Una lontananza nostalgica utopica futura *
Omaggio a Enzo Porta
Il violinista Enzo Porta, nato a Milano nel 1931, si è spento il 29 ottobre scorso nella sua casa di Bologna. Dopo aver studiato violino con Franco Tafuri ed essersi perfezionato con Franco Gulli e Alice Pashkus, aveva dedicato al violino tutta la sua vita, come concertista, didatta e studioso della storia e della tecnica dello strumento. La sua carriera di concertista, come solista e come membro del Quartetto di Milano e della Società Cameristica Italiana, lo ha portato in Europa, America del Nord e del Sud e Asia. Interprete di riferimento per la tecnica violinistica di alcuni compositori storici della musica contemporanea italiana, ha collaborato con Giacinto Scelsi, Armando Gentilucci, Franco Donatoni e Adriano Guarnieri dei quali ha realizzato prime esecuzioni e storiche incisioni oltre ad essere destinatario di decine di composizioni a lui dedicate fra le quali si ricordano quelle di Castiglioni, Cisternino, Clementi, Galay, Guarnieri, Mandanici, Mencherini, Perezzani, Rotondi, Sbordoni, Vandor, molte delle quali incise su disco.
Ha avuto un’importante attività didattica, alla Civica Scuola di musica di Milano, presso i Conservatori di Trento, Parma e Bologna, ed in numerosi seminari, in particolare sulla didattica del violino e sulla musica del Novecento.
Si è dedicato particolarmente alla ricerca didattica e alla diffusione della letteratura del ‘900. A quest’ultima ha dedicato buona parte della sua carriera concertistica, col Quartetto di Milano e con la Società Cameristica Italiana, con programmi per violino solo, per violino e pianoforte (con Adriano Ambrosini), per violino e flauto (Annamaria Morini), esibendosi in Europa, in Canada, negli Stati Uniti, in Medio Oriente e in Sud America. Ha suonato per molte Società di Concerti e in sedi prestigiose, tra cui Londra-Wigmore Hall, Vienna-Konzerthaus, Lipsia- Gewandhaus, Berlino-Deutsche Akademie, Monaco-Neue Musik, Freiburg-Musica Viva, Parigi-Centre de Musique, Ginevra-Cour Saint Pierre, Milano-Società del Quartetto, Roma-Accademia di Santa Cecilia, Madrid-Cantar y taner, Washington-Dumbarton Oaks, Los Angeles-Shrine Auditorium, New York, S. Francisco, Boston, Montréal. Ha partecipato a importanti Festival: Biennale di Venezia, Maggio Musicale Fiorentino, Spoleto, Milano Musica, Roma-Nuova Consonanza, Atene, Aarhrus, Darmstadt, Rouen-Octobre en Normandie, Hannover.
Ha pubblicato importanti e innovative pubblicazioni sulla storia e la tecnica violinistica: I suoni armonici, nuova classificazione (Ricordi, 1985; I movimenti fondamentali della mano sinistra (con Mary Knepper, Rugginenti, 1995); Movimenti fondamentali della tecnica dell’arco, (Rugginenti, 2007), Il Violino nella Storia (EDT, 2000), oltre a numerosi saggi e articoli su prestigiose riviste e pubblicazioni musicali; ha curato con Albert Dunning un’edizione dei 24 Capricci di Pietro Antonio Locatelli (Schott, 2005).
Alla figura del violinista Enzo Porta, FINNEGANS dedica alcune autorevoli testimonianze
originali di alcuni musicisti e musicologi che lo hanno conosciuto e a vario modo
hanno collaborato con lui.
*Riprendendo in parte il titolo della composizione di Luigi Nono La lontananza nostalgica utopica futura. Madrigale per più ‘caminantes’ con Gidon Kremer, per violini e live electronics del 1988, interpretata in più occasioni da Enzo Porta.
UN MAGISTRALE INSEGNAMENTO
di Nicola Cisternino
Apprendo della morte di Enzo Porta da un messaggio di Leopoldo Siano, qualche settimana dopo l’accaduto. Sono un po’ stordito dalla perdita e non riesco a scrivere nulla su Enzo a cui ero legato profondamente, musicalmente e umanamente. Non mi resta che ripartire dall’inizio riprendendo la sua preziosa dedica sul frontespizio del trattato de Il Violino I suoni armonici: classificazione e nuove tecniche che l’Editore Ricordi pubblicò nel 1985, un trattato che per noi aspiranti compositori era la porta (nome nomen) ad una terra fertile nella quale molte visionarietà e briglie immaginifiche rendevano il suono degli archi, allora in via di evaporazione in regioni iperuraniche da cui Sciarrino cominciava a emettere forti richiami.
Era la primavera del 1988 e avevo completato da alcuni mesi la Lirica Prima per violino composta come un mono/plurimo per lo studio di tutta la tablatura degli archi; il brano infatti è affiancato dalla Lirica Quarta per violoncello, la Lirica Terza per viola che completai negli anni successivi e la Lirica Seconda per Contrabbasso, rimasta incompiuta. Si trattava di un ampio lavoro di studio frutto del centro mentale, carichi com’eravamo allora dei legnosi studi postseriali (Boulez allora imperversava nelle nostre menti) la cui visionarietà armonica e timbrica sembrava trovare per come si praticava allora il tavolo compositivo e grazie al trattato di Enzo, una prospettiva di messa in atto, di una possibile eseguibilità. Il nome di Enzo Porta naturalmente appariva in tutte le riviste e la pubblicazione del suo trattato era qualcosa di imprescindibile per tutti i compositori che non rispondevano al richiamo neoromantico che imperversava.
In questo clima di forti contrasti interiori tra Ragioni e Sentimenti come direbbe oggi l’amico Renzo Cresti, mi interrogavo sulle regioni aurali praticabili del suono, preso com’ero dall’ermetismo di una scrittura scolpita a caldo nei Graffiti Sonori. Si trattava in un certo senso di nascere al mondo del suono aurale, proprio attraverso il condotto uditivo. In questo senso Enzo Porta è stato per me una sorta di levatrice, uno sbarco maieutico che mi ha permesso di non girarmi all’indietro di fronte alla nascita sonora al mondo. Fu a Venezia, nei primi mesi del 1988, quando mi telefonò il compagno di strada Marco Maria Tosolini col quale stavamo avviando tante avventure e che avevo conosciuto da pochi mesi, per dirmi che aveva organizzato al Conservatorio ‘Benedetto Marcello’ per i suoi privilegiati studenti del Liceo Musicale un incontro con Enzo Porta. Mi precipitai di corsa quel pomeriggio, quasi incredulo di poter mostrare la mia partitura di quel brano a cui avevo un po’ affidato la mia scommessa definitiva di possibile compositore, poiché alcuni mesi prima, Franco Donatoni, alla Civica Scuola di Milano, mi lustrò il pelo per due ore, di fronte a tutta la classe, con la Lirica sotto gli occhi, per definirla come uno dei brani meno eseguibili che lui avesse mai visto. E le parole del gigante Donatoni, allora, pesavano come macigni, e per quanto determinato, non mi sentivo certo un Golia. Con questo falciante giudizio non mi restava che rimettere tutto in un cassetto, come feci.
Fu appunto quel pomeriggio, conoscendo finalmente quel maestro che apriva al violino tanti infiniti possibili con la naturalezza dell’intelligenza sonora del suo trattato, che la partitura poté uscire dal cassetto, per me allora senza troppe speranze. Enzo fu straordinariamente gentile com’era già ben noto a tutti coloro che lo conoscevano, mi chiese solo di spedirgli a Bologna una copia più visibile della partitura per visionarla dettagliatamente. Passarono solo alcuni giorni, e ancor prima che fossi io a chiamarlo al telefono con l’ansia che avevo di un suo responso, che la sua rassicurante voce mi diceva al telefono: «Con pochi accorgimenti nelle posizioni, grazie alle trasposizioni armoniche, anche se ardite, è tutto perfettamente eseguibile». E mi aggiunse: «Voglio essere io ad eseguirlo per primo alla prima occasione». Un vero squarcio di luce. L’occasione si stava già preparando con la rassegna di Musicalchemica che Marco Maria Tosolini stava ideando per il maggio di quell’anno al Teatro La Fenice. Enzo Porta tenne fede all’impegno ed eseguì la Lirica Prima nelle Sale Apollinee nel primo dei quattro concerti della rassegna il 15 Aprile 1988. Quello stesso anno lo raggiunsi a Roma quando registrò il brano nella Sala A di Via Asiago in Rai e l’Editore Edipan pubblicò, l’anno successivo, il CD e la partitura che avevo riscritto con alcune indicazioni di Enzo che così appare come il revisore.
Quanti doni e scambi poi negli anni successivi. A cominciare dalla commissione di Atman l’intimo soffio, la composizione che dedicai al Duo che Enzo aveva costituito con Annamaria Morini ai flauti qualche anno dopo, un intreccio e una sfida che l’originale abbinata strumentale poneva, anche sul piano della riflessione critica. Fu proprio il Duo Porta-Morini a tenere il concerto di lancio di Sonopolis, il progetto sulla musica d’oggi che si articolò per oltre un decennio nel territorio veneziano che si tenne il 30 ottobre 1991 nell’Auditorium S. Maria delle Grazie di Mestre.
Iniziava intanto la sfida scelsiana con la raccolta dei contributi per il volume Giacinto Scelsi Viaggio al centro del suono che con Pierre Albert Castanet avevamo iniziato a raccogliere e che pubblicammo nel 1993, in cui il contributo di Enzo fu fondamentale, poiché era l’interprete che era stato ospite di Scelsi nella sua casa di via San Teodoro, dove aveva avuto occasione di studiare i Divertimenti, ma soprattutto il radicale Xnoybis. Di quegli incontri, oltre che scriverne nel suo prezioso saggio inserito nel volume, Considerazioni tecnico-esecutive sulle composizioni per violino solo e per violino e orchestra di Giacinto Scelsi, Enzo mi raccontava di quanto l’aveva colpito di Scelsi, nelle giornate che passò con lui, la lucida e chiara idea sonora che il ‘postino’, come Scelsi amava definirsi, aveva per raggiungere anche con le varie tecniche del movimento dell’arco, il centro del suono. Anche Annamaria Morini, studiosa infaticabile e interprete gentile del soffio flautistico che manca molto alla scena musicale italiana, si approcciò grazie ad Enzo allora alla ricerca sonora di Scelsi, di cui realizzò importanti saggi oltre che mirabili interpretazioni, fra le quali, ultima, la riscoperta e ripresa recente di Tetraktys, un vero e proprio affresco flautistico scelsiano, eseguito in varie occasioni e musicalmente analizzato con l’ampio saggio: Tetraktys: un capolavoro ritrovato, pubblicato sulla rivista... I suoni le onde (2012) della Fondazione Isabella Scelsi di Roma.
L’avventura scelsiana proseguì poi negli anni duemila con la costituzione dell’Ensemble Siddharta dedito all’esecuzione del solo repertorio scelsiano nell’area bolognese, di cui sia Enzo Porta che Annamaria Morini sostennero con energia e piena disponibilità le sorti, partecipando alla registrazione in qualità di solisti, assieme al clarinettista Gaspare Tirincanti, nel 2001 del CD allegato alla seconda edizione del volume: Giacinto Scelsi Viaggio al centro del suono, registrazione effettuata nel Convento dell’Osservanza 88 (numero scelsiano significativo) sui colli bolognesi. Enzo Porta effettuò un storica registrazione, l’integrale di Xnoybis I, II, e III (1964) per violino solo, mentre Annamaria Morini registrò il brano Pwyll per flauto solo (1954). Doni preziosi per quanto parziali della straordinaria azione di Enzo Porta nella cultura musicale italiana degli ultimi decenni, imprescindibile per la sapienza maieutica da lui donata a cuore aperto verso la creazione musicale, fossero frutto di giovani menti compositive o di già abili maestri; Enzo ha da sempre sostenuto il valore compositivo delle opere violinistiche di Armando Gentilucci, delle sulfuree pagine di Fernando Mencherini e della sua grande collaborazione con Adriano Guarnieri, tutte opere create in stretta relazione con i compositori, eseguite in numerose occasioni e registrate. Un patrimonio significativo per la cultura musicale italiana e per l’arte violinistica del secondo dopoguerra quello donato da Enzo Porta alla musica contemporanea in qualità di interprete e didatta della ricerca strumentale violinistica, un insegnamento caratterizzato da un metodo di cui la gentilezza e la maestria tecnica rappresentavano le due facce di una continua riscoperta dell’umano nel suono e nella musica anche nei suoi lacerti delle più ardite, e per molti strumentalmente inaccessibili, visionarie sperimentazioni.
Nicola Cisternino, compositore e artista, Accademia di Belle Arti di Venezia
Enzo Porta, una commovente dedizione
di Renzo Cresti
Enzo Porta ha fatto parte di quella schiera di interpreti che negli anni ’80 venne chiamata Rinascimento strumentale, in concomitanza col numeroso manipolo di compositori che si stavano affacciando alla ribalta e che furono battezzati Giovani compositori, più o meno tutti trentenni. Fra gli interpreti vi erano Roberto Fabbriciani, Ciro Scarponi, Giancarlo Schiaffini, Federico Mondelci, Massimo Mazzoni, Stefano Scodanibbio e molti altri; era la generazione successiva a quella dei Gazzelloni, dei Garbarino, dei Grillo etc. Per data di nascita, Porta apparteneva a questa generazione, essendo nato a Milano nel 1931, ma grazie alla sua curiosità, ai suoi interessi e alla sua intelligenza era riuscito a entrare in sintonia con le nuove esigenze culturali, ancor prima che musicali, che si erano manifestate nel passaggio dal Moderno al cosiddetto Postmoderno.
Con la Società Cameristica Italiana ha inciso John Cage, György Ligeti, Dieter Schnebel, Christian Wolff, Franco Donatoni, Luciano Berio, vinili che risalgono al 1969-70. Ha fatto parte anche del Quartetto Italiano, ha suonato in duo prevalentemente con il pianista Adriano Ambrosini e con la flautista Annamaria Morini. Ovviamente molti e molto apprezzati sono stati i suoi recital per violino solo. Molte volte ho avuto il privilegio di presentare suoi concerti. È stato l’interprete di riferimento per la tecnica violinistica di innumerevoli compositori, collaborando con Niccolò Castiglioni, Nicola Cisternino, Aldo Clementi, Franco Donatoni, Biancamaria Furgeri, Armando Gentilucci, Fiorenza Giglioli, Arduino Gottardo, Fernando Mencherini, Paolo Perezzani, Umberto Rotondi, Alessandro Sbordoni, Giacinto Scelsi, Ivan Vandor e tanti altri, con i quali ha realizzato prime importantissime esecuzioni, oltre ad essere destinatario di decine e decine di composizioni a lui dedicate.
Ho avuto la fortuna di essere testimone di quegli anni, di aver seguito il percorso di Porta dalla fine degli anni Settanta fino all’inizio degli anni Duemila. Era uomo di dignità antica, dal portamento fine e riservato, innamorato del suo lavoro fino all’abnegazione. Rispetto ad altri suoi colleghi molto presi dal momento dell’esecuzione e dal rapporto con il pubblico, Porta intendeva il suo lavoro come studio, indagine tecnica ma pure (auto)analisi psicologica, approfondimento formale ma anche delle ragioni profonde che avevano spinto il compositore a scrivere un determinato brano.
Ho frequentato molto Porta durante gli anni Ottanta, assieme al compianto Fernando Mencherini. Scrissi le Note di copertina di un vinile EDIPAN PCR S20-30 del 1986, dove Porta eseguiva da par suo le straordinarie e difficilissime Sei Danze di Mencherini, il bel pezzo Attendendo l’aurora di Arduino Gottardo e Come un mutevole canto, composizione di Fiorenza Giglioli dalla scrittura estremamente audace, che certo non poteva spaventare Porta, non solo per le sue eccellenti doti strumentali, ma perché abituato a risolvere il virtuosismo in atto espressivo.
Ricordo che più volte mi parlò del suo fondamentale libro I suoni armonici, nuova classificazione (Ricordi, 1985), frutto di una costante ricerca sui suoni armonici al violino e sulle possibilità del loro sfruttamento a livello compositivo. Ricerca davvero sorprendente che aprì a una nuova fattibilità che venne attuata da molti compositori. Rammento le conversazioni con Castiglioni, Clementi, Donatoni, Gentilucci e di quanto erano entusiasti del lavoro di Porta.
Ho avuto anche l’opportunità di assistere a dei suoi seminari che erano seguiti da violinisti e compositori. Oltre a essere stato docente in vari Conservatori, Porta ha divulgato la sua sapienza in molti incontri memorabili, oltre che in molti suoi articoli e libri. Da ricordare I movimenti fondamentali della mano sinistra (con Mary Knepper, Rugginenti, 1995), Movimenti fondamentali della tecnica dell’arco, (Rugginenti, 2007), Il Violino nella Storia (EDT, 2000).
Avendo conosciuto personalmente quasi tutti gli interpreti che si sono dedicati alla musica contemporanea da mezzo secolo a questa parte, posso tranquillamente testimoniare non solo che Enzo Porta è stato uno dei più culturalmente preparati e dotato di capacità tecniche mirifiche, ma che fu in grado, in maniera del tutto naturale, di volgere il suo talento strumentale alle esigenze della musica, della rotondità del suono, dell’espressione sia dei piccoli particolari sia della grande forma. Assieme a una totale dedizione per il suo lavoro che più volte m’è servita di esempio e mi ha commosso.
Renzo Cresti, musicologo, Conservatorio “Luigi Boccherini” di Lucca
Enzo Porta: che la terra gli sia lieve
di Gianpaolo Salbego
Un giorno vidi arrivare in orchestra a Bologna un collega (violino di spalla): Enzo Porta che affiancava l’altro violino di spalla: Giovanni Adamo. A Bologna eravamo abituati da molti anni ad un concertino dell’orchestra con archi molto bravi (Consolini, Della Costanza), colleghi che avevano fatto la storia dell’orchestra e suonato con Toscanini, con Guarnieri, con Celibidache. Una spalla nuova era nelle attenzioni di ognuno di noi.
Enzo portò subito la sua educazione, la sua eleganza oltre all’esperienza di ‘spalla’, ma fu grande la mia meraviglia nel sapere che era un riferimento in Italia per le interpretazioni dedicate alla musica di autori viventi: interesse e capacità rara da trovarsi a quei livelli. Quindi – da subito – la mia attenzione fu attratta da questo personaggio; ora mio collega di un lavoro quotidiano e artistico.
Tosolini e io eravamo appena rientrati dai Ferienkurse di Darmstadt e nelle nostre intenzioni c’era aria di costituire una formazione di percussionisti. Erano momenti di fermento: partecipammo entrambi – a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta – al Festival Nazionale del Jazz con un gruppo fusion (Gran Kassa); si lavorava con Centazzo nella Mitteleuropa Orchestra, in Alternanze e finalmente decidemmo di realizzare Octandre: un duo storico con Andrea Orsi (chitarra) e un quartetto fantastico di percussionisti (due drummer: Tosolini e Cappa – allora batterista di Gianna Nannini – e due percussionisti, Pezzoli e io … prossimo l’arrivo di Gaspare Tirincanti, clarinettista e percussionista).
Chiesi subito a Gaspare di Enzo, perché a Milano avevano già collaborato, e Gaspare confermò l’abilità del violinista e della capacità inusitata di trasformare lo strumento in un oggetto di attenzione, di ricerca, di sperimentazione, in un secolo dove tutti ci si chiedeva che cosa ci fosse ancora da dire col ‘secolare’ violino. Enzo stava facendo ‘il nuovo’, con la complicità di compositori italiani della giovane generazione ‘post-Sessantotto’ che lui stimolava a inventare e re-inventare, collaborando poi in particolare con Sciarrino e Guarnieri.
Il terreno bolognese, allora, era molto appetibile nel campo delle musiche d’oggi: il Festival Jazz più importante d’Europa, la realizzazione del DAMS dove giravano i migliori musicisti e musicologi esistenti in Italia e nel mondo, i loro allievi, spesso dinamici e inseriti territorialmente che oggi fanno storia, la presenza di Giacomo Manzoni in Conservatorio e i giovani suoi allievi emergenti: Fabio Vacchi, Adriano Guarnieri, Gilberto Cappelli, un didatta come Loris Azzaroni, direttori come Maurizio Benini, che collaboravano con noi allievi alla realizzazione di un ensemble importantissimo per la nostra formazione: L’ensemble di sperimentazione che – ad imitazione delle esperienze di Darmstadt – Manzoni volle costituire; il Collettivo Intermusica (guidato da Rossana Dalmonte, Mario Baroni) che operava nell’ambito della didattica musicale: Bologna era dinamismo tellurico allo stato puro, tanto importante da discutere di movimenti riformatrici della musica con Pestalozza, Badini, Trezzini. Poi c’erano artisti di ogni provenienza e di ogni età: insomma Bologna era città attiva culturalmente e musicalmente e noi giovani eravamo il fermento. Lo sapevamo Tosolini e io: consapevolmente demmo il nostro contributo e Porta a Bologna conosceva questa dinamicità. Non potevamo rimanere isolati, perché ci cercavamo e inevitabilmente ci saremmo trovati.
Arrivò a Bologna Enzo Porta e con lui ho realizzato tutto il repertorio contemporaneo della nostra orchestra sinfonica: Enzo era sempre presente e iniziammo lì a conoscerci. Enzo ci vide crescere anche come gruppo e un giorno mi avvicinò e disse: “Gianpaolo, ho ascoltato il gruppo Octandre. Se hai piacere in futuro puoi contare sulla mia collaborazione”. Quella fu la prima critica ad Octandre che mi lasciò stupito e mi convinse ad andare avanti; mi convinse che la strada intrapresa era quella giusta, perché Enzo è sempre stato parco nelle valutazioni e negli entusiasmi e in questo caso era andato ben oltre.
Facemmo diverse cose nel tempo, articolate tra i suoi numerosissimi impegni. Due importanti: all’Accademia di Francia col quartetto d’archi (che concertò personalmente) su un lavoro di Bacrì – allora ospite dell’Accademia – in quell’occasione Octandre presentò anche il quartetto di percussioni (dai Riti di Giacinto Scelsi: I funerali di Achille che lo stesso Scelsi concertò) e un’altra bella uscita a La Spezia (organizzazione di Renzo Cresti) dove Enzo e io potemmo confrontarci pubblicamente sul ruolo degli interpreti nella musica contemporanea, dibattito seguito poi dal concerto serale.
Venne poi il momento di organizzare ‘Pierrot Lunaire’ di Adriano Guarnieri. Sul podio il maestro Taverna e in orchestra non potevamo mancare Enzo e io (che in quell’occasione seguii tutta la logistica e l’organizzazione del complesso set di percussione), appuntamento che ci permise di chiamare alle percussioni Maurizio Ben Omar col quale Enzo collaborava frequentemente. In scena? Un flauto solista: Anna Maria Morini, che formò poi un duo storico con Enzo.
Fu un periodo entusiasmante per il rigore nel lavoro e l’estrema rilassatezza dovuta all’educazione e al rispetto che ognuno di noi aveva per gli altri: Enzo e Gaspare erano anche questo. Poi per Octandre fu il periodo Chigiano (16 anni di collaborazione con Franco Donatoni). Purtroppo con Enzo – che ben conosceva Donatoni – non potemmo mai frequentarci per quell’appuntamento: l’estate era periodo intenso per lui e Morini, ma potemmo negli anni realizzare assieme molti materiali registrati che ebbi modo di raccogliere con Agenda e ora sono memorie che spero possano passare alla storia. Pubblicò con Agenda un cd monografico su Armando Gentilucci, uno su autori contemporanei italiani e recentemente, poco prima del suo ictus che lo immobilizzò parzialmente, riuscimmo a registrare buon materiale per pianoforte e violino (pianista Stefano Malferrari). Le prospettive? Dal 2016 Annamaria Morini, Adriano Guarnieri, Enzo Porta, Gaspare Tirincanti e io stavamo ricostruendo Octandre, con Giuseppe Pezzoli avevamo già operativo il Laboratorio Percussioni del Conservatorio Martini e tutto avrebbe fatto parte di VID – arte e scienza, animato dallo scienziato Carlo Ventura. Eravamo entusiasti, ma ci lasciarono prima Gaspare, poi Annamaria, poi Enzo.
Così, è un ricordo, con tante memorie; Enzo, uomo semplice, che dove passava lasciava certezze. Il passato musicale, quando l’informazione era debole, ha dimenticato Bach per due secoli, fino al recupero di Mendelssohn e non c’erano giustificazioni… neanche allora si dovevano perdere le memorie, né mai nella storia degli uomini, sia di quelli grandi che di quelli meno grandi, ma che hanno lasciato il loro contributo a disposizione di tutti.
Oggi si è ancor meno giustificati, perché la rete è ampiamente sufficiente affinché i personaggi che hanno lasciato segni non siano dimenticati: dimenticarli oggi è una volontà, non disattenzione. In tutti noi occorre perciò riportare le loro memorie, le loro esperienze, i segni della loro presenza e individuare la giusta organicità che raccolga l’ingente e variegato materiale di cui disponiamo: per questo propendo verso l’archivio più che verso la selezione; archiviamo la memoria, avremo tempo per selezionare.
Gianpaolo Salbego, percussionista, OCTANDRE, Orchestra del Teatro Comunale di Bologna
ENZO PORTA: Una… lontananza
nostalgica utopica futura
di Marco Maria Tosolini
Un uomo è i suoi libri. Oltre che le sue azioni, ovviamente. Se, poi, le sue azioni vivono nei suoi libri e i suoi libri vivono nelle sue azioni ci troviamo di fronte ad un uomo che incarna la civiltà classica occidentale. Enzo Porta, nella sua casa di Bologna, austera ed accogliente al tempo stesso, aveva una biblioteca personale babelica con migliaia e migliaia di volumi, in parte ereditati dal padre ma, nel corso del tempo, ingrandita da innumerevoli acquisizioni, risultato della sua incessante curiosità intellettuale. Una curiosità pregna di intensità animica, dove ogni colloquio mirato a organizzare un seminario, una lezione-concerto, una partecipazione a miei programmi RAI televisivi e radiofonici – memorabile la sua lezione sui Capricci di Sciarrino presso il Conservatorio di Parma, nel 1983* per il programma di RAI 3 “I luoghi della musica” – era sempre metamusicale. O meglio, musicale nel senso della Mousiké, dove per i Greci antichi questa era il complesso di nove discipline (ben cinque relate alla musica e poesia) per giungere fino alla storia, all’astronomia.
La “totalità culturale” di Enzo Porta era ancora più sorprendente se si pensa che tale ampiezza di respiro umanistico non solo non lo distraeva dalla tecnica e dalla trasmissione della medesima a centinaia di allievi, ma ne potenziava l’efficacia. Anche in questo caso la sua consapevolezza del significato classico di Techne che, oltre all’attuale di “tecnica”, per estensione metaforica, tipica di molte parole del greco antico (ma anche del tedesco moderno) viene interpretato come “disvelamento della verità”, era motore di un magistero altissimo. Ma dissimulato.
Dissimulato dalla pacatezza del suo parlare, da una voce gentile eppure carica di una fermezza che emergeva nei punti apicali di un ragionamento.
Nell’incarnare una tradizione magistrale che ha nel mondo casi sempre più rari e che si riallaccia a temi cari alla Philosophia perennis, Enzo manteneva spesso, fra le parole e il loro costruirsi con impeccabile, esemplare, comprensibilissima razionalità, una confortante dose di ironia. Quest’ultima era nutrita da un distaccato – ma non freddo – osservare le cose del mondo, con particolare riferimento al mondo della produzione musicale. Brevi bagliori di uno spirito critico hanno sempre distribuito, soprattutto a giovani apprendisti, quella scintilla, quell’Aufklärung capace di risvegliare intelletti talvolta assopiti o distratti.
Ho imparato molto dalla frequentazione di Enzo che mi ha onorato della sua amicizia, sia come musicologo, che come organizzatore di eventi musicali o didattici ma, soprattutto, come essere “Umano, troppo umano”, per parafrasare il sommo diagnosta metamorale – anche musicista e mai dimenticarlo – Friedrich Nietzsche. Enzo Porta, come pochi, ha fatto della sua promozione della musica del secondo Novecento (ma non solo, pensando alla sua rilettura profonda del Barocco) un progetto di vita, a partire dal primo disco registrato nel 1969 con lo String Quartet di John Cage, a dimostrazione della sua assoluta libertà nelle scelte, indifferente all’egemonizzazione politico-culturale delle lobby radical-chic capaci di censurare per anni una figura come quella di Scelsi, alla cui poetica Enzo dedicò grandi energie, ricambiate da qualificatissime attenzioni e dediche. L’elenco dei compositori che hanno scritto per lui è lungo e altisonante, ma il preziosissimo understatement di Enzo mi ha sempre fatto cogliere questi riconoscimenti come un laboratorio di vita e comunicazione, come un genius loci mobile e permanente al tempo stesso. Ricordo con nostalgia il suo sorriso e la vivezza del suo sguardo e, con ancora più ammirazione, i momenti in cui diventava serio, spesso in ragione di trattenute forme di indignazione verso la pochezza culturale che avanzava, già dagli anni ’80. Per non parlare di ora. L’epocale equivoco dell’oggi, dove i teatri e i luoghi di attività artistica sono ancora chiusi a fronte della verificata loro limitatissima pericolosità pandemica – nel corso dell’estate 2020 nel corso di 7.500 spettacoli con la presenza di circa 300.000 i casi individuati di COVID sono stati… uno! – forse è giusto, vista l’età ovviamente, che Enzo abbia lasciato questo “spettacolo desolante”, con ovvio grande rispetto del dolore di chi è rimasto a vivere il suo ricordo. Era un uomo troppo colto, elegante d’animo, meravigliosamente educato, troppo intenso nella sua magistralità per rimanere in questa Waste Land come scriveva T.S. Eliot, che finirà “non con una fiammata, ma con un piagnisteo”.
Grazie Enzo per la Tua… lontananza nostalgica utopica futura: una delle meravigliose Tue interpretazioni nel segno della penna di Luigi Nono, ma, soprattutto, nel segno della Tua umanissima sapienza d’arte che rimarrà viva per sempre fra di noi.
Marco Maria Tosolini, compositore e musicologo, Conservatorio “G. Tartini” di Trieste
Le scuole musicali – Il Conservatorio “Arrigo Boito” di Parma
(Un programma di Marco Maria Tosolini realizzato dalla sede RAI dell’Emilia Romagna in coproduzione con le sedi del Veneto e del Friuli-Venezia Giulia). Al minutaggio 21’30” lezione di Enzo Porta agli studenti del Conservatorio di Parma.
https://www.youtube.com/watch?v=Id-QORCmViU
Non c’é armonico di un violino che
non sia attribuibile oggi al suono del
violino di Enzo Porta
di Adriano Guarnieri
L’incontro di lavoro con Enzo Porta risale agli anni settanta. Veniva spesso a casa mia con lo strumento per farmi sentire nuove sonorità da lui esperimentate. Erano incontri di lavoro e di scambio di pareri sulla nuova musica ed io imparavo tantissimo dalle sue “lezioni”. Da lì provenivano i miei primi lavori per violino e nuove possibilità timbriche sulla scrittura per orchestra riferita alla fila degli archi; gli debbo tanto. Senza il suo suono la mia poetica, oggi consolidata, cioè fatta di sonorità plastiche e fluttuanti, non esisterebbe. Anche la mia scrittura da camera subì una svolta decisiva. Erano gli anni ’70, cioè gli anni della più vasta sperimentazione sulla contemporanea.
Il nostro fu un rapporto di lavoro che non si interruppe mai, in specie quando si consolidò la formazione del suo duo con Annamaria Morini. Entrambi “apostoli” della musica contemporanea; una vasta letteratura per duo si consolidò grazie alla scrittura di molte composizioni fatte per loro due da molti compositori d’avanguardia di quei tempi. Una letteratura oggi consolidata e di vasta portata linguistica; senza il lavoro di ricerca fatto da Enzo, oggi in Italia avremmo tutt’altra musica contemporanea, più conservatrice (cosa che di fatto poi avvenne).
Non c’è armonico di un violino che non sia attribuibile oggi al suono del violino di Enzo Porta. Certo, parlo dei compositori che in prima linea scrivevano con sonorità distaccate dalla tradizione primo- novecentesca. Oggi il suo lavoro sonologico, sperimentale, viene usato dai giovani compositori all’insaputa della paternità originaria che si identifica in Enzo Porta, anzi, forse è troppo abusata anche impropriamente. Con Annamaria Morini il suono del loro duo era talmente osmotico che sembrava di sentire un solo strumento.
La scomparsa di Enzo come amico lascia un vuoto incolmabile non solo umanamente, ma anche culturalmente, oggi purtroppo non protratto come meriterebbe, perché viviamo momenti di reazione storico-musicale; ma il tempo darà ragione ad Enzo e per tanti anni futuri. Lo ringrazio sentitamente di tutto ciò, specie io che ho avuto la fortuna di lavorare con lui fianco a fianco. e per tutto ciò, piango con tanti altri musicisti la sua scomparsa.
Grazie di tutto ciò, Enzo!
Adriano Guarnieri, compositore, Conservatorio “G.B. Martini” di Bologna
Per Enzo Porta
di Stefano Malferrari
Enzo Porta è stato per me, prima di tutto un violinista, un musicista e un didatta che ho ammirato devotamente, poi un collega magistrale ed esemplare, infine un conoscente carissimo.
Le prime volte che incrociai quest’uomo gentile, dal tono della voce sempre pacato, di un garbo antico, fu da ragazzo, dalla mia poltrona di platea, in quelle occasioni musicali degli anni settanta-ottanta che vedevano Enzo impegnato, o come Spalla dell’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna in qualche complicatissimo brano lirico e sinfonico di musica contemporanea, oppure, in altri momenti, alla testa di gruppi, a volte grandi a volte più piccoli (storico il suo duo con la straordinaria flautista Annamaria Morini), spesso dediti al repertorio contemporaneo, ma anche, in altri concerti, a un repertorio storico, sempre affrontato con quello spirito di rispetto al testo e alle indicazioni dell’autore che solo chi ha consuetudine con le nuove opere e al lavoro in uno stretto contatto di collaborazione con i compositori, può capire e attuare pienamente anche in altri repertori.
La prima volta che ebbi il piacere, e l’onore, di fare musica con Enzo Porta fu grazie ad Annamaria Morini, con la quale avevo iniziato qualche tempo prima una collaborazione artistica in duo, flauto e pianoforte. Si trattò, in quel caso, di lavorare Sospeso (Trio n°3), un trio per flauto, violino e pianoforte di Adriano Guarnieri.
Il mio unico precedente impegno sulla musica di Adriano era stato il lavoro per flauto e pianoforte Passioni perse, esperienza per me illuminante, fatta con Annamaria alcuni mesi prima.
Per questo arrivai alla prima prova del trio con la mia parte pronta, ma con una considerevole preoccupazione per quanto potesse essere rilevato o appuntato da parte di Enzo, seduto immediatamente alla mia destra, vicinissimo alle note acute della tastiera del pianoforte, per avere una fusione del suono e d’intenti quanto più alta possibile, diceva.
Le due cose che più mi colpirono e rimasero nella mia memoria di quell’occasione furono la chiarezza dell’esecuzione della sua parte violinistica, che io potevo leggere durante la prova dalla partitura che avevo davanti nel mio spartito per pianoforte; ma ancora di più, la calma e la gentilezza con cui Enzo proponeva tutte le possibilità per trovare sonorità meglio impastate, o le necessità relative a una fusione di esecuzione ancora più alta di quello che già le nostre attenzioni di esecutori stavano producendo.
La prima volta che sentii in Enzo Porta la figura di una persona cara fu un pomeriggio di alcuni anni fa, in occasione di una prova fatta nel mio studio, per la futura registrazione di un cd in duo, violino e pianoforte, uscito poi per l’etichetta Agenda.
Durante una pausa del nostro lavoro, mi chiese di andare a prendere il mio secondogenito, nato da pochi mesi e che si era appena svegliato da uno dei suoi tanti sonni, e mentre io lo tenevo in braccio Enzo gli si avvicinò cautamente con il violino e gli suonò una piccolissima, delicatissima melodia che annunciò come bene augurale per un’infanzia musicale e felice.
L’ultima volta che ho incontrato Enzo è stato in occasione di una intervista pubblica che ho avuto modo di fargli, per volontà di Antonello Lombardi e l’organizzazione dalla Libreria “Orpheus” di Bologna, dedicata alla sua esperienza di musicista che per una vita si era occupato di musica contemporanea.
Erano già capitate precedenti occasioni di condivisione con Enzo e altri musicisti o musicologi, di qualche tavola rotonda pubblica incentrata sull’analisi o sulle personali esperienze nell’ambito dell’interpretazione di nuove opere, ma quella di Bologna rappresentava un’occasione particolarmente toccante: Enzo poco tempo prima aveva avuto seri problemi di salute e aveva, dopo mille resistenze ed “eroici” sacrifici, ceduto le armi al fatto che non avrebbe più potuto suonare il violino (chissà cosa sarebbe stato il prosieguo del lavoro che avevamo appena iniziato, prima che il male lo colpisse, sui nuovi brani in vista di una nuova futura registrazione in cd).
Nonostante tutto non viveva, almeno così a me sembrava, la sua nuova condizione in modo tormentato, ma con uno spirito e una forza esemplari, adattando la propria nuova condizione di vita alla prosecuzione di altri progetti, quali lasciare nuovi testi incentrati sull’approfondimento della tecnica violinistica o, mi pare, sulla didattica per l’infanzia, oppure concedersi a momenti di colloquio legati alle sue esperienze di tanti decenni dedicati alla musica e a quella contemporanea in particolare.
Parlare con Enzo dei suoi incontri di studente al Conservatorio Verdi di Milano, delle sue collaborazioni artistiche con i compositori che hanno tracciato i solchi della storia della musica di più della metà dello scorso secolo, voleva dire toccare con mano la storia e la contemporaneità nello stesso istante; racconti espressi sempre con una modestia, un pudore e un distacco nobile dai fatti e dalle altrui opinioni, che facevano di quei momenti attimi preziosi e indimenticabili.
L’ultima domanda che ho formulato ad Enzo, terminando quell’incontro, è stata – mi avrà perdonato la banalità spero – dove stesse andando, nel ventunesimo secolo, la musica contemporanea.
Sollevando impercettibilmente le spalle, con un appena accennato sospiro e un garbato gentile sorriso, Enzo ha risposto: “chissà… ormai… liberi tutti”.
Grazie Enzo!
Stefano Malferrari, pianista, Conservatorio “G.B. Martini” di Bologna
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Seminario tenuto dal violinista Enzo Porta presso
il Conservatorio ‘Arrigo Pedrollo’ di Vicenza:
La didattica violinistica in relazione alle tecniche corporee.
https://www.youtube.com/watch?v=lBWA-MNkkn4
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