RIVISTA DI CULTURA MEDITERRANEA

L’isola di Prometeo, RISONANZE ERRANTI Festival Luigi Nono 2024 / a cura di Nicola Cisternino

[Tempo di Lettura: 11 minuti]
Luigi Nono, 1969 (Fondazione Archivio Luigi Nono, Venezia © Eredi Luigi Nono)

La ricca trama di eventi di RISONANZE ERRANTI Settima edizione del Festival Luigi Nono 2024 che celebra il centenario della nascita del compositore veneziano è come un riapprodo nella sua città di un’intensa annualità di iniziative e celebrazioni che hanno navigato in vari festival italiani e internazionali, ‘navigazioni’ inaugurate proprio nelle arcate di San Lorenzo con la ripresa del Prometeo Tragedia dell’ascolto a inizio anno: da Venezia a Venezia, tra Prometeo e Risonanze Erranti. Il Festival si snoda dal 5 al 29 Novembre nell’intera città storica con una ricca e pregiata quantità di concerti, workshop, mostre fotografiche, presentazioni, proiezioni filmiche che chiamano a raccolta una numerosa e sempre più larga quantità di ascoltatori, frutto di oltre un trentennio di azione culturale e civile nella città dell’Archivio Luigi Nono, l’istituzione fortemente voluta e consolidata da Nuria Schoenberg Nono moglie del compositore con le due figlie Serena e Silvia. Il calendario che alleghiamo e le cronache degli eventi del Festival sono ormai ampiamente comunicati in un prezioso volumetto editato per l’occasione e seguiti da tutti i media nazionali e internazionali, per cui Finnegans propone qualche particolare contributo ‘multiverso’ come omaggio al Maestro Nono per i suoi fertili Cento anni di solitudine.“… Venezia è un sistema complesso che offre esattamente quell’ascolto pluridirezionale di cui si diceva… I suoni delle campane si diffondono in varie direzioni: alcuni si sommano, vengono trasportati dall’acqua, trasmessi dai canali… altri svaniscono quasi completamente, altri si rapportano in vario modo ad altri segnali della laguna e della città stessa. Venezia è un multiverso acustico assolutamente contrario al sistema egemone di trasmissione e di ascolto del suono a cui siamo abituati da secoli. Ma la vita quotidiana, nella sua dimensione più ‘naturale’, conserva possibilità contraddicenti la nostra percezione più consapevole, la quale ha scelto soltanto alcune dimensioni fondamentali trascurando tutte le altre. Epperò ciò significa anche che, mentre si va all’opera o al concerto idolatrando quelle uniche condizioni e dimensioni di ascolto, nello stesso tempo naturalmente si continua l’esperienza di quell’altro multiverso… Si tratta allora quasi di un’urgenza di risveglio a questa maggiore ricchezza ‘naturale’…” Luigi Nono 

Luigi Nono e Nuria Schoenberg Nono (Fondazione Archivio Luigi Nono, Venezia © Eredi Luigi Nono)

Massimo Cacciari, sul Festival Nono 

Il Festival di quest’anno, ricordando i cento anni dalla nascita di Nono, “raccoglie” i molteplici segni della sua vita, non solo rende omaggio, critico come lui voleva, alla sua musica. Nessuna esperienza artistica forse è stata davvero esperienza nel senso etimologico del termine, come quella di Nono: un cammino in cui ricerca musicale, iniziativa sociale e politica, discussione filosofica, lettre dei grandi classici della letteratura europea, si sono unite senza confusione, alimentandosi reciprocamente. L’opera di Nono ci appare sempre più, man mano che sempre meglio riusciamo a inquadrarla storicamente, come un vero experimentum mundi. In questo senso, credo che la riedizione del Prometeo a San Lorenzo abbia segnato una svolta nella conoscenza internazionale di Nono. Da qui occorre ripartire, collocando a questa altezza ogni iniziativa lo riguardi. Il Festival di quest’anno tenta questa difficile strada.

Luigi Nono e Massimo Cacciari (Fondazione Archivio Luigi Nono, Venezia © Eredi Luigi Nono)
Luigi Nono, Risonanze erranti. Liederzyklus a Massimo Cacciari (1987) (Fondazione Archivio Luigi Nono, Venezia © Eredi Luigi Nono)

Marco Angius, Reminescenze dal Prometeo 2024.

Il ritorno del Prometeo di Nono nella chiesa di San Lorenzo è stato un evento epocale sotto molti punti di vista: intanto perché inatteso, pur essendo quello il suo luogo elettivo per spazio e caratteristiche acustiche.

La presenza di alcuni interpreti storici come Alvise Vidolin, Roberto Fabbriciani e Giancarlo Schiaffini ha ulteriormente avvalorato questa condizione di unicità ed emozione fin dal primo sopralluogo.

La partitura del Prometeo richiede agli interpreti una partecipazione non comune, un misto di strategie di concertazione e ricerca immanente, di movimenti del suono nello spazio intorno al pubblico, estremamente calcolati ma altrettanto imprevedibili. Il coordinamento dei partecipanti è dunque un aspetto che connota questa esperienza immersiva di musica ed elettroacustica, non meno che di architettura e filosofia. Il pubblico, dislocato nei due emisferi e letteralmente circondato dalla nuova struttura di Antonino Viola, poteva percepire l’aldilà del suono proveniente di volta in volta da un altro spazio della chiesa: Nono ha trovato bellissime immagini per indicare la lontananza acustica e interiore nel Prometeo, evocata dai solisti vocali e strumentali, parlando di un vociare distante, di una musica dell’altrove che giunge dentro lo spazio d’ascolto reale, apparendo o scomparendo in esso. 

Questa condizione è ora accentuata (o aggravata) dalle grate che, isolando definitivamente i due emisferi, chiudono le pareti laterali dell’altare centrale rendendo davvero arduo il contatto tra i direttori e i gruppi nell’altro settore. Forse questa dimensione così estrema sarebbe piaciuta ancora di più a Nono? La drammaturgia dell’ascolto, che ha reso famosa l’opera, si realizza negli strumenti-personaggi che si muovono nell’orbita del mito secondo l’idea di una musica, anzi di più musiche in spazi contigui ma indipendenti: Prometeo, cui è affidata una parte quasi nascosta del tenore, s’incarna di volta in volta nel flauto, nel clarinetto, nel coro, nel pubblico…L’eco è una delle componenti essenziali e vitali del Prometeo: gli echi strumentali nelle Isole 3-4-5 (o ricordi lontani, come li chiama Nono, impersonati dal flauto, clarinetto e tuba) mettono in relazione sfondi sonori e dimensioni d’ascolto talvolta impalpabili, rese udibili (solo) dal mezzo elettroacustico. Ogni sera si ascoltavano nuove misture timbriche e, pur avendolo diretto diverse volte, mi sembra impossibile trattenere tutto ciò che vi accade e appare durante un’esecuzione live.

Luigi Nono, Prometeo Tragedia dell’ascolto, Venezia, Chiesa di San Lorenzo 26-29 gennaio 2024

La trasfigurazione dei suoni e dei timbri tocca alcuni vertici in Tre voci a) dove le superfici vitree dei violini delle quattro orchestre sfiorano il silenzio tingendolo appena in un gioco di rifrazioni e dissolvenze (l’azzurro silenzio!); i rintocchi delle campane (vetri) producono una lunghissima scia di risonanze tramite live electronics, avvolgendo gli ascoltatori in un vortice nebuloso e magicamente irreale. 

Un altro momento connotante del Prometeo, in termini sonori, si trova nel secondo Interludio, quando la dissolvenza tra i vetri e gli strumenti gravi delle quattro orchestre mette in relazione un plesso di attacchi e risonanze a catena: nei suoni lunghi e cupi delle orchestre si distende un’ombra acustica generata dai microfoni a contatto sulle superfici cristalline delle coppe rovesciate.

Mi ha sempre impressionato il finale dell’opera, lo Stasimo secondo, che nella prima versione veneziana del 1984 venne diretto da Roberto Cecconi: l’ho definito madrigale concertato perché nella sua apparente immediatezza espressiva, ottenuta dal raddoppio delle parti vocali con quelle strumentali -cucite insieme dall’azione elettronica- chiude l’opera in modo cameristico, antico e contemporaneo. Più che organizzare i suoni con la tecnologia elettroacustica, Nono sembra mostrarne i lati più oscuri e ineffabili, anelando a un senso d’assoluto che attraversa tutta la storia della musica nel rapporto umano (e umanistico) con l’ascolto. Proprio in questo Stasimo, che già nel titolo evoca un senso di lontananza epica, la voce del primo soprano tocca vette sovracute come volesse sfiorare la volta celeste in un addio struggente e senz’appello. In quest’ultimo momento del Prometeo la musica procede per suoni sospesi e silenzi stupefatti, per sillabe interrotte e agglomerati timbrici allucinati. Dopo oltre due ore di questa cosmica liturgia sonora, la costellazione del Prometeo si disperde, ruotando, fino al fondo dell’universo da cui proveniva: come se tutta l’energia emessa fino a quel momento si concentrasse in attimi di silenzio-respiro trattenuti da ciascun ascoltatore. 

Spoleto, Agosto 2024

Marco Angius, Prometeo Chiesa di San Lorenzo Gennaio 2024 (Fondazione Archivio Luigi Nono, Venezia © Eredi Luigi Nono)

Ennio Morricone, su Luigi Nono

(in Al Gran sole carico d’amore Omaggio a Luigi Nono, in Collana del Viandante diretta da Duilio Courir ed Egidio Fiorin, Edizioni Colophon, Belluno 2007)

Ho conosciuto Luigi Nono nel 1958 a Darmstadt. Io avevo 30 anni; per vivere mi dedicavo agli arrangiamenti per le canzoni di musica leggera. Alle colonne sonore cominciai ad avvicinarmi tre anni dopo, nel ’61.

Ma scrivevo già musica classica; ho cominciato a scrivere subito, già negli anni del Conservatorio. 

Ho esordito con un Sestetto per flauto, oboe, fagotto, violino, viola e violoncello. Quando l’ho conosciuto, Nono era già un’autorità nell’ambiente. Darmstadt era una vetrina per ogni compositore, uno straordinario laboratorio, ma trovavi anche musicisti che non avevano idee profonde; bastava dire che appartenevi all’avanguardia e ti aprivano le porte. 

Nono, naturalmente, era di tutt’altro spessore, sia come uomo che come artista, anche se purtroppo non ho avuto modo di approfondire la sua conoscenza. L’ho visto soltanto in quell’occasione. Al termine del concerto con le sue musiche sono andato a chiedergli di autografare la partitura: i Cori di Didone che considero ancora oggi un capolavoro assoluto. 

Conservo ancora il suo autografo. Io, all’epoca, rispetto a lui ero poco più di un giovane di belle speranze. Ricordo che Goffredo Petrassi criticava questo pezzo; diceva che il testo non è di chiara comprensione. Ma Nono aveva adottato una scrittura con il testo frammentato; il coro sillaba e le sillabe passano tra le varie sezioni. Una scrittura frammentaria certo, ma allo stesso tempo unitaria. 

Qualcuno dice che la poetica di Nono contempla anche una certa retorica. Io penso che la retorica l’abbiano creata gli altri; sono pezzi impregnati di chiarezza e trasparenza che non danno la possibilità a sottintesi ideologici. C’è invece una forte presenza della componente etica, che stava molto a cuore a Petrassi e che ha informato anche il mio lavoro.  È una musica che divide: l’ammiri o la detesti. 

Io ammiro Luigi Nono

Foto Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza (foto di Roberto Masotti, scattata in una pausa della registrazione del disco della CRAMPS). Nell’ordine da sx: Giancarlo Schiaffini, Antonello Neri, Giovanni Piana, Ennio Morricone, Egisto Macchi e Franco Evangelisti.

(in Ennio Morricone, Inseguendo quel suono. La mia musica, la mia vita. Conversazioni con Alessandro De Rosa, Ed. Mondadori 2016)

“[…] Qual’era la direzione della musica? 

Qualcuno cominciò a ventilare l’ipotesi che la musica fosse morta. E insieme a essa anche altre forme espressive sembravano arrivate al capolinea…. 

Era il caos. O quasi, almeno per me.

[…] Di colpo, in quell’estate del ’58, nella confusione generale, qualcosa riuscì a colpirmi profondamente: Cori di Didone per coro misto e percussione di Nono, su testi di Ungaretti. Nono mi arrivò dritto al petto. Un’espressività più astratta si fondeva con una logica fredda, costruita con il calcolo. La reazione fu immediata, l’intero teatro gridò: “Bis!”. Era un momento di convergenza fra la logica e il calcolo più elaborati di quegli anni e un’espressività nuova e antica allo stesso tempo: contrariamente a molto di quello che avevo sentito durante quei giorni, riusciva a emozionarmi e a stimolarmi.

Anche Il canto sospeso per soprano, contralto e tenore solisti, coro misto e orchestra (’56), che ascoltai su disco già prima di andare a Darmstadt, mi prese alla gola. In quelle due composizioni in particolare, i due sistemi – quello matematico e quello espressivo – andavano insieme, uno alimentava l’altro. Questa la loro forza più prorompente. 

Una speranza? 

Sì, in questa complementarietà trovai prima di tutto un piacere all’ascolto, ma anche una speranza e una possibile via da seguire, a cui aderii in pieno. Tornato a Roma, completai quei tre brani, che tuttora mi soddisfano anche perché imprimono in musica la mia esperienza e la mia reazione a Darmstadt: calcolo, improvvisazione ed espressività potevano sforarsi e comunicare, allineandosi nello stesso processo compositivo. Tutto questo non fu immediatamente cosciente, almeno nei termini in cui ne parlo oggi. Allora il tempo per riflettere non c’era, ed erano altre le mie preoccupazioni: per sopravvivere e mantenere la mia famiglia avevo bisogno di lavorare con la musica, e questo significava anche accontentare i gusti dei committenti che dell’incomunicabilità proprio non volevano saperne.

Si insinuò in me l’angoscia di allontanarmi e tradire il mondo della ricerca, a cui dovevo la mia formazione, un mondo che era arrivato sì a problematiche gigantesche, ma di cui mi era possibile riconoscere i valori e le ricchezze. Così, nel tempo, più seguii un percorso che si allontanava da tutto questo, più alimentai interiormente una visione personale, opinabile, che informò, andò a costituire la mia visione delle cose e quindi, di fatto, anche la mia attività di compositore. Anche per questa ragione l’esperienza di Darmstadt fu fondamentale. […] Di Nono conoscevo già Il canto sospeso. Nella sua scrittura convivevano perfettamente il sistema logico-matematico, da cui ero attratto, e una forza espressiva molto marcata, che risultava estremamente comunicativa. Una coerenza interna pura che mi impressionò. Quel fascino estetico e timbrico si conserva ancora oggi, nonostante i tanti anni che mi separano da quell’esperienza. I timbri, le altezze, i valori e i silenzi erano calcolati con precisione, ma c’era qualcos’altro: una poetica che si legava a qualcosa di espressivo. Trovai così non solo una conferma, ma anche un sostegno per continuare con maggior forza l’esplorazione che avevo intrapreso nel mondo della serialità post-weberniana. […] Attraverso la presa di coscienza a cui giunsi quell’estate cambiai strada, pur conservando un grosso interesse per il mondo dell’avanguardia. Proprio da queste composizioni iniziai a poco a poco a correggere, nel mio stile, quell’atteggiamento che sentivo eccessivo e piuttosto lontano dalle forme espressive che percepivo più mie. Ma fu un processo molto lungo, che si articolò negli anni, e che ancora si sta sviluppando. Sentivo che da quel momento in avanti no avrei più potuto scrivere senza pormi alcuni imprescindibili interrogativi circa i parametri che avrei impiegato. Ogni nota o pausa, così come gli altri elementi compositivi, avrebbe dovuto assumere un preciso senso funzionale per la costruzione di un’idea che fosse chiara e coerente. Al tempo stesso, però, tutto questo doveva rispondere al risultato sonoro: in altre parole, la musica doveva essere pensata per essere ascoltata e non per rimanere una semplice e incomunicabile speculazione teorica.

Nuria Schoenberg Nono 2024 (Fondazione Archivio Luigi Nono, Venezia © Eredi Luigi Nono)
Luigi Nono (Fondazione Archivio Luigi Nono, Venezia © Eredi Luigi Nono)

Luigi Nono, Questionario “Proust”  (1986)

Presumibilmente tra il 1884 e il 1885 Antoinette Faure (figlia di un futuro presidente della Repubblica Francese) propone al giovane Proust – poco più che tredicenne – di rispondere ad un questionario al quale, il futuro scrittore francese, rispose due volte, allora e un’altra quando aveva vent’anni. Da allora il questionario viene riproposto a numerosi personaggi. A Luigi di Nono fu proposto nel 1986 e pubblicato nel Frankfurter Allgemeine Zeitung-Magazin, 3 ottobre 1986 (in Luigi Nono, La Nostalgia del futuro Scritti e colloqui scelti 1948-1989, a cura di Angela Ida De Benedictis e Veniero Rizzardi, Prefazione di Nuria Schoenberg Nono, Il Saggiatore 2019) 

Che cos’è per Lei il disastro più grande?

Le molte guerre ancora oggi (Afghanistan, Iran, Iraq, San Salvador, Libano, Cile), la distruzione della natura, il continuo sviluppo delle armi atomiche e chimiche. 

Dove vorrebbe vivere?

Forse più in me stesso, cioè al crocevia di molte diverse culture: più scoperte, più sorprese come per esempio in una Venezia da riscoprire nuovamente.

Cos’è per Lei la piena felicità terrena?

Difficilissima da raggiungere perché viene continuamente annientata; anche se Cuba e Nicaragua vivono e amano ancora.

Quali errori Lei giustifica più velocemente?

La gelosia, la tendenza all’unicità esclusiva.

I Suoi eroi preferiti nella letteratura?

Quelli di Dostojevskij, Franz Kafka, i Fratelli Tanner  (1)

La figura storica più amata?

Ernesto “Che” Guevara, Giordano Bruno, San Paolo

Le sue eroine preferite nella realtà?

Quale realtà? Ne esistono molte e ben differenti, per fortuna. 

Le sue eroine più amate nella poesia?

Euridice, Isotta, l’amata nel Caurapañcāśikā (sanscito). (2)  

I Suoi pittori preferiti?

Rublëv, Piero della Francesca, Grünewald, Pontormo, Tintoretto, Moreau, Pollok, Burri, Vedova, Boccioni, El Greco, Tápies, Pirosmani, Schiele, Füssli, Turner, Klee, Kiefer: ma sempre nuove sorprese. 

I Suoi compositori preferiti?

Da Machaut fino ai canti Hassidici, da Dufay, Tallis, da Victoria fino a Varèse, Feldman, Claudio Ambrosini, Miles Davis

Quale qualità apprezza maggiormente in un uomo?

Il dubbio continuo, la coscienza dei problemi fino alla contraddizione. 

Quale qualità apprezza maggiormente in una donna?

L’ideale di sentimento e di amore, la continuità del privato nel pubblico (Rosa Luxemburg, per esempio).

La sua virtù preferita?

La volontà di stare ad ascoltare la diversità degli altri.

La Sua occupazione preferita?

Studiare altre culture: per esempio quella araba, l’ebraismo, i presocratici.

Chi o che cosa avrebbe voluto essere?

La torre di Tubinga, per ascoltare Hölderlin. 

Il principale tratto del Suo carattere?

La nostalgia del futuro. 

Che cosa stima di più nei Suoi amici?

Il continuo rinnovarsi dell’amicizia nella critica reciproca.

Il Suo più grande errore?

Forse: cadere nella trappola della furbizia altrui.

Il Suo sogno di felicità?

La terra promessa: quale? L’indicibile. 

Quale sarebbe per Lei il disastro più grande?

L’opposizione fino al dogmatismo contro rinnovamento cambiamento invenzione rischio. 

Che cosa vorrebbe essere?

Dovrei rispondere: io sono chi sono? Ma chi sono o chi vorrei essere? Chi lo sa. 

Il Suo colore preferito?

Muta continuamente proprio come i cambiamenti di colore nel color-videocomputer. 

Il Suo fiore preferito?

Cambia continuamente a seconda del cambiare dei boschi e delle valli, come ad esempio in Sardegna o in America Latina

Il Suo uccello preferito?

Vedi sopra.

Il Suo scrittore preferito?

Attualmente: Franz Rosenzweig, Massimo Cacciari, Gialâl ad-Dîn Rûmî, Bilhana (sanscrito)

Il Suo poeta preferito?

Ibn Zaydin, Al Mu’tamid Ibn’Abbād, Yēhūdāh Ha-Lēwī, Rilke, Jabès

I Suoi eroi nella realtà?

Savonarola, Antonio Gramsci, i disoccupati, gli eretici.

Le Sue eroine nella storia?

Cassandra, Giovanna d’Arco, le cosiddette streghe del medioevo, le madri i cui figli sono scomparsi che protestano in Argentina

I Suoi nomi preferiti?

Ariel, Fëdor, Tobias, Diotima, Lou, Silvia, Bastiana, Nuria e gli indicibili. 

Che cosa aborrisce di più?

I diversi dittatori politici culturali economici.

Quale figura storica disprezza di più?

Non disprezzo ma odio: i diversi Hitler dall’antichità a oggi.

Quali azioni militari ammira di più?

La rivoluzione cubana di Fidel Castro.

Quale riforma Lei ammira maggiormente?

La decentralizzazione, l’autonomia politica culturale economica.

Quale dote naturale vorrebbe possedere?

Poter volare, errare nello spazio infinito.

Come vorrebbe morire?

Tra i sette cieli.

Il Suo attuale stato d’animo?

Dubbi, speranze, disperazioni, serenità in ogni attimo.

Il Suo motto?

Eppur si muove (Galileo)

  1. Romanzo di Robert Walser (trad. it.: I fratelli Tanner, trad. di V. Rovelli Ruberl, Adelphi, Milano 2001)
  1. Letteralmente “Ladro d’amore”, poema indiano dell’XI-XII secolo, attribuito a Bilhana, citato da Nono oltre nel testo.
Luigi Nono marinaretto, 1932 (Fondazione Archivio Luigi Nono, Venezia © Eredi Luigi Nono)
Programma del Festival https://www.facebook.com/profile.php?id=100064641855576

Immagine di copertina Luigi Nono, Prometeo Tragedia dell’ascolto, Venezia, Chiesa di San Lorenzo 26-29 gennaio 2024

  • (Italy 1957), compositore, direttore e artista, è autore di particolari scritture musicali definite Graffiti Sonori con le quali realizza le sue composizioni. Sue musiche e installazioni sono state eseguite e realizzate in vari festival e residenze artistiche nel mondo. Oltre a diversi Cd e a numerose pubblicazioni su varie riviste internazionali, ha curato, assieme a Pierre Albert Castanet, il volume Giacinto Scelsi Viaggio al centro del suono (Luna editore, 1993-2001) ideando e dirigendo varie iniziative scelsiane su richiesta di Franco Battiato per il Festival di Fano, per il Dipartimento Musica e Spettacolo CIMES dell’Università di Bologna, per la Societas Raffaello Sanzio, Nuova Consonanza di Roma, Società del Concerti di La Spezia e la Regione del Veneto. Ideatore e direttore del Progetto SONOPOLIS Percorsi integrati nella musica d’oggi in Veneto realizzato dal Gran Teatro La Fenice e dall’Associazione Sonopolis in collaborazione con il Comune e l’Università di Venezia, dal 2001 al 2023 è stato docente di Arti e Musica Contemporanee presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia. Ha pubblicato nel 2021 il volume: Luigi Nono Caminantes. Una vita per la musica. intrecci e testimonianze (Ed. Il Poligrafo).

    Visualizza tutti gli articoli