Dopo almeno vent’anni di letture e di cammini sulle colline alto-trevigiane, ho consolidato un’evidenza, che mi si rivela particolarmente quando salgo sul monte Pizzoc, quello che un poeta prealpino, in una felice plaquette di belle quartine, definì panopticon:1 da quella cima gli stessi uomini che in questo sistema collinare mi sembrano grandi di superbia si rivelano qualcosa di invisibilmente piccolo, e con loro anch’io, che normalmente partecipo a questo formicolare che da lassù appare per quel che è: poco più che nulla. Ad avere invece una fisionomia perfettamente riconoscibile, anche se da una prospettiva altra, sono – per placide rive o scabra verticalità – queste colline e le vallate e le piane.

L’evidenza, dunque, consiste nel protagonismo assoluto che qui, più che altrove, ha il paesaggio. Quando si apre una pagina di un poeta – è d’obbligo citare Zanzotto con la sua più antica dichiarazione di poetica: «Qui non resta che cingersi intorno il paesaggio» – o si legge una narrazione che sia ambientata in Veneto, e in particolare nell’area alto-trevigiana, resta la sensazione che l’io poetico nel primo caso, i personaggi protagonisti nel secondo siano un accidente biografico o letterario capitato al vero protagonista: il luogo nella sua specificità, e il paesaggio nel suo insieme. E, anzi, si potrebbe estendere questa consapevolezza all’arte cinematografica, perché, più che Luigi (Marcello Mastroianni) e Antonia (Laura Antonelli), del film Mogliamante del 1977 è protagonista la piazza di Cison di Valmarino, assieme ad altri luoghi poco distanti, su tutti il Molinetto della Croda di Refrontolo.

Proprio quest’ultima località – che il quirinalista Marzio Breda definisce «una specie di Arcadia collinare, un angolo un po’ selvatico delle Venezie, con boschi, ruscelli, laghetti, cascate e, sullo sfondo, il monte Grappa e il Piave»2 – è l’epicentro degli accadimenti narrati in Non tutti i bastardi sono di Vienna di Andrea Molesini, romanzo storico di rara bellezza, capace di portarci alle radici dell’identità tragica, ma anche di una viva indole creativa, poetica di certo Veneto contemporaneo.

La scelta di Refrontolo è certamente stata influenzata in modo determinante dalla lettura del breve Diario dell’invasione redatto da Maria Spada durante l’occupazione austriaca seguita alla rotta di Caporetto: le annotazioni vanno dal 9 novembre 1917 al 30 ottobre 1918, lo stesso periodo di ambientazione di Non tutti i bastardi sono di Vienna (Maria Spada, personaggio d’invenzione nel romanzo ma modulato sull’omonima figura storica, è stata la sorella del nonno materno di Molesini). Distante una decina di chilometri dal Piave, Refrontolo è una località pienamente coinvolta nello scenario bellico, pur non essendo direttamente sul fronte: permette dunque uno sguardo dall’interno sui fatti storici, ma anche di osservarne da una qualche distanza le dinamiche frontaliere che tutti abbiamo studiato sui libri di storia. Si entra così nel cuore delle dinamiche umane che il luogo contribuisce a determinare. Anche Refrontolo, come tutti i borghi che si approssimano al fiume sacro alla patria, porta ancora i segni del trauma: basta farsi una passeggiata uscendo dal centro del paese, verso sud; s’incontrerà il cimitero, nascosto dietro un folto di cipressi, sotto cui è d’obbligo passare per entrarvi. E lì, due doppie serie di paletti metallici, protette dall’ombra degli alberi, riportano i nomi dei soldati refrontolesi caduti durante quel conflitto: è il Parco della Rimembranza, come in tanti altri paesini del Trevigiano.

Ma in paese il fulcro degli accadimenti legati alla grande guerra, tanto nella realtà storica, quanto nella finzione narrativa di Molesini, è l’elegante villa Spada, che nel suo diario Maria chiama «Villa Antonietta». Ed è proprio passando dinanzi all’edificio, oggi chiuso e disabitato, che si legge una targa, particolarmente rivelatrice della tesi su cui verte il presente scritto: «Villa Spada / È la protagonista del romanzo / “Non tutti i bastardi sono di Vienna” / di Andrea Molesini / Premi “Supercampiello” e “Comisso”, 2011».

Si legga ora, in parallelo, la piccola Nota che Molesini pospone al romanzo: «Il dramma è ispirato da alcuni fatti realmente accaduti, narrati nel Diario dell’invasione di Maria Spada, tuttavia si tratta di opera d’immaginazione e ogni riferimento a persone vive o vissute deve essere considerato casuale. Storici, invece, sono i luoghi protagonisti della vicenda». 3

Nel romanzo l’immagine di una tipica villa di campagna alto-veneta si compone progressivamente, a partire dal Preludio, e via via nei primi capitoli della Parte prima: cancelli, porte e finestre, poi un portico, il parco, la cucina animata dalla voce dialettale della cuoca; e ancora capriate e travi del sottotetto; e il foghèr, cioè il focolare. Solo nel quarto capitolo si legge: «Donna Maria aveva lasciato la casa di Venezia un mese dopo la Grande Sciagura, e mi aveva portato a Refrontolo con sé. La nonna le aveva affidato subito tutta l’amministrazione di Villa Spada». Così come il nome della località era stato esplicitato la prima volta solo alla fine del secondo capitolo4, la villa dove avviene la maggior parte dei fatti narrati è chiamata per nome solo nel quarto.5

Villa Spada è un complesso secentesco, ampliato nel corso dei secoli successivi. Nel catalogo Ville Venete: la Provincia di Treviso è così descritta: «Numerosi corpi di fabbrica, disposti a “L” attorno ad una corte-giardino, formano oggi il complesso di villa Battaglia, Spada ubicato nel lotto immediatamente a nord della chiesa, nella parte più antica del centro abitato di Refrontolo».6 Le strutture che danno sul giardino mantengono nel complesso una certa armonia e compattezza; ben diversa è invece la descrizione della facciata posteriore: «La corte in origine era chiusa verso la strada da un muro su cui si aprivano due accessi (…). Alla fine dell’Ottocento essi vennero demoliti e sostituiti con l’attuale recinzione metallica su muretto in laterizio intonacato. Non altrettanto unitario appare il fronte nord del complesso dove il profilo molto frastagliato ed irregolare di corpi di fabbrica di differente altezza, profondità e forometria evidenzia, ma non chiarisce, le numerose modifiche, spesso autonome ed inconcluse, che nel corso dei secoli hanno alterato l’impianto originario; un giardino con alberi d’alto fusto si sviluppa in pendio fino alla recinzione che prospetta sulla strada principale». È qui che si apre una trifora che, nel romanzo, assume grande importanza, già alla fine del quarto capitolo, nel ricordo di un dialogo tra nonna Nancy e un suo vecchio amico, Sir James: «l’oggetto di quel conversare concitato, intessuto di bisbigli, erano gli scuri della trifora cinquecentesca che ornava la facciata che dà sulla piazza del paese, e la biancheria intima di tutti noi, curiosamente associata ai fili del bucato che attraversavano il cortile sul retro». Più oltre, dal decimo capitolo in poi7 la trifora (e anche il bucato) sarà protagonista di un codice segreto di comunicazione concordato tra la famiglia Spada e Brian, eroico aviatore inglese, per comunicargli eventuali informazioni dal fronte austriaco, durante le sue incursioni aeree: «Il codice era piuttosto semplice. Primo scuro aperto e secondo chiuso diceva “movimento di truppe verso il fronte”, primo chiuso e secondo aperto “movimento dal fronte alle retrovie”» e così via.

La famiglia Spada è poi collegata, tanto nel paesaggio refrontolese, quanto nel romanzo, a una curiosa architettura di carattere religioso: un tempietto, sulla cima del colle che si erge dietro la chiesa e il parco della villa. Il dolce pendio è coperto di vigne, spesso attraversate dai protagonisti del libro, la prima volta nel secondo capitolo: «Uscii sul retro, mi avvolsi la sciarpa intorno al collo e chiusi il pastrano. Presi il sentiero che sale al tempietto, non era distante, ma ci volevano quasi dieci minuti». 8




Il paesaggio mantiene le stesse caratteristiche di allora, cui si è aggiunta qualche villetta costruita a partire dal secondo dopoguerra nella parte di collina più prossima alla strada. Giunti al Tempietto Spada, si gode di una straordinaria vista su tutti i luoghi d’ambientazione di Non tutti i bastardi sono di Vienna verso il fronte del Piave; non a caso nel suo diario Maria Spada testimonia che presso il Tempietto erano disposti cannoni austriaci per rispondere alla «pioggia di granate italiane» che si intensificava nell’autunno 1918. Da questa collina si distingue il rapporto stretto tra la chiesa di Santa Margherita e il parco della villa; si domina tutta la valle del Soligo, si indovinano i colli della vicina Barbisano, l’abitato di Falzè e quello di Solighetto, tutti paesi citati nelle pericolose scorribande dei protagonisti; vi è poi una vista completa sul profilo del Montello, verso cui l’interesse e le ansie dei personaggi sono continuamente richiamate.

Altro luogo topico, secondo solo alla villa, è la chiesa parrocchiale, cui è addossata la barchessa di villa Spada (un piccolo edificio a due piani, con la caratteristica facciata ad archi, che danno accesso a un portico sotto il quale nell’ultimo anno di guerra bivaccavano i soldati nemici). La chiesa, dedicata a Santa Margherita, è leggermente rialzata sul retro della barchessa, sul lato meridionale. «Nel 1600 la Chiesa era molto semplice: un’aula di forma rettangolare senza le quattro cappelle della Pietà, della Madonna, di S. Antonio, di Maria Ausiliatrice, e i due bracci attuali che formano la croce latina. Una chiesa di stile lombardo».9 Modificata e ammodernata nel corso dei secoli, è stata allungata e alzata «su disegno del Cav. Stefano Marchi da Stevenà» tra il 1862 e il 1882, con l’aggiunta di due altari, dedicati alla Madonna e a sant’Antonio: questo assetto è quello che ci si deve immaginare come sfondo dei passi del romanzo ambientati dentro e fuori della chiesa; esiste testimonianza fotografica di danneggiamenti patiti dall’edificio durante gli ultimi mesi di guerra.


Nelle prime annotazione del Diario dell’invasione, Maria Spada testimonia: «Nella mattina di venerdì 9 novembre ho assistito alla S. Messa. Nella notte precedente gli arditi italiani avevano riposato nella chiesa. Da oggi la chiesa sarà ridotta a prigione per i soldati italiani, e le prime feste saranno senza obbligo di Messa».10 Le funzioni religiose sono dunque officiate da preti austriaci nella cappella privata di villa Spada. Bisogna attendere il 30 dicembre 1917 perché Maria annoti: «Stamane mi sono accostata alla S. Comunione. È la seconda volta da quando sono in Italia i tedeschi. La prima volta per l’Immacolata. La Chiesa era allora prigioniera di guerra. Col cambiamento dalla Germania all’Austria il parroco di Refrontolo Don Carlo Ceschin ha chiesto e ottenuto di riprendere le funzioni religiose».11
In Non tutti i bastardi sono di Vienna la chiesa è lo scenario di fatti molto più drammatici: da uno stupro collettivo di alcune giovani del paese, trauma da cui origina ogni altra successiva violenza, alla trasformazione della chiesa in un ospedale da campo, luogo di alcune delle descrizioni più cruente del libro. Qui la chiesa è descritta a tre navate, nel quarto capitolo emerge un particolare dell’arredo: «Quanto era successo fra i muri della chiesa doveva essere cancellato dalla memoria del paese. Le medagliette [della prima comunione delle ragazze violentate, appese dai tedeschi ai guinzagli dei loro cani e recuperate dalla comunità] vennero raccolte dalla perpetua (…), che le mise tutte al collo della Vergine, una statua di legno, bianca e azzurra, sistemata accanto all’altare della navata sinistra. Fu così che il faccino da cameriera della regina del paradiso venne illuminato dai riflessi d’oro». Nell’attuale chiesa, a navata unica, esiste ancora, sull’altare a sinistra del maggiore, la statua della Vergine.

Finita la guerra, con la progressiva crescita della popolazione, si è reso necessario un nuovo ingrandimento della chiesa, portata alla forma odierna su progetto dell’architetto Giovanni Possamai di Solighetto: i lavori si tennero tra 1927 e 1933 e la fecero diventare un ambiente sensibilmente più ampio, a croce latina, con un presbiterio raddoppiato.12
Immutato nei secoli è rimasto invece un edificio attiguo: «Il campanile di Refrontolo porta la data di nascita: luglio 1613».13 Presente già nel terzo capitolo del romanzo, perché vi è stato legato e imprigionato il parroco, ritorna protagonista nel sedicesimo, quando arriva notizia della requisizione delle campane, fatto storicamente attestato: «La mezzana e la grande durante la guerra 1915-18 furono tolte dagli Austriaci per fare cannoni. Ritornano al loro posto nel 1922».14 Due frasi del personaggio di don Lorenzo sono di particolare effetto in tal senso: «La campana è la voce del paese, non solo quella della chiesa. (…) Senza campane resta solo la voce del cannone».15

Altro luogo più volte attraversato nel romanzo è la piazza di Refrontolo, quella sua cui guarda la trifora della facciata nord della villa. Oggi è un grande spiazzo con parcheggi, contornato da case e condomini, con al centro il palazzo municipale. Nel romanzo vi è un angolo in particolare, però, a essere focus di diversi brevi passaggi dei protagonisti: l’osteria, tuttora esistente.

Non è invece identificabile una villa neogotica come quella presso cui abita Giulia, fascinoso personaggio femminile di cui Paolo, il giovane narratore, è particolarmente invaghito; anche se esiste una villetta, probabilmente ottocentesca (ma lo stile ha qualche tratto neoclassico e non certo neogotico), rialzata sul rilievo a nord della piazza, che qualche suggestione può regalarla a chi, leggendo il romanzo, conosca già la fisionomia di Refrontolo. Si legge, nel quattordicesimo capitolo: «La casa di Giulia era alta sulla collina, a meno di trecento metri in linea d’aria dalla villa. Da casa colonica era stata trasformata in villetta neogotica nei primi anni del secolo».16
Resta da fare un cenno, in conclusione, a dei paesaggi solo allusi, ma necessari alla fisionomia di Refrontolo: un greto di torrente – senza dubbio il Lierza – e, poco oltre, un antico mulino, riconducibile all’incantevole Molinetto della Croda, già documentato in apertura citando il film Mogliamante; se ne fa menzione una prima volta in una scena del quarto capitolo, nella quale la nonna e Sir James chiacchierano lungamente e Paolo testimonia: «Non so di che parlassero, ma passavano le serate insieme, e li sopresi più volte lungo il greto a passeggiare: arrivavano spesso fino al mulino vecchio, e Sir James tornava sempre con un sacchetto di farina per la dispensa di Teresa».

Insomma, il paesaggio della Refrontolo di Molesini, tra realtà e immaginazione, resta quel luogo che Zanzotto celebrò nei suoi versi, cantandone il Molinetto nel suo libro d’esordio, Dietro il paesaggio (1951), e ancora – con gioco paretimologico – chiamandolo Rex frondium nell’ultima sua raccolta di poesie, Conglomerati (2009): «Lasciami andare un poco più in là / dei regni delle fronde / nati soltanto da un falso d’etimologia».17 Vale la pena chiudere con un ritratto-ricordo del luogo scritto proprio da un amico di Zanzotto, Marzio Breda, che a questo luogo è legato dalle origini materne: «Il Molinetto della Croda, il profilo di Villa Spada che emerge dal suo muschioso giardino, il larìn illuminato dal fuoco nella vecchia osteria, le perfette geometrie dei vigneti e il groviglio vegetale di certe sperdute vallette. E la Chiesa, larga e ben piantata, con a fianco il suo campanile appena un po’ pendente, costruita su uno dei primi e più bei poggi che si innalzano sopra la pianura del Quartier del Piave. In un immaginario dépliant turistico sarebbero forse questi i simboli di Refrontolo da esibire e da “vendere”».18 E – aggiungiamo noi – da rendere, in un’immaginaria vicenda scritta da un autore veneziano, i veri protagonisti della storia.
Paolo Steffan, poeta e critico letterario
Immagine di copertina
Veduta dai colli di Refrontolo verso il Quartier del Piave
Nota
Tutte le immagini a colori del presente articolo sono di Paolo Steffan. Quelle in b/n sono d’archivio.
Note:
- P. F. Uliana, Pizzoc panopitcon, Godega di Sant’Urbano, De Bastiani, 2012. ↩︎
- S. Lorenzetto, Marzio Breda: il decano dei quirinalisti si racconta, da Cossiga a Mattarella, www.ilnordest.it, 14 aprile 2025 ↩︎
- A. Molesini, Non tutti i bastardi sono di Vienna, Palermo, Sellerio, 2010, p. 363. ↩︎
- Ivi, p. 29. ↩︎
- Ivi, p. 44. ↩︎
- Ville Venete: la provincia di Treviso, a cura di S.Chiovaro, Venezia, Marsilio, 2001. ↩︎
- Molesini, op. cit., pp. 103 sgg. ↩︎
- Ivi, p. 28. ↩︎
- Refrontolo nella storia, Vittorio Veneto, TIPSE, 1994, p. 115. ↩︎
- M. Spada, Diario dell’invasione, Vittorio Veneto, TIPSE, 1999, p. 5. ↩︎
- Ivi, p. 14. ↩︎
- Refrontolo nella storia, cit., pp. 164-166, 236. ↩︎
- Ivi, p. 116. ↩︎
- Ivi, pp. 277-278. ↩︎
- Molesini, op. cit., p. 164. ↩︎
- Ivi, p. 141. ↩︎
- A. Zanzotto, Conglomerati, Milano, Mondadori, 2009, p. 173. ↩︎
- Refrontolo nella storia, cit., p. 285. ↩︎
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.