. Della carriera e dell’importanza di Mario Messinis per la vita musicale non solo a Venezia, scriveranno altri. Per me è stato un vero caro amico nostro e ci manca molto.
Massimo Contiero
Davvero difficile eguagliare l’operosità in campo musicale di Mario Messinis. Diciamo innanzitutto della sua attività di critico, esercitata per un sessantennio soprattutto sul Gazzettino di Venezia. Era un recensore esigente che tuttavia non amava il giudizio distruttivo. Gli interessava principalmente cogliere il tratto distintivo di una interpretazione per inquadrarla storicamente. In questo era illuminante. Chi lo leggeva non poteva non apprezzare la scrittura elegante e precisa. Cesellava i suoi pezzi per tutta la giornata che seguiva l’evento cui aveva assistito e il suo senso di responsabilità lo induceva a scegliere con scrupolo estremo ogni singolo vocabolo. Raramente questa qualità letteraria del suo scrivere si è tradotta in libro e neppure, come molti fanno, egli ha pensato di collezionare i mille articoli che aveva prodotto. Un’unica, parziale antologia, con il titolo “Ah les beaux jours!” (reperibile alla Fondazione Cini), è stata curata da Paolo Pinamonti in occasione del settantesimo compleanno di Messinis. Questa mancanza di una raccolta più vasta e completa si deve al carattere schivo dell’autore, che non amava quelle che definiva le “autocelebrazioni”. Tanto più ammirevole questa modestia se si considera la sua sincera ammirazione per colleghi come Massimo Mila, Fedele D’Amico, Mario Bortolotto, Giorgio Pestelli, Enzo Restagno, alcuni dei quali frequentavano la sua casa per coltivare una profonda amicizia. Nessuna alterigia da “grande firma” si riscontrava in lui. Recensiva la prima della Scala o il Festival di Salisburgo, ma anche il concerto degli allievi del Conservatorio, sempre all’erta, sempre desideroso di non lasciarsi sfuggire un nuovo talento da segnalare per primo al mondo.
Ma oltre allo scrivere, nella vita di Mario Messinis c’è stato il progettare, l’organizzare musica. Aveva anzi iniziato così, insieme all’inseparabile fratello Sotirios, promuovendo stagioni di concerti, nell’immediato dopoguerra, a Palazzo Giustinian, con grandi protagonisti del panorama internazionale di allora. Anche in questo caso, la sua reticenza, il suo disinteressarsi del passato per vivere nel presente e pensare al futuro, hanno fatto perdere le tracce di questi suoi esordi di cui parlava poco o niente. È nella Venezia di quel tempo che fece alcune conoscenze fondamentali: Gian Francesco Malipiero, Nino Antonellini, Renato Fasano, Gino Tagliapietra, Gino Gorini, Sergio Lorenzi, Eugenio Bagnoli, Luigi Ferro, Franco Rossi, Ettore Gracis, Nino Sanzogno. I primi tre furono direttori del Conservatorio Benedetto Marcello, nel quale Mario Messinis fu di ruolo come bibliotecario fino all’età della pensione.
Sicuramente la maggior frequentazione la ebbe con Malipiero, che continuò a visitare, con la moglie Paola, anche quando il compositore si trasferì ad Asolo per trascorrervi gli ultimi anni. Tra i protetti di Malipiero c’erano due giovani che avrebbero fatto molto parlare di sé, Luigi Nono e Bruno Maderna. Il rapporto con Nono nacque quando Messinis, agli inizi degli anni ’50 del novecento, ascoltò alla radio ll canto sospeso. Ne fu tanto colpito da cercare l’autore al telefono chiedendo di conoscerlo. Con Nono (e la moglie Nuria Schönberg) nacque un rapporto che durò poi per sempre. Quanto a Maderna, se ne andò presto da Venezia, ma l’ammirazione di Messinis per la sua creatività era enorme e non si attenuò dopo la prematura scomparsa del musicista, a soli 53 anni nel 1973. A quindici anni dalla sua scomparsa, Messinis organizzò il Festival Dialoghi con Maderna, 18 concerti a Milano tra il 30 settembre e il 20 dicembre 1989. Questo interesse per la musica nuova, che a differenza d’altri, non abbandonò mai, lo portò alla direzione artistica di memorabili edizioni della Biennale Musica, prima dal 1979 al 1989 e poi dal 1992 al 1996. Autori come Kagel, Kurtág, Carter, Cage, Feldman, per dire solo di alcuni, furono conosciuti in Italia grazie alla sua programmazione. Il Prometeo di Nono e Cacciari, eseguito nell’arca progettata dall’architetto Renzo Piano ed ospitata nella Chiesa di San Lorenzo, è una commissione della Biennale Musica del 1984.
Tutto quanto s’è detto finora riguarda l’attività veneziana di Messinis. La famiglia Messinis era greca. Era approdata a Venezia perché il padre si era trasferito nella città lagunare per seguire i suoi affari. Mentre il più vecchio dei due figli, Sotirios, aveva sempre mantenuto la cittadinanza ellenica, Mario non parlava mai di questa sua ascendenza non italiana. A parole, non mostrava un particolare attaccamento a Venezia e tuttavia qui tenne sempre la sua residenza. Ma molta della sua attività di operatore musicale si svolse in altre città. Fu direttore artistico dell’Orchestra RAI di Torino dal 1986 al 1989, dell’Orchestra RAI di Milano dal 1989 al 1994, responsabile del settore musica delle Orestiadi di Gibellina dal 1991 al 1992 e dell’Orchestra Sinfonica Siciliana dal 1995 al 1996. Per ventisette anni, dal 1992 al 2019, è stato direttore artistico di Bologna Festival. Una delle rassegne più prestigiose da lui dirette fu Eco e Narciso, che, sostenuta dal quotidiano La Repubblica, voluta dal suo direttore-fondatore Eugenio Scalfari, poté contare su interpreti prestigiosissimi e su un’ampia copertura mediatica.
Ma forse, al di là di tutto, la carica che Messinis ha maggiormente amato è la carica di Sovrintendente del Teatro La Fenice, che ha ricoperto dal 1997 al 2000. Gli capitò di assumerla poco dopo l’incendio del teatro, quando gli spettacoli venivano ospitati al Palafenice del Tronchetto. Oltre al repertorio si videro titoli mai passati alla Fenice, opere di Rimsky-Korsakov, di Janáček, Gilbert & Sullivan, Gershwin. Le opere più famose furono rivisitate da registi come Besson, Wernicke, Brockhaus, Braunschweig, Barberio Corsetti, Bob Wilson. Le stagioni sinfoniche affrontarono imponenti cicli mahleriani e bruckneriani e anche il coro fu valorizzato, impegnandolo in lavori di grande complessità. Ma, soprattutto, Messinis non derogò al proposito di presentare la nuova creatività, commissionando Medea ad Adriano Guarnieri, e Rapimento da una sala di concerto a Mauricio Kagel. Altre prime esecuzioni aveva progettato con Sciarrino (Luci mie traditrici) ed Henze (Upupa), quando, inopinatamente, al termine del mandato non fu nuovamente incaricato e non poté realizzarle. Per una sua riconferma firmarono un appello musicisti di tutto il mondo. Il suo grande amico Giovanni Morelli ne promosse un altro, che era stato sottoscritto da tutti i docenti di Storia della Musica delle Università italiane e da molti di Università straniere. Ma nulla valsero queste perorazioni. Il passaggio di consegne tra il sindaco Cacciari e il sindaco Costa fu determinante. Inutile dire che Messinis, convinto giustamente di aver operato per il meglio in una condizione di emergenza, ne fu ferito. Tuttavia era troppo nobile per riversare animosità contro la gestione che seguì e le sue recensioni sul Gazzettino mantennero un signorile equilibrio.
Messinis intratteneva amichevoli relazioni con personaggi come Boulez, Manzoni, Berio, Stockhausen, Lachenmann, De Pablo, Rihm, Abbado, Muti, Aronovitch, Kitaenko, Temirkanov, Inbal, per citare solo i primi nomi che vengono in mente. Grazie alla consuetudine con grandi compositori, riuscì a dar vita alla sua ultima creatura: cicli di concerti dedicati alla musica contemporanea che ebbero il sostegno della Fondazione Emilio e Annabianca Vedova, che li ospitò nella propria sede di Venezia, alle Zattere. Nel ciclo intitolato “EuroAmerica”, Messinis, dimostrando al solito grande apertura verso ogni tendenza, aveva scelto anche musiche di Chick Corea, Frank Zappa, Uri Caine, Terry Riley e Steve Reich.
Per la sua saggezza e competenza, la Fenice gli aveva affidato la presidenza della giuria del Premio “Una vita nella musica”, fondato dal compianto Bruno Tosi. Per sua espressa volontà, oltre ad assegnare il premio ad un grande nome di fama internazionale, sono stati aggiunti riconoscimenti per i giovani: al miglior interprete (o alla miglior formazione cameristica), al miglior compositore, al miglior saggista.
Per la vastità degli interessi, le idee originali e la passione indomita, Mario Messinis resta una figura indimenticabile per tutti coloro che l’hanno frequentato ed ammirato.
Massimo Contiero, pianista, docente e direttore dei Conservatori ‘Francesco Venezze’ di Rovigo e ‘Benedetto Marcello’ di Venezia
Massimo Cacciari: «Ora il Comune gli intitoli un’istituzione»
L’APPELLO
La voce di Massimo Cacciari è rotta dall’emozione. E il ricordo giunge spontaneo e commosso. «Con lui se ne va una Venezia che non c’è più, che si sta esaurendo. Era quella che vedeva Mario in dialogo con i grandi compositori. Con Luigi Nono, con Bruno Maderna, con Luciano Berio. Una Venezia che si specchiava in questi personaggi».
L’ex sindaco e filosofo riconosce i grandi meriti di Messinis nella cultura veneziana e nazionale sottolineandone la caratura intellettuale e umana guidata anche da una amicizia di lungo corso. «Ha permesso a questa città – continua Cacciari – di conoscere più da vicino non solo la musica, ma soprattutto quella contemporanea. È stato un grande divulgatore, anche perché non solo spingeva per farla conoscere, ma anche si impegnava perché venisse eseguita». Cacciari ricorda anche il background di Messinis rievocando la figura di Mario Bortolotto, grande musicologo scomparso nel 2017, un vero maestro e collega per Messinis e con il quale hanno condiviso l’impegno nella critica musicale e nella musicologia.
VENEZIA CONTEMPORANEA
«Non vi è dubbio che Mario fosse un discepolo di Bortolotto. E per tutta la vita Messinis è stato un infaticabile organizzatore culturale. Sedeva in vari consigli di amministrazione di enti legati al mondo della musica e importantissimo fu anche il suo impegno come sovrintendente del Teatro La Fenice sotto il mio mandato da sindaco. Grazie al suo lavoro e al suo impegno ha costruito una immagine di Venezia come culla della musica contemporanea, basti pensare al suo lavoro alla Fondazione Nono o alla Cini». Cacciari lancia anche una proposta e si augura che Venezia e l’Amministrazione comunale si impegni per un riconoscimento importante per un uomo che ha dato molto alla cultura. È stato un critico musicale di prima grandezza e andrebbe ricordato. Venezia dovrebbe considerare di dedicargli una sala, magari alla Fenice; di intitolare alla sua memoria qualcosa di importante; di organizzare un dibattito o un convegno per discutere e conoscere meglio la sua attività in tutti questi anni. Il Comune dovrebbe farsene carico e ricordare una persona che ha dato moltissimo a questa città». Infine un pensiero personale. «C’era affetto profondo con lui – conclude Cacciari –. Era un po’ di tempo che non ci si vedeva. Ma ad ogni incontro era sempre una rinnovata amicizia, continuando a spendersi per la sua passione e per la sua attività».
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Luca Mosca
Mario era simpatico, simpaticissimo.
Quando ti prendeva sorridendo sotto il braccio tu sapevi che voleva farti sbottonare: soprattutto quando ti chiedeva con aria sorniona la tua opinione sul concerto appena concluso. A volte era lui a sbottonarsi, quando ti parlava con la luce negli occhi di un compositore del passato o del presente, sempre curioso della tua opinione ma tagliente e illuminante negli acuminati giudizi.
Mario era generoso: lo fu con me e mia moglie nelle opere scritte insieme e lo fu quando una mattina mi telefonò e mi disse che un poeta voleva conoscermi. Era Gigi Melega, con cui scrissi successivamente quattro opere.
Mario non era un tipo comune. Non era accondiscendente, non faceva sfoggio, non era paludato. Era, a suo modo, tremendamente chiaro, puntuto, imprevedibile.
Quando ti sorrideva il suo sorriso faceva piacere, era come un premio della sua amicizia, un regalo. Ho sempre associato Mario a un gatto. Era un gatto quando si sedeva, quando ti guardava, quando ti faceva una domanda… un gatto in un mondo pieno di cani…
Luca Mosca, compositore e pianista, docente presso il Conservatorio Benedetto Marcello di Venezia
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Roberto Fabbriciani
Mario Messinis, un amico e una persona straordinaria. Tanti ricordi mi legano a Mario. La nostra amicizia risale ai miei esordi artistici e Mario è stato uno dei miei primi estimatori. Conservo con affetto le sue recensioni e altri scritti. Grande appassionato di musica, la pensava, la progettava, la commissionava ai giovani e ai grandi compositori. Ricordo le prime a Venezia di “Io frammento da Prometeo”, del “Diario Polacco n.2” e di “Prometeo” di Luigi Nono, di “Nidi” e di “Fili” di Franco Donatoni, come le prime di grandi nomi quali Sylvano Bussotti, Aldo Clementi, Luis De Pablo, Morton Feldman, Brian Ferneyough, Adriano Guarnieri, Federico Incardona, Isang Yun e altri.
Caro Mario grazie, ci manchi molto. La musica e la cultura italiana sente molto la tua mancanza.
Roberto Fabbriciani, flautista e compositore
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Paolo Petazzi
In un breve articolo sulla “Stampa”, il giorno dopo la morte di Messinis, Giorgio Pestelli lo definiva il migliore organizzatore musicale in Italia degli ultimi 50 anni. Non sono mancati molti altri lusinghieri riconoscimenti per ciò che Messinis aveva fatto quando si occupava delle Orchestre RAI di Torino e Milano, o del Bologna Festival, o come direttore della Biennale Musica o sovrintendente della Fenice, o in situazioni nelle quali il suo impegno fu più breve, ma non meno significativo, come nei due anni della sezione musicale alle Orestiadi di Gibellina. Potrei proporre un lungo elenco di iniziative dovute a Messinis che meritano senza riserve la qualifica di memorabili. Non so se abbia senso fare classifiche tra direttori artistici, e non mi interessa stabilire se Messinis sia stato il più grande; ma sarebbe riduttivo ricordarlo soltanto in questa veste, ponendo in ombra il musicologo e critico musicale. Perché la forza e l’originalità di Messinis direttore artistico erano inseparabili dalle qualità dello studioso e del critico, e naturalmente dall’appassionato rapporto con la musica che ne caratterizzava tutte le attività. Le intuizioni, le passioni, l’acutezza dello studioso nutrivano le proposte del direttore artistico in una prospettiva diversa da quella che ispira la maggior parte degli organizzatori musicali, con una ricchezza che nasceva da convinzioni profonde e da una visione, si potrebbe dire schematicamente, non condizionata dal mercato. Tra i segni più vistosi di questa indipendenza c’erano la sua attenzione alla musica contemporanea e il modo di proporla, anche collocandola con intelligenza in contesti diversi, con scelte spesso vicine a quelle di Maderna nel suo repertorio di direttore. Un solo esempio: Bruno Maderna avrebbe molto gradito la presenza di musica “antica” che Messinis inserì nel Festival a lui dedicato nel 1989, “Dialoghi con Maderna”, splendida manifestazione della vitalità e dell’importanza dell’Orchestra RAI di Milano, qualche anno prima che la RAI decidesse di sopprimerla.
Massimo Contiero ha definito molto bene alcuni caratteri di Messinis critico musicale, e non voglio ripetere le notizie e le riflessioni che gli si devono e che condivido pienamente. Solo un paio di note a margine. Credo che Messinis per primo fosse perplesso sull’idea di raccogliere i suoi articoli in volume, forse non per modestia, ma perché era consapevole di quanto sia inevitabilmente legata alla quotidianità l’attività di critico, sempre di più man mano che ci si allontana dagli anni in cui Mila e D’Amico pubblicarono le loro raccolte. Ci sono però altri suoi scritti che si dovrebbero riproporre riuniti in volume, saggi dispersi in varie sedi, da un testo sulla Frau ohne Schatten scritto per un programma di sala veneziano ai recenti contributi al volume Treccani sulla musica italiana curato da Sandro Cappelletto, forse anche alcuni dei testi che fungevano da premessa alle manifestazioni da lui organizzate. L’originalità e l’importanza del rapporto organizzatore/critico, cui prima accennavo, appare evidente in queste pagine, ad esempio in quelle sulle edizioni della Biennale Musica da lui ideate.
A proposito di Biennale, può essere utile una precisazione. Dal 1983 al 1986 direttore della Biennale Musica era Carlo Fontana. Tra i molti meriti di Messinis, direttore di edizioni memorabili, non può esserci quello della prima del Prometeo di Nono (che peraltro nel 1984 fu un evento grande, ma quasi del tutto isolato). Messinis tuttavia ne creò le necessarie premesse: grazie a lui Nono riprese i rapporti con la Biennale dopo la polemica rottura e anni di assenza. Vi tornò nel 1981, nella terza edizione diretta da Messinis (“dopo l’avanguardia. Prospettive musicali intorno agli anni ’80”) con Io, frammento dal Prometeo, che poi rimase un pezzo a sé e solo in parte entrò nell’opera. E nel 1982 ci fu la prima di Quando stanno morendo. Diario polacco n. 2. Inoltre, Fontana affidò integralmente a Messinis la cura della edizione 1985, quella particolarmente ricca dell’anno europeo della musica. Sfogliando oggi i programmi della Biennale Musica ideati da Messinis si notano proposte che oggi come allora appaiono necessarie per la tempestività e l’acutezza con cui coglievano alcuni fatti decisivi di quel momento, spesso collocandoli in modo illuminante nel contesto della storia della musica recente, con una ricchezza di prospettive che in ambito musicale la gloriosa istituzione veneziana in seguito non ha più conosciuto.
Paolo Petazzi, critico musicale e docente al Conservatorio di Milano
(fine prima parte)
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Nota
L’articolo di Massimo Cacciari è stato pubblicato da Il Gazzettino il 9 settembre 2020. Per gentile concessione.
Si ringrazia la famiglia Messinis per la collaborazione, la disponibilità e l’utilizzo del Fondo fotografico
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