Entro quali limiti gli esseri umani obbediscono alle leggi naturali? Il seguente quesito è stato posto a Misano Adriatico dal Professore dell’Università Cattolica di Milano Silvano Petrosino, intervenuto il 17 ottobre 2025 al Cinema Teatro Astra in occasione del terzo incontro della rassegna Ecce Homo curata da Gustavo Cecchini. Il discorso del filosofo milanese ha toccato i concetti di razionalità e desiderio, due sfere fondamentali dell’essere persona, che spesso vengono ricondotte erroneamente nel linguaggio ordinario all’intelligenza e al bisogno, che sono comuni in natura anche agli esseri animali. In particolare, l’identificazione del desiderio con il bisogno, tesi che in passato è stata sostenuta da correnti di pensiero materialiste, non ha solo conseguenze sullo studio della mente, ma anche effetti sulla società odierna e sul comportamento delle persone, le quali hanno gradualmente interiorizzato questo assunto di base. Rispondendo alle domande dell’intervista, Petrosino ha specificato che l’ambito in cui questi risultati si riscontrano maggiormente riguarda il rapporto con l’altro.

Il comportamento umano ha spesso ridotto il desiderio a semplice bisogno. Crede che questa confusione, non solo concettuale, si sia amplificata nel mondo contemporaneo?”
«Il tentativo di tradurre il desiderio in bisogno è costante nella storia dell’umanità; mentre il primo è una struttura di sconcerto e inquietudine, il secondo, più determinato nella sua circoscrizione, è caratterizzato dalla certezza di ciò che mi manca, da un sapere più concreto riguardo l’assenza da colmare. La differenza rispetto al passato è che la società attuale del “primo mondo” dà l’illusione che sia sempre possibile il soddisfacimento del proprio bisogno, una prospettiva alimentata sia dall’economia, sia dalle innovazioni tecnologiche, che hanno reso più fattibili obbiettivi che un tempo sembravano impossibili. Dire che tutti ce la possono fare sempre e comunque, frase che di per sé non è negativa, riassume ciò che ho descritto».
Oltre alle influenze del mondo economico-societario di cui abbiamo parlato, ci sono dei fattori educativi che portano i bambini a questa mancanza di distinzione, come quando i genitori danno ai loro figli il telefono per smettere di piangere?
«Certamente. Al desiderio bisogna chiaramente essere educati, ma, non essendo semplice questa operazione, i genitori di frequente utilizzano delle scappatoie. Educare il figlio al desiderio significa abituarlo ad una inquietudine irriducibile, mentre indirizzarlo al bisogno porta ad una forma di tranquillità e appagamento. Non si cerca più di sollevare dubbi o questioni, ma di diffondere entusiasmo, lo stesso motto che ho sentito recentemente da una persona operante nel Marketing».
Nella comunicazione con gli altri noi tendiamo a volte ad essere al centro dell’attenzione. Citando una sua frase detta al Festival della Filosofia 2019, perché siamo portati ad utilizzare il cellulare per “mangiare” e non per comunicare?
«Questo è dovuto alla irriducibile tendenza narcisistica dell’umano in quanto tale, che tende a dire io in continuazione. La società di oggi spinge a questo narcisismo, visto che ti permette, con il cellulare o con i social, di essere sempre al centro dell’attenzione, come nel caso della pratica dei selfie. Ci possono essere dei luoghi educativi, come la famiglia e la scuola, in cui queste tendenze costitutive possono essere comprese e non eccitate, ma queste due istituzioni sono in crisi. Con la pubblicità onnipresente in televisione, è difficile dire al proprio figlio che quel modello di cellulare o quella marca di vestito non sono essenziali, così come è complicato per un insegnante dire certe cose, quando i ragazzi si ispirano a personaggi di dubbia moralità, come quei cantanti che girano con la pistola. Chiaramente i ragazzi cambiano maturando, anche dopo essere stati affascinati da certi modelli nell’età adolescenziale».
La violenza che vediamo nei casi di cronaca nera ha a che fare con il concetto di mondanità, che consiste nel vedere tutto come possedibile?
«Un po’ sì. Le parole d’ordine della nostra collettività sono “tutto, sempre, subito”: ad esempio nei mercati sempre aperti ti puoi rifornire subito di tutti i prodotti, così come subito su internet puoi sempre trovare la tua risposta. Questa logica descritta, che percepisce come anormale tutto ciò che tende a sottrarsi al suo sillogismo e a ritardare, viene trasferita sulle persone, che, pur non potendo essere sempre a tua disposizione, devono comunque rispettare l’aspettativa. Chi è violento tende a trattare l’altra persona come una lattina di Coca Cola venduta al supermercato».
I droni e i nuovi metodi bellici utilizzati contro l’Ucraina e contro altri paesi invasi derivano, secondo lei, dalla mancanza dello sguardo sull’altro?
«Questo aspetto descrive il lato oscuro della tecnologia. Il drone, secondo vari antropologi della guerra, non ti fa vedere il volto dell’altro ed è questo il grande punto di rottura con il passato; mentre i conflitti precedenti in qualche modo ti facevano percepire in battaglia il dolore e le grida del nemico, oggi abbiamo l’idea di una guerra molto più asettica, in cui tu non uccidi persone, ma ti limiti a spingere un pulsante o a spegnere una lucina. Da un lato la guerra viene resa meno tragica e più facile, ma dall’altro più spaventosa, poiché nessuno è più consapevole di uccidere delle persone. Lo stesso mondo consumistico-tecnologico che rende la Coca Cola sempre e subito disponibile è lo stesso che pensa e produce questi nuovi ed efficienti strumenti militari».

Nel suo intervento a Misano Adriatico Petrosino ha aggiunto alcune considerazioni su intelligenza e razionalità. L’intelligenza si riferisce alla capacità di risolvere un problema, che riguarda a sua volta un ostacolo rispetto al quale si ha un sapere; due esempi di “problem solving” nel mondo animale sono le dighe costruite dai castori e gli alveari progettati dalle api. La razionalità è al contrario il riconoscimento di una questione, di qualcosa di cui non si ha né un sapere, né, di conseguenza, una risoluzione; Petrosino individua la dimensione della razionalità nel rapporto con l’altro, citando il caso di un ragazzo orfano del padre che a scuola non riusciva a seguire le lezioni. Se il docente non riesce ad insegnare le tabelline ad un ragazzo traumatizzato dalla scomparsa del genitore non lo fa per incapacità, ma per sensibilità di fronte al dramma subito dallo studente. La razionalità consiste proprio nel non pretendere di risolvere ad ogni costo ciò che è irrisolvibile. Lo stesso criterio vale anche per bisogno e desiderio: da un lato il primo, essendo una specie di problema, deve e può essere soddisfatto, dall’altro il secondo, per la sua immensità, non può essere risolto in mancanza di un obbiettivo certo. Mentre il bisogno esprime chiaramente ciò di cui necessita per essere appagato, il desiderio, essendo diretto verso qualcosa di inimmaginabile e inesprimibile, rende l’essere umano incapace di stabilire di preciso cosa voglia.
Michelangelo Suma, studente del corso di Filosofia e Storia all’Università Ca’ Foscari di Venezia
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Immagine di copertina
Silvano Petrosino e Gustavo Cecchini


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