RIVISTA DI CULTURA MEDITERRANEA

L’ALTROVE DELLO STRANIERO
Alla sua ricerca poetica e umana, di Monica Buffagni

tempo di lettura: 5 minuti

La fascinazione, l’ambiguo esistere della condizione umana nel suo essere e provenire da “altrove”, il suo intrecciarsi nella comunicazione poetica e, prima ancora linguistica, che vertono attorno al tema già introdotto nel nostro precedente scritto, incontro di parole e di anime, si rendono mare profondo, lingue di terra che si spingono nell’universo, si fanno versi acuti e struggenti che rivestono ognuno dei veli collettivi.

D’altronde, la condizione stessa di “straniero”, essenzialmente umana e profondamente incisa nella esistenza stessa dell’uomo come elemento dell’universo, è ricorrente in questa stessa esistenza e riveste di molteplici e multiformi spicchi l’inquietudine di vivere, come ci ricorda Ungaretti nella sua “Girovago”, composta in Francia, dipingendo di scabre parole il momento: 

…. in nessuna / parte / di terra / mi posso / accasare… e me ne stacco sempre / straniero”.

Una ricerca inquieta e filosofica, nel suo vivere e nel suo riconoscersi e smarrirsi, nel suo costruire e ricostruire un’identità personale, nel fare i conti con una lontananza non tanto geografica, quanto dal suo sé più profondo, nel tentativo di conciliazione tra contraddizioni ed opposti, che formano l’esistenza stessa nel suo girovagare.

La tua patria? Ignoro sotto quale latitudine essa sia situata

dice Baudelaire con sofferto indugio, tra ricerca del nucleo interno e nascosto di sé e fuga da una inquietudine insita nella condizione umana, nel ripercorrere la propria trama esistenziale, ponendosi di fronte all’alterità, mescolandosi alle contraddizioni e alle incertezze, sottolineando, suo malgrado, il senso di smarrimento del costruire la propria identità, del consolidare e dare significato alle proprie certezze. Quale elemento è dunque più potente e presente, qui, quale sfumatura accende il viaggio poetico ed umano, lungo terre e mari e scogli e fiumi e monti a cui consegnare sé stesso, inquieto e tormentato straniero?

Mi sovvengono le nuvole di Baudelaire, le amate nuvole meravigliose che lo “straordinario” straniero dell’autore sostiene di amare, al termine dell’infinito stordimento sfinito del dialogo omonimo:

… Che ami tu, dunque, straordinario straniero? / Amo le nuvole / le nuvole che passano laggiù / laggiù / le nuvole meravigliose!

qu’aimes-tu donc, extraordinaire étranger? / J’aime les nuages … les nuages qui passent … là-bas … là-bas … les merveilleux nuages!” 

(da“Le spleen de Paris”)

In esso lo straniero, “uomo enigmatico” e inquieto, senza patria, senza famiglia, senza terra si esaurisce nella incomunicabilità ed enigmaticità (ancora il tema della parola e della sua mancanza, senso ultimo dell’esistere), in un dolce e sofferto richiamo alla leggerezza e indipendenza dell’errante, che segue la sua inquietudine, senza legami, alla ricerca della bellezza, anche se negata:

… l’amerei volentieri/ma dea ed immortale

Je l’aimerais volontiers, déesse et immortelle

Baudelaire fotografato da Étienne Carjat, ca 1862

Folgorante e assoluto il verso di Josep Palau i Fabre che chiude “L’identità” (da Poesie dell’alchimista, 1952), rifacimento del testo baudeleriano già citato, 

… Sono di qui. / Sono straniero

Sóc d’aquí. Sóc estranger

in cui il poeta catalano si smarrisce negli spazi sempre più ampi e sbiaditi, stempera le certezze, discute il senso di appartenenza, coglie e reinventa il soffice, estremo, sottile avanzare del dubbio, nell’incontro con l’altro e l’ignoto.

La fuga verso la rinascita, la ricostruzione dell’identità, l’anelito teso al divenire del proprio essere, il passaggio altalenante ed ambiguo, tra esultanza e disperazione, sconnesso ed impervio, in bilico tra ciò che si lascia e l’arrivo – e colori che dipingono e pennellano la poesia mondiale – ci portano, essi stessi versi “stranieri” ed intrepidi, nel dolore, sia del sentirsi estraneo, sia dell’incompiutezza del vivere, che si dibatte e si alterna. 

Stasi nel buio. / Poi l’insostanziale azzurro / riversarsi di alture e lontananze

Stasis in darkness. / Then the substanceless blue / four of tor and distances

(da “Ariel” di Sylvia Plath)

Il fermo immagine, di sorprendente intensità, con cui la Plath fissa e immortala il momento di paralizzante consapevolezza dello smarrimento, del dubbio, della inafferrabilità dell’ignoto, che viene incontro indesiderato, temuto, avvolto e dipinto da ambigua fascinazione, ci riporta al rapporto tra le diverse ombre che si annidano nello scrigno dell’identità personale, scosse dall’incontro con l’imprevisto, lo straniero dalle mille facce di cui stiamo trattando. Sembra quasi richiamare, il buio dell’estraneo, l’accecante azzurro che lo segue, come un lamento lontano alle proprie origini e certezze, alle fondamenta, non sempre lineari, della propria identità, rafforzata e definita dallo sconvolgimento della perdita precedente, essa stessa carne e materia dell’essere, forgiata dal confronto con l’altro.

Le sfumature del colore, gli intensi, sfacciati, sussurrati toni dei colori che ci seducono e ci atterriscono, ci guidano ed esprimono, anche contro la propria volontà, il sentire svelato di ogni incontro e di ogni scoperta, racchiudono in sé l’annientamento notturno così come la gioiosa solarità, in un canto sotterraneo soffuso:

… benché cantando sempre sul tono minore / l’amore vincitore e la vita opportuna / pare non credano alla loro gioia, e s’irrora / quella loro canzone di chiaro di luna

(da “Claire de Lune” – Poesie – di Paul Verlaine, trad. L. Frezza, bur 1974)

Paul Verlaine, fotografato da Willem Witsen, 1892 (Wikimedia Commons)

L’eterno ed insondabile mistero intrecciato di sfumature che si evidenzia nel rapporto tra luce e ombra, tra opposti che si ritrovano ingannevolmente insieme in facce differenti dello stesso umano sentire, si rincorre inquieto nella poetica di molteplici cantori della condizione umana e, ancor più, dello spiazzante contrasto tra sé e l’altro da sé, sulle tracce di uno straniero forse troppo conosciuto per essere davvero accettato.

Ritratto di Edmondo De Amicis, foto di Mario Nunes Vais

Se De Amicis già nel 1882 sottolinea che i futuri stranieri 

vanno a campar d’angoscia in lidi ignoti

(da “Gli emigranti”)

se già in Dante, Petrarca e Boccaccio, svariati studiosi, tra cui ricordo R. Mercuri nel 1987, sottolineavano come fosse in loro spiccato e fondante il senso dell’esilio e dell’erranza, è altrettanto vero che per sua stessa definizione, nulla come la poesia esprime e densifica, crea e rende potente – direi di forza estenuante – la condizione di straniero come inevitabilmente e intensamente legata, intrinsecamente posseduta, a quella umana.

Monica Buffagni, poetessa, scrittrice e critica letteraria


Immagine di copertina
Alberto Cutileiro, A Nau Rainha de Portugal durante il blocco navale presso l’Isola di Malta, nell’ottobre del 1798 (Wikimedia Commons)

Autore